Due vite parallele |
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L'ESSERE E L'APPARIRE |
di Enrico Gilardoni |
Si era improvvisamente accesa una
lampadina nella sua mente. Sarebbe stato sufficiente corrompere la portiera
dello stabile di Roma dove abitavano i genitori di Isabella ed il gioco era
fatto! “Sono proprio nel pallone”, esclamò. “Devo subito entrare in contatto
con la signora Amalia. Mi serve il suo numero di telefono, già, ma come si
chiama di cognome? A quest’ora, là è notte fonda Se ora chiamo la Società dei
telefoni, me lo sapranno dire? Ci risiamo, mi occorre il cognome. Io conosco
solo l’indirizzo: via Bertoloni, 36. Se
mi faccio dare qualche numero di telefono di quel palazzo, posso chiamare una
qualsiasi famiglia che vi abita e chiedere cortesemente il cognome ed il numero
di telefono della signora Amalia. Domattina ci provo personalmente, chiamo la
SIP di Roma e me la sbrigo io. Non credo proprio che la busta con le foto ed il
filmato possa essere già arrivata”.
In parte rasserenato da questa idea che gli era
venuta in mente e che, a suo parere, lo avrebbe tolto da ogni imbarazzo ove
fosse riuscito a realizzarla, lasciò l’ufficio nella convinzione che solo le
prove documentali avrebbero potuto incastrarlo. “Tutto il resto sono solo
chiacchiere. Potrei addirittura recitare la parte del calunniato!”. Rientrato a
casa, durante la notte cominciarono a sorgere i primi dubbi: “Se la signora
Amalia non aderisse alla mia richiesta? E’ da una vita che fa la portinaia a
via Bertoloni ed è anche in ottimi
rapporti con Isabella ed i signori Tuccimei. Potrebbe rifiutare anche una
grossa cifra. Della fedeltà al suo ruolo e della correttezza verso tutti i
condomini è capace di farne una bandiera. Poveraccia, ai giorni nostri crede
ancora a questi tabù! Potrei provare con il marito. Mi sembra che faccia
l’usciere al Ministero degli Interni. Con quello stipendio da fame che si
ritrova potrebbe essere più malleabile. Chissà! E se fosse pure lui un tipo
incorruttibile? Frequentando quell’ambiente potrebbe aver acquisito quella
mentalità insulsa. Come faccio allora? Già! Eccola, la soluzione. Aggancio il
figlio. Quello è un giovanotto, mi
sembra al primo anno di università. Non ha sicuramente un soldo in tasca. Gli
faccio una proposta allettante ed il gioco è fatto. Senza prove, Isabella e i
suoi sono a terra. Non gli rimane che pagare il conto che presenterà l’agenzia
di investigazioni di Montevideo che, per quanto mi consta direttamente, non ci
va leggera con la parcella”! Dovette aspettare il pomeriggio del giorno dopo
per mettere in atto il suo piano. Fra Roma e Montevideo ci sono sette ore di
differenza per effetto del diverso fuso orario. Dalla SIP di Roma ottenne vari
numeri di telefono degli abbonati residenti in via Bertoloni, 36. Provò con il
primo ma non ebbe risposta. Ritentò con un altro. Dopo molti squilli rispose
una voce straniera femminile che parlava un italiano molto approssimativo, sarà
sicuramente una colf di colore. Provò a parlarle in inglese e andò un po'
meglio. Con fatica riuscì a farsi capire ma non ad avere il numero di telefono
che gli serviva. Venne a conoscere tuttavia il cognome della signora Amelia.
“Con questo riferimento posso provvedere da solo”, pensò ad alta voce. “In
ufficio ho trovato anche un vecchio elenco telefonico di Roma portato qui forse
da qualche mio predecessore. Se non hanno cambiato numero e se, soprattutto, il
telefono è a nome della signora Amalia, ho risolto”. Consultando la guida
telefonica rintracciò quel cognome ed il relativo numero. Se poi quel cognome
fosse quello del marito o quello della portiera, a quel punto il particolare
non lo interessava più. Pigiò i tasti del suo apparecchio e rimase in attesa.
Gli rispose una voce d’uomo. Giulio chiese del figlio della signora Amalia.
“Sono io, sono Giulio”. “Ah! anche tu ti chiami Giulio”, esclamò il nostro
uomo. “Io sono Giulio Consalvi, il marito della signora Isabella Tuccimei”.
“Ah, ora ho capito; mi dica, mi dica, dottore, in che cosa posso esserle
utile?”, rispose il giovane. “Senti”, riprese Giulio, “ti chiamo da Montevideo
per una faccenda delicatissima, ho pensato a te perchè sei un ragazzo in gamba,
sei uno studente universitario e quindi hai una mente aperta. Sai, io sono un
diplomatico e quindi mi capita di dover trattare questioni riservate. In questo
caso ti sarei molto grato se con assoluta, dico assoluta, discrezione mi
rispedissi una busta che dovrebbe arrivare in questi giorni lì da voi”.
“Ho capito, va bene, dottore”, rispose il figlio della portiera, “lo farò
senz’altro”. “No, no, un momento”, riprese Giulio, “non si tratta di una
semplice formalità, la cosa è importantissima, sono fatti che interessano
questioni fondamentali per il Ministero. Ti ripeto: silenzio assoluto con tutti,
a cominciare con i tuoi genitori e con i signori Tuccimei e tutti i condomini.
Devi entrare in possesso della busta prima di tutti e senza che gli altri ne
prendano visione. Se mi fai un buon lavoro ti farò un bel regalo. Ti va bene
uno scooter ultimo modello?”. “Magari, dottore. Mi vado subito a sedere nella
guardiola della portineria. Conti su di me”. “Allora, caro giovanotto”, riprese Giulio da Montevideo, “presa la busta,
la devi mettere in un’altra busta più grande ed inviarmela per via aerea, riservata
alla mia persona: dottor Giulio Consalvi all’Ambasciata d’Italia a Montevideo -
Uruguay. Hai preso nota di tutto? Fammi la cortesia, ripetimi nome e indirizzo,
annotatelo chiaramente”. “Ecco, ecco, lo sto facendo, stia tranquillo dottore.
Mi piazzo nella guardiola e appena viene il postino mi faccio consegnare
tutto”. “Ti sta bene lo scooter”? “Certo, certo. Grazie. Stia tranquillo”.
“Fammi sapere a cose fatte”, lo incalzava Giulio, “segnati il mio numero di
telefono, anzi è meglio se ti chiamo io. Acqua in bocca con tutti, hai capito?
Lo vuole il Ministero”. “D’accordo, d’accordo. Arrivederci”. “Se mi va bene
questa, ho risolto”, bofonchiò fra sé
Giulio molto più sollevato. “Quanta fatica, quanta angoscia e quanti soldi per
Francisca! La colpa è mia che mi sono fatto sorprendere come un allocco. Dovevo
allontanarmi. Andare in Argentina, Brasile, oppure potevo anche restare qui a
Montevideo ma trovare un modo per depistare chi mi sorvegliava. Avrei dovuto
dare per scontato che la mogliettina non aveva inghiottito il rospo di Kampala.
Ormai è acqua passata. Glielo voglio dire a Francisca quello che ho dovuto fare
per.... salvare la sua reputazione.... Questa sera da un telefono pubblico la
chiamo. Appena riceverò quella busta mi dovrò rifare!...”
Nei giorni successivi, come se si trattasse di due vasi comunicanti,
l’ansia dell’attesa per il plico che non giungeva aveva cominciato a pervadere
con la stessa intensità le due parti in causa. A Roma, a casa Tuccimei,
Isabella fremeva dal desiderio di avere in mano le prove che avrebbero
inequivocabilmente dimostrato la scellerata condotta di suo marito; a
Montevideo, Giulio, una volta avuta in mano la fatidica busta, aveva voglia di
vederne il contenuto insieme a Francisca per poi festeggiare a modo loro lo
scampato pericolo, in barba a chi gli impediva di fare la bella vita.
Isabella provò a chiedere alla portiera se per caso fosse arrivata una
busta per lei proveniente da Montevideo; aggiunse, mentendo, che suo marito
gliene aveva preannunciato telefonicamente l’invio. In realtà i contatti
telefonici con suo marito si erano rearefatti ed erano divenuti del tutto
formali; ambedue conoscevano ormai, senza esserselo mai detto, l’effettiva
situazione venutasi a determinare e quindi, al di là delle notizie che
riguardavano la piccola Cecilia e le condizioni di salute della suocera, non
c’era altro da dire.
Con il passare dei giorni la situazione si rovesciò. Giulio ricevette la
busta che attendeva mentre a Roma, in via Bertoloni 36, questo plico non
arrivava mai. Il figliolo della portiera aveva infatti seguito, puntualmente e
con la massima discrezione, le istruzioni ricevute. Sorvegliando
sistematicamente l’ingresso del palazzo, attendeva ogni giorno l’arrivo del
portalettere e, prima che questi ne varcasse la soglia, si faceva consegnare
tutta la corrispondenza in arrivo. In apparenza sembrava un gesto di cortesia
verso il postino che lo conosceva da anni; in realtà il giovane Giulio si stava
guadagnando uno scooter nuovo di zecca. Egli avrebbe poi giustificato il
possesso della motoretta raccontando di aver trovato sotto il tappo di una
bottiglia di coca-cola il contrassegno-premio. Dopo appena tre giorni di
attesa, ecco spuntare tra lettere,
stampe e bollette varie la busta proveniente dall’Uruguay. La nascose sotto la
giacca, distribuì l’altra corrispondenza nelle rispettive caselle e corse a
rispedire al dottor Giulio Consalvi presso l’Ambasciata d’Italia a Montevideo i
preziosissimi documenti che attendeva. Quando, dopo un paio di giorni,
ricevette una sua telefonata, gli rispose che aveva fatto quanto richiesto
all’insaputa di tutti. “Ora sono in attesa del premio”, precisò. “Stai
tranquillo, appena riceverò la busta recati pure dal concessionario della
Piaggio a Frascati e lì troverai lo scooter pronto per te”. “Lo potrei pure
fare fesso”, rifletté ad alta voce Giulio a Montevideo, “ma se poi quello,
indispettito andasse a riferire tutto?
Meglio pagare. Con quest’altro esborso dovrei aver finito”.
Isabella, invece, telefonò a Gonzales per avere spiegazioni. Il detective
le confermò che lui le aveva spedito tutto come già comunicatole da Punta del
Este. La informò che, come aveva previsto, la polizia gli aveva sequestrato le
copie in suo possesso. “Io ero tranquillo di essere riuscito comunque
nell’intento di farle avere il materiale”, aggiunse. “Il sequestro è avvenuto
dopo la spedizione. E’ possibile che la polizia sia riuscita a bloccare quel
pacchetto spedito per via aerea?. Nell’eventualità non ricevesse nulla, si
faccia sentire di nuovo. Vedrò cosa posso fare per aiutarla. Ho sempre quelle
altre copie in serbo”, pensò Gonzales, “le potrò recuperare e dietro una
ulteriore ricompensa farò in modo di farle avere alla signora Isabella”. Convinto
della buona fede del detective, lo stesso dottor Tuccimei si mise in moto per
tentare di capire chi avesse potuto intercettare la busta. Sentita nuovamente
la portiera, la signora Amalia confermò di non aver ricevuto nulla. “Se mi
fosse arrivato qualcosa, l’avrei subito portata alla signora Isabella, so che
l’aspettava; anche lei giorni fa me ne ha parlato”. L’ex ambasciatore si recò
al competente ufficio postale del quartiere, si qualificò e fu ricevuto dal
responsabile. L’accertamento fatto in sua presenza certificò che il plico
raccomandato era stato consegnato dieci giorni prima, esattamente il dodici
febbraio. Sul libretto del portalettere c’era la data e la firma illeggibile di
chi l’aveva ricevuto. Il postino affermava di non ricordare nulla di strano. Il
pacchetto era stato consegnato come tanti altri. Chi lo aveva preso in consegna
aveva firmato come al solito. L’amministrazione postale aveva ben operato. Il
mistero tuttavia permaneva. Isabella e suo padre non riuscivano a capire come
tutto ciò fosse potuto accadere. “Sembra un lavoro dei Servizi Segreti“,
commentava il dottor Tuccimei. “Non posso credere che mio genero, seppure scaltro ed introdotto com’è in Uruguay,
possa essere riuscito a far suggerire alla polizia italiana che era opportuno
non far arrrivare quel plico ai legittimi proprietari”. Non avrebbe mai potuto
immaginare, l’anziano ex diplomatico, che il materiale che sua figlia e lui
stesso attendevano era arrivato a pochi metri dalla soglia della sua casa e
proprio lì mani ignote lo avevano rispedito sul luogo del misfatto. Ne voleva
parlare addirittura con un suo amico generale dei carabinieri, anche lui in
pensione. Il timore di dover accennare a cose riservatissime e personali lo
convinse poi a non farne nulla. Questo ulteriore interrogativo finì per
convincere il padre di Isabella di trovarsi di fronte ad una persona capace di
mettere in atto qualsiasi prepotenza al solo fine di raggiungere il suo
obiettivo, calpestando i sacrosanti
diritti degli altri.
A prescindere dai sentimenti che lo legavano a sua figlia e dal sentirsi
quindi parte in causa per tutelarla, la vicenda aveva assunto l’aspetto di una
sfida fra una persona corretta e di sani principi ed un vero e proprio
arrogante prevaricatore. Il dottor Tuccimei ne aveva fatto ormai una questione
di principio ed aveva preso lui in mano in prima persona la faccenda, volendo
definitivamente smascherare le malefatte di suo genero. Telefonò all’agenzia di
informazioni di Montevideo presso la quale lavorava il Gonzales e chiese di lui.
Gonzales, una volta capito che il suo interlocutore era il padre della signora
Isabella, gli suggerì di interrompere la conversazione. Lo avrebbe chiamato lui
da un telefono pubblico; non si fidava più, temeva che il telefono dell’Agenzia
fosse sorvegliato. Poco dopo, il
telefono di casa Tuccimei squillò. “Sono Gonzales”, esordì . “Dopo quanto mi ha
detto, le precauzioni non sono mai troppe”. “Lei mi disse di poterci aiutare”,
gli ricordò il dottor Tuccimei. “E’ arrivato il momento. Il plico non è mai
giunto ed invece risulta recapitato. Se lei ha ancora una copia del materiale
deve farcelo avere in ogni modo. O ce lo porta lei con le sue mani qui a Roma
o, al contrario, verrò io personalmente a prenderlo a Montevideo”. “Sarà meglio
che venga lei, non a Montevideo, però, signor Tuccimei.”, replicò Gonzales.
”Venga a Punta del Este. Là staremo più
tranquilli. La stagione balneare sta finendo. Sarà meglio vederci lì.
Precisamente in piazza San Paulo davanti al numero 35. Fra cinque giorni,
giovedì prossimo, alle ore dieci di mattina, d’accordo?”
“D’accordo”, rispose il dottor Tuccimei. “Chi vuole vada, chi non vuole
mandi”, commentò ad alta voce il padre di Isabella “Andrò io, figliola, a
prendere il materiale. Il Gonzales mi sembra un brav’uomo; se è riuscito a
conservare una copia di quello che cerchiamo ha dimostrato di essere anche
previdente. Giovedì prossimo lo incontrerò a Punta del Este in piazza San
Paulo. Forse è lì che conserva le pellicole. Staremo a vedere. Ora bisogna
trovare un valido pretesto per la mamma. La mia assenza deve essere
giustificata da una ragione plausibile”. “Papà, ti sono veramente riconoscente
per questo tuo fattivo interessamento”, soggiunse Isabella. “Ai miei guai ora
si aggiungono altre onerose complicazioni. Chi l’avrebbe mai pensato solo
qualche anno fa”. “Non ti rattristare ulteriormente, Isabella. Meglio pagare un
prezzo oggi e avere la certezza di sapere con chi si ha a che fare, che
rimanere nell’equivoco. Nella vita può capitare di incontrare la persona
sbagliata. Sia per te che per la tua creatura, prima si definisce questa brutta
storia meglio è”.