Due vite parallele

 

L'ESSERE E L'APPARIRE

di Enrico Gilardoni

CAPITOLO III

 

La mattina successiva sembrava tutto tranquillo. Il signor Fausto e Renato poterono dedicarsi, interrotti soltanto da qualche telefonata, agli aspetti amministrativi dell'azienda che di norma vengono trascurati quando problemi più impellenti della gestione li pongono in subordine a quelli che a prima vista sembrano questioni preminenti. Succede poi che, quasi come una rivalsa, scadenze trascurate, denunce emesse, buste paga non predisposte per tempo creino difficoltà od oneri uguali o forse ancora maggiori di quelli che avrebbero determinato le disfunzioni emerse e prontamente affrontate a scapito delle problematiche amministrative. A prescindere da queste considerazioni di carattere professionale, Renato fece tesoro delle notizie ricevute e si appuntò le cognizioni più difficili da ricordare. Teneva d'occhio anche la prossima data del quindici del mese in cui veniva pagata la quindicina di acconto ai quattro dipendenti della Ditta. Due, Giovanni il fornaio e Alfredo l'autista del furgone, erano iscritti nel libro paga e quindi erano in regola sotto gli aspetti previdenziali, assicurativi e fiscali. Gli altri due, la commessa e l'uomo di fatica, erano retribuiti "in nero", come si suole dire in gergo. Renato pensò fra sé che anche lui li avrebbe seguiti in quest'area del "sommerso".

Nel volgere di otto-dieci giorni di diligente impegno a tempo pieno Renato era riuscito ad eseguire un razionale riordino alle varie ricorrenti attività amministrative. E' ovvio che di tanto in tanto emergevano carenze che qualche volta si riferivano a disfunzioni o dimenticanze vere o presunte che risalivano ad epoche antecedenti al suo ingresso nell'azienda. Rimanevano ancora pendenti altri aspetti relativi in particolar modo al rapporti con gli uffici fiscali e previdenziali i cui tempi di riscontro sono proverbialmente lunghissimi.

A onor del vero il giovane ragioniere era riuscito a dare quella sostanziale sistemazione alle "carte" dell'azienda, come soleva definirle il sig. Fausto, grazie ai preziosi suggerimenti di un amico di suo padre che per professione curava l'amministrazione di molteplici imprese ed esercizi commerciali. Costretto ad affrontare eventi più grandi di lui senza alcuna esperienza specifica e qualcuno che lo guidasse in quest'opera di organizzazione e di impianto di una pur semplice struttura amministrativa, Renato sarebbe immancabilmente naufragato e, nella migliore delle ipotesi, non avrebbe raggiunto quei risultati che, oltre a gratificare il suo amor proprio, gli avevano dato l'opportunità di arricchirsi professionalmente.

Di tutto ciò il sig. Fausto non percepiva che gli aspetti concreti, non rendendosi conto che solo rispettando alcuni adempimenti che a prima vista possono apparire superflui si riusciva a seguire e a governare tutta l'attività ed il conseguente giro d'affari dell'azienda, che in effetti abbracciava tre aree funzionalmente diverse. L'importante per lui era constatare i risultati concreti ed evitare quelle brutte sorprese che lo irritavano molto, sia sotto l'aspetto pecuniario e forse ancor di più per il danno che procuravano alla immagine sua e della sua Ditta.

Anche se non direttamente coinvolto, Renato percepiva che l'attività che più preoccupava il sig. Fausto era costituita dalla panificazione.

Quel lavoro era effettivamente ingrato per due motivi: doveva essere svolto in buona parte di notte ed inoltre per quasi tutti i giorni dell'anno. Per questi motivi il sig. Fausto, per tenersi buono il suo fornaio di fiducia e per fargli superare obiettive difficoltà, non gli lesinava favori e regalie sottobanco; ciononostante il lavorante ne approfittava a tal punto da fargli perdere la calma in più occasioni, che trascendevano in vivaci scontri verbali. Nello stesso tempo e nell'intento di ridurre a più miti pretese l'operaio, il sig. Fausto cercava di recuperare suo figlio Mauro, dedito alla bella vita. Grazie alle sue ricorrenti, drastiche ed ultimative reprimende che minacciavano definitive rotture, l'imprenditore aveva indotto suo figlio ad affiancare il fornaio nel suo lavoro ricompensandolo con consistenti elargizioni e promettendogli di cedergli l'autonoma gestione del forno non appena avesse dimostrato di esserne realmente capace. Questi accorgimenti non si dimostravano però sufficienti a risolvere il problema che sistematicamente si riproponeva. Gli aiutanti che di volta in volta venivano occasionalmente reclutati, non senza difficoltà, lasciavano a desiderare.

Fu così che una sera della fine di ottobre, ripresentandosi l'emergenza, Renato si offrì di supplire con la sua opera a quella improvvisa necessità. Il giovane, che aveva più volte assistito alle iniziative del sig. Fausto per superare l'emergenza, sapeva di ingraziarsi le simpatie del suo datore di lavoro ove lo stesso lo avesse ritenuto idoneo alla mansione; era poi invogliato dal non trascurabile compenso spettante a chi svolgeva quel lavoro ed infine era curioso di conoscere meglio il carattere di Mauro, che nella notte successiva sarebbe stato suo compagno davanti al forno.

Il sig. Fausto, dopo un attimo di riflessione, accettò l'offerta, ben sapendo che in fin dei conti per un giovane sveglio e di buona volontà non sarebbe stato un problema improvvisarsi aiuto fornaio. In quanto al resto: rischi di infortuni, effettiva buona riuscita del prodotto, eventuali sprechi di farina, ecc. ecc., non poteva fare molto affidamento su suo figlio, che purtroppo era quello che era. Di necessità doveva fare virtù.

"Bravo Renato, hai avuto una buona idea" gli disse soddisfatto. "Questa notte c'è Mauro che ti terrà compagnia e poi vedrai, non è così difficile imparare". "Ti devo anche dare atto di aver fatto un buon lavoro finora e quindi ti voglio ricompensare con uno stipendio di ventimila lire al mese. Le ore che farai come aiuto fornaio ti verranno conteggiate a parte". Renato ringraziò, riflettendo in cuor suo che di fatto in quel mese aveva lavorato pressoché per l'intera giornata e che ventimila lire non erano poi una gran somma. Quelle espressioni di stima dette da un uomo ruvido e sicuramente parsimonioso nei confronti degli altri lo appagarono solo in parte.

Come d'accordo, verso le tre della notte si trovarono con Mauro davanti alla porta del forno, che era situato dentro il cortile retrostante il negozio di via Matteotti. Il locale era abbastanza ampio, le pareti erano maiolicate ed il pavimento era formato da un battuto di cemento; da due finestre che si affacciavano sul cortile entravano aria e luce, ovviamente se si lavorava di giorno. A quell'ora diversi tubi fluorescenti rischiaravano l'ambiente a cui era annesso un magazzino per la custodia dei sacchi di farina, del lievito, dei vari attrezzi e di tutto quanto altro serve per fare il pane. Sul lato di fronte alla bocca del forno erano posizionate due impastatrici. C'erano forme di pasta lievitata da infornare con speciali pale di legno dal lungo manico per raggiungere anche le parti più profonde del forno e naturalmente dei piani di marmo sui quali si componevano con le mani le varie confezioni di pane prelevando l'impasto prodotto dalle macchine.

Il forno era riscaldato da un bruciatore a gasolio che, opportunamente comandato, ne faceva variare la temperatura. Doveva. essere molto caldo per alcuni tipi di pane di grosso formato; "rosette", "sfilatini" o focacce dolci richiedevano invece temperature meno elevate.

"Buongiorno, Mauro" disse Renato entrando. "Dì piuttosto buonanotte", rispose Mauro. "Questa volta. il principale ti ha incastrato". "A dir la verità mi sono fatto avanti io. Anche se dovrei fare un altro mestiere, un'esperienza diversa e a cui non avrei mai pensato non mi dispiace e poi mi frutterà pure qualche soldo". "Di fronte a lavori da cani come questi non c'è lira che tenga" ribatté Mauro". "Ha voglia a predicare mio padre; questo lavoro non è per me. E poi di notte si dorme o si fa l'amore! Giovanni mi ha fregato ancora! C'avevo per le mani una signora che proprio stanotte era disponibile. Il marito, un ufficiale, era partito in missione. Non si decideva mai, adesso che era venuta la volta buona devo passare la notte al forno. Ma per la Madonna ...... Basta! Domani glielo dico io al signor padrone. O mi fa fare il rappresentante, guarda, anche di farina, pasta, insomma di quei prodotti che conosco, oppure faccio come mia sorella, me ne sto a casa. Mi trovo un lavoretto da trentamila lire e vivo tranquillo. Bèh cominciamo và, se no chi lo sente domani.......".

"Col carrelletto porta quei sacchi vicino all'impastatrice, intanto io accendo il forno. Poi bisogna dare una pulita alla macchina per lavare le incrostazioni dell'impasto di ieri". Mentre lavoravano, Renato che aveva capito con chi aveva a che fare, riprese il discorso. "Per fare la vita che piace a te ci vogliono parecchi soldi. Una bella macchina, tempo da perdere". "Bèh? E' per quello che voglio fare il rappresentante. Così vai in giro, non ti sporchi di farina; ti vesti come Cristo comanda, ti presenti bene ed una volta che ti sei fatto una clientela vai sul sicuro, con poco lavoro riscuoti le provvigioni che ti spettano e hai il tempo per dedicarti alle donne, agli amici, ai viaggi...... Adesso apro l'acqua e poi insieme al lievito buttiamo dentro la farina, piano piano, fai scorrere l'acqua, attento alle mani sennò qua famo un casino! Basta, ora lascia lavorare la macchina. Cominciamo con quest'altra. Questa però è più vecchia. Tocca stà più attenti. Se si inceppa sò cazzi nostri. Manco alle undici di domattina finiremo con una macchina sola! Saltano le consegne ed il vecchio si incazza come un toro. A Renà, chi te l'ha fatto fà! Tu puoi fare il signorino. Fatte assume in Banca in giacca e cravatta e chi s'è visto s'è visto! Mò avvicinati col sacco. Io metto in moto la macchina, apro l'acqua e tu versa la farina; poco alla volta, però, con quell'arnese lì. Questa è una trappola: se si incastra siamo fregati".

"Mauro, qui fa un caldo boia" fece Renato. "E' il forno che si scalda, non ti preoccupà. Anzi togliti la maglia, ti dovevi portà i calzoni corti.... Adesso che l'impasto è pronto cominciamo a fa' i filoni e le pagnotte, prima quelle più grandi, che vogliono una cottura più lunga, poi le più piccole, poi gli sfilatini e alla fine le rosette. Verso le sei ricominciamo per la seconda infornata. A quell'ora viene Alfredo col furgone e comincia le consegne e ci fa spazio".

Renato cercava di imitare il compagno che, nonostante la malavoglia e i ripetuti sfoghi che continuava ad esternare nei confronti del padre, aveva una buona manualità. Le forme di pasta da lui predisposte, che sarebbero diventate pagnotte o filoni, avevano una foggia e una dimensione piuttosto approssimativa ed inoltre egli riusciva a depositarne sull'apposita tavola molte di meno del suo collega di lavoro. Le chiacchiere e le confidenze di Mauro, che si sentiva di gran lunga superiore al suo amico sul piano del vissuto, anche per la maggiore età, continuarono pure quando il lavoro divenne più impegnativo. Bisognava infornare, seguire la cottura. "Anche se fossi andato a buca con quella bella bionda che ti ho detto, potevo sempre passa' dagli amici e farmi un pokerino. Se mi girava bene, almeno per una settimana mio padre non mi avrebbe più visto. Sere fa un amico s'è fatto la macchina col poker!". "Non ci andate leggeri", commentò Renato. "E' che quando ti dice male è un disastro! Però quello che c'ha rimesso la macchina bluffava troppo, alla fine l'hanno capita e ..... patapunfete! Veramente il debito si era accumulato in diversi giorni. Messo alle strette, non gli è rimasto che firmà dal notaio e daje er "topolino", un po' graffiato ma col motore ancora buono. Con le carte nun se scherza! Ma se te va bene...... e poi voi mette la soddisfazione! Attento che te scotti le mani. Appena sfornate, le pagnotte so' bollenti come tizzoni. Damme retta, Renà, diglielo al signor Fausto: a fa' la contabilità ce puoi pure sta' ma a fa' er fornaio è un'altra musica".

Renato lo ascoltava e si rendeva conto che Mauro voleva atteggiarsi un po' a megalomane e un po' a viveur. Una componente della sua ostentata filosofia esistenziale derivava di certo anche dall'ambiente in cui era cresciuto, nel quale prevalevano la disponibilità di danaro, una scarsa cultura e sopratutto la partecipazione immediata ai piaceri primari e materiali, senza farsi troppi scrupoli di come ottenerli.

"Se non ti piace fare questo lavoro avresti potuto prenderti un diploma come ho fatto io" rispose Renato "non credo che tuo padre ti avrebbe impedito di andare a scuola". "E' che so stato sfortunato. Qui a Frascati non c'erano le scuole che volevo fa' io. Me piaceva fa......, si, quelli che disegnano ....., l'artista insomma". "Ah, ho capito" rispose Renato" il liceo artistico. "Esatto, il liceo artistico, io c'ho quella inclinazione. Con quel titolo potevi diventà quarcuno, far l'arredatore, lo scenografo...... in mezzo alle attrici e attricette...., un bel mondo ...., altro che i sacchi di farina e 'sto cazzo di forno che te toje er respiro. Ho cominciato da li preti. Fra messe, benedizioni, ritiri spirituali non me ce ritrovavo. So' passato all'istituto professionale e lì ho trovato 'na zitella acida e stronza che nun me dava pace; poi è venuta la guerra, i bombardamenti, c'era da sta' a negozio, un po' di borsa nera, me capisci, Renà, ormai è fatta. Poi le ragazze, me so' sempre piaciute le ragazze. Se vai appresso alle gonne non puoi sta' appresso ai libri, ai compiti. Per te è andata meglio. Quando c'era la guerra eri un regazzino, non dovevi sta' dietro al negozio e poi c'avevi voglia de studià. A 'sto punto non me rimane che fa il rappresentante, armeno me dò 'na ripulita, ma mi' padre nun ce sente da 'st'orecchio".

Renato ascoltava ed annuiva. Alla fine però gli disse: "Posso pure comprendere tutte le tue ragioni, ora però sei cresciuto, hai una azienda tua, non ti dovresti lamentare, non sei messo male. Se solo lo volessi, potresti dimostrare a tuo padre di voler cambiar vita e diventeresti subito direttore di tutta la baracca". "Tu non lo conosci mio padre. E' attaccato all'azienda, è come se fosse figlia sua. Nun te dà un minimo di libertà, di iniziativa. E poi li sordi, nun ne parlamo, come se se li dovesse portà all'altro mondo". "Si", rispose Renato, "però è riuscito a fare quello che ha fatto. Adesso ha un bel patrimonio".

"Che te ne fai de li sordi se non te li godi?", ribatté Mauro."Ecco, sta arrivando Alfredo che ce sgombra il campo. Ripartiamo per la seconda infornata così alle nove e mezza, massimo alle dieci, vado a dormì e guai a chi mi sveglia!"

Ricominciarono a rovesciare i sacchi di farina nelle impastatrici, a confezionare i vari formati di pasta, ad infornarli e sfornarli depositandoli negli appostiti contenitori. La temperatura era elevata e tutti e due sudavano abbondantemente. "Sta' attento a quando esci", disse Mauro a Renato, "rimettiti la camicia e la giacca sennò ti becchi 'na polmonite". Verso le sette e un quarto si affacciò il signor Fausto, che con un solo sguardo capì che tutto era andato per il meglio. Renato gli disse che appena terminato sarebbe andato a casa per riposarsi un po' e si sarebbe fatto rivedere nel pomeriggio. "Mentre vai a casa, nel passare davanti alla banca, pagami queste due tratte, eccoti l'assegno. Io devo andare al mulino stamattina".