Due vite parallele

 

L'ESSERE E L'APPARIRE

di Enrico Gilardoni

CAPITOLO II

 

Presa questa decisione, Renato si guardò intorno. Le lezioni all'università non sarebbero cominciate prima degli inizi di novembre e pertanto, anche volendole frequentare fin dai primi giorni, aveva davanti a sé circa un mese di attesa. Sotto un certo profilo questa assenza di impegni presentava aspetti non del tutto negativi. Da una parte la mancanza di occupazioni, di scadenze, di cose da fare, era particolarmente sofferta da un giovane dall'indole intraprendente come la sua, dall'altra gli permetteva di sfruttare al meglio questo lasso di tempo per sondare la piazza in cerca di un lavoro che gli riservasse quegli spazi temporali da dedicare agli studi. Dopo vari giorni e molteplici approcci del tutto negativi Renato cominciava ad accusare i primi sintomi di avvilimento. Avvertì maggiormente un senso di frustrazione quando dovette autoescludersi dal partecipare ad una iniziativa commerciale che presentava interessanti sviluppi ma che prevedeva l'investimento di una somma di denaro, seppure modesta, di cui ovviamente non aveva la disponibilità.

Consapevole dello stato di disagio in cui suo figlio si trovava, il papà di Renato stava con gli occhi aperti per cercare di venirgli incontro. Il signor Morelli riteneva che dal suo posto di osservazione privilegiato, quale può essere l'Agenzia di una Banca che coagula attorno a sé imprenditori, commercianti e risparmiatori, gli sarebbe potuta capitare l'occasione propizia. Per l'appunto le recriminazioni e lo sfogo che un certo signor Pisani, vecchio cliente della Banca, gli confidò proprio in quei giorni, indussero l'uomo a segnalare a quel commerciante che suo figlio, neo diplomato, avrebbe potuto essergli utile per evitargli le disfunzioni di cui si lamentava. Il signor Pisani non senza qualche ritrosia accettò l'offerta in quanto, come tutti i piccoli imprenditori cresciuti con il proprio lavoro e a prezzo di grandi sacrifici, era piuttosto diffidente e particolarmente restìo ad affrontare nuovi oneri nella gestione della sua piccola azienda. A ciò si doveva aggiungere che la sua indole, il suo modo di fare, il suo aspetto dimesso non disgiunto da una evidente volontà di dissimulare l'effettivo florido andamento dei suoi affari non lo ponevano in buona luce. Il tam-tam cittadino lo descriveva addirittura piuttosto avido ed in disaccordo con i due figli, una ragazza ed un giovanotto, che non avevano molta voglia di assecondarlo nella sua attività; la moglie, stando a quanto si diceva, era invece del tutto sottomessa alla sua volontà.

Partendo da queste premesse non molto incoraggianti, Renato volle comunque non perdere l'opportunità offertagli, ben sapendo che alle scontate difficoltà iniziali se ne sarebbero aggiunte delle altre, allo stato non valutabili, ma di certo piuttosto ostiche.

Come convenuto si presentò al Signor Pisani nel tardo pomeriggio del successivo sabato 18 ottobre per farsi conoscere, farsi spiegare in sommi capi quali erano i compiti che lui avrebbe dovuto svolgere ed infine concordare la durata giornaliera del suo impegno lavorativo che, come era noto anche al suo datore di lavoro, doveva lasciargli un certo spazio da dedicare ai suoi studi universitari. Date le premesse, l'entità del compenso da corrispondergli diventava un aspetto non determinante e comunque che avrebbe potuto essere definito in un secondo tempo.

Renato entrò nel negozio di pane e pasta ed altri generi alimentari ed intravide nel retrobottega, adibito anche ad ufficio, il signor Pisani che stava discutendo con un'altra persona. Fatto cenno alla commessa che era atteso dal titolare, rimase in disparte aspettando di essere ricevuto. Dal tenore della conversazione che solo in parte riusciva a percepire egli non ebbe difficoltà a capire che l'interlocutore del Pisani era un fornitore o un suo rappresentante venuto a sollecitare la liquidazione di fatture i cui termini erano da tempo scaduti. Vista così dall'esterno la circostanza poteva configurarsi in un disguido non imputabile al debitore oppure in una poco attenta gestione amministrativa; non era neanche da escludere infine che il pagamento non fosse stato volutamente eseguito applicando il famoso detto che "a pagare e a morire c'è sempre tempo".

In breve il sig. Pisani congedò il suo visitatore impegnandosi ad eseguire immediatamente il versamento di quanto dovuto ove non lo avesse già effettuato, come a lui sembrava di ricordare, non potendo al momento darne concreta dimostrazione.

Nell'entrare in quel pseudo-ufficio Renato sentì che il commerciante, piuttosto alterato, inveiva a voce alta nei confronti del figlio che, da quanto poteva arguire, non aveva provveduto al pagamento di quelle fatture oggetto del sollecito precedente, trattenendo ovviamente per sé quell'importo.

Il momento non appariva dei più opportuni per iniziare un eventuale rapporto di collaborazione; l'antipatico imprevisto non era certo attribuibile a Renato ma forse la circostanza anziché essere controproducente gli avrebbe potuto giovare. Infatti se, nonostante lo scatto di nervi, il sig. Pisani avesse riacquistato la freddezza e la serenità indispensabili per gestire razionalmente la sua azienda, egli avrebbe dovuto convincersi di avere effettivamente necessità di mettere ordine fra le sue carte. L'onere che avrebbe dovuto sopportare gli avrebbe evitato brutte sorprese analoghe a quella appena scoperta; lo avrebbe inoltre preservato da altri simili imprevisti già subiti in passato e da non escludere per l'avvenire. L'importante era trovare la persona giusta, avrebbe dovuto convenire con se stesso l'imprenditore!

Per nulla turbato dagli aspetti esteriori che aveva manifestato, senza alcun imbarazzo fece entrare Renato che, al contrario, si presentò con un certo impaccio. Mostrando il suo carattere ruvido il sig., Pisani senza preamboli entrò subito in argomento facendo comprendere al giovane quale fosse il clima presente nella sua Ditta.

La conversazione piuttosto scarna mise in luce la quasi totale assenza di cognizioni contabili da parte del commerciante con le conseguenze facilmente immaginabili. Emerse invece un senso pratico che suppliva ad un'organizzazione approssimativa della sua azienda che non era poi tanto modesta.

L'attività principale non era costituita infatti dalle vendite effettuate nel suo locale, ma dalla produzione di pane e generi affini che in un attiguo forno la Ditta Pisani confezionava e poi vendeva a molti negozi di Frascati e dei paesi limitrofi che approvvigionava ogni giorno. Da scaltro uomo d'affari, per massimizzare i guadagni il sig. Pisani aveva acquistato qualche anno prima anche una partecipazione in un molino non molto lontano, da cui attingeva la materia prima necessaria alla sua attività.

Renato nell'apprendere tutte queste notizie rimase molto sorpreso e soprattutto impressionato per come questo uomo, apparentemente modesto, piuttosto rozzo e sicuramente poco erudito, fosse riuscito e tuttora riuscisse a gestire un'attività che si articolava su diversi fronti e che per di più richiedeva un impegno costante ed insostituibile. Il suo epidermico senso di scarsa considerazione che si era fatto nei confronti dell'imprenditore al momento del primo impatto, nel volgere di pochi minuti si era completamente ribaltato. Il sig. Fausto Pisani era un uomo da non sottovalutare!

Con la mente sempre occupata dai tanti impegni che non doveva perdere di vista e considerato che su suo figlio non poteva fare molto affidamento, come dimostrato dal recente episodio, il sig. Pisani decise che l'aiuto di un giovane fresco di studi e di buona volontà, per di più figlio di un vecchio impiegato di banca che conosceva da anni, non potesse che essergli di giovamento. La collaborazione a tempo parziale e il suo status di studente universitario gli consentivano, anche se con qualche forzatura, di non considerarlo un dipendente della Ditta nel senso compiuto della parola e ciò significava risparmiare non pochi quattrini.

La sintesi di tutte queste argomentazioni si tradusse in un laconico: "ci vediamo lunedì mattina verso le otto, Renato. Avremo modo poi di chiarirci un pò meglio le idee; adesso devo sbrigare molti altri impicci che si accumulano sempre il sabato sera, arrivederci". "Arrivederci" rispose Renato piuttosto interdetto, ma comunque intenzionato e addirittura curioso di conoscere la reale situazione che si nascondeva dietro le insegne della Ditta Pisani.

Appena tornato a casa Renato raccontò a suo padre la sostanza dell'incontro che lui stesso gli aveva procurato, manifestandogli l'intenzione di dedicarsi con impegno al lavoro che avrebbe iniziato fin dal lunedì successivo, avendo intuito che la Ditta Pisani era in realtà molto più importante e ricca di quanto lasciasse trasparire il comportamento del titolare ed il modesto negozio di Via Matteotti.

"Buongiorno" disse Renato nell'entrare nell'ufficio-retrobottega il lunedì mattina. "Eccomi qui per iniziare il mio primo giorno di lavoro". "Buongiorno" rispose il signor Fausto, "vedo che sei puntuale. Per prima cosa ti prego di occuparti delle carte e delle scadenze che non mi danno pace. Più tardi andremo anche in Banca così ti farò conoscere. No, non in quella dove lavora tuo padre, in quell'altra, alla Cassa di Risparmio, anche lì ho un conto-corrente. A proposito dovrai seguire gli estratti conto delle Banche e le varie operazioni; io non ne ho il tempo. C'è poi da preparare le buste paga per i tre operai e la commessa, l'INPS, l'INAIL, l'INAM; quanti impicci. Anche la corrispondenza; a qualche lettera bisogna pure rispondere e poi le tasse............che casino!". "Un pò alla volta cercherò di sistemare tutti i vari impegni" rispose Renato, "l'importante è mettere le cose in ordine". "Quand'è che vuoi venire, la mattina o la sera?", lo incalzò il sig. Fausto. "Per ora anche tutto il giorno" proseguì Renato, "l'università non inizierà che dopo i morti".

Si tolse la giacca e cercò di fare un pò di spazio su quel tavolo adibito a scrivania ricolmo di carte. C'erano fatture pagate e da pagare, moduli di conto corrente postale in bianco, estratti conto di banca, ricevute, cartelle delle tasse, dépliants pubblicitari, ritagli di giornale, due o tre penne biro e una matita spuntata. Nei due cassetti erano stipati due registri a forma di rubrica telefonica, un paio di timbri con il relativo tampone, dei blocchetti per bolle di consegna, della carta carbone spiegazzata e tre blocchi per appunti ancora nuovi. Su un mobiletto di ferro ancorato al muro con dei bulloni era appoggiato il telefono ed i tre cassetti sottostanti erano chiusi a chiave. A ridosso della parete di fronte, dentro un armadio di legno a due sportelli, erano sistemati alcuni raccoglitori piuttosto sporchi e malridotti; nei ripiani più bassi si intravedevano fra le altre carte ingiallite due o tre elenchi telefonici che forse risalivano all'anteguerra. In un angolo, abbandonata per terra, si vedeva una macchina da scrivere di modello antiquato che Renato, influenzato da tutto quanto aveva visto, ritenne essere sicuramente guasta. A fianco, appoggiati sul pavimento, c'erano dei pacchi sigillati ricoperti di polvere.

Il sig. Fausto disse a mezza voce che doveva andare al mulino di corsa e prese posto sulla sua topolino-giardinetta che utilizzava per i suoi spostamenti ed anche come furgoncino tuttofare.

Rimasto solo, Renato si sentì quasi atterrito di fronte allo spettacolo che aveva sotto gli occhi. "Questo è il caos organizzato" mormorò fra sé. "Cercherò di mettere un pò d'ordine catalogando le carte secondo la loro natura. Tutte quelle non definibili o per me non comprensibili le raccoglierò da parte e le sottoporrò al sig. Fausto". Per far ciò sarebbero serviti dei raccoglitori e la macchinetta "bucatrice " per inserire i documenti in ordine. La curiosità lo spinse a vedere cosa c'era in quei grossi pacchi sigillati e si accorse con soddisfazione che erano proprio raccoglitori nuovi che avrebbe potuto usare. Dalla commessa dell'attiguo negozio seppe dove era nascosta la "bucatrice" ed ebbe anche in prestito la "cucitrice". Non restava che cominciare.

Dopo un paio d'ore era riuscito a suddividere tutte quelle carte ed iniziò ad inserirle nei raccoglitori avendo cura di indicare negli appostiti spazi la natura dei documenti contenuti e le date di riferimento. Successivamente tolse dall'armadio le carte più vecchie e ve le appoggiò sopra. Puliti con uno straccio i vari ripiani, sistemò i raccoglitori che aveva predisposto. Rispose anche a due o tre telefonate appuntando su un foglio il nome di chi aveva cercato il signor Fausto e la ragione della chiamata. Quando si sedette per riprendere fiato constatò con soddisfazione che la stanza aveva cambiato aspetto. La situazione sarebbe ancora migliorata nel primo pomeriggio quando insieme alla commessa, con la quale era già d'accordo, avrebbe fatto una radicale pulizia del locale. Aveva in animo di chiedere al signor Fausto il permesso di acquistare una scaffalatura da ancorare alla parete di lato per sistemare tutto ciò che era ancora in terra, un paio di sedie e un pò di cancelleria. Si era fatta l'ora di pranzo, aiutò la commessa ad abbassare la saracinesca ed un pò sudaticcio tornò ad infilarsi la giacca; constatò così che la sua camicia aveva subìto le conseguenze dell'attività svolta che, in verità, non poteva essere assimilata sotto ogni punto di vista a quella del ragioniere.

"Per oggi è andata così, poi si vedrà" rimuginò fra sé. Del resto se un tipo come il signor Fausto era entrato nell'ordine di idee di assumere un aiutante vuol dire che anch'egli si era arreso all'evidenza. Piuttosto né lui né i suoi figli si erano visti. Dalle tre alle quattro del pomeriggio pulirono a fondo tutta la stanza: le pareti, le finestre, il lampadario ed il pavimento. Chi fosse entrato allora ed avesse conservato in mente la situazione precedente avrebbe stentato a riconoscere il locale che stava assumendo la somiglianza di un ufficio. Quando verso le cinque sbucò trafelato ed inquieto il signor Fausto, nonostante il suo stato d'animo contrariato non poté fare a meno di prendere atto con soddisfazione di quanto era riuscito a fare in poche ore il giovanotto nel suo primo giorno di lavoro. Renato gli fece presente la necessità di chiarire con lui molti aspetti e varie scadenze rilevate dalla lettura delle carte, gli propose anche di acquistare quelle poche cose che gli sembravano indispensabili per dare un minimo di funzionalità all'ufficio. Ottenne il placet per gli acquisti ed un vago rinvio per il resto.

Si vedeva chiaramente che il signor Fausto aveva altro a cui pensare. Si trattava di dare soluzione alla inderogabile esigenza di assicurare la panificazione della notte successiva e poi, anche se con meno affanno, di quelle a venire per almeno dieci dodici giorni. Il fornaio si era ammalato, suo figlio che lo aiutava non ne voleva sapere di lavorare da solo; in quanto a sua figlia, neanche a parlarne. Se non gli fosse pervenuta la comunicazione telefonica che aspettava con una certa trepidazione, tramite la quale avrebbe dovuto ricevere la conferma della disponibilità di un altro fornaio, sarebbe toccato a lui rimboccarsi le maniche. La panificazione giornaliera non poteva essere interrotta per nessuna ragione. Renato comprese la sua preoccupazione e la circostanza lo fece riflettere. Da sempre aveva dato per scontato che ogni mattina, entrando in un negozio di alimentari, fosse naturale trovare a sua disposizione pace fresco e profumato o pizza fragrante. Non aveva mai pensato e preso in considerazione che prima di poter addentare quel ben di Dio fosse necessario lavoro, sacrificio ed una organizzazione efficiente per produrre quell'alimento insostituibile che però deve essere puntualmente e quotidianamente confezionato.

La serata si stava avviando al termine quando arrivò l'attesa comunicazione che rasserenò un pò l'animo del signor Fausto. Passato lo stato di apprensione, si dichiarò disposto a dare qualche spiegazione senza le quali Renato non sarebbe stato in grado di sviluppare il suo lavoro. Quell'imprevisto positivamente superato aveva fatto comprendere a Renato che in effetti le chiacchiere diffuse in città non erano del tutto campate in aria. Egli aveva capito che la figlia del signor Fausto non intendeva minimamente partecipare alla gestione dell'azienda. Evidentemente consapevole delle disponibilità economiche e del buon giro d'affari che suo padre era riuscito a realizzare con il suo lavoro, aveva scelto di rimanere in casa vicina alla mamma secondo una tradizione ormai superata. Il figlio, giovane venticinquenne, non era riuscito o non aveva voluto fino ad allora ritagliarsi un suo spazio nell'azienda paterna né aveva conseguito un titolo scolastico o professionale che gli permettesse di intraprendere un'occupazione diversa da quella che si trovava bella e pronta a casa sua, nell'ipotesi che quel tipo di attività non gli piacesse. Come capita più spesso di quanto si possa immaginare, i frutti del lavoro e dell'intraprendenza di un padre non vengono raccolti dai figli, che vorrebbero godere soltanto del benessere prodotto senza mettere al servizio dalla causa comune la loro personale disponibilità.