Due vite parallele
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L'ESSERE E L'APPARIRE
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di Enrico Gilardoni
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Capitolo XVII
“E’ proprio come temevo”,
rispose Isabella dominando l’intima indignazione che, nell’apprendere quelle
notizie, montava incontenibile nel suo animo di moglie nuovamente tradita. “Mi raccomando
di farmi avere tutte le prove documentali indispensabili per contestargli le
sue colpe”, aggiunse. Salutò il
detective e riattaccò il microfono. “Ho sposato un uomo meschino, questa è la
vera ed unica conclusione. Avrei dovuto
essere più saggia prima di unirmi a lui. In verità qualche indizio e qualche
velata allusione mi era giunta all’orecchio, ma io non gli ho dato il giusto peso ed ora mi trovo fatalmente
ingannata. Io qui ad assistere mia madre e lui a fare la bella vita in Sud America! Ma questa volta me la pagherà cara!
Non posso parlarne a mamma, che sta ancora
poco bene. Voglio confidarmi con papà, che già due anni fa aveva
tacitamente compreso la mia dolorosa situazione. Ora basta! Il fedifrago non
potrà sfuggire alle sue responsabilità! Ha rovinato la mia vita e quella della
piccola Cecilia, vada al diavolo lui e tutte le sgualdrine che ama frequentare!
Voglio le prove, tante prove, costi quel che costi”! Lo sdegno, il disgusto,
l’amarezza che cresceva e si moltiplicava nel suo animo man mano che concepiva
queste riflessioni la fecero scoppiare in un pianto dirotto. I suoi singhiozzi non sfuggirono a suo
padre, che si avvicinò preoccupato. “E’ successo qualcosa di grave, una brutta
notizia?”, le chiese. “No, no, poi parliamo papà; adesso si sta svegliando
mamma non è il caso”. “Io sono qua, se ti posso aiutare non hai che da
dirmelo”. “Grazie, grazie, dopo, dopo…” ed uscì sulla terrazza per asciugarsi
le lacrime che non accennavano ad arrestarsi.
Il dottor Tuccimei aveva capito immediatamente
di cosa si trattasse e fu veramente contrariato dalla notizia. Egli ben sapeva
che, aldilà della sfera dei sentimenti, in questi odiosi frangenti è molto
difficile far valere i propri
sacrosanti diritti e dimostrare in modo inconfutabile le colpe del
coniuge che viene meno ai suoi doveri. Come spesso accade anche in altre
circostanze, la parte lesa, oltre ad avere subìto l’offesa, non riesce ad
ottenere il giusto riconoscimento. Nella fattispecie era chiaro che un nucleo
familiare si stava sgretolando, determinando il consueto antipatico contenzioso
i cui aspetti più dolorosi sono molteplici. Nella tarda mattinata padre e
figlia trovarono il momento opportuno per confidarsi. Alla luce di quanto aveva
comunicato dall’Uruguay il detective Gonzales, il tradimento di Giulio era
incontestabile; l’investigatore aveva anche annunciato che l’indomani avrebbe
certamente rilevato altre prove documentali.Considerati i precedenti che ora
Isabella aveva dettagliatamente
raccontato a suo padre, non sembravano sussistere alternative diverse da
quelle legali. “Di fronte alle inequivocabili insinuazioni udite con le mie
orecchie a Kampala, a quanto ho personalmente accertato e alle mezze ammissioni
che lo stesso Giulio, messo alle strette, ha dovuto confessare, ho ingoiato
all’epoca con grande amarezza l’offesa subìta pur di salvaguardare l’unità familiare e per il bene di Cecilia. La
diffida posta quale ultimatum inderogabile e le relative promesse solenni sono
servite a poco. L’uomo è tornato a fare i suoi comodi”. Isabella aveva
ricominciato a piangere, forse più per dar sfogo al suo profondo risentimento
che per dover prendere atto del fallimento della sua unione matrimoniale. “Ti
comprendo, figliola”, la consolava suo padre, “l’aver già perdonato una volta
sta a testimoniare la tua grande forza d’animo ed il tuo sacrosanto diritto a
non transigere più. Peccare è umano, perseverare è diabolico! Giulio avrà quel
che si merita. Il guaio è che in questi frangenti non paga solo il colpevole, è
tutta la famiglia che ne subisce le conseguenze! Per ora non precipitiamo le
cose: attendiamo altri riscontri oggettivi e soprattutto lasciamo fuori da
questa brutta faccenda la mamma, che è
già malmessa per suo conto”. “Va bene, va bene, papà. Non c’è proprio altro da
fare”.
Fedele al suo impegno, determinato nel suo
lavoro e più che mai allettato dalla notevole ricompensa promessa, Gonzales non
intendeva mollare la preda. Chiese pertanto al portiere di svegliarlo all’alba
per essere pronto ad ogni evenienza. L’indomani mattina, fin dalle prime luci,
stazionò di fronte alla porta di ingresso dell’albergo, dopo essersi accertato
che i due colombi dormivano inconsapevoli nella loro stanza. L’attesa durò
parecchie ore. Quasi a metà mattinata i due giovani, in abbigliamento da spiaggia,
uscirono tenendosi per mano. Si fermarono anche qualche minuto sul marciapiedi
in attesa del taxi che li avrebbe condotti al mare. Gonzales non perse
l’occasione per fotografarli e per chiamare anch’egli un taxi per seguirli da
presso. La meta era uno stabilimento balneare di gran lusso. Fingendosi un
turista con a tracolla la cinepresa, il detective raggiunse la spiaggia ed
iniziò a filmarli in più riprese ed in atteggiamenti inequivocabili. Quando i due affittarono un pattìno per fare
un giro al largo, in un primo momento pensò di seguirli con un’altra
imbarcazione per fotografarli a distanza con il teleobiettivo. Temendo di
esporsi troppo, rinunciò, anche perché, riflettendo meglio, in mare non avrebbe
avuto facili vie di fuga se fosse stato scoperto. Attese il loro ritorno e,
sempre sicuro di non essere visto, ricominciò ad impressionare la pellicola
della sua cinepresa ritraendoli mentre si scambiavano effusioni amorose ed in
atteggiamenti quanto mai compromettenti. Per acquisire ulteriori fotogrammi,
con fare disinvolto si avvicinò forse un po’ troppo alla coppia teneramente
abbracciata; sta di fatto che, quasi si fosse accesa una spia nella mente di
Giulio, questi lasciò le braccia dell’avvenente compagna e si precipitò
minaccioso verso Gonzales per strappargli di mano la cinepresa e le immagini in
essa contenute. Il detective era pronto ad ogni reazione, consapevole di aver
osato troppo. Con uno scarto evitò la presa di Giulio, certamente più forte ed
aitante di lui, e quindi si diede alla fuga. Impedito com’era dalle due
macchine fotografiche a tracolla e dalla cinepresa, sarebbe stato sicuramente
raggiunto. La più giovane età di Giulio
e la lunghezza delle sue gambe non gli avrebbero dato scampo. Egli sapeva
bene che, una volta acciuffato, la maggiore prestanza fisica del suo avversario
lo avrebbe sopraffatto. Addio premio, addio lavoro, addio macchine ed ogni
altra soddisfazione professionale! La buona sorte gli venne incontro. Senza
volerlo, si era indirizzato correndo in una zona della spiaggia ricoperta da
ciottoli e pietrisco che via via si facevano più fitti. Per sua fortuna calzava
dei sandali di cuoio che in buona misura
proteggevano i suoi piedi dalle insidie dei sassi mentre Giulio era
scalzo e quindi dovette rallentare e poi desistere dall’inseguimento.
Nell’impossibilità di raggiungere il detective, realizzò nella sua mente di
poter entrare in possesso delle foto d’autorità. Forte del suo status di
diplomatico e sapendo di godere di compiacenti entrature presso il Ministero
dell’Interno e nei comandi di polizia, ritenne di battere questa strada per
ottenere d’imperio quelle maledette pellicole che lo inguaiavano. Non aveva
però fatto i conti con quella volpe di
Gonzales. Sfuggito all’inseguimento, si nascose in una toilette e, lì dentro,
prendendo fiato, congegnò il suo piano per depistare Giulio e sottrarsi alle
mosse che certamente avrebbe messo in atto per individuarlo e farsi consegnare
le prove del tradimento. Egli aveva bene in mente che la sera precedente Giulio
aveva mostrato al portiere dell’albergo un documento di identità con false
generalità e questo episodio gli aveva
fatto capire quali fossero le possibilità di Giulio di fare e disfare al di
fuori della legge. Per sfuggire alla caccia tentacolare che Giulio gli avrebbe
fatto dare dalla polizia, grazie ai suoi appoggi, al povero indifeso detective
non rimaneva che giocare di fino con somma accortezza senza badare a spese. Queste ultime poi, raggiunto
l’obiettivo, erano a carico della signora Isabella Tuccimei. Negli agguati che
si sarebbero certamente scatenati, come succede fra il gatto e il topo, non
avrebbe voluto fare la fine di quest’ultimo.
Forse, lasciando credere di aver perso la
partita, poteva riuscire a farla franca.
Dopo un buon quarto d’ora, con grande
circospezione, uscì dalla toilette e con fare disinvolto ma stando in massima
allerta guadagnò l’uscita dello stabilimento balneare. Percorse sempre con il
cuore in gola un centinaio di metri e poi finalmente vide transitare un taxi
che fermò al volo per allontanarsi più velocemente possibile dal luogo dello
scandalo. Pregò l’autista di portarlo ad uno studio fotografico bene
attrezzato. Presentatosi al titolare del laboratorio e mostrandosi disposto a
ricompensare lautamente quanto stava per chiedere, ottenne che su due piedi
fosse riprodotta la pellicola impressionata sulla spiaggia e fossero stampate due copie delle foto
riprese in albergo. Poi, salito su un altro taxi, raggiunse i pressi
dell’albergo “La Conchiglia”. Mettendo in atto quanto aveva ideato, sedutosi su
una panchina di un giardino situato dietro l’Hotel, scrisse un biglietto al
portiere dell’albergo. Lo pregava di trattenere presso di sé quel pacchettino
che gli inviava e di non consegnarlo a nessuno; doveva anche considerare libera
la stanza che aveva occupato la notte precedente e custodire la sua valigia con
i pochi effetti personali che conteneva. Univa pertanto al messaggio il danaro
per saldare il conto e per ricompensarlo generosamente del fastidio. Quanto a
lui, una missione imprevista ed urgentissima gli impediva di definire
personalmente questi impegni. Grazie alla cortesia di un amico era riuscito a
fargli avere il messaggio e a chiarire comunque la sua posizione. Appena
possibile, lui o chi per lui si sarebbero affacciati per ritirare la valigia e
quel pacchetto che era allegato alla lettera. Per fargliela recapitare,
adocchiò il garzone di un benzinaio e lo invitò a fargli quel sevizio. Per
avere la certezza del buon fine del recapito della lettera e del pacchetto,
diede al ragazzo una metà di una banconota di grosso taglio, impegnandosi a
dargli l’altra metà al suo ritorno. La prova della avvenuta consegna doveva
essere rappresentata da un “ricevuto, sta bene” scritto di pugno e firmato dal
portiere dell’albergo su carta intestata dell’hotel “La Conchiglia”. Di lì a
poco tornò il ragazzo per fornire
l’attestato richiesto ed ottenere così il compenso pattuito. “La prima parte
del piano l’ho eseguita ed ho teso anche la trappola, speriamo che funzioni.
Con grande prudenza devo ora far perdere le mie tracce e far avere a qualunque
costo alla signora Isabella il frutto del mio lavoro. Se mi riesce tutto bene
incasserò il premio e poi potrò riposarmi per almeno tre mesi”.
Sull’altro fronte, Giulio, fuori di sé dalla
rabbia per essere stato scoperto e conscio delle inevitabili conseguenze a cui
sarebbe andato incontro se non avesse bloccato quel maledetto fotoreporter, non
era rimasto con le mani in mano. Non riusciva a darsi pace per la beffa subìta,
stentava a padroneggiarsi nei rapporti con la sua amica e giustificava la sua
ira ostentando una grande preoccupazione per la salvaguardia del buon nome
della stessa Francisca.
In realtà temeva di aver compromesso il suo
legame con sua moglie, con tutto quello che ne seguiva. Isabella era stata di
parola. Gli aveva promesso di non transigere più e quindi lo aveva fatto
pedinare! Non era detta l’ultima parola, però. Se fosse riuscito, tramite le
sue amicizie influenti, a mettere le mani su quelle dannate pellicole, tutto si
sarebbe risolto con una grande paura da dimenticare in fretta. Raggiunto
l’albergo, chiamò il direttore al quale fece capire di godere di coperture
altolocate per ottenere la sua collaborazione. Questi gli comunicò il nome e
gli descrisse le sembianze dell’uomo che, presumibilmente, l’aveva scoperto.
Sulla scorta di questa sommaria illustrazione, Giulio ritenne di averlo
individuato fra gli ospiti dell’hotel che la sera prima aveva intravisto nella
hall. In possesso delle generalità dell’investigatore, chiamò i suoi amici
della polizia di Montevideo perché dessero istruzioni a tutti i comandi locali
per rintracciare il detective che lo aveva filmato. Nel primo pomeriggio, a
seguito del suo intervento in altoloco, sopraggiunsero due ispettori di
polizia, che chiesero di lui per avere maggiori ragguagli e per sviluppare le
opportune indagini. I due poliziotti vollero parlare con il portiere che aveva
avuto i contatti con la persona ormai identificata e che era certamente un
investigatore privato messo alle sue calcagna. Il portiere, di fronte ai tutori
della legge, non esitò a raccontare tutto quello che sapeva e, anche per
ingraziarsi l’autorità costituita, consegnò l’involucro fattogli pervenire da
Gonzales, dimenticandosi di aver promesso di non consegnarlo a nessuno. Gli
agenti lo sequestrarono e l’aprirono sotto gli occhi di Giulio. Accertatisi che
conteneva un rullino ed una pellicola per cinepresa, corsero in un
laboratorio fotografico per conoscerne il
contenuto. Tutto era ormai chiaro: chi pedinava Giulio lo aveva ritratto
più volte sia nell’albergo sia sulla spiaggia, sempre affettuosamente vicino a
Francisca. Ormai quel materiale compromettente era però nelle sue mani e quindi
non poteva più finire in quelle di Isabella che era di certo il mandante di
quella puntigliosa investigazione. Stando così le cose, ogni pericolo era
scongiurato e sembrava che la banale trappola escogitata da Gonzales avesse
funzionato come previsto.
Giulio ed i suoi non erano però così
sprovveduti. Essi sapevano bene che di quelle pellicole se ne potevano fare
molte copie. Chi poteva poi assicurare che non fossero state scattate altre foto e impressionate altre pellicole?
Il sorriso che in un primo momento era riapparso sulla bocca di Giulio si
tramutò in una smorfia di disappunto nel dover riconoscere che le ipotesi
prospettate erano del tutto verosimili. Nel frattempo il Comando di Polizia di
Montevideo, sulla scorta delle generalità del detective comunicate
telefonicamente, non ebbe difficoltà a confermare che il Gonzales era un
investigatore molto conosciuto sulla piazza di Montevideo. Da tempo lavorava
per un’importante Agenzia di informazioni e in più occasioni aveva collaborato
con la polizia mantenendo tuttavia la sua indipendenza. Sarebbe stato facile
rintracciarlo, più difficile impedire che fornisse il materiale in sue mani al
legittimo destinatario.