Due vite parallele |
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L'ESSERE E L'APPARIRE |
di Enrico
Gilardoni |
Capitolo XXVI
A prescindere dalle insoddisfatte aspirazioni di Giulio,
il tempo, inarrestabile, continuò a scorrere macinando giorni e mesi.
Benedetta e Renato erano adesso più affiatati; mentre la prima non aveva
più sollevato critiche od obiezioni alle iniziative di suo marito, lui aveva
avuto il buon gusto di non farle rimarcare come la loro invidiabile situazione
economico-patrimoniale fosse il frutto del suo costante lavoro e di scelte
gestionali quasi tutte vincenti ma
spesso da lei non condivise. Fra l’altro, il suo progressivo distacco
dall’ufficio permetteva ai due coniugi di trascorrere spesso qualche ora insieme. Benedetta si sentiva gratificata
dallo spazio che suo marito le riservava e aveva modo di toccare con mano, in molte occasioni, in quale eccellente
considerazione fosse tenuto il suo uomo. In questo contesto era inevitabile
ripercorrere con la mente gli anni passati e far riemergere dalla memoria
vicissitudini e circostanze che ambedue avevano condiviso. L’averle sapute
affrontare e superare li riempiva di soddisfazione. Renato, ancora più
obiettivo e rigoroso di sua moglie nel commentare questi ricordi, poneva
l’accento sulla buona sorte che, a suo parere, l’aveva sempre assistito.
“Tu sei sempre portato a minimizzare i tuoi meriti”, gli
faceva osservare Benedetta; “chiami in causa fati ed occasioni che ti hanno
favorito, come se, sistematicamente, il tuo angelo custode fosse stato lì a
trarti d’impaccio. Infatti, se la ben nota facoltà del libero arbitrio,
chiamata in causa anche dalla teologia, colpevolizza il peccatore che ‘con
deliberato consenso’ infrange la legge morale, allo stesso modo la medesima
libertà di operare liberamente testimonia che hai saputo affermarti solo grazie
alle tue capacità”. “Beh, beh, non la mettere sul filosofico”, le rispondeva
Renato; “il solo merito che mi riconosco è quello di aver sempre lavorato sodo
con dedizione senza aver ricevuto alcun aiuto da nessuno, pagando il successo a
caro prezzo. Non ho neanche approfittato delle difficoltà altrui e pertanto
sono tranquillo e contento di godere dei frutti che ho coltivato. Non è
escluso, peraltro, che possa sopraggiungere una brutta crisi come tanti anni
fa: allora addio opulenza!”, esclamò
sorridendo, certo di essere al sicuro. “Tornerei ad essere di nuovo come
ero allora, con scarse disponibilità, tanta voglia di lavorare, ma con la
medesima limpida franchezza di oggi”. “Già, la franchezza…”, lo interruppe
Benedetta; “alle volte l’adoperi a sproposito, tanto da indisporre il tuo
interlocutore”. “Ci risiamo”, ribatté
Renato; “lo sai che non so fingere e sai anche quanto la mia filosofia
esistenziale sia diversa da quella corrente. Te l’ho ripetuto tante volte. Per
le cose banali o ininfluenti non entro nel merito. Di fronte ai fatti
essenziali non riesco a tradire il mio spirito. Anche se volessi fare violenza
a me stesso, chiunque lo capirebbe dalle mie reazioni esteriori non
dissimulabili. Allo stesso modo io mi rendo conto che chi mi parla è una
persona che recepisce ed apprezza la mia estrema sincerità. Sono consapevole di
apparire in qualche occasione antipatico o addirittura brutale… ma tant’è. E’
fin da quando ci siamo incontrati che ho manifestato la mia autentica natura e
tu lo sai bene; di tanto in tanto scopri che sono fatto così e nasce la polemica. Anche tu allora non
apprezzi la mia franchezza!”.
“No. Non è questo che volevo sostenere”, rispose
Benedetta; “non dire sciocchezze, Renato. Ti ripeto soltanto che, a mio parere,
un po’ di diplomazia non guasta”, soggiunse conciliante vedendo che
l’espressione del viso di suo marito si era fatta severa. “Ora, comunque, non
cambiare umore. Gustiamoci il pranzo che stiamo per consumare”. Avevano nel
frattempo raggiunto l’ingresso del ristorante in cui erano soliti recarsi e
stavano per varcarne la soglia quando scorsero Giulio che stava passando a
pochi passi da loro.
“Giulio, Giulio”, Renato richiamò la sua attenzione.
L’uomo, che sembrava preso dai suoi pensieri, girò lo sguardo verso di loro e
rispose al saluto avvicinandosi. “Buongiorno, signora Morelli, caro Renato,
come state? Ho piacere di vedervi, ero soprappensiero, non mi ero accorto della
vostra presenza”. “Noi stiamo bene e tu?” “Non c’è male, grazie”.
“Se non hai impegni urgenti”, gli propose Renato, “vieni
con noi a pranzo; dei nostri amici, insieme ai quali avremmo dovuto mangiare,
hanno avuto un contrattempo. Il caso ci ha fatto incontrare, non perdiamo
questa occasione…. Via, non tergiversare”,
insisteva Renato. “Da soli, alla nostra età, non si hanno molte cose da
dirsi. Facci compagnia”.
“Sei molto gentile, come al solito. Dovrei arrivare qui
dietro alla sede di Tele Frascati. Fa lo stesso, con una telefonata dal
ristorante me la sbrigo. Tante grazie, sono onorato del vostro invito. Avere il
piacere di stare un po’ insieme ad un amico di vecchia data come te è
un’occasione da non perdere. Lo sa, signora, che è dai tempi delle scuole medie
che conosco suo marito? E’ una vita. Renato è sempre stato un ragazzo
eccezionale. Ora poi è un VIP nel significato più completo del termine”.
“Su, su, Giulio, non ti profondere in complimenti che non
merito. Mia moglie mi conosce bene e sa anche che tu sei sempre troppo
generoso”.
Nel frattempo avevano preso posto ad un tavolo e, in
attesa di essere serviti, continuarono a discorrere del più e del meno. Come
era naturale, nel dialogare accennarono alla loro attuale attività.
“Caro Giulio”, iniziò Renato, “come ti ho già detto tempo
fa, ora io mi diletto nel ruolo del supervisore, del suggeritore, se preferisci.
I miei clienti, a forza di interpellarmi, di voler conoscere i miei pareri su
potenziali opportunità economico-finanziarie che si presentano nel circondario,
mi hanno fatto calare nel ruolo e così lo svolgo anche nell’ambito della mia
azienda. Ti confesso che, specie quando tratto i miei affari, sono un po’
superficiale, un po’ per pigrizia, un po’ perché mi affido troppo al mestiere e
qualche volta la pallina non va in buca…. In questi casi ho imparato a perdere
con serenità, come fanno i veri sportivi e prendere le vicissitudini della
nostra esistenza con una buona dose di umorismo anglosassone. Ho sempre cercato
di uniformarmi a quella linea di condotta anche tanti anni fa, quando per me
era effettivamente doloroso digerire certi bocconi amari che il lavoro mi
propinava”.
“Tu sei sempre stato un saggio”, gli rispose Giulio. “Hai
avuto poi la fortuna di sposare una donna eccezionale”, aggiunse per esternare
il suo apprezzamento a Benedetta che stava ascoltando il loro dialogo. “La tua
forza d’animo, mi par di capire, ha fatto il resto. La mia natura è molto
diversa dalla tua. Senza spingersi in analisi delle rispettive individualità”,
continuò Giulio, “ciascuno di noi è in
buona misura condizionato dalla sua indole. Proprio recentemente, dopo le
ultime delusioni originate dall’ostilità riservatami dai nuovi proprietari di
Tele Frascati, ho provato a distrarmi, ho partecipato a una lunga crociera nei
mari tropicali. Ero libero, indipendente. Avrei voluto sbizzarrirmi senza
remore, ma non è andata così. Mi sentivo frenato, inibito: tante cose che solo
qualche anno fa mi avrebbero entusiasmato, mi lasciavano indifferente, è stata
una sorpresa per me stesso”.
“Possono capitare a tutti dei momenti di depressione, di
abulia”, intervenne Benedetta, “ma poi, rimossa o superata l’origine delle
amarezze, si torna ad essere sé stessi. Nel suo caso non è forse ancora
riuscito a superare questo stato di
disagio presente nel suo animo”. “In
teoria dovrebbe essere così”, le rispose Giulio; “temo però che la crisi che mi
opprime abbia radici più profonde. Se non riesco a manifestare la mia carica
interiore, mi sento emarginato. La mia posizione presso la precedente gestione
di Tele Frascati, dopo tanti anni di carriera diplomatica, costituiva in una
certa misura una valida alternativa.
Venuta meno anche questa opportunità, non mi sento più realizzato”.
“Ho capito perfettamente il suo intimo travaglio”,
interloquì di nuovo Benedetta, “ma lei, dottor Consalvi, è una persona
brillante, con preziose esperienze; troverà certamente una posizione confacente
alle sue aspettative, se non qui a Frascati, a Roma o altrove. Potrebbe
diventare un ottimo P.R. (addetto alle pubbliche relazioni) di una grande
industria, oppure il capo di un ufficio stampa”.
“La ringrazio per le capacità che mi attribuisce,
signora. In teoria sembra più facile di quanto non lo sia effettivamente”.
Il pranzo continuò fra una chiacchiera e l’altra e, alla
fine, Giulio si congedò dilungandosi in complimenti e dichiarando di voler
quanto prima ricambiare l’invito. Tutti e tre i commensali si salutarono e
ciascuno prese la propria strada: Renato quella del suo ufficio, Benedetta
quella che la portava a fare compere; Giulio, infine, non aveva una meta
precisa. Doveva attendere l’inizio del passeggio serale per avere l’opportunità
di incontrare qualche amico ed arrivare all’ora di cena.
Più tardi Benedetta, nel commentare il fortuito incontro
ed il pranzo consumato insieme a Giulio, manifestò a suo marito le impressioni
che aveva tratto dal colloquio intrattenuto con quell’uomo a lei ben noto, ma
con il quale non aveva mai avuto l’occasione di dialogare.
“Mi sembra un po’
strano il tuo amico; afferma di sentirsi deluso ed emarginato. Per quanto ne so
e da quanto tu stesso mi hai raccontato, anche in quest’ultima vicenda di Tele
Frascati è stato il suo comportamento a metterlo fuori gioco”. “Sembra che le
cose stiano proprio così”, le rispose Renato. “Secondo il suo abito mentale,
egli rivendica per sé stesso un altro metro di valutazione. Le prerogative che
si era autoattribuite ed il suo spregiudicato, ipocrita modo di atteggiarsi in
una struttura, già di per sé molto eterogenea come quella che costituisce una
rete televisiva, gli avrebbero dovuto essere consentite anche dal nuovo proprietario. Giulio non ha
minimamente preso in considerazione che il suo modo di fare era inaccettabile e
soprattutto che le sue manie di grandezza avrebbero condotto al fallimento in
tempi brevi anche chi lo aveva evitato subentrando con nuovi capitali nella
precedente gestione. E’ chiaro che il tuo lineare modo di ragionare lo abbia
messo in difficoltà. Per sentirsi realizzato, come sostiene lui, non si
accontenta di un normale lavoro consono alle sue attitudini e alle sue
capacità; egli desidera essere al centro dell’attenzione e titolare di qualche
privilegio che lo facciano apparire più in vista degli altri”.
Il dialogo fra i coniugi ebbe termine senza ulteriori
approfondimenti.
L’approssimarsi dei mesi estivi suggeriva l’opportunità
di premunirsi in tempo per programmare le vacanze. La consultazione di svariati
dépliants pubblicitari orientò i signori Morelli a scegliere di trascorrere
15/20 giorni del prossimo luglio in un residence di una ben nota località della
Calabria gestito da un esclusivo Club, rigorosissimo nel selezionare i propri
clienti grazie all’alto prezzo richiesto ed anche seguendo criteri che di fatto
escludevano la partecipazione di chi non era introdotto da altri soci di sicuro
affidamento. In effetti la spesa, non indifferente anche per dei benestanti
come i signori Morelli, riservava, almeno sulla carta, un trattamento quanto
mai raffinato sotto ogni punto di vista. Il fascicoletto illustrava che il
complesso alberghiero si affacciava sulla costa Jonica della Calabria e, pur
essendo situato su un’altura coperta da alberi, era a due passi dal mare,
raggiungibile in pochi minuti con un minibus del club che faceva continuamente
la spola fra la spiaggia e la cima del colle. Nel parco dell’albergo, fra i
giardini, c’erano a disposizione degli ospiti due piscine con trampolino, un
mini-golf e i tradizionali campi da tennis. Si poteva inoltre accedere ad un
vicino maneggio per fare lunghe cavalcate nelle campagne circostanti.
Ovviamente non mancava la pista da ballo che però veniva chiusa,
improrogabilmente, alle ore 23 per non disturbare il riposo dei villeggianti.
“Quest’anno, prima vedremo cosa ci riserva effettivamente
il sud, poi torneremo come di consueto sulle Dolomiti”, disse Benedetta. “Vorrò
vedere come te la cavi a cavallo! Non so se mi avventurerò in groppa a un
quadrupede”, le rispose Renato; “resta il fatto che sul posto ci sono i famosi
“animatori”, che, oltre a svolgere il proprio ruolo, assistono i clienti del
club”. Vedremo, vedremo, tra due mesi ne sapremo di più!”
La routine quotidiana macinò rapidamente quel breve
spazio di tempo che li separava dalle ferie estive.
Il cinque luglio Benedetta e Renato si imbarcarono
all’aeroporto di Fiumicino per raggiungere, dopo neanche un’ora di volo,
Lametia Terme. Quasi sotto l’aereo, un pulmino dell’albergo dove erano diretti
era in attesa per condurli al residence insieme ad altri vacanzieri appena
arrivati. La sera stessa, dopo cena, nel godersi il fresco sotto gli alberi non
lontano dalla pista da ballo, Renato fu colpito dal tono di una voce che era
certo di riconoscere ma che non riusciva ad attribuire alla persona che l’aveva
emessa. Incuriosito, si avviò insieme a Benedetta nella direzione da cui
perveniva. Raggiunta la pista, riconobbe Giulio, che fungeva da disk-jockey e,
nello stesso tempo, corteggiava a modo suo una signora non più giovanissima e
piuttosto vistosa, che, dal suo atteggiamento, dimostrava di non disdegnare le
attenzioni che Giulio le riservava. Dandosi di gomito reciprocamente, Benedetta
e Renato, riavutisi dalla sorpresa, iniziarono a seguire, non visti,
l’intraprendenza del loro amico, che, di tanto in tanto, quando il suo ruolo di
intrattenitore glielo consentiva, scendeva in pista ad ancheggiare piuttosto
goffamente insieme alla sua dama. Con
la sua ben nota verve, presentava via via i dischi in programma e le
musiche più richieste facendo sfoggio della sua pronuncia anglosassone che
forse egli riteneva bastasse a supplire al suo charme ormai decaduto. Sta di
fatto che allo scoccare delle ore 23, dichiarando chiusa la serata danzante,
Giulio ricevette un buon applauso dai partecipanti che egli, raggiante,
ricambiò con innumerevoli inchini e molti galanti baciamano alle signore più
vicine.
Incamminandosi verso la loro camera, Renato disse a sua
moglie: “Hai capito com’è effettivamente il nostro amico! Il caso ha voluto che
tu lo osservassi dal vivo. Non si vuol arrendere. Chi avrebbe mai pensato di
incontrarlo qui!”. “Si, si, è proprio come dici tu”, gli rispondeva Benedetta.
“In fin dei conti, non fa male a nessuno; se staremo attenti a non incrociarlo,
vedremo, non visti, cosa combinerà nei prossimi giorni. Svolgendo questa
attività, ha trovato il modo di realizzarsi”. Il sonno pose fine ai loro
commenti.
L’indomani mattina decisero di recarsi alla spiaggia
sottostante ma ben presto furono costretti a far ritorno in albergo. A livello
del mare spirava un teso vento caldo da sud-est che spingeva grosse onde
impedendo di fare il bagno. Non volendo rinunciare ad una nuotata, optarono per
la piscina. Nell’avvicinarsi alla vasca, scorsero la sagoma di un uomo che, dal
livello più basso del trampolino, stava lì lì per tuffarsi, ma di fatto, gesticolando e parlando con gli
altri bagnanti, rimandava la sua esibizione. Alla fine, dopo molti
tentennamenti, chiudendosi le narici con due dita di una mano, si lasciò cadere
pesantemente nell’acqua come un sacco di patate, suscitando l’ilarità di tutti.
Anche Benedetta e Renato, ormai giunti sul bordo della piscina, non poterono
trattenere le risa. Giulio riemerse e, risalito, si infilò l’accappatoio,
soggiungendo a voce alta: “Questo tuffo mi è riuscito male; domani vi mostrerò
il mio stile!”. “E’ ancora lui”, esclamò Benedetta; “questa volta l’esibizione
gli si è ritorta contro. Se avesse saputo che anche noi eravamo fra gli
spettatori si sarebbe sentito ancor più a disagio”. “Non lo conosci bene”, le
rispose Renato; “anche nelle circostanze più ostiche egli riesce sempre a
trovare un appiglio o un pretesto non per giustificarsi, ma per sostenere la
sua ostentazione. Il principio va sempre salvaguardato! Aveva scelto bene a
fare il diplomatico, peccato che abbia superato i limiti”.
Come se non bastasse,
nel pomeriggio gli capitò un secondo infortunio. Organizzò una cavalcata
nelle campagne vicine montando uno dei cavalli dell’attiguo maneggio. Durante
il percorso, cercò di mettersi in evidenza non conoscendo la più elementare fra
le regole che un cavaliere non deve mai dimenticare: il cavallo, fin dal primo
approccio, percepisce se chi lo monta è uno del mestiere o è un principiante.
Fu così che nel superare un fossato Giulio volle dimostrare la sua presunta
valentia anche in quello sport. In quell’occasione il cavallo, già
innervositosi a causa di precedenti intemperanze del suo cavaliere, perse la
pazienza e, con uno scarto improvviso, lo disarcionò facendolo cadere
pesantemente a terra. La botta non fu lieve ed il fisico di Giulio, un po’
appesantito, accusò il colpo, tanto che l’accompagnatore del maneggio, subito
accorso, ritenne opportuno tornare indietro al passo, facendolo sistemare sul
suo cavallo mentre lui si mise in sella del cavallo che aveva fatto cadere
Giulio.
La sera stessa gli esiti degli esami radiografici
scongiurarono guai maggiori al di là di una forte contusione e di una seconda
figuraccia che quel giorno, veramente poco propizio per lui, gli aveva
riservato. In un batter d’occhio tutta la comunità venne a conoscenza
dell’incidente capitatogli e molti la sera a cena lo salutarono e si
complimentarono per lo scampato pericolo. Altri ai complimenti aggiunsero di
usare una maggiore prudenza. Parole che, tradotte, volevano significare: chi
ama ad ogni costo essere protagonista
può correre questi rischi.
Il giorno successivo, all’ora di pranzo, com’era del
resto inevitabile, Benedetta e Renato incontrarono Giulio. “Anche voi ospiti
del residence”, esclamò; “che piacere avervi qui. Prendiamo l’aperitivo e
pranziamo insieme. Devo ancora ricambiare il vostro invito della primavera
scorsa”. “Anche a noi fa piacere
esserci ritrovati”, gli rispose Benedetta”.
“Quanto agli inviti”, soggiunse Renato, “abbiamo già tutti
abbondantemente pagato la nostra permanenza in questo posto effettivamente
molto accogliente”. “No, io no”, precisò Giulio. “Ho sottoscritto una
convenzione con i proprietari. Una specie di baratto. Vitto e alloggio in
cambio delle mie prestazioni di animatore per intrattenere gli ospiti in varie
attività. Ho seguito in certo qual modo il suo consiglio, signora Benedetta.
Curo le pubbliche relazioni per conto di questa Società che ha in gestione in
varie località turistiche alcuni complessi residenziali. Domani mattina presto,
infatti, mi trasferirò sulle Dolomiti; poi sarà la volta delle isole Eolie”.
“Ha trovato la soluzione giusta per combattere la insoddisfazione che
l’angustiava”, gli rispose Benedetta. “In parte, solo in parte. Gli ospiti e le
ospiti non sono sempre gentili e simpatici come voi….”, ribatté Giulio. “Anche
se ho un certo margine di discrezionalità,
sono sottoposto a vincoli che non mi permettono di esternare in pieno e
liberamene quello che ho dentro…. Spero vada meglio in autunno. Ho un contratto
con un’organizzazione internazionale che cura le sfilate dell’alta moda. A
proposito, signora Benedetta, se vorrà concederci l’onore di partecipare…. A Parigi,
soprattutto, mi dicono che è veramente
entusiasmante. Un ambiente esclusivo, d’élite, top models,, nobildonne
managers, stampa specializzata, ecc. ecc… “Valuta pregiata che corre”, interloquì
Renato forse per deformazione professionale; “anche le tue prestazioni
saranno ricompensate adeguatamente, ritengo.” “A te, Renato, che sei un vero
amico, lo posso confessare senza arrossire. Mi daranno vitto e alloggio. Come
qui!”
Il pranzo volgeva al termine e, considerata l’imminente
partenza di Giulio, tutti e tre si salutarono con calore.
“Si ricordi delle sfilate d’autunno, signora Benedetta,
mi farebbe un regalo se partecipasse…”
Nell’avviarsi verso la loro camera per il riposino
pomeridiano, Renato trasse le conclusioni: “Cara Benedetta, a mio parere siamo
alla resa dei conti. Giulio sente che gli sta franando il terreno sotto i
piedi. Non è più un giovanotto. Non ha famiglia, ha compromesso una brillante
carriera, ha dilapidato un patrimonio, alla fine gli hanno tolto anche le
apparizioni in video che si era comprato. Ora va elemosinando una qualsiasi
marginale partecipazione purché si svolga nell’ambiente e fra le persone che
predilige. Il look, l’esteriore, i salotti, le circostanze in cui può mostrarsi
lo attraggono inesorabilmente. L’ultima disarmante confessione ne è la prova
più evidente. Mi sono convinto che sia rimasto il giovanottino viziato di tanti
anni fa. Alcuni individui non diventano mai uomini nel senso più completo del
termine”, proseguì Renato. “Restano degli immaturi che neanche i capelli
bianchi e le vicissitudini trascorse hanno fatto crescere interiormente”.
“Oltretutto”, aggiunse Benedetta,
“penso che l’aspetto che gli brucia di più sia quello di toccare con
mano come nella sua città, dove un tempo era riverito, ora tutti lo ignorino.
Ricordo che tu mi dicevi che i signori Consalvi erano fra le famiglie più in
vista ed io stessa ho potuto constatare quale fosse la considerazione in cui
erano tenuti, nonostante il loro atteggiamento non sempre consono alla loro
posizione. Una persona normale, intelligente e dotata di una buona cultura come
lui non avrebbe avuto difficoltà a mantenere quella reputazione che i suoi si
erano guadagnata. La smodata, insopprimibile necessità di ostentare, la sua
pretesa di fare e ottenere ciò che alla gente comune non è consentito, lo ha progressivamente
annientato. Per quello che posso constatare direttamente, ora si sono capovolte
le parti: tu, Renato, sei ‘l’essere’, Giulio non è più neanche ‘l’apparire’
“!