Due vite parallele

 

L'ESSERE E L'APPARIRE

di Enrico Gilardoni

 

CAPITOLO XIII

 

 

La brillante soluzione data da Renato ai gravi problemi finanziari di Mauro stava a testimoniare la progressiva crescita della sua azienda e della sua immagine. Renato si era guadagnato in quegli anni la fama di imprenditore capace, alieno  alla ribalta ma quanto mai serio e determinato nelle sue iniziative. Non altrettanto bene era proseguita la carriera di Giulio. L’ambiente in cui lui si trovava ad operare, infatti, è particolarmente sensibile nel percepire anche i più lievi passi falsi compiuti da chi vi lavora. Non sfuggono a tale prassi neppure i più giovani agli inizi della carriera, in quanto ciascuno, al proprio livello, ambisce ad emergere, non di  rado a spese del collega. Giulio, che già per la sua indole voleva primeggiare in ogni occasione, accettò la sfida,  tentando di mettere in atto ogni artifizio per orientarla  a suo favore; tuttavia, le sue recenti imprese amatorie non lo avevano di certo aiutato in questo senso. Egli aveva cercato in ogni modo di mettere a tacere quelli che lui chiamava “i pettegolezzi di bassa lega”, chiacchiere messe in giro, a suo dire, solo per screditare il suo ruolo di brillante diplomatico emergente. Proprio per questi motivi doveva essere ben chiaro che la sua richiesta di trasferimento era motivata esclusivamente dal clima equatoriale incompatibile con la salute di sua moglie e della sua figlioletta e non doveva avere alcuna connessione con le deprecabili insinuazioni divulgate. Giulio non sapeva se il suo trasferimento in Honduras a Tegucigalpa trovasse  origine dalla sua documentata richiesta o avesse altre motivazioni meno innocenti oppure fosse la somma dell’una e dell’altra ragione. Sta di fatto che il Ministero lo aveva, sì, accontentato ma lo aveva anche destinato ad una sede diplomatica meno importante di quella in cui lui aveva iniziato la carriera vera e propria. Nella cartella del personale tutto è fedelmente documentato tranne, ovviamente, le intese verbali che i vari responsabili del Ministero raggiungono e poi formalizzano con atti ufficiali che nascondono gli effettivi retroscena. Ben consapevole di tale situazione, Giulio cercava  di conoscere con ogni mezzo, sondando in tutte le direzioni, come stessero effettivamente le cose per poi muoversi  nei modi che egli riteneva più opportuni per tutelare la sua posizione. Se avesse trovato riscontri che avvaloravano la prima eventualità, egli intendeva far giungere alle orecchie giuste  il suo rammarico per dover pagare un prezzo dovuto esclusivamente al fatto che il clima equatoriale danneggiava il fisico di sua moglie e sua figlia; nella seconda ipotesi, doveva invece convincere chi di dovere che erano esclusivamente calunnie le voci diffuse a Kampala sul suo conto. In questo contesto non facile da chiarire egli si vedeva sopravanzato da alcuni suoi colleghi e questa constatazione lo disturbava oltre misura. Più che l’avanzamento nei livelli gerarchici, l’amarezza che lo indispettiva maggiormente era costituita  dal venire a sapere che quel tale o talaltro collega, assunto insieme a lui, aveva acquistato una certa notorietà nell'ambiente  per aver risolto pendenze che si trascinavano insolute da tempo. Queste attestazioni di stima non producevano contestuali avanzamenti ma erano peraltro forse ancora più importanti perché diventavano una specie di cassa di risonanza la cui eco al momento propizio avrebbe senza dubbio favorito il legittimo titolare.

 

Ma come, proprio a lui, superbo esemplare di diplomatico rampante, doveva essere dichiarato l’ostracismo? L’essere, a torto o ragione, estromesso dal proscenio era un affronto che non dovevano fargli! I suoi progetti di bruciare le tappe di una folgorante carriera  non potevano miseramente  naufragare per colpa di una addetta all’ambasciata egiziana, disponibile e piacente quanto si vuole ma che non doveva assolutamente essere d’intralcio ai suoi non sottaciuti traguardi! Erano questi i pensieri che permanevano nella sua mente e ai quali non sapeva dare risposta. Come fare per rompere l’isolamento?  Suo padre, anche se non appartenente al corpo diplomatico, avrebbe forse potuto avere qualche notizia preziosa. Purtroppo aveva lasciato ormai da tempo il suo impiego al Ministero per raggiunti limiti d’età. Da parte del suocero, bene introdotto in quell’ambiente, avrebbe potuto avere qualche indiscrezione ma come fare a sollecitare degli interessamenti dopo quello che Isabella aveva lasciato intendere quasi esplicitamente circa la sua condotta troppo disinvolta? Non vedeva via d’uscita ma non si dava per vinto. Il suo stato d’animo travagliato da queste amare considerazioni si rifletteva sul suo spirito  e sul suo comportamento di solito incline al buon umore. Abbandonata ogni velleità nei confronti dell’altro sesso, anche ad Isabella non era sfuggita la trasformazione del suo atteggiamento. Con una metodica ma discreta politica di fiancheggiamento sua moglie riuscì a fargli esternare le sue insoddisfazioni. Per cercare di rassicurarlo, ella gli ripeteva di non drammatizzare la situazione. Conoscendo l’uomo, Isabella, nella sua mente, si ripeteva: “Mi piacerebbe sapere se i suoi malumori sono originati da effettive prevaricazioni effettuate ai suoi danni o se invece la sua smodata voglia di primeggiare lo induce a sentirsi oggetto di soprusi del tutto infondati. Chissà come stanno effettivamente le cose? Tramite papà potrei forse saperne di più, sempreché la ben nota riservatezza del Ministero non frapponga ostacoli pure ad un ex diplomatico di alto rango”.

 

Detto fatto: durante il successivo contatto telefonico con i suoi familiari accennò queste sue riflessioni a suo padre, pregandolo di procurarsi eventuali informazioni al riguardo.

 

Nel giro di meno di un mese Isabella venne a sapere, grazie all’intervento di suo padre, che Giulio non era stato affatto penalizzato. In occasione di trasferimenti a domanda, infatti, non è facile trovare scoperte ed assegnare nuove sedi di pari livello di quelle lasciate. Di norma, fra le due alternative, prevale quella che favorisce il richiedente sotto il profilo ambientale sulla base dell’istanza avanzata, a scapito di quello  gerarchico. L’ex ambasciatore Tuccimei comunicò alla figlia anche un’altra buona notizia: tra breve ci sarebbe stato un vasto ricambio in molte sedi diplomatiche e, in una specie di reazione a catena, anche i livelli meno elevati della gerarchia avrebbero potuto esservi interessati; non era escluso, pertanto, che anche Giulio avrebbe potuto essere preso in considerazione per un trasferimento non disgiunto da un avanzamento. La sera stessa Isabella informò suo marito. Quasi per incanto il suo stato d’animo si trasformò tanto da indurlo ad ipotizzare quale nuova destinazione gli sarebbe potuta essere assegnata in funzione del più altro livello gerarchico che, a suo parere, gli sarebbe stato certamente attribuito. “Voglio fare dei sondaggi anch’io”, disse Giulio ad Isabella ,“sia per dimostrare nell’ambiente che ho notizie di prima mano, sia per cercare di venire a conoscere quando i preannunciati movimenti saranno effettivamente resi esecutivi”. L’essenza del suo pensiero rifletteva in pieno il ribaltamento del suo stato d’animo. Giulio aveva iniziato a fare il conto alla rovescia. Né sua  moglie né lui si trovavano male a Tegucigalpa ma l’ambizione di poter salire nella scala gerarchica gli aveva istantaneamente fatto perdere di vista ogni altro aspetto connesso al trasferimento, che, per i diplomatici, può anche tradursi in spostamenti da un emisfero all’altro. I suoi ripetuti tentativi rivolti in ogni direzione per saperne di più lo avevano reso attento a percepire anche il più recondito indizio relativo a qualunque movimento che lo potesse coinvolgere.

 

Le settimane ed i mesi passavano però ininterrottamente senza che nulla di nuovo accadesse. Dalle comunicazioni ufficiali che arrivavano nel suo ufficio egli aveva modo di prendere visione che ad altri suoi colleghi venivano anche contemporaneamente assegnate mansioni superiori. Il suo umore stava nuovamente volgendo al peggio perché non gli giungeva nessuna buona nuova e, a maggior ragione, perché constatava con disappunto che altri suoi colleghi lo avevano sopravanzato nella carriera. Proprio nei giorni in cui era ancora più depresso ecco però giungergli all’orecchio tenui segnali che qualcosa stava maturando. L’indiscrezione trovava fondamento dall’aver appreso che il suo nome era iscritto in un più vasto movimento di diplomatici. Era chiaro che l’attuazione di tale provvedimento lo avrebbe portato lontano dall’Honduras e gli avrebbe fatto avere l’agognata promozione. Nel volgere di pochi giorni la notizia si diffuse. Il giorno successivo, infatti, l’ambasciatore lo informò ufficialmente, in attesa di consegnargli la formale lettera di trasferimento con la quale si disponeva che dal prossimo primo settembre la sua nuova sede di lavoro sarebbe stata l’ambasciata di Montevideo in Uruguay. L’assegnazione ad una rappresentanza diplomatica più autorevole prevedeva naturalmente anche il passaggio ad un livello gerarchico superiore. Giulio accolse la notizia come una liberazione. In Honduras sia lui che sua moglie si erano ben ambientati; di fronte ad un avanzamento di carriera, però, ogni altra considerazione cadeva miseramente vittima dell’ambizione che gli faceva già intravedere la possibilità  di ulteriori passi in avanti. Egli dava per scontato che essere destinato ad un’ambasciata importante come quella di Montevideo, capitale di uno Stato  con il quale l’Italia aveva sempre intrattenuto ottimi rapporti diplomatici, rappresentasse un implicito riconoscimento di capacità e di stima.

 

Riacquistata la serenità, Giulio si sentiva già psicologicamente inserito nella nuova realtà. Fra preparativi, progetti e formalità d’uso, arrivò in un batter d’occhio il giorno del trasferimento a Montevideo. In questa circostanza, memore dei precedenti avvenimenti, Isabella non lo lasciò solo; preferì sobbarcarsi i disagi del trasloco piuttosto che lasciare briglia sciolta al suo uomo. La più immediata novità incontrata nella nuova sede fu quella climatica. Avendo infatti cambiato emisfero, Giulio ed i suoi si trovarono a dover affrontare la stagione opposta a quella che avevano  abbandonato a Tegucigalpa. Avevano lasciato l’Honduras alla fine dell’estate ed ora si trovavano a vivere a Montevideo una imminente primavera anziché l’autunno e la circostanza non gli dispiacque affatto.

 

I coniugi Consalvi avevano trovato altre piacevoli novità derivanti dall’essere tornati a stabilirsi in una grande città che per molti aspetti li riconduceva al loro consueto modo di vivere, analogo a quello che erano abituati a condurre quando abitavano a Roma. Giulio si sentiva particolarmente gratificato dalla promozione riconosciutagli dal Ministero. Nel profondo dell’animo egli aveva sempre temuto che la sua chiacchierata vicenda di Kampala fosse stata evidenziata nel suo curriculum e che lo avesse potuto penalizzare negli sviluppi di carriera. Lo scampato pericolo costituiva quindi per lui un intimo  premio molto più importante del riconoscimento ufficiale che giustificava agli occhi di tutti la sua ritrovata euforia. La concomitanza di vari eventi favorevoli fece tornare a germogliare nell’animo di Giulio l’innata sicumera. Alla stregua di un giovane sbarbatello che, salvatosi fortunosamente da un pericolo, dimentica l’ansia che lo aveva precedentemente angosciato, allo stesso modo Giulio ricominciò ad assumere il ben noto stile di vita che prediligeva.

 

Inseritosi senza difficoltà nel nuovo ambiente, divenne l’animatore dei coktails, delle cene, dei salotti, nei quali non perdeva occasione per atteggiarsi a primo attore per imporsi all’attenzione di tutti. In quel periodo, inoltre, non aveva problemi finanziari. A seguito delle sue insistenze suo padre aveva venduto alcune proprietà del nonno ed aveva in buona parte distribuito ai suoi due figli, Giulio e sua sorella, i proventi di queste alienazioni.

 

Isabella non rimaneva però una spettatrice passiva di fronte a questa rinnovata e ritrovata voglia di protagonismo di suo marito. Stava con gli occhi aperti ben sapendo che il brillante stile di vita prediletto dal suo uomo poteva indurre sia lui che qualche disinvolta creatura dell’altro sesso a superare il confine che delimita il lecito dall’illecito. In più occasioni, nel loro privato, le differenti interpretazioni del modo di vivere e di atteggiarsi davano origine a vivaci scambi di battute. “La vuoi smettere, Giulio, di comportarti come uno scapolo impenitente?”, lo rimproverava Isabella, “Da tempo sei marito e padre con i conseguenti obblighi e responsabilità. Inoltre, ed è quello che poi mi dà più fastidio, non ti rendi conto che il tuo gigioneggiare mi offende profondamente. Ti pare consono al tuo ruolo di giovane diplomatico con ambizioni di carriera? Quando poi ti esibisci in questi tuoi frivoli spettacoli in mia presenza la mia indignazione raggiunge il colmo e se i miei freni inibitori non me lo impedissero ti ridicolizzerei in pubblico”.

 

“Ma cosa dici mai, Isabella?”, replicava Giulio, “io non voglio offendere nessuno né tantomeno te. Sono disinvolto, per indole e per inclinazione; in questo periodo, poi, posso permettermi anche qualche lusso e ne approfitto. Per un  diplomatico in carriera questi sono punti a suo vantaggio, esattamente il contrario di quello che pensi tu. Se qualcuno o qualcuna intravede nel mio modo di fare qualche secondo fine peggio per loro”. “Non fare finta di niente”, ribatté Isabella , “non voglio ritornare a parlare di fatti e circostanze ancora recenti che mi hanno tanto amareggiato e che hanno fatto traballare il nostro matrimonio. Ti ricordo soltanto che anche a Kampala ti comportavi allo stesso modo. La realtà, checché tu sostenga, ha dimostrato ben altre cose!”. “Me l’aspettavo! Finché avrò vita mi trascinerò appresso questa storia”, le rispose Giulio applicando la sua tattica preferita tendente a volgere a suo favore le circostanze che invece lo penalizzavano. “Strumentalizzando questi precedenti infondati, tu vuoi impormi uno stile comportamentale del tutto amorfo ed impersonale che mi farebbe sentire come una mummia imbalsamata!".

 

“Giulio, non stravolgere la realtà, anche a me piacciono gli uomini brillanti. Essere una persona piena di spirito, avere il senso dell’umorismo nei giusti limiti, non ha niente a che vedere con l’esibizionismo ed il protagonismo alla tua maniera. Comunque io ti ho avvisato: aldilà dell’imbarazzo in cui mi fai trovare resta il fatto che non intendo tornare ad essere offesa come è già successo, punto e basta”. Giulio comprese che non gli sarebbe convenuto replicare e sviò lo scambio di battute introducendo altri argomenti nel dialogo che sia era fatto animato. In conclusione il barometro tornava ad orientarsi verso la burrasca, con venti che avrebbero potuto rinforzarsi e travolgere quella serenità familiare tanto faticosamente raggiunta. Fuor di metafora, Isabella si andava sempre più convincendo che suo marito era indissolubilmente legato alla irrefrenabile necessità di apparire. Quanto di negativo potesse discendere da questo suo  insopprimibile impulso non lo turbava affatto. Di fronte all’evidenza Isabella si sentiva impotente. Non volendo giungere alle estreme conseguenze si impegnava con ogni mezzo a sorvegliare discretamente suo marito per impedirgli almeno di fargli prendere iniziative troppo appariscenti. Ormai certa di aver sposato l’uomo sbagliato, era comunque decisa a non subire altri affronti. Sotto questo aspetto era giustamente intransigente. Il compromesso raggiunto dopo la squallida vicenda di Kampala le bruciava ancora. Se fosse venuta a conoscenza di qualcosa di analogo non avrebbe più mortificato la sua dignità ed il suo orgoglio per salvare un’unione con una persona che non la meritava. Le deprimenti conclusioni a cui era giunta amareggiavano il suo animo ed intristivano un rapporto che avrebbe potuto essere del tutto sereno ed appagato. Quasi fosse una coincidenza astrale, quando le cose andavano bene a Renato, i tempi erano grigi per Giulio, allo stesso modo, ora che Giulio era sulla cresta dell’onda, gli affari davano non poche preoccupazioni a Renato. L’alternarsi dei cicli economici contraddistinti da periodi di espansione e di recessione da molto tempo si erano incagliati nella fase negativa. Come una malattia a carattere endemico che attacca da principio i fisici più gracili e poi, nell’espandersi, contagia anche chi è in buona salute, allo stesso modo, col perdurare  della crisi economica, dopo aver travolto le aziende meno robuste, aveva via via investito anche quelle più solide. In questo frangente Renato era sulla difensiva, sia perché condizionato dalla recessione, sia perché la sua azienda era da molti anni in progressiva espansione ed è noto che, come per gli esseri viventi, durante la crescita si è più vulnerabili.  Rinunciando a una larga fetta dei guadagni a cui si era abituato negli anni del boom, Renato aveva abilmente tamponato le falle che si erano in più occasioni aperte nel bilancio della sua azienda. Grazie a questo sacrificio era riuscito a continuare a galleggiare fra i marosi. Successivamente l’inadempienza di clienti più importanti,  a loro volta resi insolventi a causa della contrazione dei loro affari, lo stava mettendo in difficoltà. I numerosi fallimenti di imprese e Società da tutti considerate affidabili e la contestuale politica degli Istituti di credito, che avevano drasticamente ristretto i fidi concessi anche alla clientela più solvibile, lo costrinsero a vendere alcune partecipazioni di sua proprietà particolarmente appetibili per poter disporre del danaro liquido indispensabile a gestire i suoi affari. Per la stessa ragione, in breve tempo, anche lui si sarebbe trovato suo malgrado nella condizione di dover acquisire i beni offerti a garanzia dei suoi crediti divenuti inesigibili. Vendere questi cespiti in quel momento per realizzare liquidità era del tutto inopportuno, considerato che l’offerta superava di gran lunga la domanda e per la più elementare delle leggi economiche, per non aggiungere  al danno la beffa, occorreva resistere.