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Due vite parallele |
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L'ESSERE E L'APPARIRE |
di Enrico Gilardoni |
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CAPITOLO
XVI Giulio, indiscusso protagonista nell’ambiente del Jet
set diplomatico di Montevideo, emulando lo stile non troppo ortodosso di
qualche altro collega e sfruttando la sua posizione, si sentiva in diritto di
ignorare o evitare i vincoli o gli obblighi che i regolamenti di ogni Paese
impongono ai propri cittadini. Questa specie di immunità che si era
autoattribuito lo gratificava doppiamente, sposandosi con la sua megalomania.
Si sentiva al di sopra degli altri, costretti al rispetto di norme e
disposizioni che lui scavalcava bellamente,
godendo inoltre degli affetti pratici che tale privilegio gli procurava.Come
se non bastasse, amava ostentare come uno status-symbol questa sua posizione
che gli faceva acquisire prestigio e, come c’era da attendersi, veniva da lui esibita anche per
ingraziarsi il gentil sesso. Dimenticando le gravi conseguenze che si era
procurato a seguito delle sue
sciagurate precedenti imprese amatorie, si era di nuovo imbarcato in una
relazione con una giovane uruguayana appartenente, manco a dirlo, ad una
famiglia bene di Montevideo. A differenza dell’altra volta, Isabella era
presente e, pur non avendo recepito per ora alcuna avvisaglia, vigilava con
discrezione, decisa a farla pagar cara a suo marito ove avesse avuto le prove
inconfutabili di un nuovo tradimento. Ad
intralciare il suo stato di allerta intervenne però la necessità di
rientrare a Roma per star vicina a sua madre, che non riusciva a riprendersi
da un grave stato di depressione che ormai da tempo la perseguitava. L’imprevisto
ovviamente non dispiacque a Giulio, che, recitando sapientemente, si dichiarò
addolorato per il distacco mentre in cuor suo intravedeva la possibilità di
muoversi più liberamente in assenza di sua moglie. Egli non aveva tuttavia
valutato appieno il valore dell’ultimatum che Isabella gli aveva intimato a
conclusione della scabrosa precedente vicenda di Kampala. La determinata
volontà di Isabella a non essere mai più ingannata si era ulteriormente
rafforzata, sia perché era pervenuta nella convinzione che suo marito fosse
un dongiovanni impenitente, sia perché aveva riscontrato nei suoi
atteggiamenti una qualche analogia con quelli già tenuti a Kampala. Prima di lasciare Montevideo aveva pertanto dato
incarico ad un’agenzia di investigazioni di predisporre opportuni, discreti
pedinamenti nei confronti di Giulio. Affinché la sorveglianza fosse davvero
accurata, Isabella non badò a spese. Propose addirittura di riconoscere un
premio all’investigatore che le avesse documentato in modo incontrovertibile
la dimostrazione della infedeltà di suo marito. Inoltre chiese di essere
settimanalmente informata, tramite telefonate intercontinentali a suo carico,
sulla condotta di Giulio. Più di tanto non poteva fare ma era fermamente
decisa a non subire più. La sua partenza, che in un primo momento le era
apparsa quanto mai inopportuna, avrebbe potuto forse divenire lo strumento
per smascherare definitivamente lo squallido comportamento del suo uomo. Meglio
giungere alle estreme conseguenze piuttosto che condurre una vita di sospetti
o accettare dei soprusi che qualsiasi donna di sani principi non avrebbe
tollerato. Se queste erano in sommi capi le misure messe in atto da una
moglie decisa a tutto, anche Giulio aveva preso le sue brave contromisure. Prima
di iniziare quest’ennesima avventura, egli si era ripromesso di agire con
ogni precauzione per evitare di incorrere nelle spiacevoli conseguenze ben
note. “Finora, tranne che con mia moglie, mi è andata bene. I miei patemi
d’animo si sono poi dissolti senza conseguenze evidenti. Non so però se al
Ministero ci sia qualche rapporto riservato, opportunamente ignorato per
ragioni di immagine. Dovrò essere sempre più attento a rinunciare a qualche
piacevole incontro pur di dimostrare a tutti di essere al di sopra di ogni
sospetto”. Opportunista com’era, fece intendere alla sua amica che la estrema
circospezione con cui dovevano muoversi era un atto di grande rispetto verso
la sua reputazione e che quindi non doveva originare sentimenti di gelosia. La
sua prudenza, però, non aveva messo nel conto le iniziative prese da
Isabella. Salvate le apparenze, mimetizzava a dovere gli incontri con
l’avvenente Francesca, di norma programmati fuori Montevideo; resi sporadici
i contatti verbali spesso effettuati da posti telefonici diversi, egli non
riteneva di essere osservato e seguito quasi ininterrottamente. Gli
investigatori hanno poi una serie di informatori i quali, nello svolgere le
loro occupazioni, possono fornire utili ragguagli ai detectives, sulle mosse
delle persone poste sotto controllo. Fra costoro c’erano anche alcuni
dipendenti dell’aeroporto di Montevideo, che, dietro compenso, non esitavano
a elargire preziose notizie sulle persone da tenere d’occhio. L’aeroporto, si
sa, è un passaggio obbligato per chi in tempi brevi si vuol recare in un’alta
città. Proprio da quel posto nacque la prima segnalazione all’agenzia di
investigazioni. Giulio era stato visto imbarcarsi su un volo delle linee
interne diretto a Punta del Este, considerata la spiaggia più “in” di tutto
l’Uruguay. Gonzales, il detective incaricato di sorvegliare Giulio, ebbe così
la prima imbeccata. Poiché la partenza era avvenuta nella serata di un
venerdì e la località marina era raggiungibile dopo neanche un’ora di volo,
era facile arguire che Giulio aveva programmato un piacevole week-end al mare
con la sua amica. Per avvalorare questa ipotesi occorreva avere dei
riscontri. Per ora era sufficiente attendere la successiva domenica sera
l’arrivo del volo da Punta del Este o il lunedì mattina, quando un altro
aereo avrebbe riportato a Montevideo i pendolari settimanali del mare. In quella circostanza Giulio aveva optato per la prima
alternativa; la successiva domenica sera fu visto infatti all’aeroporto
transitare per l’apposito varco, mescolato a tante altre persone. Fra queste
c’era anche Francesca? Impossibile dare una risposta. Il detective Gonzales
non conosceva la fisionomia della ragazza ed inoltre, ammesso che fosse
presente, mescolata fra un numerosissimo gruppo di viaggiatori, era difficile
individuarla con certezza. L’unico riscontro certo era costituito dall’aver
osservato che Giulio non era accompagnato da nessuno, almeno apparentemente. L’esperienza
maturata nel suo lavoro e il fiuto che dovrebbe avere ogni investigatore
suggerivano al detective di tenere sotto osservazione Giulio per scoprire se
anche nel fine settimana successivo si sarebbe recato a Punta del Este. Se il
viaggio si fosse ripetuto era quasi certo che gli incontri amorosi si
svolgevano in quel periodo estivo lontano da Montevideo e quindi lontano da
occhi indiscreti. Sarebbe stato opportuno pertanto conoscere in anticipo se
Giulio si fosse di nuovo imbarcato il venerdì successivo. In caso affermativo
occorreva precederlo senza perderlo mai di vista. In quella località balneare
tutto sarebbe stato più facile rispetto ad una grande città come Montevideo. Grazie
alla compiacenza del personale dell’aeroporto, il detective venne a sapere il
successivo giovedì che il nome del signor Giulio Consalvi figurava nella
lista d’imbarco per il volo delle diciassette e dieci del venerdì diretto a
Punta del Este. Senza pensarci due volte, Gonzales prenotò un posto sul volo
precedente per mettere in atto il piano che aveva concepito nella sua mente. Giunto
a destinazione con oltre tre ore di anticipo, ingannò l’attesa cercando
di prefigurarsi quello che avrebbe
potuto accadere di lì a poco e che lui avrebbe dovuto documentare in modo
inconfutabile. Giulio sarebbe arrivato già in compagnia della sua
amica? L’incontro sarebbe potuto avvenire nell’albergo dove Giulio aveva
alloggiato durante il week-end? Gonzales dava per scontato che Giulio,
nonostante fosse lontano da Montevideo, fosse quanto mai all’erta; doveva
pertanto agire con la massima circospezione. Se il suo uomo si fosse reso
conto di essere sorvegliato tutto il piano sarebbe fallito e con esso il
ragguardevole compenso pattuito. Per dissimulare la sua presenza e mutare le
sue sembianze, nella valigia aveva gli arnesi del mestiere: baffi e barba
finti, un cappello a larghe falde, bretelle appariscenti, pantaloni lunghi e
shorts, camicie di colori diversi ed ovviamente due macchine fotografiche ed
una cinepresa con ampia riserva di pellicole da impressionare. Stava ancora
seguendo i suoi piani quando l’altoparlante annunciò l’arrivo del volo
proveniente da Montevideo. Durante la stagione balneare i collegamenti sono
frequenti e gli aerei viaggiano tutti al limite della capienza. La prima cosa
da fare era quella di individuare Giulio e di non perderlo mai di vista,
seguendolo discretamente fino all’albergo dove presumibilmente avrebbe
pernottato. Per non essere preso alla sprovvista, si installò in un taxi,
pregando l’autista di posizionarsi in modo da poter controllare i passeggeri
che via via uscivano dall’aerostazione ed essere pronto a seguirli sia che si
fossero allontanati a piedi o con una macchina. Tra i primi ad uscire, ecco
Giulio. Lo riconobbe subito. Era solo e aveva in mano una valigia di piccole
dimensioni e nell’altra la giacca che si era tolto per attenuare il gran
caldo che anche a quell’ora serale era ancora molto intenso. Fece cenno ad un
taxi per essere condotto ad una destinazione che ovviamente il detective
ignorava. Anche il taxi con a bordo Gonzales lo seguì e, raggiunto un
quartiere semicentrale della cittadina balneare, le due automobili si
fermarono davanti all’albergo a quattro stelle “La Conchiglia”. Giulio scese
disinvolto senza nulla sospettare, pagò la corsa e si diresse alla reception
con la sua valigia. Il detective attese senza scendere dal taxi che le
operazioni di ingresso fossero terminate e poi si introdusse anche lui
nell’albergo, dopo aver generosamente compensato il suo autista. Chiese una
stanza per almeno due notti. Il portiere rispose che non ve n’ era nessuna
libera, ma, di fronte ad una lauta mancia offerta senza indugio, ne fu rintracciata
una. L’uomo seppe anche che a Giulio era stata assegnata la stanza numero 37,
al terzo piano, e che era stato registrato sotto il nome di Giulio Cesare Di
Mola, come risultava dal documento d’ identità rilasciato per le annotazioni
di rito. Quest’ultimo particolare insospettì Gonzales. Se Giulio era in
possesso di un documento falso, era evidente che godeva di non indifferenti
appoggi in alto loco o perlomeno negli uffici della Polizia. Nessuna traccia
per ora della donna. Occorreva pedinare l’uomo con la massima discrezione ma
con altrettanta assiduità. Preso possesso della stanza ottenuta, il detective
tornò di corsa nella hall dell’albergo sedendosi in un angolo da cui poteva
osservare l’ingresso e quindi le persone che entravano e venivano senza
essere notato. Di lì a poco apparve Giulio, fresco e sorridente, ordinò una
bibita al bar e poi si sedette su uno degli ampi divani a disposizione degli
ospiti sfogliando una rivista. Non si capiva se stesse aspettando qualcuno o
se invece facesse scorrere il tempo essendo in anticipo sull’ora di un appuntamento
preso fuori dell’albergo. Nel frattempo Gonzales seppe dal portiere, divenuto
ormai suo complice, che Giulio aveva fatto una sola telefonata dalla sua
camera. L’ora di cena era ormai superata quando finalmente
Giulio accennò ad uscire. Prima, però, si diresse verso il bancone del
portiere e gli accennò qualcosa sottovoce lasciandogli cadere fra le mani una
banconota di grosso taglio. Poi, soddisfatto, guadagnò l’uscita. Gonzales lo
seguì a distanza dopo aver intuito che Giulio si era comprato il consenso a
far salire l’amica nella sua camera al suo ritorno. Girato l’angolo, infatti,
una bella ragazza bruna lo stava attendendo e i due, sottobraccio, entrarono
in un ristorante poco lontano. Trascorsi una decina di minuti, anche Gonzales varcò la soglia del locale
e scelse un tavolo piuttosto lontano da quello occupato dai due amanti. Una
colonna della vasta sala lo proteggeva, almeno in parte, dalla vista di
Giulio e di Francesca, che, nulla sospettando, mangiavano e conversavano
ridendo. Il detective divenne anche lui in quel frangente un avventore come
tanti altri che occupavano molti dei tavoli apparecchiati. Ordinò la cena al
cameriere e poi, giostrando sapientemente con il giornale aperto davanti al
suo volto e simulando di recarsi alla toilette, riuscì a scattare, non visto,
cinque o sei fotografie che testimoniavano l’incontro proibito. Mangiò in
fretta e tornò in albergo, certo che prima o poi i due sarebbero rientrati
per gustare le gioie dell’alcova. Sempre pronto a sfruttare ogni circostanza
per accumulare prove documentali a carico del sorvegliato speciale, non si
lasciò sfuggire l’occasione per immortalare con due foto il rientro di Giulio
e della giovane. Nei pochi attimi in cui i due si erano fermati di fronte al
portiere di notte per ritirare la chiave della camera, Gonzales scattò altre
due foto che ritraevano anche il portiere e l’insegna luminosa dell’Hotel “La
Conchiglia”, accesa in alto sopra la rastrelliera dove di norma sono appese
le chiavi di tutte le stanze. La sua prima intenzione sarebbe stata quella di
procurarsi il modo per entrare nella stanza 37 e sorprendere in flagrante gli
amanti mentre giacevano nello stesso letto. Ben consapevole che tutto ciò non
era realizzabile, ritenne opportuno mettere al corrente Isabella sugli
sviluppi della situazione, adempiendo così all’impegno preso e
ripromettendosi di completare il suo lavoro l’indomani, quando i due si
sarebbero certamente recati sulla spiaggia. Salito nella sua stanza intorno all’una di notte, fece
un rapido calcolo per rendersi conto di quale ora fosse in quel momento in
Italia. A Roma dovevano essere le otto di mattina e pertanto pensò di non
disturbare. Fattasi passare la comunicazione, compose il numero della
famiglia Tuccimei. Gli rispose proprio Isabella, alla quale Gonzales espose
con tatto quanto aveva avuto modo di constatare e le assicurò anche di avere
le prove fotografiche di quanto le stava dicendo. |
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