Due vite parallele

 

L'ESSERE E L'APPARIRE

di Enrico Gilardoni

CAPITOLO VII

 

"Senti Benedetta, come sai, sta per definirsi il passaggio di proprietà dell'Agenzia. Se, come mi auguro, la Società Assicuratrice non porrà veti, io potrei diventare il nuovo titolare. Per raggiungere questo obiettivo occorre un capitale non indifferente. Ho provato a chiederlo alla banca ma ho capito che non sarà facile ottenerlo neanche in misura molto minore di quanto presumo mi serva. Cercherò anche altre strade, temo però di trovare analoghe risposte".

"Una volta che sarai diventato Agente intestatario di una tua attività ti dovrebbe essere meno difficile farti finanziare", rispose Benedetta. "Anch'io pensavo la stessa cosa. La realtà è parecchio diversa. Le banche non vogliono correre alcun rischio, vogliono garanzie immobiliari. Dicono che un'attività imprenditoriale, anche se ben avviata, non fa per loro". "Se è così, lascia stare. Anche così come stiamo ora non ci manca niente". "Che vuoi dire, Benedetta? Rinunciare per me equivarrebbe a fare l'impiegato dipendente per tutta la vita. Sempre che il nuovo venuto mi voglia conservare il posto!". "Conosciuto come sei, con i tanti clienti che ti sei fatto e con l'esperienza acquisita, hai una professione in mano" ribatté Benedetta, "saresti indispensabile per chiunque". "Non è proprio come dici tu" continuò Renato, "un nuovo imprenditore potrebbe valutare più opportuno per lui perdere alcuni clienti piuttosto che pagare uno stipendio non proprio esiguo come il mio. Rimarrei comunque ai margini dell'impresa, un comprimario esposto agli umori o alle effettive esigenze del titolare dell'Agenzia". "Concludi, Renato" rispose Benedetta, che, avendo altre vedute, cominciava a spazientirsi. "Vuoi forse invitarmi a chiedere a mio padre di venirti incontro? Ossia di offrire garanzie alla banche in tuo favore? Oppure....". "Assolutamente no", le troncò la parola Renato con voce alterata. L'atteggiamento assunto dalla giovane moglie e le precisazioni a lui indigeste espresse dalla stessa gli avevano fatto perdere il collaudato self-control.

"Non intendo chiedere aiuto a nessuno, né ai miei genitori, né tantomeno a tuo padre. Ti voglio solo mettere al corrente della mia situazione. Mi sembra giusto e doveroso. Se poi non ti garba partecipare o neanche conoscere il mio stato d'animo vuol dire che starò' zitto! Cercherò di cavarmela da solo come ho sempre fatto e senza il tuo conforto. Se la faccenda andrà in porto bene, se no, amen! L'argomento è chiuso."

Benedetta capì di aver varcato il limite e divenne più conciliante senza tuttavia intimamente rinnegare il suo punto di vista che divergeva nettamente da quello del suo compagno.

"Posso anche comprendere il tuo stato d'animo, non vedo però come potrei aiutarti escludendo un eventuale intervento di mio padre che tu non desideri. Non so inoltre se lui possa effettivamente darti una mano."

Renato non diede seguito a queste considerazioni obiettivamente indiscutibili. Il suo volto esprimeva l'ansia interiore che lo macerava progressivamente man mano che vedeva allontanarsi la probabilità di successo. In effetti la possibilità di acquistare l'Agenzia era vissuta dai coniugi Morelli con contrastanti stati d'animo e divergenti vedute. Da parte di Renato, la circostanza era considerata come un evento positivo nonostante potesse far correre dei rischi. Naturalmente doveva essere data per contata la sua totale dedizione all'impresa come pure dovevano essere affrontati con serenità d'animo i conseguenti sacrifici economici che per qualche anno avrebbero certamente condizionato la vita della coppia. Dall'altra, la faccenda era intimamente e fermamente osteggiata. Imbarcarsi in quella che Benedetta definiva "un'avventura piena di incognite" doveva essere a priori scartato. I sacrifici certi contro incerta riuscita dell'operazione, sconsigliavano decisamente di percorrere quella strada. Ovviamente i due partivano da diversi presupposti: l'uno riteneva di poter conquistare un bene concreto e produttivo, l'altra non prendeva in considerazione tale positivo traguardo mentre evidenziava i sacrifici da affrontare.

In un periodo di involuzione della loro unione stava ora sopraggiungendo quest'altra divergenza a cui ambedue attribuivano un valore fondamentale. Considerato poi che quando i rapporti non sono sereni basta poco per far riscaldare gli animi, le dispute che spesso degeneravano in veri e propri alterchi erano frequenti.

"Da quando ti sei messo in testa di lavorare in proprio sei diventato intrattabile", gli andava ripetendo Benedetta in più di un'occasione per fargli rimarcare la sua contrarietà al progetto. "Fin d'ora mi immagino cosa farai più in là, quando magari qualche affare ti sarà andato per traverso!". " Pur di demolire le mie legittime aspirazioni tendenti a perseguire un nostro comune e migliore tenore di vita saresti capace di colpevolizzarmi anche se ti portassi un mazzo di fiori", le rispondeva Renato. "E' una persecuzione la tua! Chissà quante mogli farebbero carte false per avere un marito imprenditore anziché un oscuro travet. Senza dimenticare che tutti gli oneri me li assumerò io. Tu potrai tranquillamente continuare nella tua attuale routine fra l'insegnamento e la cura della casa. Ti prometto che tutti i benefici che riuscirò ad ottenere li riserverò a te", le rispondeva Renato per riuscire a strapparle il consenso. Con il passar del tempo la divergenza permaneva immutata; ad ogni accenno all'operazione, nel frattempo congelata per cause indipendenti dalla loro volontà, riemergevano violenti i dissapori alimentati anche da una serie di altre incomprensioni reciproche che portavano Renato a riflettere sulla felice riuscita della loro unione matrimoniale ancora recente.

La sua mente raziocinante lo portava a riesaminare le sue azioni passate e quelle presenti, nonché le scelte fatte e quelle in progetto. Dal suo punto di vista non trovava niente da rimproverarsi; se confrontava poi il suo comportamento con quello di altri mariti di sua conoscenza traeva un'ulteriore convinzione di essere più che mai dalla parte della ragione. Giungere alle estreme conseguenze gli sarebbe dispiaciuto moltissimo sia per l'affetto che nutriva per Benedetta, sia perché considerava una eventuale separazione una amara sconfitta che fra l'altro avrebbe forse risolto un diverbio ma ne avrebbe fatti nascere molti altri. Egli si arrovellava il cervello non riuscendo a farsi una ragione per come Benedetta non volesse assolutamente prendere in considerazione le tante argomentazioni che lui le illustrava per sostenere le sue tesi. "E' possibile che il cervello di una donna di una certa cultura non voglia minimamente ragionare?", si andava ripetendo ad alta voce. "Io non sono un maschilista ma in questi frangenti è possibile che le donne non intendano valutare con obiettiva coerenza? Senza preconcetti devo arrendermi all'evidenza. Poi, e questo mi delude profondamente, lei dichiara che ognuno può andare per la sua strada annullando un patrimonio di affetti, di conquiste, di vita in comune fin d'ora portata avanti con impegno reciproco. Tutto ciò non la frena? Con freddo cinismo è disposta ad affrontare una separazione che, a mio parere, oltre al resto, è sempre una lacerazione traumatica!". "Sarò anch'io un cinico e prepotente! Sono però convinto di aver optato per una scelta responsabile e farò di tutto per non lasciarmi sfuggire questa opportunità".

Per circa un mese l'affare rimase sospeso in una fase di stallo. Nessuna delle varie parti in causa prendeva l'iniziativa e ciò permetteva a Renato di muoversi in varie direzioni per cercare di coagulare tutte le risorse, interne ed esterne, da utilizzare al momento opportuno in sede di trattativa finale.

Come era scontato, il sig. Marini ed i suoi familiari tornarono a farsi avanti per chiudere definitivamente la partita.

Altri due aspiranti compratori entrarono in lizza per conquistare la titolarietà dell'Agenzia. Dai primi contatti informali Renato capì che almeno uno dei due era un concorrente di comodo. Partecipava a questa specie di asta senza avere la ferma intenzione di comprare ma solo di far comprendere agli altri che il bene in vendita era molto appetibile e che quindi il prezzo richiesto era adeguato se non addirittura suscettibile di ulteriori incrementi. Il secondo, un ex Agente di un'altra Compagnia di assicurazioni, aveva intenzioni concrete e rappresentava pertanto un temibile concorrente. Alla resa dei conti, quando i giochi stavano per concludersi, l'intervento della Società di Assicurazioni Generali di Trieste fu determinante. Dovendo esprimere il suo gradimento sul nuovo titolare che la avrebbe rappresentata sulla piazza di Montecompatri, il funzionario presente alla trattativa fece spostare l'ago della bilancia dalla parte del piatto che conteneva l'offerta presentata da Renato. La stima che si era guadagnato negli anni in cui lui aveva di fatto gestito l'Agenzia e forse la scarsa considerazione che la Compagnia riponeva nei confronti dell'altro concorrente lo avevano sostanzialmente favorito. La partita si era chiusa con una sua indiscussa vittoria.

L'intima soddisfazione per essere riuscito a centrare l'obiettivo e la fiducia che era riuscito a conquistarsi nei confronti delle Banche che lo avevano finanziato era offuscata dal peso degli impegni sottoscritti ma sopratutto dalla mancata solidale partecipazione di Benedetta nella vicenda. "Dovrei essere ormai abituato a questo suo atteggiamento", rimuginava a voce alta ,"se devo addirittura barattare il tempo dedicato al lavoro con vari regalini di non poco conto, avrei dovuto essere ben consapevole di non vederla emotivamente coinvolta. Benedetta donna, di nome e di fatto, non si rende conto di come ora sono cambiate le cose per noi. Mi verrebbe voglia di farglielo pesare. So che non ne sarò capace. Questo è forse un mio limite. Ognuno di noi è fatto in un certo modo....". Renato avrebbe continuato a riflettere se, appena rientrato a casa, Benedetta non lo avesse informato di essere in attesa di un figlio. "Due eventi beneauguranti nello stesso giorno" esclamò Renato, "che coincidenza, proprio oggi sono diventato il nuovo titolare dell'Agenzia e tu contemporaneamente mi annunci che diverrò padre. Sembra un segno del destino. Un bambino da crescere e la Provvidenza che te ne fornisce i mezzi". "Beh, adesso non esagerare", rispose Benedetta, "siamo dei genitori responsabili; anche se tu non fossi diventato il titolare dell'Agenzia avremmo avuto comunque il necessario per allevare un bambino". "Vorrei vedere", la incalzò Renato, "sarei un fallito se non fossi neanche capace di dare da mangiare a un figlio!". "Allora è andata bene la trattativa", riprese Benedetta, "tu carichi sempre gli eventi di attese negative o perlomeno sfavorevoli". "Devo ringraziare la Banca, ossia l'amico Carlo Binetti, che ha caldeggiato la mia richiesta di finanziamento e poi forse ancora di più il dottor Ubaldi delle Assicurazioni Generali. E' lui che ha fatto prevalere la mia candidatura. Mi ha anche esentato dal versare la cauzione. "Se ne parlerà più avanti", così ha risposto alla mia preoccupata dichiarazione di disponibilità a sottoscrivere questo ulteriore oneroso adempimento". "Mi sembri più in ansia adesso che hai concluso l'affare che prima di ottenere quello che desideravi". "Sono stati d'animo diversi: prima temevo di non riuscire, ora che ho fatto il salto di qualità ne devo pagare il prezzo e che prezzo! Nudo alla meta, come si suol dire. Adesso c'è anche il figlio in arrivo che mi indurrà a moltiplicare gli sforzi...". "Vedi, tu drammatizzi tutto", lo interruppe Benedetta, "distenditi, rilassati, ci vuole sempre una vena di ottimismo nella vita....". "Ed anche un pò di autoironia", convenne Renato mentre i due giovani sposi discutevano sull'opportunità di adottare l'una o l'altra filosofia esistenziale dimenticandosi che è il carattere di ciascuno di noi che inconsapevolmente ci colloca tra gli ottimisti o i pessimisti.

Nel giro di circa un anno, da quando cioè Isabella Tuccimei era entrata nell'entourage delle amicizie femminili di Giulio, la figura delle altre giovani donne che egli frequentava più o meno assiduamente si era andata via via sbiadendo. Anche Amalia, fidanzata quasi ufficiale, aveva bruscamente perso la sua posizione di privilegio a favore della nuova venuta. La personalità di Isabella, il suo comportamento, la sua avvenenza e, non ultima, l'appartenenza ad un ceto sociale molto ambito da Giulio, lo indussero a rivedere il troppo disinvolto modo di comportarsi fino ad allora adottato nelle relazioni con l'altro sesso. Egli capì ben presto che se non avesse messo la testa a partito non sarebbe riuscito ad avere un rapporto duraturo con lei, preludio ad un eventuale successivo matrimonio.

Imponendosi alla sua inveterata voglia di evasioni, Giulio si sforzava di tenere un comportamento irreprensibile, teso a convincere Isabella ed i suoi circa la serietà dei sentimenti che lo legavano a questa ragazza, che, grazie alle sue doti ed alla sua posizione, si sarebbe potuto permettere il lusso di scegliere o di essere scelta con consapevole complicità. A queste premesse si era aggiunto il non indifferente titolo rappresentato dall'essere riuscito ad entrare nei ranghi del Corpo Diplomatico, qualificando ulteriormente la sua posizione di giovane rampante destinato a percorrere una brillante e sempre più affascinante carriera.

La destinazione all'Ambasciata di Kampala in Uganda e la conseguente lontananza furono determinanti per accelerare la data delle nozze, che furono celebrate con grande sfarzo a Roma nella chiesa di S. Roberto Bellarmino al quartiere Parioli e successivo pranzo di gala all'Hotel Excelsior. Per l'occasione le manie di grandezza di Giulio e dei suoi si erano saldate con lo stile consolidato della famiglia della sposa che, appartenendo al Corpo Diplomatico da due generazioni, aveva naturalmente acquisito la mentalità ed il modo di fare tipico di quel mondo spesso tanto diverso dal comune modo di essere. Il viaggio di nozze e la luna di miele confermarono con le loro piacevolezze la magia che ha sempre pervaso questo periodo della vita coniugale da tutti rimpianto per la sua brevità che, in effetti, ne esalta la fama, forse proprio grazie alla sua fugace durata.

Le operazioni di sistemazione logistica nella capitale dell'Uganda si dimostrarono più difficoltose di quanto preventivato e di conseguenza Isabella fu costretta a rimandare di alcuni mesi il suo arrivo in Africa. I frequentissimi contatti telefonici ed una brevissima permanenza a Roma di Giulio, legato agli impegni del suo incarico, non riuscirono a riempire le sue solitarie giornate. Un subdolo senso di smarrimento non disgiunto da una punta di gelosia iniziarono a tormentarla, pur non avendo alcun motivo evidente per dubitare di suo marito. Il tarlo del sospetto turbava la serenità della sposina; qualche velata allusione di alcune sue amiche che avevano conosciuto Giulio prima di lei l'aveva disturbata oltre misura; ciò era un segno evidente che nel suo intimo ella coltivava un inconscio timore di essere tradita. Finalmente venne il giorno della partenza ed il suo ricongiungimento con Giulio. L'accoglienza e le manifestazioni d'affetto che le riservò suo marito in terra d'Africa le fecero dimenticare i cattivi pensieri che l'avevano angustiata. La lontananza dall'Italia e l'inizio dell'effettiva vita matrimoniale accentuarono l'affiatamento con il suo sposo lasciandole pregustare le gioie che ogni coppia bene assortita si attende da una coinvolgente vita coniugale.

Il particolare clima presente negli ambienti diplomatici internazionali, la solidarietà che unisce uomini di diversa cultura e nazionalità, di norma lontani dalla loro terra d'origine, davano spazio al brillante carattere di Giulio per animare i meeting che spesso egli stesso organizzava con manifesta soddisfazione e partecipazione degli invitati. Isabella, di fronte ad un costume di vita e di relazioni ormai consolidate, trovò naturale adeguarsi, consapevole che il ruolo e la figura di una moglie di un diplomatico è molto importante e rappresentativo. Dopo alcuni mesi di spensierata tranquillità le avvisaglie di una prevista maternità la consigliarono di far ritorno a Roma presso la casa paterna. Per sottrarsi al clima equatoriale e per fruire dell'assistenza medico-specialistica che desiderava per sé e per il nascituro non aveva altra scelta. Giulio le assicurò la sua presenza a Roma in occasione del lieto evento e per alcuni giorni successivi alla nascita del loro figlio. Sulla base di queste intese Isabella si imbarcò sull'aereo diretto in patria per completare la sua gestazione e diventare mamma. Terminati i canonici nove mesi venne alla luce una bambina in buona salute, accolta con gioia dai genitori e dai rispettivi nonni. Giulio, tornato a Roma come promesso, rimase vicino ad Isabella ed alla neonata Cecilia per qualche tempo ancora. Poi, trascorsa la sua breve licenza, dovette fare ritorno a Kampala. Isabella preferì rimanere ancora a casa dei suoi per poter accudire al meglio la sua creatura e nel frattempo riacquistare la silhouette gravemente compromessa dalla pregressa gravidanza. Il protrarsi dell'assenza di Isabella che, sommando i mesi precedenti al parto a quelli successivi, durava da un semestre, aveva contribuito a far riemergere nello spirito di Giulio la mai sopita inclinazione a corteggiare l'altro sesso. Il protagonismo con cui egli teneva a distinguersi e le manie di grandezza che più o meno inconsapevolmente esibiva, non gli erano però alleate in questa specie di gioco a rimpiattino. Si sa come possono nascere facilmente queste vicende; molto più difficile è saperle gestire, specialmente in un ambiente ristretto dove si ricopre una posizione piuttosto in vista. Sulle prime comincia a circolare qualche battuta allusiva, poi pian piano le allusioni lasciano spazio a chiacchiere più insistenti fino a diventare una scontata realtà. I pochi che non ne sono a conoscenza e che nell'apprenderla manifestano la loro sorpresa, rischiano di far la figura degli sprovveduti.

In questo contesto Giulio faceva finta di ignorare le voci che circolavano sul suo conto cercando di minimizzare i pettegolezzi che lo coinvolgevano ed accusando i portatori di queste notizie di diffondere gratuite illazioni tendenti a screditare la sua immagine.

Come più immediato provvedimento per evitare conseguenze ben più rilevanti, cercò di convincere Isabella a rimandare il suo ritorno a Kampala. Nel timore che sua moglie recepisse l'effettivo scopo della sua richiesta, tradusse in un formale affettuoso consiglio il differimento del suo rientro nella loro casa al fine di tutelare nel modo migliore la salute sua e della piccola Cecilia. Isabella non sospettò secondi fini ed accettò di buon grado di procrastinare ancora per qualche settimana la sua permanenza a Roma.

Nella spiacevole posizione in cui Giulio si era cacciato una circostanza inaspettata e certamente a lui favorevole, lo aiutò a riacquistare una posizione meno chiacchierata.