Due vite parallele

 

L'ESSERE E L'APPARIRE

di Enrico Gilardoni

CAPITOLO XI

 

Il risveglio della figlioletta pose fine al confronto che di fatto si era già sostanzialmente concluso. Da quel momento era chiaro che il primo capitolo della loro vita coniugale si era esaurito. L'unione, anche se malconcia, era comunque sopravvissuta e stava per iniziare una seconda fase, peraltro impostata su presupposti meno idilliaci.

Anche per Renato si stava per aprire una nuova stagione nel suo ruolo di imprenditore. Il progetto da tempo accarezzato era prossimo ad una possibile realizzazione. Il titolare dell'Agenzia di Frascati delle Assicurazioni Generali intendeva ritirarsi dall'attività. Come tanti anni prima nella medesima circostanza, molti appetiti si risvegliarono con l'intento di accaparrarsi questa azienda che, se ben gestita, era fonte certa di utili consistenti. Rispetto alla precedente analoga vicenda sussistevano però alcune differenze: Renato gestiva da tempo e con successo la stessa attività nel nome della medesima Compagnia di Assicurazioni nel vicino paese di Montecompatri.

Le dimensioni ed il relativo volume d'affari del bene messo in vendita erano più che direttamente proporzionali alla differente importanza delle due piazze.Gli aspiranti compratori erano pertanto affermati operatori economici disposti ad impegnare non indifferenti risorse finanziarie pur di appropriarsi dell'Agenzia.

In conclusione l'ampiezza del passo da compiere era forse più lunga della gamba di Renato. Fuor di metafora, servivano tanti soldi! A questa necessità essenziale Renato doveva aggiungerne un'altra di certo non meno difficile da superare: la scontata avversità di sua moglie. Benedetta, gli era ben noto, coltivava una singolare concezione del mondo degli affari e del lavoro in genere. Se per progredire nella carriera o in una attività imprenditoriale occorreva pagare un certo prezzo, non solo in termini finanziari, ella preferiva rinunciare. Nel contempo non disdegnava di gustare i frutti della miglior posizione raggiunta, che però, a suo parere, non avrebbe dovuto comportare il sacrificio affrontato. In una parola, minimo sforzo massimo rendimento, se non addirittura la quadratura del cerchio! Salvo casi veramente eccezionali, le sue concezioni cozzavano nettamente con la realtà. A nulla erano valse le infinite discussioni con Renato, che aveva cercato di confutare le sue tesi. L'approssimarsi della potenziale conclusione della trattativa lo indusse a mettere al corrente sue moglie.

"Mi si prospetta l'occasione di acquisire l'Agenzia di Frascati", esordì Renato, "il signor Conti, ormai anziano, vuole ritirarsi. Io l'ho interpellato per sapere se fosse disposto a cedermela. Lui ci conosce, lo sai, e non avrebbe nulla in contrario, ha anche aggiunto, però, che più che spendere una buona parola in mio favore non può, essendo in ultima analisi la Compagnia di Assicurazioni a decidere chi dovrà subentrare al suo posto". Benedetta non lo lasciò continuare: "Ho capito tutto, vuoi ricominciare da capo in un contesto molto più grande ed impegnativo. La tua febbre di crescita non ti ha ancora abbandonato. Ciò vuol dire nuovi ingenti investimenti, maggiori rischi, ulteriori difficoltà, infinite preoccupazioni che, vuoi o non vuoi, si ripercuotono su di me. Se vuoi conoscere il mio parere, te lo dico subito: lascia stare. Coltivati l'Agenzia di Montecompatri. Stiamo bene così. Come al solito, tu hai già deciso e mi informi solo per non sentirti dire che mi hai tenuto all'oscuro delle tue intenzioni". "No, no", le rispose Renato, "il mio progetto si basa su studi e constatazioni oggettive, riscontri effettivi che hanno ribaltato le mie idee originali. L'esperienza acquisita con la gestione poliennale dell'Agenzia di Montecompatri mi ha costretto ad ammettere che avevo torto. Per fare quel salto di qualità a cui vorrei approdare occorre raggiungere un volume d'affari che neanche fra venti anni potrei conseguire a Montecompatri. Pensavo poi che qui a Frascati tu potresti venire a lavorare con me nel mio ufficio; considerate le dimensioni c'è sicuramente posto per un'altra impiegata". "Questo proprio no", lo interruppe Benedetta, "con te come capo, in mezzo a quei moduli, quei numeri aridi, il telefono che disturba, non ci pensare nemmeno. Preferisco i miei allievi, è molto più coinvolgente e partecipato l'insegnamento. Vuoi mettere, poi, l'orario, le vacanze, la pensione ecc. ecc. Per il resto, te lo ripeto, ormai sono rassegnata; se tu hai deciso non ti ferma nessuno. Perlomeno evita di correre grossi rischi. Non vorrei che per star meglio....". "Per ora ti ho dimostrato il contrario", interloquì Renato. "Questo almeno devi riconoscermelo. Se mi guardo indietro mi sembra di sognare, spero che la buona sorte non mi abbandoni proprio ora che sono vicino al traguardo. Ma poi non è detto, non è escluso che qualche altro la spunti". Si lasciarono con queste parole che in sostanza ribadirono le loro differenti vedute.

Nei giorni seguenti la trattativa giunse alle fasi conclusive. Fra le quattro offerte che avevano superato la selezione preliminare quella di Renato era ben piazzata, tuttavia, sotto il mero aspetto economico, altri due concorrenti avevano indicato un importo un pò superiore a quello sottoscritto da Renato, che pur di concludere l'acquisto aveva dovuto mettere da parte tutte le remore ed i timori che lo avevano angustiato qualche tempo prima. Negli affari una certa spregiudicatezza è d'obbligo. Chi non possiede questa attitudine è "out", dovette convenire con se stesso. Alla stretta finale la vicenda si concluse come la volta precedente: Renato fu ritenuto dalla Compagnia di Assicurazioni più affidabile degli altri concorrenti. Per non penalizzare il signor Conti, Agente uscente, che per tanti anni aveva correttamente rappresentato la Compagnia, Renato fu invitato ad adeguare la sua offerta a quella più alta. L'ulteriore sacrificio finanziario non lo infastidì più di tanto. La grande soddisfazione provata nel vedersi riconoscere le sue capacità e gli indubbi risultati ottenuti in una piazza modesta come quella di Montecompatri lo avevano intensamente gratificato. Benedetta, nell'apprendere la notizia, se ne felicitò, aggiungendo però un amaro commento: "Se fossi tanto bravo come marito quanto lo sei nel tuo lavoro, potrei considerarmi una moglie veramente fortunata". "Non si può avere tutto dalla vita", le rispose Renato abbracciandola.

Ora aveva davanti a sé una realtà molto diversa dalla precedente. Le giornate erano diventate improvvisamente più corte e fin dai primi approcci dovette prendere atto che non avrebbe potuto continuare a gestire due Agenzie contemporaneamente. Vendere l'Agenzia di Montecompatri avrebbe potuto costituire una valida soluzione anche perché con il ricavato avrebbe potuto ridurre drasticamente il suo indebitamento presso le banche che lo avevano finanziato per metterlo in condizione di affrontare l'affare da poco concluso. Gli dispiaceva, però, alienare un bene che lui aveva valorizzato e che ora gli produceva un buon reddito, anche una componente sentimentale lo spingeva in quella direzione. Per uscire dall'impasse propose ad un giovane impiegato che già da tempo lavorava presso l'Agenzia di Frascati e che a suo parere aveva i numeri per affrontare quell'impegno, di assumersi la responsabilità della gestione dell'Agenzia di Montecompatri. Questo suo fresco collaboratore avrebbe dovuto svolgere le medesime funzioni che lui stesso aveva esercitato agli inizi della sua attività lavorativa e che lo avevano introdotto nelle segrete cose delle assicurazioni e della finanza. Per responsabilizzare e motivare convenientemente il suo apprezzato aiutante fece lievitare considerevolmente il suo stipendio, promettendogli ulteriori incentivi ragguagliati ai risultati che avrebbe raggiunto. I rapporti con i collaboratori, lo sapeva per esperienza diretta, sono fondamentali per migliorare la gestione di qualsiasi azienda. Quando poi bisogna trattare con una clientela spesso diffidente, se non prevenuta nei confronti delle Compagnie di Assicurazioni, l'attitudine, la disponibilità, l'efficienza del personale possono far migliorare o far decadere l'immagine di un'azienda. Al di là di questa ed altre ben più gravi preoccupazioni, Renato si sentiva realizzato. Appena trentasettenne era titolare di una fiorente attività che stava crescendo anno dopo anno di pari passo allo sviluppo del Paese. Egli si sentiva ora inserito in quella informale classifica che elenca in ordine di importanza i Vip della città. Era ovviamente nelle ultime posizioni, ma aver avuto accesso in questo club degli eletti lo ripagava di tutte le fatiche sostenute. Ciò che tra tutto lo inorgogliva di più era l'intima constatazione che la sua invidiabile posizione egli l'aveva conquistata con le sue sole forze; né i genitori, né interferenze di terzi, tantomeno politiche o di personaggi influenti, lo avevano favorito nella sua ascesa. Passata l'euforia, da quel realista che era, Renato continuava a ripetersi che l'imprevisto è sempre dietro l'angolo: doveva pertanto tenere i piedi per terra e non esaltarsi.

Fra una soddisfazione ed una preoccupazione i giorni trascorrevano veloci ed una mattina del mese di novembre Renato ricevette una telefonata da Giulio. "Caro Renato, eccomi qua", esordì. "Ti chiamo dal Ministero, sono in missione a Roma ed ho le ore contate. Ho pregato un collega che abita a Frascati di recapitarti una busta nella quale c'è un mio assegno di tre milioni. Ti dispiace se il resto della somma ed i relativi interessi te li verserò a Natale quando verrò in vacanza? Ti prego di scusarmi, con più calma ti spiegherò; comunque stai tranquillo. Tra poco più di un mese sistemerò tutto e ti verrò a trovare". Renato non aveva avuto la possibilità di interromperlo. Realizzò che avere recuperato più della metà della somma era già qualcosa e di rimando gli disse: "D'accordo, Giulio; non ti preoccupare, sono certo che a Natale definirai tutto e mi farà piacere incontrarti. Adesso ho l'ufficio a Frascati e quindi sarà più facile vederci". Giulio, che aveva giocato la carta del "fatto compiuto" e temeva una reazione negativa da parte dell'amico, si rilassò e da quel momento, accantonata la fretta, si dilungò in chiacchiere e complimenti, avendo appreso dalla viva voce di Renato dei suoi brillanti successi negli affari.

Finito il colloquio, Renato tornò a riflettere sul comportamento di Giulio. In fin dei conti il meschino artificio messo in atto dall'amico non lo sorprendeva più di tanto. Era evidente che Giulio voleva evitare di sentirsi dire di non aver rispettato l'impegno. L'aspetto che invece non riusciva a spiegarsi erano le ragioni che avevano determinato le evidenti difficoltà finanziarie in cui si era venuto a trovare. Rientrato a casa ne parlò con Benedetta per sapere cosa ne pensasse. "Che Giulio, con la sua puzza sotto il naso, fosse un furbastro, abituato a farla franca con la sua arrogante disinvoltura, ne ero più che convinta; mi sorprende che si trovi in ristrettezze economiche", gli rispose sua moglie. "Delle due l'una: o vuole vivere come un nababbo o deve essere sorta qualche incomprensione con la famiglia che, per quello che mi risulta, naviga nell'abbondanza". Il dubbio, più che legittimo, non preoccupò più di tanto i due coniugi, che tornarono a parlare d'altro.

Inserito nel suo ambiente, Giulio era invece molto angustiato.

Superata la profonda crisi nei rapporti con Isabella, al momento erano le precarie condizioni finanziarie che lo tormentavano. La banca gli aveva chiuso il rubinetto del credito, non poteva utilizzare l'importo delle retribuzioni sistematicamente incamerate dalla stessa banca in virtù dell'accordo sottoscritto nei mesi scorsi, i suoi genitori gli avevano fatto comprendere senza perifrasi che non lo avrebbero continuato a finanziare "sine die". Le sue richieste di danaro si erano fatte sempre più esose ed insostenibili anche per dei benestanti come loro. La sorella più giovane se ne era lamentata apertamente. Non potendo disporre di quanto gli era indispensabile per esibire la sua megalomania in ogni pubblica circostanza, Giulio mimetizzò le sue difficoltà motivandole con un non meglio definito momento di depressione psicofisica. Facendo alcune previsioni egli contava di poter tornare ad avere a sua disposizione una buona quantità di danaro alla fine dell'anno. A quell'epoca avrebbe estinto il suo debito con la banca e di conseguenza si sarebbe riappropriato del suo stipendio; i suoi genitori ed i nonni in particolare, in occasione del Natale si erano sempre mostrati generosi. Con questi apporti avrebbe definito ogni pendenza e forse gli sarebbe rimasta in tasca una parte di quanto graziosamente ricevuto. Quanto al debito con Renato, beh, avrebbe trovato qualche escamotage per procrastinare il rimborso o versargli un ulteriore acconto. A tutto ciò si aggiungeva la persistente separazione da Isabella, che, fedele ai suoi principi, era rimasta a Roma con la piccola Cecilia a casa dei genitori ai quali aveva fatto intendere che il clima equatoriale di Kampala non era la vera causa che determinava la sua permanenza presso di loro. Tale anomala situazione non poteva ovviamente durare oltre. La sua richiesta di cambiare sede, inoltrata da tempo al Ministero, non aveva avuto risposta e neanche gli interventi di suo padre, ormai prossimo al pensionamento, avevano avuto successo. In questo contesto le sue manìe di grandezza dovevano essere per forza di cose necessariamente ridimensionate. La congiuntura non era favorevole!

Proprio in questo frangente accadde l'imprevisto. Il vecchio nonno morì improvvisamente. L'evento, già di per sé doloroso, rattristò doppiamente Giulio, che vedeva venir meno una figura carismatica che lo aveva sempre tenuto sotto la sua ala protettrice, perdonandogli in ogni circostanza le sue innumerevoli scappatelle non sempre innocenti. In secondo luogo si inaridiva una delle fonti che alimentavano le sue entrate, che invece, proprio in quel periodo, necessitavano di ulteriori cospicui finanziamenti. Tornato a Frascati per le esequie, Giulio trovò una lieta sorpresa. Il munifico nonno aveva disposto nelle sue ultime volontà che dalle sue disponibilità fosse prelevata la somma di venti milioni da ripartire equamente fra i due nipoti. A quell'epoca quell'importo era piuttosto ragguardevole, inoltre entrò nelle tasche di Giulio proprio nel momento più opportuno.

Superato in breve il cordoglio, potendo disporre di nuova linfa, il suo fantomatico stato di depressione scomparve come per incanto. Le festività di fine anno erano vicine, egli sarebbe nuovamente tornato a casa e fra le altre cose avrebbe potuto liquidare a Renato quanto ancora gli doveva, dandogli dimostrazione del puntuale rispetto dell'impegno preso. Fu così che la mattina della vigilia Giulio fece il suo ingresso nell'ufficio di Renato con la sua proverbiale sicumera. Fattosi annunciare, si fece incontro all'amico presentandosi con un ampio sorriso: "Caro Renato, prima ancora di salutarti mi voglio rallegrare: sei un vincente, hai messo su un'azienda di tutto rispetto, in pochi anni sei diventato un imprenditore di successo; nelle poche ore di permanenza a Frascati ho sentito pronunciare due volte il tuo nome ed in ambedue le occasioni in termini più che lusinghieri. Complimenti vivissimi!". "Non esagerare, Giulio", gli rispose Renato. "Ho cercato di darmi da fare ed ho avuto anche fortuna, ti ringrazio per i complimenti. Io tengo sempre i piedi per terra, nel nostro mestiere, poi, è d'obbligo. Tu, piuttosto, brillante diplomatico che rappresenti l'Italia nel mondo, sei destinato a salire nelle posizioni di grande prestigio". "Per ora è ancora prematuro", rispose Giulio, "ma penso di raggiungerli presto quei posti. Come vedi, sono venuto ad onorare il mio impegno, sono qui per firmarti un mio assegno. La lontananza dalla mia banca a Kampala, la scorsa estate, mi ha costretto ad importunarti", continuò Giulio, glissando sull'artificio messo in atto poco più di un mese prima. "Dimmi quanto ti devo". Mentre l'impiegata predisponeva la documentazione ed i relativi conteggi, egli cercò di mettere in evidenza i fastidi che l'Istituto di Credito di Kampala gli aveva procurato per far intendere che la disponibilità delle sue finanze era ovviamente fuori discussione. "Grazie alla tua compiacenza ho comunque superato quello stupido intralcio". Firmò l'assegno in favore dell'Agenzia e, salutando calorosamente, si congedò in fretta.

L'incontro si era svolto secondo copione tranne che per un particolare: Renato, al corrente della morte del nonno di Giulio, aveva subodorato che l'amato nipote aveva beneficiato di un'ultima elargizione. In cuor suo se ne rallegrò avendo recuperato il suo credito; non riuscì tuttavia ad evitare di formulare alcune amare riflessioni sul comportamento del suo amico, che, non più in difficoltà, era tornato a comportarsi con l'abituale ostentazione. Chiusa la parentesi relativa al prestito di Giulio, Renato continuò nel suo lavoro, che, come ogni fine d'anno, diventava in quei giorni quasi frenetico. Due motivi coincidenti erano la causa dell'incremento dell'attività: la maggiore disponibilità di danaro circolante in occasione delle Feste e la non recondita intenzione del vari Agenti di prodigarsi in ogni direzione per conseguire gli obiettivi programmati all'inizio dell'anno dalle rispettive Compagnie. Raggiungere il traguardo previsto significava ottenere una doppia ricompensa: una, di natura prettamente economica, riscuotendo una maggiorazione sulle provvigioni, l'altra, non quantificabile al momento, non era forse meno importante, poiché contribuiva a migliorare l'immagine dell'Agente che saliva, anno dopo anno, nelle considerazione della Compagnia. All'occasione giusta, com'era successo a Renato, quella pagella di buona condotta avrebbe potuto diventare la carta vincente per ottenere appoggi ed agevolazioni quanto mai appetibili.

Nel frenetico tourbillon di appuntamenti, contatti, telefonate, fra gli altri, del tutto inatteso, arrivò nell'ufficio e chiese di parlare con Renato anche un tal Mauro Pisani, nome che alla segretaria risultava del tutto nuovo. L'uomo, sulla quarantina, dall'aspetto esteriore piuttosto trasandato, si accomodò e rimase in attesa, avendo appreso che Renato era indaffaratissimo ed occupato con un cliente. Come da prassi, la segretaria informò col citofono Renato e con sua grande sorpresa lo vide uscire dal suo ufficio per incontrare subito lo sconosciuto. Appartatisi nell'anticamera, i due parlottarono un poco. Dopo un pò, rientrando, Renato gli ripeteva a voce alta: "Caro Mauro, la cosa è grossa e piuttosto complessa; dovremo esaminarla attentamente dopo le feste; per ora ti dò cinque milioni così puoi tamponare la situazione".

Pregò la segretaria di predisporre l'assegno, che sottoscrisse subito e la invitò a compilare una ricevuta da far firmare al signor Mauro Pisani. Nel salutarlo quest'ultimo esclamò: "Renà, mi hai salvato! Buon Natale e tante grazie ancora".

 

 

 

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