Due vite parallele

 

L'ESSERE E L'APPARIRE

di Enrico Gilardoni

 

CAPITOLO XV

 

 

 

Un altro importante cliente di Renato era la Molin Molise, nota impresa molitoria con annesso pastificio di medie dimensioni, la cui sede ed i relativi impianti erano ubicati nei pressi di Campobasso. Alcuni anni prima il proprietario, trovandosi in transitorie difficoltà finanziarie, tramite un amico comune, lo aveva contattato per ottenere dei capitali liquidi che gli avrebbero permesso di superare il momento critico e, nel contempo, far crescere l’azienda per renderla più competitiva. La serietà del richiedente, la consistenza patrimoniale della ditta e la buona accoglienza che il mercato aveva riservato ai prodotti offerti indussero Renato a concedere un finanziamento molto consistente. Sistematicamente, con il trascorrere del tempo, il debitore aveva rimborsato puntualmente le rate del prestito che venivano a scadere, ridimensionando l’ammontare iniziale del credito concesso. In conseguenza della recessione in atto anche questo imprenditore accusò la contrazione delle vendite e si trovò nell’impossibilità di onorare le scadenze che stavano maturando. La correttezza dell’uomo, la volontà di salvaguardare il buon nome dell’azienda che aveva fatto crescere con tanta fatica e, non ultimo, il rapporto fiduciario che si era instaurato con Renato lo consigliarono a prevenire brutte figure e a prendere contatto con lui per metterlo al corrente delle sue difficoltà e trovare di comune accordo una via d’uscita alla difficile situazione che si era venuta a determinare.

 

Fino a quel momento Renato era riuscito a far fronte a questa marea montante di insolvenze grazie alle sue cospicue disponibilità e privandosi di alcuni titoli di credito ben quotati. Di fatto la sua Agenzia, acquisendo la proprietà dei beni dati a garanzia dei prestiti che i singoli debitori non riuscivano a rimborsare, non subiva delle perdite vere e proprie ma andava via via trasformando la configurazione del patrimonio aziendale. Le disponibilità liquide che contraddistinguono un’azienda finanziaria quale era quella di Renato si tramutavano in proprietà immobiliari che in quel periodo, per effetto della crisi economica, erano molto sottovalutate.

 

Al termine del colloquio con il titolare della Molin Molise, Renato comprese all’istante che l’inadempienza del suo cliente lo avrebbe messo in gravi difficoltà per due ragioni che, sommandosi fra di loro, causavano alla sua azienda un risultato doppiamente negativo. Il primo e più immediato dei due aspetti era ovviamente quello di non rientrare in possesso di una non indifferente somma di danaro contante. Il secondo, ancora più grave e contingente, era rappresentato dalla impossibilità di rimpiazzare il mancato introito approvvigionandosi di un importo analogo presso una banca, tenuto conto che i fidi concessi dagli Istituti di credito erano stati ridimensionati e comunque già da lui del tutti utilizzati. In pratica il debitore non avrebbe più rimborsato l’ammontare residuo del finanziamento ricevuto. Non si trattava di una somma modesta e fra l’altro si andava ad aggiungere ad un’altra serie di inadempienze analoghe, seppure singolarmente di importo di gran lunga inferiore, ma che, complessivamente, avrebbero messo in serie difficoltà qualsiasi imprenditore di dimensioni medio piccole quale era Renato. Il proprietario del pastificio molisano aveva illustrato senza mezzi termini e con grande rammarico l’essenza della situazione. Come tante altre imprese, anche la sua, pur disponendo di un buon patrimonio immobiliare costituito da impianti e macchinari efficienti, soffriva per mancanza di liquidità. Il mercato richiedeva meno prodotti, i clienti non pagavano puntualmente o affatto le sue forniture, gli impianti erano sottoutilizzati; si era instaurato un circolo perverso che lo aveva costretto a denunciare la sua impossibilità a far fronte agli impegni sottoscritti. Da persona corretta qual’era, intendeva trovare, d’accordo con Renato, una soluzione alle sue difficoltà. Manifestando un raro senso di comprensione per le ripercussioni che la sua inadempienza avrebbe potuto provocare all’azienda di Renato, egli gli propose di barattare l’importo del debito con una proprietà che, seppure in misura modesta, offriva un reddito certo, liquido ed esigibile, come amano dire gli uomini di legge. Il bene oggetto del baratto era costituito dalla sua quota-parte di un impianto per la produzione di energia elettrica costruito sul fiume Biferno alla fine degli anni venti. A quell’epoca, infatti, suo nonno e suo padre, con il contributo dello Stato e  sulla scia dell’indirizzo perseguito da regime fascista in quegli anni al potere, che intendeva potenziare la produzione e l’utilizzazione di questa nuova fonte di energia che in buona misura affrancava l’Italia dalle importazioni di carbone e di petrolio, decisero di richiedere al demanio la concessione per l’utilizzazione delle acque del fiume. Nonostante Renato fosse un imprenditore ormai navigato ed in possesso dell’esperienza necessaria per definire senza grosse perdite situazioni di questo genere, di fronte ad un’offerta di quel genere rimase interdetto. Chiese qualche giorno di tempo per riflettere e per documentarsi, aderendo comunque all’invito del suo cliente di visionare la piccola centrale elettrica ubicata in una zona montuosa ancora incontaminata e quindi, a prescindere dalla conclusione o meno della trattativa, il sopralluogo avrebbe costituito in ogni caso l’occasione per fare una piacevole gita turistica.

 

Più incuriosito che interessato, la domenica successiva Renato e sua moglie Benedetta  si recarono in automobile a Campobasso ed insieme ai signori De Rito, comproprietari dell’impianto idroelettrico, raggiunsero, percorrendo delle strade secondarie, quel tratto del Biferno in cui erano state costruite le opere necessarie per imbrigliare le acque del fiume. Strada facendo, prima di giungere a Campobasso, Benedetta non perse l’occasione per tornare a contestare a suo marito che le sue attuali pressanti preoccupazioni se le era andate a cercare.

 

“Se mi avessi dato ascolto tanti anni fa, avresti fatto meglio.  Ho insistito in tutti i modi per convincerti a ridimensionare le tue manie imprenditoriali. Adesso non riesci neanche più a dormire in quelle poche ore che dedichi al riposo. Mi domando e ti domando perché e per chi fai tutto ciò? Non abbiamo figli; disponiamo di tutto e di molto di più di quanto ci può servire. Pensiamo a star sereni e alla nostra salute! Chi te lo fa fare a correre come un forsennato col rischio di rimetterci tutto quello che hai accumulato?”. “Ma su, Benedetta, non cadere dalle nuvole ora”, rispondeva Renato, “le cose non stanno così. Torno a ripeterti che, grandi o piccoli, quando viene la crisi tutti sono in difficoltà; anzi, i piccoli soccombono per primi. Se sapessi quanti sono stati travolti! Io sono tuttora sul mercato, ho un patrimonio ed una reputazione da difendere. Quando ho cominciato ero ben consapevole che sarebbero potuti venire i tempi delle vacche magre. Passerà questo brutto momento! Ma poi, quando gli affari andavano bene, tu non sollevavi difficoltà.... oltre le solite, ben s’intende. Hai sempre gradito i vantaggi che con il passare degli anni sono riuscito a procurarti. Adesso che la recessione mi penalizza, mi salti addosso anche tu. Pensavo di trovare un minimo di solidarietà almeno da parte di mia moglie!”. “Ma no, ma no, non snaturare il senso del mio rammarico. Io”, continuò Benedetta, “sono preoccupata a vederti così ansioso; anche se non me lo dici apertamente basta guardarti in faccia per capire il tuo stato d’animo. Se ora stiamo andando in questo posto sperduto fra le montagne è perché  i tuoi affari ti costringono a fare questo viaggio che potrebbe essere anche una vacanza se non fosse stata originata da impellenti motivi di lavoro”.

 

“Beh”, concluse Renato, “recriminare oggi non serve a nulla; io, nel passar degli anni, ho agito sempre per il meglio. Non so se per mio merito o per circostanze favorevoli, sono cresciuto in fretta e da piccolissimo agente sconosciuto sono diventato quello che sono. Posso riconoscere di essere stato coinvolto troppo intensamente dagli ingranaggi della macchina che io stesso ho messo in moto ma da qui ad affermare che ho sbagliato ce ne corre! Come ho già detto altre volte, tu avresti preferito avere per marito un uomo senza iniziative e senza mordente, una specie di travet amorfo. Sai che noia vivere con un fossile dell’era quaternaria!”.

 

“Hai detto una sola cosa giusta”, ribatté Benedetta, “recriminare non serve. Nel limite del possibile, godiamoci la gita”.

 

Sia per l’impegno preso, sia per il sopraggiungere dei coniugi  De Rito, la ricorrente polemica che per l’ennesima volta era ricomparsa fra i coniugi Morelli ebbe termine e tutti e quattro iniziarono  a visitare il complesso delle opere che costituiscono un impianto per la produzione di energia idroelettrica. Gli impianti che stavano visitando erano costituiti da un largo sbarramento costruito in calcestruzzo che attraversava il fiume e che costringeva le acque del Biferno ad immettersi in un canale parallelo opportunamente predisposto per raccoglierlo ed aumentarne la velocità. Dopo circa 100/150 metri questa massa d’acqua precipitava nella sala macchine, costruita alcuni metri più in basso. Grazie alla sua forza di spinta, metteva in movimento le pale di una turbina alla quale erano agganciati i generatori di energia elettrica. In sommi capi Renato aveva preso visione di un complesso industriale che non conosceva e aveva appreso le più elementari cognizioni del suo funzionamento. La materia prima, per così dire, era costituita dall’acqua del fiume Biferno, il cui flusso non era purtroppo costante e spesso del tutto insufficiente a muovere le turbine. Non c’era neanche un invaso nel quale accumulare l’acqua sovrabbondante che affluiva nei momenti di piena, da utilizzare quando invece la portata del fiume era carente. Pertanto era impossibile ottenere una produzione costante di energia elettrica nel corso delle stagioni. Ciononostante, gli apparecchi che misuravano l’energia generata ed immessa nella rete di distribuzione dell’ENEL attestavano che nel giro di un anno l’ammontare dei kilowattora venduti era abbastanza consistente. Detratte le spese di manutenzione degli impianti, gli oneri fiscali e i diritti dovuti per la concessione dello sfruttamento delle acque, restava un margine di guadagno che giustificava l’impiego del capitale investito. In effetti non era un grande affare. Di fronte però al rischio di perdere tutti o parte dei capitali prestati al signor De Rito, Renato capì che era opportuno accettare l’offerta. Chiese qualche giorno di tempo per mettere meglio a fuoco la transazione da formalizzare e approfittò della circostanza per godersi una giornata all’aria aperta fra i monti che, in quel mese di maggio, era particolarmente invitante.

 

L’indomani mattina, in ufficio, sulla scorta dei dati raccolti e delle fatture che documentavano l’entità dell’energia venduta all’Enel, si convinse che, a prescindere da ogni altra considerazione, era opportuno concludere l’accordo prospettatogli. Per sua maggiore tranquillità, chiese ad un amico ingegnere che lavorava proprio all’Enel ulteriori ragguagli che confermavano la sua decisione; seppe inoltre che l’Enel era intenzionata a riconoscere in tempi brevi ai produttori di energia elettrica un maggior compenso per ogni kilowattora ceduto in considerazione della sempre crescente richiesta di energia. Quest’ultima notizia gli fece superare qualsiasi residua perplessità. Passando ad esaminare gli aspetti finanziari e a fare le debite valutazioni, pervenne alla conclusione che il suo credito verso il signor De Rito era, seppur di poco, inferiore al valore attribuito alla quota parte della centrale idroelettrica di cui sarebbe diventato proprietario. Infatti il signor De Rito era titolare solo del venticinque per cento dell’impianto mentre ad un suo cugino e ad un terzo, estraneo alla famiglia, appartenevano rispettivamente il cinquanta ed il restante venticinque per cento. Egli doveva quindi tendere a fare una permuta alla pari, offrendosi di accollarsi gli oneri notarili e fiscali conseguenti all’acquisizione pur di chiudere la partita. Nel successivo incontro con il signor De Rito, dopo una approfondita analisi della situazione ed esaminati tutti gli aspetti della vicenda, conclusero di comune accordo di concretizzare la transazione sulla base della proposta caldeggiata da Renato. La sera stessa, rientrando a casa, Renato informò Benedetta esclamando: “Chi avrebbe mai pensato di diventare un  produttore di energia elettrica!”. “Ho capito”, rispose sua moglie, “hai barattato il tuo credito con la proprietà di un pezzo di quell’impianto che abbiamo visto domenica scorsa. Non ti avranno dato una fregatura?”. “Spero di no”, le rispose Renato, “anche perché ho saputo per vie traverse che presto l’energia elettrica prodotta sarà pagata dallEnel ad un prezzo più alto”. “Si, ma chi seguirà e controllerà la gestione della centrale elettrica? Sei certo che la quantità di energia prodotta sia interamente venduta o invece una parte venga dirottata per altri scopi?”. “Mah, mi sembra che il cugino di De Rito sia una persona corretta. Con tutti quegli apparecchi di misura e quei marchingegni che abbiamo visto non credo che sia possibile sottrarre dell’energia, ma poi che ci fanno? Mica sono prosciutti o farina che possono essere sottratti dai magazzini e venduti all’insaputa dei legittimi proprietari. Piuttosto sui costi di manutenzione, difficilmente controllabili, potrebbe  scaturire qualche sorpresa! Speriamo bene. Non c’era alternativa comunque. Con questa operazione abbiamo raggiunto due obiettivi: De Rito ha trovato le disponibilità finanziarie che gli necessitavano ed io ho recuperato un credito diventato di dubbia esigibilità”. “Sarà come dici tu”, ribatté Benedetta, “resta il fatto che ti ritrovi proprietario di un pezzo di impianto industriale di cui non sai praticamene nulla. Sono certa anche che se un giorno tu volessi venderlo non riusciresti a spuntare un prezzo equivalente a quello che hai sostenuto oggi”. “Ma, Benedetta, te l’ho spiegato tante volte: negli affari è così. Quello che oggi sembra un investimento avventato tra qualche anno può trasformarsi in una preziosa fonte di reddito e in un cespite molto appetibile. La prima regola è frazionare i rischi e non trascurare le varie opportunità che si presentano a chi fa il  mio mestiere. Ceniamo, ora. Lasciamo fuori di casa le questioni  relative al tuo ed al mio lavoro. Dove vuoi andare in vacanza quest’anno? Come al solito al mare a S. Felice Circeo oppure in montagna, al fresco e in grande tranquillità? Se opti per la seconda ipotesi non scegliere località troppo lontane; io dovrò certamente affacciarmi in ufficio due o tre volte durante il mese di Agosto”. “Siamo alle solite”, concluse Benedetta, “anche fra mille anni, quando sarai nella tomba, chiederai al Padreterno di concederti il permesso di seguire il tuo lavoro!”.

 

Digerita la vicenda della centrale elettrica, Renato continuò ad adoperarsi per contenere gli effetti della recessione, che non tendeva a finire. Non passava giorno senza dover apprendere che altri operatori finanziari come lui o imprenditori di un certo nome denunciassero  il grave stato di difficoltà in cui si dibattevano. L’onda lunga della crisi non accennava a rientrare ed in queste condizioni tutti quanti erano alla ricerca anche delle più modeste disponibilità per far fronte ai propri impegni. Per non riaprire inutili polemiche, Renato non lo disse mai a sua moglie Benedetta, ma, in realtà, anche il modesto introito che gli perveniva puntualmente dalla vendita dell’energia elettrica, il cui prezzo era stato effettivamente aumentato dall’Enel, gli fece molto comodo in quei frangenti.