Due vite parallele

 

L'ESSERE E L'APPARIRE

di Enrico Gilardoni

 

  Capitolo XIX

 

 

Si era  improvvisamente accesa una lampadina nella sua mente. Sarebbe stato sufficiente corrompere la portiera dello stabile di Roma dove abitavano i genitori di Isabella ed il gioco era fatto! “Sono proprio nel pallone”, esclamò. “Devo subito entrare in contatto con la signora Amalia. Mi serve il suo numero di telefono, già, ma come si chiama di cognome? A quest’ora, là è notte fonda Se ora chiamo la Società dei telefoni, me lo sapranno dire? Ci risiamo, mi occorre il cognome. Io conosco solo l’indirizzo: via  Bertoloni, 36. Se mi faccio dare qualche numero di telefono di quel palazzo, posso chiamare una qualsiasi famiglia che vi abita e chiedere cortesemente il cognome ed il numero di telefono della signora Amalia. Domattina ci provo personalmente, chiamo la SIP di Roma e me la sbrigo io. Non credo proprio che la busta con le foto ed il filmato possa essere già arrivata”.

 

In parte rasserenato da questa idea che gli era venuta in mente e che, a suo parere, lo avrebbe tolto da ogni imbarazzo ove fosse riuscito a realizzarla, lasciò l’ufficio nella convinzione che solo le prove documentali avrebbero potuto incastrarlo. “Tutto il resto sono solo chiacchiere. Potrei addirittura recitare la parte del calunniato!”. Rientrato a casa, durante la notte cominciarono a sorgere i primi dubbi: “Se la signora Amalia non aderisse alla mia richiesta? E’ da una vita che fa la portinaia a via  Bertoloni ed è anche in ottimi rapporti con Isabella ed i signori Tuccimei. Potrebbe rifiutare anche una grossa cifra. Della fedeltà al suo ruolo e della correttezza verso tutti i condomini è capace di farne una bandiera. Poveraccia, ai giorni nostri crede ancora a questi tabù! Potrei provare con il marito. Mi sembra che faccia l’usciere al Ministero degli Interni. Con quello stipendio da fame che si ritrova potrebbe essere più malleabile. Chissà! E se fosse pure lui un tipo incorruttibile? Frequentando quell’ambiente potrebbe aver acquisito quella mentalità insulsa. Come faccio allora? Già! Eccola, la soluzione. Aggancio il figlio. Quello è  un giovanotto, mi sembra al primo anno di università. Non ha sicuramente un soldo in tasca. Gli faccio una proposta allettante ed il gioco è fatto. Senza prove, Isabella e i suoi sono a terra. Non gli rimane che pagare il conto che presenterà l’agenzia di investigazioni di Montevideo che, per quanto mi consta direttamente, non ci va leggera con la parcella”! Dovette aspettare il pomeriggio del giorno dopo per mettere in atto il suo piano. Fra Roma e Montevideo ci sono sette ore di differenza per effetto del diverso fuso orario. Dalla SIP di Roma ottenne vari numeri di telefono degli abbonati residenti in via Bertoloni, 36. Provò con il primo ma non ebbe risposta. Ritentò con un altro. Dopo molti squilli rispose una voce straniera femminile che parlava un italiano molto approssimativo, sarà sicuramente una colf di colore. Provò a parlarle in inglese e andò un po' meglio. Con fatica riuscì a farsi capire ma non ad avere il numero di telefono che gli serviva. Venne a conoscere tuttavia il cognome della signora Amelia. “Con questo riferimento posso provvedere da solo”, pensò ad alta voce. “In ufficio ho trovato anche un vecchio elenco telefonico di Roma portato qui forse da qualche mio predecessore. Se non hanno cambiato numero e se, soprattutto, il telefono è a nome della signora Amalia, ho risolto”. Consultando la guida telefonica rintracciò quel cognome ed il relativo numero. Se poi quel cognome fosse quello del marito o quello della portiera, a quel punto il particolare non lo interessava più. Pigiò i tasti del suo apparecchio e rimase in attesa. Gli rispose una voce d’uomo. Giulio chiese del figlio della signora Amalia. “Sono io, sono Giulio”. “Ah! anche tu ti chiami Giulio”, esclamò il nostro uomo. “Io sono Giulio Consalvi, il marito della signora Isabella Tuccimei”. “Ah, ora ho capito; mi dica, mi dica, dottore, in che cosa posso esserle utile?”, rispose il giovane. “Senti”, riprese Giulio, “ti chiamo da Montevideo per una faccenda delicatissima, ho pensato a te perchè sei un ragazzo in gamba, sei uno studente universitario e quindi hai una mente aperta. Sai, io sono un diplomatico e quindi mi capita di dover trattare questioni riservate. In questo caso ti sarei molto grato se con assoluta, dico assoluta, discrezione mi rispedissi una busta che dovrebbe arrivare in questi giorni lì da voi”.

 

“Ho capito, va bene, dottore”, rispose il figlio della portiera, “lo farò senz’altro”. “No, no, un momento”, riprese Giulio, “non si tratta di una semplice formalità, la cosa è importantissima, sono fatti che interessano questioni fondamentali per il Ministero. Ti ripeto: silenzio assoluto con tutti, a cominciare con i tuoi genitori e con i signori Tuccimei e tutti i condomini. Devi entrare in possesso della busta prima di tutti e senza che gli altri ne prendano visione. Se mi fai un buon lavoro ti farò un bel regalo. Ti va bene uno scooter ultimo modello?”. “Magari, dottore. Mi vado subito a sedere nella guardiola della portineria. Conti su di me”. “Allora,  caro giovanotto”, riprese Giulio da Montevideo, “presa la busta, la devi mettere in un’altra busta più grande ed inviarmela per via aerea, riservata alla mia persona: dottor Giulio Consalvi all’Ambasciata d’Italia a Montevideo - Uruguay. Hai preso nota di tutto? Fammi la cortesia, ripetimi nome e indirizzo, annotatelo chiaramente”. “Ecco, ecco, lo sto facendo, stia tranquillo dottore. Mi piazzo nella guardiola e appena viene il postino mi faccio consegnare tutto”. “Ti sta bene lo scooter”? “Certo, certo. Grazie. Stia tranquillo”. “Fammi sapere a cose fatte”, lo incalzava Giulio, “segnati il mio numero di telefono, anzi è meglio se ti chiamo io. Acqua in bocca con tutti, hai capito? Lo vuole il Ministero”. “D’accordo, d’accordo. Arrivederci”. “Se mi va bene questa, ho risolto”, bofonchiò  fra sé Giulio molto più sollevato. “Quanta fatica, quanta angoscia e quanti soldi per Francisca! La colpa è mia che mi sono fatto sorprendere come un allocco. Dovevo allontanarmi. Andare in Argentina, Brasile, oppure potevo anche restare qui a Montevideo ma trovare un modo per depistare chi mi sorvegliava. Avrei dovuto dare per scontato che la mogliettina non aveva inghiottito il rospo di Kampala. Ormai è acqua passata. Glielo voglio dire a Francisca quello che ho dovuto fare per.... salvare la sua reputazione.... Questa sera da un telefono pubblico la chiamo. Appena riceverò quella busta mi dovrò rifare!...”

 

Nei giorni successivi, come se si trattasse di due vasi comunicanti, l’ansia dell’attesa per il plico che non giungeva aveva cominciato a pervadere con la stessa intensità le due parti in causa. A Roma, a casa Tuccimei, Isabella fremeva dal desiderio di avere in mano le prove che avrebbero inequivocabilmente dimostrato la scellerata condotta di suo marito; a Montevideo, Giulio, una volta avuta in mano la fatidica busta, aveva voglia di vederne il contenuto insieme a Francisca per poi festeggiare a modo loro lo scampato pericolo, in barba a chi gli impediva di fare la bella vita.

 

Isabella provò a chiedere alla portiera se per caso fosse arrivata una busta per lei proveniente da Montevideo; aggiunse, mentendo, che suo marito gliene aveva preannunciato telefonicamente l’invio. In realtà i contatti telefonici con suo marito si erano rearefatti ed erano divenuti del tutto formali; ambedue conoscevano ormai, senza esserselo mai detto, l’effettiva situazione venutasi a determinare e quindi, al di là delle notizie che riguardavano la piccola Cecilia e le condizioni di salute della suocera, non c’era altro da dire.

 

Con il passare dei giorni la situazione si rovesciò. Giulio ricevette la busta che attendeva mentre a Roma, in via Bertoloni 36, questo plico non arrivava mai. Il figliolo della portiera aveva infatti seguito, puntualmente e con la massima discrezione, le istruzioni ricevute. Sorvegliando sistematicamente l’ingresso del palazzo, attendeva ogni giorno l’arrivo del portalettere e, prima che questi ne varcasse la soglia, si faceva consegnare tutta la corrispondenza in arrivo. In apparenza sembrava un gesto di cortesia verso il postino che lo conosceva da anni; in realtà il giovane Giulio si stava guadagnando uno scooter nuovo di zecca. Egli avrebbe poi giustificato il possesso della motoretta raccontando di aver trovato sotto il tappo di una bottiglia di coca-cola il contrassegno-premio. Dopo appena tre giorni di attesa, ecco spuntare  tra lettere, stampe e bollette varie la busta proveniente dall’Uruguay. La nascose sotto la giacca, distribuì l’altra corrispondenza nelle rispettive caselle e corse a rispedire al dottor Giulio Consalvi presso l’Ambasciata d’Italia a Montevideo i preziosissimi documenti che attendeva. Quando, dopo un paio di giorni, ricevette una sua telefonata, gli rispose che aveva fatto quanto richiesto all’insaputa di tutti. “Ora sono in attesa del premio”, precisò. “Stai tranquillo, appena riceverò la busta recati pure dal concessionario della Piaggio a Frascati e lì troverai lo scooter pronto per te”. “Lo potrei pure fare fesso”, rifletté ad alta voce Giulio a Montevideo, “ma se poi quello, indispettito andasse a riferire tutto?  Meglio pagare. Con quest’altro esborso dovrei aver finito”.

 

Isabella, invece, telefonò a Gonzales per avere spiegazioni. Il detective le confermò che lui le aveva spedito tutto come già comunicatole da Punta del Este. La informò che, come aveva previsto, la polizia gli aveva sequestrato le copie in suo possesso. “Io ero tranquillo di essere riuscito comunque nell’intento di farle avere il materiale”, aggiunse. “Il sequestro è avvenuto dopo la spedizione. E’ possibile che la polizia sia riuscita a bloccare quel pacchetto spedito per via aerea?. Nell’eventualità non ricevesse nulla, si faccia sentire di nuovo. Vedrò cosa posso fare per aiutarla. Ho sempre quelle altre copie in serbo”, pensò Gonzales, “le potrò recuperare e dietro una ulteriore ricompensa farò in modo di farle avere alla signora Isabella”. Convinto della buona fede del detective, lo stesso dottor Tuccimei si mise in moto per tentare di capire chi avesse potuto intercettare la busta. Sentita nuovamente la portiera, la signora Amalia confermò di non aver ricevuto nulla. “Se mi fosse arrivato qualcosa, l’avrei subito portata alla signora Isabella, so che l’aspettava; anche lei giorni fa me ne ha parlato”. L’ex ambasciatore si recò al competente ufficio postale del quartiere, si qualificò e fu ricevuto dal responsabile. L’accertamento fatto in sua presenza certificò che il plico raccomandato era stato consegnato dieci giorni prima, esattamente il dodici febbraio. Sul libretto del portalettere c’era la data e la firma illeggibile di chi l’aveva ricevuto. Il postino affermava di non ricordare nulla di strano. Il pacchetto era stato consegnato come tanti altri. Chi lo aveva preso in consegna aveva firmato come al solito. L’amministrazione postale aveva ben operato. Il mistero tuttavia permaneva. Isabella e suo padre non riuscivano a capire come tutto ciò fosse potuto accadere. “Sembra un lavoro dei Servizi Segreti“, commentava il dottor Tuccimei. “Non posso credere che mio genero, seppure  scaltro ed introdotto com’è in Uruguay, possa essere riuscito a far suggerire alla polizia italiana che era opportuno non far arrrivare quel plico ai legittimi proprietari”. Non avrebbe mai potuto immaginare, l’anziano ex diplomatico, che il materiale che sua figlia e lui stesso attendevano era arrivato a pochi metri dalla soglia della sua casa e proprio lì mani ignote lo avevano rispedito sul luogo del misfatto. Ne voleva parlare addirittura con un suo amico generale dei carabinieri, anche lui in pensione. Il timore di dover accennare a cose riservatissime e personali lo convinse poi a non farne nulla. Questo ulteriore interrogativo finì per convincere il padre di Isabella di trovarsi di fronte ad una persona capace di mettere in atto qualsiasi prepotenza al solo fine di raggiungere il suo obiettivo, calpestando  i sacrosanti diritti degli altri.

 

A prescindere dai sentimenti che lo legavano a sua figlia e dal sentirsi quindi parte in causa per tutelarla, la vicenda aveva assunto l’aspetto di una sfida fra una persona corretta e di sani principi ed un vero e proprio arrogante prevaricatore. Il dottor Tuccimei ne aveva fatto ormai una questione di principio ed aveva preso lui in mano in prima persona la faccenda, volendo definitivamente smascherare le malefatte di suo genero. Telefonò all’agenzia di informazioni di Montevideo presso la quale lavorava il Gonzales e chiese di lui. Gonzales, una volta capito che il suo interlocutore era il padre della signora Isabella, gli suggerì di interrompere la conversazione. Lo avrebbe chiamato lui da un telefono pubblico; non si fidava più, temeva che il telefono dell’Agenzia fosse sorvegliato. Poco dopo,  il telefono di casa Tuccimei squillò. “Sono Gonzales”, esordì . “Dopo quanto mi ha detto, le precauzioni non sono mai troppe”. “Lei mi disse di poterci aiutare”, gli ricordò il dottor Tuccimei. “E’ arrivato il momento. Il plico non è mai giunto ed invece risulta recapitato. Se lei ha ancora una copia del materiale deve farcelo avere in ogni modo. O ce lo porta lei con le sue mani qui a Roma o, al contrario, verrò io personalmente a prenderlo a Montevideo”. “Sarà meglio che venga lei, non a Montevideo, però, signor Tuccimei.”, replicò Gonzales. ”Venga  a Punta del Este. Là staremo più tranquilli. La stagione balneare sta finendo. Sarà meglio vederci lì. Precisamente in piazza San Paulo davanti al numero 35. Fra cinque giorni, giovedì prossimo, alle ore dieci di mattina, d’accordo?”

 

“D’accordo”, rispose il dottor Tuccimei. “Chi vuole vada, chi non vuole mandi”, commentò ad alta voce il padre di Isabella “Andrò io, figliola, a prendere il materiale. Il Gonzales mi sembra un brav’uomo; se è riuscito a conservare una copia di quello che cerchiamo ha dimostrato di essere anche previdente. Giovedì prossimo lo incontrerò a Punta del Este in piazza San Paulo. Forse è lì che conserva le pellicole. Staremo a vedere. Ora bisogna trovare un valido pretesto per la mamma. La mia assenza deve essere giustificata da una ragione plausibile”. “Papà, ti sono veramente riconoscente per questo tuo fattivo interessamento”, soggiunse Isabella. “Ai miei guai ora si aggiungono altre onerose complicazioni. Chi l’avrebbe mai pensato solo qualche anno fa”. “Non ti rattristare ulteriormente, Isabella. Meglio pagare un prezzo oggi e avere la certezza di sapere con chi si ha a che fare, che rimanere nell’equivoco. Nella vita può capitare di incontrare la persona sbagliata. Sia per te che per la tua creatura, prima si definisce questa brutta storia meglio è”.