Due vite parallele

 

L'ESSERE E L'APPARIRE

di Enrico Gilardoni

 

 

 

CAPITOLO V

 

Nel giro di qualche settimana Renato cominciò a gustare le prime soddisfazioni. Dapprima, si trattava di lusinghieri apprezzamenti che il suo amico Giuseppe Marini, titolare dell'Agenzia, gli manifestava apertamente; subito dopo, questi riconoscimenti si tradussero in provvigioni, ossia compensi in danaro rapportati all'entità dei contratti che egli riusciva a stipulare e che gli venivano liquidate in aggiunta allo stipendio. L'ambiente in cui si stava introducendo gli mostrava e lo faceva partecipe di una realtà che non conosceva bene: il mondo degli affari. Di norma la fauna che lo frequenta ha precisi intendimenti. Il lucro, il vantaggio economico, l'affermazione nei confronti di un concorrente fanno premio su qualsiasi altro obiettivo. I principi morali sono di solito fatti salvi solo formalmente. I più disparati appigli costituiti da clausole suppletive, deroghe, opzioni, supportano ragioni più o meno eque che tendono a far prevalere il proprio interesse. Non è neanche esclusa la vera e propria trappola, fatale per gli inesperti, in cui ci si può imbattere strada facendo. E' noto che in tutte le attività è presente il rischio d'impresa: nelle aziende di credito quest'alea è ancora più accentuata, il successo o il fallimento di un agente può dipendere spesso dall'intuito e dall'abilità con cui egli riesce a dribblare questi pericoli, autentici agguati alla sua sopravvivenza.

Renato si sentiva coinvolto e particolarmente motivato. Nonostante agisse in nome e per conto del datore di lavoro, il suo entusiasmo ed il suo spirito di iniziativa lo spingevano a fare sempre meglio e sempre di più, senza trascurare poi che i suoi introiti aumentavano in proporzione. Di mese in mese, quasi senza accorgersene, si allontanava progressivamente dal mondo accademico. La sua iniziale intenzione di conciliare i due impegni si affievoliva di pari passo. Al di là dei suoi propositi, era in effetti il tempo che gli veniva a mancare: l'orario d'ufficio era diventato un riferimento puramente convenzionale; di fatto Renato non si tirava indietro di fronte alla possibilità di concludere affari o dar vita ad opportune azioni promozionali, di sera, nei giorni festivi o addirittura dopo cena. La conseguente sempre maggiore disponibilità di danaro lo appagava e lo induceva a valutare come il titolo accademico in sé stesso non fosse poi né indispensabile né determinante per affermarsi. Certo, dover rinunciare a quel dottore da scrivere o stampare prima del suo nome gli lasciava l'amaro in bocca. Considerando poi che, vuoi o non vuoi, egli aveva superato tredici o quattordici esami, non se lo ricordava bene neanche più e aveva dedicato complessivamente circa tre anni e passa all'Università per raggiungere quell'obiettivo, l'abbandono lo rattristava in maggior misura.

Quasi fosse un punto d'incontro prestabilito, Renato si imbatté in Giulio presso il solito distributore di benzina, che questa volta anch'egli aveva raggiunto per rifornire la sua macchina. Accostarono al marciapiede e scesi dalle loro auto si misero a parlare come se il precedente colloquio fosse avvenuto appena quindici giorni prima. "Come te la passi, Renato?" cominciò Giulio, sentendosi depositario per diritto acquisito di una indiscussa superiorità. "Cerco di cavarmela, Giulio. Ti trovo in piena forma, segno che sia i rapporti con il gentil sesso che gli studi accademici ti vanno bene". "Beh non mi posso lamentare anche se.... Tu, piuttosto, hai una macchina migliore della mia, vuol dire che ti sei piazzato bene; come vai con gli studi?". "Sotto questo profilo ho chiuso. Dopo il militare ho trovato un lavoro che mi assorbe completamente e mi dà qualche soddisfazione. E' grazie a questo che mi sono potuto comperare la macchina, pagandola a rate ovviamente. Del resto senza non potrei fare tutto quello che faccio. Lavoro alla Agenzia delle Assicurazioni di Montecompatri. Tu, invece, presumo che ti starai per laureare". "No, non ancora. L'anno prossimo spero di farcela" rispose Giulio, che era rimasto impressionato dalla padronanza che aveva acquistato il suo amico. Di conseguenza sentiva sfuggirgli di mano la sua presunta leadership nei suoi confronti. Di converso aver appreso che Renato aveva rinunciato all'Università gli aveva fatto comprendere che lo status simbol insito nel titolo accademico che lui invece avrebbe conseguito lo avrebbe posto definitivamente in una posizione di prestigio rispetto all'amico. "Sei sempre deciso a diventare Ambasciatore?" lo incalzò Renato. "Se riuscirò a diventare Ambasciatore non lo so" rispose Giulio, "la carriera diplomatica voglio comunque intraprenderla": "E con il militare come sei messo?" continuò Renato, ormai svincolato da tale obbligo. "Usufruisco sempre del rinvio, poi vedrò come fare. Certo che è una bella seccatura. Quindici mesi buttati. Chi vuole intraprendere la carriera diplomatica e che quindi resta al servizio dello Stato per sempre dovrebbe esserne esentato" concluse secondo la sua forma mentis che lo poneva sempre tra i privilegiati.

"Ma non mi dici niente delle tue donne" continuò Renato, all'oscuro di quanto era successo ormai circa due anni prima. "Lo sai, Renato, avevi ragione tu. Due donne insieme non è facile gestirle. Ho avuto un brutto incidente di percorso con una. Fortunatamente mi sembra che ora si sia chiuso definitivamente, ma ho temuto effettive spiacevoli conseguenze per un pezzo. La passione, la gelosia, il particolare stato d'animo di quella ragazza... beh, te lo confesso, fortuna che è passata.... mi poteva rovinare il rapporto con l'altra che invece mi serve, anche se adesso... mah vedremo...". "Da quello che posso intuire" lo interruppe Renato "tu continui a considerare le tue partners in modo strumentale. Sono creature simili a noi, non sono concorrenti, come succede adesso a me nei miei affari, insomma, a mio parere, andrebbero trattate con riguardo e sopratutto con rispetto" concluse Renato. "Si, hai ragione, però nel mio caso, nell'ambiente che frequento.... la visione delle cose non è proprio del tutto simile a quella che comunemente si intende.... E' difficile spiegarlo e farsi comprendere da chi è al di fuori". "Mah," sintetizzò Renato "sarà pure come dici tu, però non mi sembra corretto".

"Del resto" continuò Giulio "come ti stavo accennando, anche il rapporto con Amalia si sta logorando. Un paio di mesi fa ho conosciuto Isabella, che, come dice il nome, è effettivamente una bella ragazza e poi è la figlia dell'ambasciatore Tuccimei; t'ho detto tutto". "Ma guarda che modo di ragionare" esclamò Renato "si tratta di ragazze oppure di affari da portare avanti o da evitare a seconda delle prospettive? Il tuo mondo sarà senza dubbio formato e frequentato dall'élite della società, ma non mi sembra che almeno sotto questo aspetto sia un modello da imitare. O sei tu che esageri per giustificare il tuo comportamento da Dongiovanni?". Giulio sorrise allusivo, lasciando intendere che in realtà l'amico aveva capito l'effettivo stato dei fatti; in fondo in fondo, però, non era del tutto da escludere anche l'altra rappresentazione, seppure ridimensionata e corretta.

Si lasciarono salutandosi calorosamente e rinviando il prossimo incontro ad una successiva occasione che sarebbe potuta capitare in tempi brevi od invece anche a distanza di oltre un anno come era successo in quella circostanza.

Rimontato in macchina, Giulio si era definitivamente convinto che il suo ex compagno di scuola aveva preso il volo. La determinazione che traspariva dai suoi ragionamenti non lasciava dubbi: salvo imprevisti, Renato si sarebbe affermato nel suo lavoro. Se lui non fosse riuscito a sua volta a sfondare, ossia a perseguire gli obiettivi del suo ambizioso programma, la sua ostentata e più che altro presunta supremazia sull'amico sarebbe miseramente naufragata.

Queste riflessioni avrebbero potuto concretizzarsi fra due alternative: la prima e più immediata era rappresentata da un eventuale prossimo successo negli affari di Renato a cui si doveva contrapporre un suo contestuale ingresso nella carriera diplomatica., la seconda, a lui meno favorevole, si poteva configurare sempre con un'affermazione di Renato ed un più modesto traguardo per lui. In quest'ultimo caso il suo stile di vita avrebbe dovuto essere per forza di cose ridimensionato. Al solo pensarci rabbrividiva; un istintivo viscerale rifiuto psicologico lo spingeva a porre in essere ogni iniziativa per soddisfare la sua ambizione irrefrenabile. Alla luce di questi scenari, nonostante le inoppugnabili constatazioni di Renato, la "ragion di stato" si imponeva su ogni altro principio etico.

Renato aveva ben altre idee in testa. I suoi spontanei commenti alle confidenze dell'amico non lo avevano certo distratto. I suoi rapporti con l'altro sesso per ora non lo interessavano più di tanto, specialmente sotto l'aspetto sentimentale; contrariamente all'amico, soltanto dopo essersi costruito una posizione egli avrebbe preso in considerazione questa eventualità. Erano trascorsi poco più di tre anni e mezzo da quando aveva iniziato a lavorare presso l'Agenzia di Assicurazioni quando un brutto malanno si abbatté sul signor Giuseppe Marini titolare dell'ufficio. Dapprima sembrava che potesse riprendersi, seppure non completamente. Purtroppo il trascorrere dei mesi non confermò questa speranza. L'ictus che lo aveva colpito gli aveva in buona parte ridotto l'uso della mano e della gamba destra. In queste condizioni fisiche e per effetto del conseguente contraccolpo interiore, egli non se la sentiva più di continuare a gestire una attività che invece imponeva dinamismo e prontezza nel valutare le varie opportunità che si prospettavano giornalmente. Per naturale conseguenza, Renato era stato di fatto promosso gestore e responsabile dell'Agenzia. Naturalmente tale situazione non poteva protrarsi nel tempo. Le opzioni che si prospettavano investivano direttamene la posizione di Renato che, a seconda di come si sarebbero concluse, avrebbe potuto essere esaltata o ridimensionata senza escludere addirittura la risoluzione del rapporto di lavoro nella eventualità a lui più sfavorevole.

In sostanza la vicenda si articolava in tre possibili e diverse prospettive:

  • la prima si sarebbe potuta concretizzare nel lasciare a Renato, ancorché giovanissimo, la responsabilità di gestire l'Agenzia previo pagamento di un canone all'effettivo titolare, che avrebbe continuato ad essere nominalmente l'Agente della Compagnia di Assicurazioni;
  • la seconda prevedeva l'opportunità di chiamare una persona più esperta e navigata di Renato a svolgere il ruolo di gestore;
  • la terza e più radicale, si sarebbe realizzata con la vendita a terzi del mandato di Agente. Questa soluzione non escludeva l'eventualità che l'acquirente volesse gestire direttamente o con persone di sua fiducia l'Agenzia, dando il benservito a Renato.

Lo stato d'animo del giovane fluttuava in modo direttamente proporzionale alla possibilità che una delle tre alternative si potesse realizzare. Alla fine, dopo alcuni mesi di tentennamenti, nell'autunno del 1962, a conclusione di un decisivo incontro al quale aveva partecipato anche il papà di Renato, il sig. Marini si convinse a lasciare al giovane la totale responsabilità del lavoro. L'accordo prevedeva ovviamene la corresponsione di un canone trimestrale piuttosto considerevole quale compenso dovuto all'intestatario dell'Agenzia.

Renato si sentì ovviamente gratificato dalla fiducia che era riuscito a conquistarsi; nello stesso tempo egli sapeva bene che per far fronte agli impegni che aveva sottoscritto non doveva perdere un colpo e pregare anche il buon Dio che la sorte gli fosse benigna. Nella ferma decisione di farcela ad ogni costo gli tornò in mente la massima scritta su una terracotta appesa nell'ufficio del sig. Giuseppe Marini: "Chi è poco prudente perde soldi, chi è troppo prudente perde affari".

Passati i primi giorni in cui si sentiva oppresso dalla preoccupazione di aver fatto il passo più lungo della gamba, Renato riacquistò una certa serenità dedicandosi interamente al lavoro. Del resto proprio dal volume degli affari conclusi avrebbe potuto scaturire la tranquillità interiore. Se il margine di profitto si fosse incrementato tutte le altre innumerevoli difficoltà sarebbero state ridimensionate anche perché, di solito, queste si possono facilmente superare mettendo mano al portafoglio.

Di tutta la vicenda che lo aveva visto protagonista, l'aspetto che più stentava ad assimilare era costituito dalla difficoltà che provava nell'immedesimarsi nel ruolo di effettivo attore ed unico responsabile dell'azienda che, quasi senza rendersene conto, aveva nelle sue mani ad appena 28 anni; in più di un'occasione avvertiva la mancanza del precedente titolare che, grazie alla sue esperienza e alle sue collaudate capacità professionali, costituiva un sicuro punto di riferimento a cui far capo per dirimere questioni dubbie o di non facile interpretazione. Allo stato, Renato, in queste particolari circostanze, non sapeva come affrontare la situazione. Cercava riscontri o informazioni presso le Banche o in qualche altra sede qualificata

Ma non sempre riusciva ad ottenere le notizie che desiderava, di norma relative alla solvibilità dei suoi potenziali clienti. Misurare il rischio stava diventando la sua quotidiana attività professionale.

Come in tante altre analoghe situazioni, solo il tempo e l'assuefazione al clima in cui ci si viene a trovare diventa lo spontaneo antidoto che l'organismo produce per vincere lo stress del primo impatto.

Parallelamente agli avvenimenti che avevano direttamene coinvolto Renato, anche Giulio stava capitalizzando le sue fatiche universitarie. Egli aveva conseguito la laurea in Scienze politiche con un'ottima votazione pur non raggiungendo il massimo punteggio. Aveva anche inoltrato domanda al Ministero degli Esteri per partecipare al prossimo concorso bandito dal medesimo Ministero, passaggio obbligato per entrare nella carriera diplomatica. In questa attesa non perdeva tempo: seguiva dei particolari corsi preparatori e perfezionava la conoscenza delle due lingue estere che già parlava con sufficiente scioltezza. Oltre all'inglese ed al francese, stava imparando lo spagnolo, nella consapevolezza che, sapendo parlare queste tre lingue oltre la propria, avrebbe potuto farsi comprendere facilmente in quasi tutte le parti del mondo. Se si fosse concretizzata la sua aspirazione, era scontata la sua prima destinazione in una sede disagiata di un Paese lontano del cosiddetto terzo mondo. Con questo pretesto e grazie alle abbondanti disponibilità economiche familiari, Giulio piuttosto spesso si metteva in viaggio pregustando così uno degli aspetti più gradevoli e caratteristici della vita dei diplomatici.

L'altro campo che coltivava con impegno era quello sentimentale. Già da qualche tempo Amalia non era più la sua ragazza. Adesso Isabella Tuccimei vantava ogni diritto di esclusiva che, almeno in apparenza, sembrava ricambiato dal giovanotto. Due motivi fondamentali impedivano questa volta a Giulio di comportarsi secondo il suo stile sfarfalleggiante. Il primo era costituito dal carattere della giovane donna: Isabella, cresciuta ed educata secondo i canoni più tradizionali, escludeva ogni possibile evasione per sé e per il suo partner. Questo rigore morale era poi abbinato alla sua personalità, che ovviamente non era sfuggita a Giulio. Il secondo motivo, forse più vincolante, discendeva dal suo nome, che nell'ambiente diplomatico significava appartenere ad una famiglia che aveva dato alla Diplomazia per più di una generazione uomini di grande prestigio.

Con questi presupposti Giulio era stato costretto a mantenere la testa a posto. Un eventuale doppio gioco non poteva essere neppure preso in considerazione. La scoperta di un tradimento non si sarebbe risolta con una scenataccia e qualche graffio come gli era già accaduto.

L'offesa alla donna ed al nome che portava non sarebbe rimasta impunita; l'ingresso nella casta dei diplomatici avrebbe certamente trovato ostacoli pressoché insormontabili, mentre quello stesso nome costituiva una preziosissima referenza, remando nella giusta direzione.