Due vite parallele

 

L'ESSERE E L'APPARIRE

di Enrico Gilardoni

CAPITOLO X

 

L'inizio delle ferie di Giulio coincise con il suo sbarco all'aeroporto di Fiumicino, che dista effettivamente un tiro di schioppo dalla spiaggia di Fregene. Dopo i convenevoli di rito, apparentemente cordiali, la sera stessa del suo arrivo egli si congedò dai suoceri giustificando il distacco dalla moglie e dalla figlia con il desiderio di non importunare ancor di più con la sua presenza. A suo dire, le vacanze dei nonni erano già abbastanza disturbate dalla piccola Cecilia, che, con le sue esigenze di bambina poco più che neonata, condizionava di fatto tutta la famiglia. Riabbracciati i suoi a Frascati e chiarita la sua anomala posizione causata esclusivamente da opportunità di alloggio, cercò di barcamenarsi di fronte alle offerte di ospitalità rivolte dai nonni paterni alla nuora e alla nipotina. Nei giorni successivi si dovette anche sobbarcare la fatica di pendolare quotidianamente fra Frascati e Fregene, che, in quel mese di luglio sotto il sole cocente e con le strade intasate dal traffico, costituiva un'ulteriore penitenza.

Dopo non poche dispute e reciproci addebiti sui noti eventi trascorsi, discussi con discrezione in quel di Fregene, Isabella e Giulio convennero di riesaminare tutto a quattr'occhi recandosi in una località di mezza-montagna. Ufficialmente il trasferimento era giustificato dalla opportunità di far respirare a Cecilia un'aria più salubre. La decisione imponeva a Giulio di reperire subito delle risorse finanziarie per affrontare le spese relative alla trasferta in montagna unitamene a quelle necessarie per i mesi successivi, tenuto conto dell'impegno da lui sottoscritto con la banca di Kampala.

Condizionato dal susseguirsi degli eventi che, a dire il vero, proprio lui aveva innescato e stanco per l'opprimente viaggio di andata e ritorno da Fregene, Giulio quella sera era uscito di casa dopo cena per riflettere sulla sua situazione contingente e godere contemporaneamente della frescura serale. Nell'avvicinarsi al centro della cittadina incrociò il suo vecchio amico Renato. Ambedue si fissarono qualche attimo prima di salutarsi, incerti della loro effettiva identità. Gli anni trascorsi, la penombra serale, la sorpresa e non ultimi i naturali cambiamenti dell'aspetto fisico legati al trascorrere del tempo, li avevano indotti a esitare.

Renato per primo esclamò: "Ma tu sei Giulio!" e di rimando Giulio rispose: "E tu sei Renato". Si scambiarono una vigorosa stretta di mano e, come già fecero in altre occasioni, iniziarono a parlare come se si fossero lasciati il giorno prima. In poche essenziali battute inquadrarono la loro posizione. Si sedettero al tavolino di un bar in piazza Belvedere per sorseggiare una bibita e per potersi comodamente aggiornare sulle rispettiva vicende personali degli ultimi sette, otto anni. Già, ma quanti anni erano realmente trascorsi dal precedente incontro? Forse non erano soltanto sette od otto. Più verosimilmente ne erano passati almeno dieci. In breve scoprirono di essere ambedue sposati. Giulio era diventato anche padre mentre a Renato la sorte aveva negato questa soddisfazione. Riguardo alla sfera lavorativa tutti e due, pur se in campi diversi, avevano avuto successo e tutto lasciava presumere che ne avrebbero avuto ancora. Anche nei rapporti con le loro mogli c'era un qualcosa che li accomunava: senza scendere nei particolari, ciascuno di loro lasciò capire all'altro che nelle rispettive case non regnava quella serenità che è il vero cemento che sorregge l'unione familiare. Venuti a parlare del presente, Renato confidò all'amico di avere in animo di espandere la sua attività per migliorare ancora la sua posizione. Giulio non poté dire altrettanto per sé, essendo inserito in un organismo statale, purtuttavia si riteneva certo di avere i titoli per avanzare in breve tempo nella scala gerarchica del Corpo Diplomatico. Renato percepì anche che l'ostentato sussiego che amava esibire il suo amico si era attenuato e se ne stupì in cuor suo. Le esperienze della vita gli avevano forse insegnato ad essere più modesto e spontaneo? Chi avrebbe potuto confermare questa trasformazione? Sta di fatto che con noncuranza e con il mutato atteggiamento, Giulio, riferendosi alla solida posizione finanziaria raggiunta dall'amico, gli accennò alla possibilità di avere da lui un modesto finanziamento temponareo originato dalle difficoltà burocratiche che gli impedivano di riceverlo tempestivamente dalla sua banca di Kampala presso la quale aveva aperto il suo conto.

Sulle prime Renato stentò a percepire l'essenza della richiesta, sia perché del tutto inaspettata, sia perché, seppure indirettamente, intaccava la presunta ostentata superiorità da sempre autoattribuitasi in ogni occasione, infine perché egli conosceva bene le grandi disponibilità economiche della famiglia Consalvi. Preso alla sprovvista, Renato non seppe dire di no. Con trasparente naturalezza invitò Giulio a passare nel suo ufficio l'indomani mattina, non avendo con sé il libretto degli assegni né tantomeno la somma richiesta. Circa l'epoca della restituzione, Giulio la indicò genericamente "in tempi brevi", non appena sarebbe rientrato a Kampala, pensando dentro di sé di poterla far scivolare al prossimo novembre quando i proventi della stagione vinicola lo avrebbero messo in condizione di disporre di una buona liquidità; era scontato che a Renato sarebbero stati riconosciuti gli interessi nel frattempo maturati.

Visibilmente rinfrancato dall'assenso ricevuto, Giulio ringraziò l'amico e lo invitò ad incamminarsi insieme verso casa.

"Le nostre case sono vicine, possiamo continuare a parlare strada facendo". "Lo erano", lo corresse Renato. "Da quando mi sono sposato io abito verso Monte Porzio, in tutt'altra direzione". "Ah già, me lo avevi detto", rispose Giulio. "Beh, allora vengo a trovarti domani mattina in ufficio; qual'è l'ora buona?". "Quando vuoi, quando vuoi, domani non dovrei avere impegni in mattinata", confermò Renato consultando l'agenda. "Arrivederci, buonanotte e grazie ancora" si congedò Giulio. "Nulla, nulla" si schermì Renato "buonanotte, a domani". I due si lasciarono e ciascuno nella sua mente cominciò a rimuginare.

Renato non sapeva spiegarsi come mai Giulio avesse fatto un passo di quel genere; si era messo effettivamente nei guai tanto che anche i suoi familiari, sempre disponibili, gli avevano chiuso i cordoni della borsa? Oppure c'era qualcosa d'altro? Egli percepiva uno stipendio che, per quanto ne sapeva, non doveva essere di importo modesto. Ma poi lui, con la sua boria, abbassarsi a chiedere un prestito proprio a me, da sempre considerato uno straccione al suo confronto? Evidentemente doveva essere successo qualcosa di grosso. I Consalvi sono ricchi, Giulio e la sorella erano sempre stati ricoperti di ogni ben di Dio. Mah! Non correrò certo grossi rischi. Giulio, per quanto avventato, non lo credo capace di farmi fesso. E' tutto l'insieme che non mi convince. La sua infinita megalomania può averlo ridotto in questo stato? Beh! Erano tutte domande senza risposta che però inducevano Renato a riflettere e a convincerlo sempre di più che il suo modo di vivere era quello giusto.

Giulio a sua volta si sentiva sollevato. Con grande disinvoltura aveva raggiunto un obiettivo insperato. "Che fortuna ho avuto ad incontrare Renato e venire a sapere che ha buone disponibilità finanziarie; sono stato anche abile a chiedere ed ottenere quello che mi serviva. Penso di poter avere quattro/cinque milioni. Così scavalcherò la resistenza che i miei mi avevano fatto intendere in modo velato ma deciso. Alle mie richieste mi hanno detto di aspettare la vendemmia e di ridimensionare il mio tenore di vita. Ma che ne sanno loro di come è d'uopo che si comporti un diplomatico rampante come me! Col solo stipendio, moglie e figlia da crescere, sarei un vero miserabile. Non potrei mai mettermi in evidenza, senza contare poi che certe scappatelle hanno il loro costo..... Quando verrà la vendemmia avrò quello che mi spetta e rimborserò Renato. Il tutto mi costerà qualche lira di interessi da riconoscergli. Una miseria. Anche la sorellina, povera provinciale, non potrà denunciare favoritismi, privilegi del figlio maschio, cocco di casa! E poi una visitina ai nonni prima di Natale potrà riservarmi solo qualche lieta sorpresa. Ho risolto brillantemente le mie più impellenti necessità. Anche nei confronti di Isabella e dei suoi, dimostrare di poter sostenere i costi di una vacanza non programmata è sempre una prova di essere alla pari con il loro livello. Con i soldi in tasca si schiariscono le idee e si ragiona meglio; alla lunga anche Isabella si convincerà che nella situazione presente il minore dei mali è quello di voltare pagina. Mah! Quella è intransigente..... staremo a vedere". Quanto al suo amor proprio, l'aver dovuto chiedere aiuto all'amico guardato sempre dall'altro in basso, l'aver dovuto necessariamente ridimensionare lo stile dei rapporti interpersonali finora tenuto nei suoi confronti, tutto questo non lo disturbava. Un diplomatico di rango deve essere pronto a cavarsela in ogni evenienza, concludeva con sé stesso con una formula che lo autoassolveva e lo incensava al tempo stesso.

L'indomani mattina Giulio si recò presso l'Agenzia di Renato a Montecompatri dopo aver telefonato ad Isabella a Fregene per informarla che un guasto all'automobile l'avrebbe fatto tardare. Salutato Renato e sottoscritta la modulistica prevista dalla prassi burocratica, sollecitamente predisposta da un'impiegata, Renato si stava accingendo a firmare un assegno per liquidargli l'importo di cinque milioni come richiesto dal suo amico. A questo punto Giulio lo pregò di dargli quella cifra in contanti per rendere anonima la fonte del finanziamento, giustificando la sua richiesta con la difficoltà che avrebbe incontrato nel monetizzarlo. Per accontentarlo Renato fece aggiungere questo particolare sulla ricevuta sottoscritta da Giulio, poi insieme scesero al bar sottostante per il rituale caffè e poi raggiunsero la vicina Agenzia del Banco S. Spirito dove tramutare l'assegno in banconote. Giulio ebbe così modo di constatare in quale alta considerazione fosse tenuto Renato e come lo stesso funzionario della banca si fosse premurato di venirlo a salutare. Con il portafoglio pieno Giulio salutò in fretta l'amico e si diresse a Fregene. Era riuscito a risolvere almeno una delle varie difficoltà che lo assediavano. Come stabilito insieme ad Isabella, con un giro di telefonate cercarono alloggio in un albergo di una località dell'Appennino laziale dove avevano intenzione di soggiornare per almeno quindici giorni. La loro scelta cadde su Scanno, che a loro parere era posto ad un'altitudine giusta ed inoltre nel suo territorio c'era anche un lago. Decisero di lasciare Fregene il giorno successivo con l'intesa che nel viaggio verso Scanno si sarebbero fermati a Frascati per salutare i nonni paterni ansiosi di riabbracciare la nipotina. Il giorno dopo si fermarono a pranzo a casa dei suoceri. Com'è naturale Cecilia calamitò l'attenzione di tutti; cionostante Isabella parlando dei loro progetti futuri non perse l'occasione di dire che lei e la piccina, terminata la vacanza, non sarebbero tornati in Uganda. Ella aveva già sollecitato Giulio a chiedere al Ministero un'altra destinazione. Non disse nulla di più, ma non aggiunse neanche nulla per giustificare questa sua decisione. Il breve viaggio proseguì ed in serata si sistemarono nell'albergo di Scanno. Quella uscita di Isabella non era però sfuggita a Giulio, che capì immediatamente come l'animo di sua moglie fosse ancora esacerbato e che quindi sarebbe stato molto arduo per lui trovare una soluzione al conflitto in atto. Consapevole di dover bere l'amaro calice, Giulio si decise ad affrontare il casus belli che, per una ragione o per l'altra, era stato sempre differito.

Mentre l'innocente creatura dormiva nella sua culla, loro due si erano sistemati su due rudimentali panchine ricavate dai tronchi d'albero di un vicino parco. Isabella esordì senza perifrasi: "Sei riuscito finora a sfuggire alla resa dei conti. Non pensare comunque che io ora sia meno inferocita di un mese fa, solo per salvaguardare la nostra privacy non ne ho fatto parola con nessuno. Ora però devi chiarire la tua posizione, ammettere la tua colpa fino in fondo. Poi sarò io a decidere cosa intendo fare. Aggiungo anche che contro di te giocano almeno tre aggravanti: la prima è che io ti avevo chiaramente informato prima di sposarti che non avrei mai tollerato evasioni del tipo di quelle che tu prediligi, la seconda è che tu hai approfittato della mia maternità per attuare la tua squallida impresa, la terza è che per continuare a fare i tuoi comodi mi hai indotto subdolamente a procrastinare il mio ritorno evidenziando difficoltà inesistenti". Giulio si rese conto che per lui si era messa veramente male. Le sue roboanti teorie che sostenevano che un vero diplomatico deve essere sempre in grado di cavarsela in ogni frangente, vacillavano paurosamente. Non sapendo da dove cominciare e sopratutto come controbattere i veri e propri capi di imputazione che gli venivano contestati, cercò perlomeno di attenuarli.

"Secondo il tuo punto di vista" rispose Giulio "sono accusato di aver commesso parecchi reati: tradimento, menzogna, sopruso e via di questo passo. Mi sembra un'esagerazione. Volendo ricondurre il tutto ad una dimensione meno esasperata, ritengo che il fulcro su cui ruota tutta la vicenda sia la maldicenza del prossimo. Il tuo stato d'animo" continuò Giulio "la fresca maternità, la lunga separazione hanno ingigantito ai tuoi occhi un qualcosa che la gente cattiva o a me ostile ha voluto attribuirmi e si è poi adoperata per servirtelo nella versione che più mi potesse, o meglio, ci potesse danneggiare. Come ti ho già detto per sottrarti ad ogni ulteriore umiliazione e ai pettegolezzi che alcune persone malvagie amano insinuare per puro sadismo, sono disposto a chiedere il trasferimento ad un'altra sede". La risposta era effettivamente diplomatica. Diceva e non diceva, sfumava sull'essenziale, proponeva palliativi. Isabella non cadde nella trappola. "Vedi, Giulio," gli rispose "tu cerchi di menare il can per l'aia come hai fatto a Kampala. Sfuggi ai chiarimenti richiesti. Sai benissimo che ho le prove delle tue mascalzonate. Sì, è vero, c'è gente che ama spettegolare sui fatti altrui, nel nostro caso oltre i pettegolezzi ci sono anche i fatti, veniamo al dunque. Non imbastiamo una commedia. Prima e al di là di ogni altra considerazione resta il fatto che mi hai tradito con un'altra donna e a questo punto non so neanche se sia stata l'unica volta. Il resto discende da questo tuo inqualificabile comportamento".

Giulio comprese che il suo tentativo di spostare l'ago della bilancia dal punto centrale ai margini, era fallito. Le sue argomentazioni, anche se ben articolate, non erano state prese in nessuna considerazione. Non gli rimaneva che cercare di smontare l'accusa principale. "Come ti ho già detto" riprese Giulio "tutto nasce dei miei contatti con la signora El Shastri dell'Ambasciata d'Egitto. Non ho difficoltà a confermarti che per ragioni di lavoro l'ho più volte incontrata nel mio e nel suo ufficio. Ti confermo anche che era nata una certa identità di vedute ed un reciproco spirito di collaborazione, piuttosto raro fra il personale delle varie Ambasciate, che mi ha permesso di definire vecchie pratiche che si trascinavano da anni, facendomi fare una bella figura con il nostro Ambasciatore. E' ovvio che per sdebitarmi e farmi conoscere anche fuori dalla sede della nostra ambasciata, l'abbia invitata a cena unitamente ad alcuni suoi colleghi e colleghe, tutto qui. Se poi, per il mio modo di fare, il mio carattere estroverso ed intraprendente sia stato notato da qualcuno che ci ha voluto ricamare sopra, questa è un'altra faccenda ed è proprio quello che io ho inteso chiarirti prima. Non ho finito. So già quello che tu mi stai per ribattere: ossia che la signora El Shastri è stata fatta rientrare al Cairo. Di questo provvedimento non so dirti niente, non so neanche se l'interessata avesse richiesto di tornare in patria, se fosse un periodico avvicendamento o se dipenda da altre ragioni. Non vedo collegamenti con quanto ti ho raccontato. A questo punto non so dirti altro!". "Mi hai detto qualcosa che prima non mi avevi mai confessato" lo incalzò Isabella "ti sei avvicinato alla realtà senza percorrere l'ultimo passo, quello essenziale. Conoscendoti bene, questo passo lo faccio io completando il quadro che tu hai volutamente lasciato incompiuto. Secondo la tua versione tutto si è svolto alla luce del sole. Non ci sono state neanche cene un pochino meno affollate, magari limitate a solo due commensali, con relativo dopo cena a casa e nel letto di lui o di lei? Pur non avendo prove documentali io propendo per questa seconda rappresentazione a mio parere molto più verosimile".

"Io ti ho raccontato come si sono svolti i fatti" rispose Giulio "tu, pur essendo lontana migliaia di chilometri, sostieni o meglio ti sei immaginata una vicenda tutta diversa, frutto della tua fantasia eccitata da inqualificabili insinuazioni. Allo stesso modo potrei anch'io fantasticare su tue presunte avventure galanti a Roma" soggiunse Giulio. "Se la nostra reciproca fiducia è scesa così in basso, anzi è praticamente scomparsa, devo subito trarne due conclusioni: la prima è che il nostro rapporto si è molto deteriorato, la seconda è che in avvenire cercherò di comportarmi come se fossi non più un marito ma un socio di un'azienda che per ottenere la trasparenza sua e degli altri, esibisce e pretende la documentazione attestante ogni atto che interessa la Società". "Immaginavo che saremmo giunti a queste conclusioni" ribatté Isabella "dove non c'è la prova inconfutabile e la flagranza di reato, come dicono i giudici e gli avvocati, tutto il resto non conta; anche le voci più o meno riservate, le debolezze umane vecchie quanto il mondo, la tua nota inclinazione alle evasioni sentimentali non fanno testo. Tu ritieni di poter uscire indenne da questa triste vicenda equiparando il rapporto tra coniugi a quello fra operatori economici come prima accennavi. Sai bene che io sono di avviso molto diverso. A questo punto, dovrei quindi rassegnarmi. Subire il danno e la beffa. Non ci sto! Per prima cosa non tornerò più a Kampala. Se vuoi ricomporre la famiglia, trova un'altra destinazione dove non conoscano i tuoi precedenti. Poi, come ho già fatto ieri in forma asettica, passando da casa tua tornerò ad accennare al protrarsi della nostra temporanea separazione: questa volta però lascerò intendere le vere ragioni del mio rifiuto di rientrare a Kampala. Analogo discorso lo farò ai miei. Ti garantisco inoltre che farò in modo di sorvegliarti, in qualunque posto del mondo dovessi andare. Non intendo subire altri affronti. Al primo accenno di ricaduta mi riprenderò la mia libertà e farò di tutto per far comprendere alle persone giuste la tua vera personalità affinché i vertici della diplomazia possano trarne le opportune conclusioni. Aggiungo infine che ho per ora rinunciato ad una rottura definitiva solo per amore e senso del dovere verso la nostra creatura". Pronunciando queste ultime parole Isabella fu assalita da un moto di commozione, subito represso, che tradì il suo effettivo stato d'animo fino allora dissimulato grazie al suo contegno glaciale.

In cuor suo Giulio si rallegrò recependo di essere scampato alla pena capitale, ossia alla rottura tout-court. Le pene accessorie, per così dire, non erano certo lievi e lo avrebbero ridimensionato notevolmente agli occhi di tutti; l'ultima diffida o minaccia che dir si voglia era forse quella che lo impensieriva di più. Egli sapeva che la famiglia di Isabella e lei stessa erano molto introdotti nell'ambiente diplomatico e, ove si fosse giunti ad uno scontro frontale, non era escluso che lo avrebbero potuto mettere in cattiva luce, minando le sue bramate ambizioni di carriera. Per ora, in qualche modo, il peggio lo poteva considerare superato. Solo per non apparire del tutto passivo Giulio replicò a sua moglie "anch'io come te faccio appello all'amore che mi lega a Cecilia e, nonostante tutto, anche a te, per superare questo brutto momento della nostra vita familiare".

Scaltro com'era, Giulio non aggiunse altro, ben consapevole che anche una sola parola fuori posto o mal interpretata avrebbe potuto compromettere quel precario equilibrio in qualche modo raggiunto.

 

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