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Due vite parallele |
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L'ESSERE
E L'APPARIRE |
di
Enrico Gilardoni |
CAPITOLO I
Giulio e Renato si salutarono con molta cordialità incontrandosi nei pressi della piazza principale della cittadina. Entrambi diciottenni e di bell'aspetto, si sentivano in quella mattina di fine luglio interiormente soddisfatti per quanto erano riusciti a realizzare. I due giovani avevano infatti ultimato con successo le scuole medie superiori: Giulio aveva conseguito la maturità classica presso il locale ed esclusivo liceo-ginnasio Mondragone retto dai padri gesuiti, Renato aveva ottenuto il diploma di ragioniere a conclusione del ciclo di studi iniziato cinque anni prima frequentando l'Istituto Tecnico Commerciale Duca degli Abruzzi di Roma.
Alla loro età ed in quegli anni appena successivi al tristissimo ed interminabile dopoguerra, si sentivano ambedue pervasi da una indicibile determinazione ad affermarsi. Volevano assolutamente evadere da quello stato di grigiore e di conseguente insoddisfazione che li affliggeva e che, anche se per diversi motivi, li vedeva contestualmente ed apparentemente solidali ma in realtà interiormente lontani l'uno dall'altro.
Giulio e Renato erano amici di vecchia data. Erano
cresciuti insieme e si conoscevano fin dai tempi delle scuole elementari e
medie essendo stati compagni di classe per quasi tutti i primi otto anni di studi. Abitavano
inoltre abbastanza vicini in una
zona semiperiferica e piuttosto accogliente di Frascati, considerata, al di là
delle dispute di campanile, la più rinomata cittadina dei Castelli Romani.
"Ti offro un gelato" disse Giulio
all'amico indirizzandosi verso l'ingresso del bar-gelateria
"Belvedere" in piazza Roma, la più importante e panoramica della
città, dando per scontato che il suo amico avrebbe di buon grado accolto
l'invito.
Renato accettò volentieri, non tanto perché fosse
particolarmente goloso, ma perché quel gesto costituiva lo spunto per
trascorrere insieme quelle due ore circa che li dividevano dal pranzo.
Avrebbero così potuto chiacchierare a lungo e
scambiarsi confidenze, opinioni e orientamenti che ciascuno di loro aveva
maturato dentro di sé. Da un pò di tempo infatti non si erano più incontrati a
causa dei pressanti impegni determinati dagli esami di diploma che li avevano
tenuti occupati a tempo pieno. Nacque così un'intensa conversazione che toccò i
temi più svariati. Com'è facile immaginare, fra gli altri argomenti prevalse
quello attinente agli sviluppi che il recente traguardo scolastico raggiunto
avrebbe loro offerto. In effetti ognuno dei due ribadì all'altro gli stessi
programmi che si erano più volte confidati. Ora però potevano finalmente
argomentare sulla scorta di un diploma ufficialmente riconosciuto, che, per quel poco o tanto che rappresentasse,
era comunque una base di partenza sulla quale far crescere le loro aspettative.
"Io" iniziò Giulio "sono sempre più
convinto della mia scelta: intraprendere la carriera diplomatica deve essere
entusiasmante. Incontri internazionali, viaggi, feste, ricevimenti...... e poi
vuoi mettere: ti presenti come il consigliere diplomatico, il console,
l'ambasciatore..... senza dimenticare gli emolumenti quanto mai
appetibili". La non misconosciuta aspirazione unita a una grande ambizione gli faceva galoppare la fantasia ed intravedere i possibili traguardi
tanto desiderati.
"Caro Giulio" rispose Renato "beato
te, che viaggi nelle altre sfere. Io mi contenterei di molto meno: un buon
posto in Banca con possibilità di sviluppi di carriera una volta laureato. Anche là, dicono, gli alti gradi hanno
buoni stipendi.
Il tenore delle loro chiacchiere e gli aspetti non
secondari che distinguevano le strade che ciascuno di loro aveva intenzione di
percorrere negli anni a venire, sia sul fronte accademico che in quello del
lavoro, rispecchiavano non solo la loro indole ma soprattutto il diverso stile
di vita, inteso nel significato più ampio dell'accezione.
Giulio, condividendo e forse volendo accentuare
quel modo di fare e di vivere che, se pur dissimulato, traspariva da alcuni
atteggiamenti della sua famiglia, era fermamente deciso a perseguire una strada
che lo ponesse nella fascia alta della società.
Renato era di tutt'altre vedute ed ovviamente i
suoi programmi divergevano sensibilmente da quelli del suo amico, sia per
effetto delle sue convinzioni che per una visione meno ambiziosa della sua
esistenza futura.
Come ogni ragazzo che si affaccia alla vita stenta
ad intravedere come e quanto potrà realizzarsi nelle attività e nelle vicende
che lo vedranno protagonista, allo stesso modo ed a maggior ragione, i nostri
due giovani impostavano i loro progetti partendo da presupposti ed esperienze
poco attendibili.
La loro generazione era stata infatti pesantemente
condizionata da un lungo ed infausto periodo di grandi affanni morali e
materiali prodotti da un catastrofico conflitto mondiale che aveva visto per di
più il nostro Paese uscire sconfitto
da una guerra disastrosa rifiutata sotto ogni aspetto dalla grande maggioranza
degli italiani.
La loro data di nascita, che risaliva all'anno
1933, li aveva ovviamente esclusi dalle vicende belliche vere e proprie, essi
ne avevano però subìto tutte le conseguenze e ne erano stati direttamente
condizionati. Non potevano quindi aver cognizione di quanto fosse diverso
vivere e lavorare in tempo di pace partecipando al conseguente sviluppo
economico e sociale.
Al di là delle considerazioni a cui si è fatto
cenno, il fermo desiderio di Giulio di intraprendere la carriera diplomatica
traeva origine oltre che dal voler raggiungere quegli obiettivi a cui teneva
molto, anche perché suo padre, Pietro Consalvi, gli aveva più volte descritto e
magnificato quel particolare ed affascinante ambiente in cui operano i
diplomatici di tutto il mondo.
Il dottor Consalvi era infatti un funzionario del
ministero degli Esteri e, pur non appartenendo al Corpo Diplomatico, era
comunque quasi sempre in contatto con i diplomatici di carriera. Egli non
faceva mistero di invidiarli e, ritenendo di possedere le doti ed il
particolare aplomb, ne aveva acquisito lo stile che li distingue.
Le brillanti prospettive riservate a chi
intraprende la carriera diplomatica si sposavano inoltre perfettamente con il
modo di fare, più o meno artificioso, che Giulio e la sua famiglia cercavano di
interpretare con esiti non sempre opportuni.
Il passaggio obbligato per tentare di raggiungere
quel traguardo ambizioso era costituito dal conseguimento della laurea in
Scienze Politiche e di conseguenza Giulio non aveva avuto alcuna esitazione
sulla scelta della facoltà universitaria a cui iscriversi. Anche Renato per
motivi diversi, ma che comunque conducevano alle medesime conclusioni, riteneva
opportuno iscriversi all'università.
Contrariamente al suo amico che aveva conseguito
la maturità classica, titolo che all'epoca[1] dava accesso a tutte le facoltà universitarie, il diploma di ragioniere
limitava drasticamente la possibilità di iscriversi ad altre facoltà
universitarie al di fuori di quelle due o tre previste dalle norme vigenti in
quegli anni. A tutto ciò si aggiungeva la sua intenzione di cercare di iniziare
una qualsiasi attività lavorativa che fosse in qualche modo compatibile con il
corso di studi che si accingeva d intraprendere, la cui frequenza non era
obbligatoria.
Questo programma era progettato per conciliare tre
esigenze che Renato considerava primarie: la più immediata era costituita dalla
interiore voglia di fare che scaturiva dal suo prorompente spirito di
intraprendenza; la seconda discendeva dalla situazione economica della sua
famiglia, che era alimentata dal solo stipendio di suo padre, il signor Antonio
Morelli, cassiere presso la locale Agenzia del Banco di S. Spirito. L'entità
dei guadagni di questo integerrimo impiegato non era da disprezzare ,
purtuttavia, non disponendo di altre entrate finanziarie, l'intera famiglia di
Renato, formata oltre che dai suoi genitori anche da una sorella minore, era
costretta a rispettare un austero regime di vita. L'ultimo dei suoi propositi,
ma non per questo il meno importante, era rappresentato dall'obiettivo che si
era prefisso: il conseguimento della laurea in Scienze Economiche e
Commerciali, che, a prescindere dalle considerazioni già espresse, egli riteneva fosse a lui
congeniale.
In sommi capi erano questi i concetti fondamentali
che i due giovani si erano ripetuti
in circa due ore di conversazione.
Nel salutarsi, con l'intesa di vedersi di nuovo al
più presto, si augurarono a vicenda di riuscire a concretizzare i loro
progetti.
Ciascuno dei due era ben consapevole di essersi
prefisso un traguardo ambizioso, peraltro il loro intimo desiderio di
migliorare la propria posizione li spingeva a far ricorso a tutte le risorse
che ognuno dei due riteneva di possedere.
Giulio faceva affidamento oltre che nelle sue
indubbie qualità intellettive anche sul concreto sostegno che la sua famiglia,
tra le più in vista della piazza, gli avrebbe potuto fornire.
Infatti, come avviene in tutte le città di provincia
e più ancora nei centri minori che ne fanno parte, dove tutti sanno tutto di
tutti, si instaura spontaneamente una specie di scala gerarchica fra le
famiglie più in vista. Di norma l'entità del patrimonio immobiliare posseduto o
una attività imprenditoriale
gestita con successo pongono i titolari di queste fortune ai primi posti di
questa immaginaria classifica non scritta o resa pubblica sulle pagine delle
cronache locali, ma di fatto imperante e rispettata da tutti.
Rovesci finanziari, affari andati male o altre
disavventure che intaccano sensibilmente l'ammontare delle disponibilità sono
subito recepite ed immediatamente le relative graduatorie vengono aggiornate.
In sostanza nel microcosmo di Frascati si ripeteva di fatto quanto avviene a
livello nazionale o internazionale, dove centri di studio specializzati
analizzano o certificano i bilanci delle più grandi Società industriali o
finanziarie e sulla scorta delle varie performances stilano classifiche e
graduatorie che possono addirittura influenzare l'andamento delle Borse
nazionali ed internazionali.
Il posto assegnato in questa ipotetica classifica
locale che assegna l'ordine di precedenza dei partecipanti non tiene conto
soltanto delle disponibilità economiche; il livello culturale, la professione
esercitata, l'essere introdotto negli ambienti che contano, sono altrettante
chances che hanno il loro peso e che quindi vanno opportunamente valutate di
volta in volta.
Sulla base di quanto descritto, i signori
Consalvi, nella ristretta cerchia della Frascati-bene, non erano certo gli
ultimi arrivati. La loro posizione invero non era molto valorizzata dal posto
di lavoro ricoperto dal capofamiglia al Ministero degli Esteri, quanto invece
dalle non indifferenti proprietà terriere che il padre del dott. Consalvi
possedeva nelle campagne di vari paesi dei Castelli romani. Si trattava per la
gran parte di vigneti che ormai da alcune generazioni davano più o meno
abbondanti raccolti e conseguenti entrate. Il nonno di Giulio aveva ereditato
dai suoi queste proprietà e, avendole sapute gestire con oculatezza, le aveva
ulteriormente valorizzate, acquistando altri appezzamenti sui quali aveva
impiantato fiorenti vigneti che producevano uva particolarmente ricercata per
la produzione del famoso vino di qualità rinomata.
Con questi abbondati proventi e seguendo anche i
suggerimenti di suo figlio che aveva consigliato di frazionare i rischi per
essere in grado di far fronte a sempre potenziali avversità, si era fatto
costruire su un'area di sua proprietà, situata nelle immediate vicinanze del
centro della cittadina, due palazzine i cui appartamenti erano abitati da lui
stesso e dai suoi due figli, mentre tutti gli altri erano stati affittati a
terzi. Come è facile immaginare,
anche il padre di Giulio godeva indirettamente di parte di questo benessere. A
tutto ciò si doveva aggiungere che anche sua moglie, la signora Mariangela,
apparteneva ad una famiglia benestante che, quasi in gara con quella dei
consuoceri, non perdeva occasione per migliorare il tenore di vita della
famiglia di Giulio, il quale, come tutti i nipoti, approfittava della
benevolenza dei nonni.
La posizione di Renato era molto diversa rispetto
a quella del suo amico. Innanzitutto lui e i suoi genitori non erano nati a
Frascati; la loro permanenza nella città risaliva al 1939, quando il Banco di
S. Spirito ritenne opportuno aprire una Agenzia in questa Piazza. In
quell'occasione fu proposto a suo padre, giovane dipendente della Banca, di
trasferirsi nella nuova sede. Fu così che da Civitavecchia il signor Morelli ed
i suoi approdarono a Frascati dove si stabilirono definitivamente.
Il fatto stesso di non essere frascatani di
nascita rappresentava un handicap, almeno a quei tempi. Renato avvertiva un
indefinibile senso di diffidenza nei suoi confronti nel frequentare amici e
compagni di scuola.
In secondo luogo, il confronto fra le
disponibilità economiche e la posizione sociale delle due famiglie era del
tutto improponibile. Non che a casa dei signori Morelli mancasse il necessario
o dovessero addirittura rinunciare a qualcosa di essenziale, il loro tenore di
vita era certo più che accettabile. Non c'era però traccia dell'importante
patrimonio di proprietà dei signori Consalvi e quindi dei relativi abbondanti
benefici che ne derivavano.
Il padre di Renato era soltanto riuscito, non
senza qualche sacrificio, a comprare l'appartamento dove abitavano grazie ad un
prestito a tasso agevolato concessogli dalla Banca dove prestava servizio.
Né il censo né il nome potevano quindi agevolare
Renato nei suoi progetti. Tutto ciò peraltro non lo scoraggiava. Quasi quasi la
sua posizione, meno fortunata rispetto a quella del suo amico, gli era di
stimolo per impegnarsi ancora di più
per raggiungere gli obiettivi che si era dato e non sfigurare nei confronti
di Giulio.
Il periodo feriale era alle porte per tutti. L'aria di vacanza aveva contagiato
anche i due giovani abituati da sempre a godere di ben più lunghi periodi di
svago previsti dal calendario scolastico. Quell'anno a causa degli esami di
diploma anch'essi avevano dovuto accorciare la durata del loro riposo ed
avevano capito che da lì in avanti i tre mesi e passa di vacanze degli anni
precedenti sarebbero rimasti un piacevole ricordo della prima giovinezza. La circostanza non li avvilì più di tanto
e con la spensieratezza dei diciottenni si immersero con entusiasmo insieme ai
propri amici nelle più disparate iniziative che solo i ragazzi sanno
organizzare.
Ai primi di settembre Renato tornò a Frascati dopo
aver passato una quindicina di giorni al mare nei pressi di Civitavecchia.
Giulio era stato anch'egli al mare ma in una località molto più accogliente:
San Felice Circeo. Al suo ritorno lo aspettava un viaggio nell'Italia del nord
e non aveva escluso la possibilità di arrivare anche in Francia se suo padre,
che lo avrebbe accompagnato unitamente a sua madre, avesse potuto ottenere dal
Ministero un permesso sufficientemente lungo per raggiungere Parigi.
Il dottor Consalvi, quasi per deformazione
professionale, aveva dotato di passaporto tutti i membri della sua famiglia e
quindi sotto questo aspetto non sussistevano impedimenti[2]. Mentre Giulio proseguiva le sue vacanze partecipando con i suoi a questo
viaggio di piacere, Renato cercava di mettere in pratica i progetti più volte
accarezzati.
L'iscrizione all'università costituiva un
adempimento burocratico che svolse senza difficoltà. L'aver frequentato per
cinque anni una scuola di Roma lo aveva abituato ad affrontare il quotidiano
viaggio in treno di andata e ritorno. Come tutti i pendolari sapeva di dover
pagare questo pedaggio obbligato e quindi si era organizzato, come tanti altri,
per utilizzare al meglio questo spazio di tempo che comunque doveva sacrificare
per raggiungere la capitale. Aveva avuto modo anche di conoscere una parte
della città e si muoveva con totale disinvoltura per le strade e nell'ambiente
romano.
L'intenzione di trovare un lavoro, anche a tempo
parziale, che lo potesse affrancare dalla dipendenza economica paterna, era
prioritaria; egli si stava dando da fare in tal senso senza perdere di vista
eventuali opportunità che si fossero presentate per riuscire ad ottenere
un'occupazione permanente. In questo caso sapeva bene che gli studi
universitari ne avrebbero sofferto. A suo parere però il giogo valeva la
candela!
Un primo ostacolo freddò subito i suoi entusiasmi.
Nel leggere sui giornali le offerte di lavoro o le pubblicazioni dei bandi di
concorso per le assunzioni previste da varie Amministrazioni Pubbliche o da
Aziende private, apprese che sistematicamente, fra gli altri requisiti, veniva
richiesta l'attestazione di essere "militesente", ossia di aver
assolto gli obblighi militari di leva o di esserne esentato.
Questo impedimento lo poneva davanti a un bivio:
fare subito il servizio militare oppure rimandarlo a dopo aver conseguito la
laurea o comunque al compimento del ventiseiesimo anno di età, termine ultimo
consentito. Il problema non era di facile soluzione. Assolvere subito l'obbligo
significava rimandare di parecchio tempo i progetti che intendeva realizzare;
differire nel tempo la chiamata alle armi equivaleva a lasciarsi pendere sul
capo questa specie di spada di Damocle.
In realtà una terza alternativa gli lasciava
un'ulteriore possibilità: Renato
non aveva ancora 19 anni e quindi, anche se non avesse chiesto il rinvio
per motivi di studio, non sarebbe stato chiamato se non al compimento del
ventesimo anno, secondo gli scaglioni previsti dal ministero della Difesa, a
meno che lui stesso non avesse fatto domanda per fare subito il militare e
togliersi così questo impedimento che lo condizionava un pò su tutti i fronti.
Egli cercò di valutare obiettivamente ogni aspetto
ed alla fine decise di non accelerare la chiamata ma anche di non chiedere il
rinvio.
In quell'anno e mezzo che lo divideva dalla
presumibile data di inizio del servizio di leva, si sarebbe dedicato
all'università ed a svolgere lavori più o meno precari o a partecipare a
eventuali concorsi che non richiedessero la clausola "militesente".