Due vite parallele

 

L'ESSERE E L'APPARIRE

di Enrico Gilardoni

 

CAPITOLO XII

 

Come d'intesa, passate le feste, Mauro tornò a cercare Renato, convinto che solo lui potesse toglierlo dalla precaria situazione economica in cui s'era cacciato. "Vedi, Renà", esordì, "ti voglio raccontare i guai che mi sono cascati addosso da quando morì mio padre. Ormai so' cinque anni che se n' è andato. Detto fra di noi, era un gran rompiballe, pace all'anima sua, e tu lo sai, però in commercio ci sapeva fare. A me, invece, non è mai piaciuto quel lavoro, tuttavia, seppure a modo mio, l'ho aiutato, ma lui non era contento e non si fidava. Di conseguenza non mi aveva fatto conoscere gli affari sua. Poi è morto improvvisamente. Dopo pochi mesi mi sono trovato in difficoltà e ho commesso il primo errore: avrei dovuto chiamarti e chiedere il tuo consiglio. Per uscire dall'accerchiamento dei creditori ho venduto le nostre quote del mulino. Pensavo di aver risolto sacrificando una bella proprietà. Mi era rimasto anche qualche soldo in tasca, il forno ed il negozio andavano piuttosto bene ed io stavo tranquillo. La mia pace è durata poco. Inspiegabilmente sono tornati gli impicci: cambiali da pagare, cartelle delle tasse che arrivavano a pioggia, multe, more ecc. ecc. Gli incassi non mi bastavano più, qualcuno se ne sarà approfittato di sicuro. Per fronteggià sta situazione so' andato in banca per avé un finanziamento. M'hanno dato tre soldi e poi hanno chiuso. A Renà, pensaci tu, stò nelle mani tue. Fallo pé papà che te voleva bene!"

"Senti, Mauro", gli rispose Renato, "prima di tutto dimmi una cosa: da quando è morto tuo padre quanto tempo hai dedicato ai tuoi interessi? Eri diventato proprietario di un'azienda bene avviata e redditizia, non può essere improvvisamente divenuta passiva. Ma tu hai smesso col gioco e con le donne? Dimmi la verità". "Mò me vuoi processà pure tu? Qualche svago me lo vuoi concède? Mica so' un frate!". "Ho capito", gli rispose Renato, "il fatto è che la bella vita e gli affari non vanno d'accordo. Con chi posso parlare ora, hai un ragioniere, un amministratore, qualcuno che sa dove stanno le carte?". "Si, c'è uno che mi dà una mano, mi sembra che ce capisca poco, però". "Facciamo una cosa allora", concluse Renato, "tu e questa persona mettetevi in contatto con un mio impiegato, il ragionier Vinci. Quest'ultimo farà un'approfondita ricognizione dello stato dei fatti. Tu intanto stai appresso agli affari tuoi. L'occhio del padrone ingrassa il cavallo!". Lo salutò scuotendo la testa. "Aveva un tesoro e lo ha dilapidato", commentò a voce alta. Chiamò il suo collaboratore per informarlo di quanto aveva deciso e per raccomandargli di scandagliare bene in profondità fra le carte della ditta Pisani. A suo parere la situazione doveva essere più grave di quella descrittagli. Senza volerlo la sua mente confrontò le vicende di Giulio con quelle di Mauro: tutti e due, pur trovandosi in situazioni ed ambienti tanto diversi, avevano un denominatore comune. Renato dovette convenire con sé stesso che, a prescindere dagli eventi in cui si è coinvolti, la natura umana non gioca quasi mai a favore della virtù.

Giulio, da quel marpione che era, gestiva la sua posizione con grande abilità. Grazie al cielo aveva fortunosamente riequilibrato lo stato delle sue finanze e contava di ottenere altri consistenti introiti derivanti dal patrimonio del nonno che a suo parere andava almeno parzialmente liquidato. Nel suo rapporto con Isabella l'aspetto finanziario era marginale. Sua moglie non gli contestava il tenore di vita, esigeva il rispetto dovutole, improntato ad uno stile comportamentale in cui la dignità doveva prevalere su ogni altra considerazione. L'educazione ricevuta, l'ambiente in cui era cresciuta e la frequentazione di persone di questo stampo, le facevano automaticamente escludere ogni compromesso. In effetti la distanza fra le due anime era abissale! Approfittando della permanenza a Roma, Giulio si recò al Ministero per avere notizie sulla sua richiesta di trasferimento. La risposta ufficiosa sembrava favorevole all'accoglimento. La data di decorrenza non era stata ancora fissata, ma una volta deciso per il sì i tempi avrebbero dovuto essere stretti. Sulla base di queste informazioni, Giulio ed Isabella decisero di comune accordo di tornare a vivere insieme nella nuova sede diplomatica che il Ministero gli avrebbe assegnato. Rientrato a Kampala, nella seconda metà di gennaio ricevette la comunicazione del trasferimento alla nuova destinazione. Dal successivo primo febbraio egli avrebbe dovuto prendere servizio presso l'ambasciata d'Italia di Tegucigalpa, capitale dell'Honduras. Sotto il profilo climatico ne avrebbe tratto vantaggio , non altrettanto sotto l'aspetto della carriera in quanto quella sede era considerata dal Ministero meno importante di quella di Kampala. Per un carrierista come Giulio la circostanza lo contrariava parecchio. Nella situazione in cui si era venuto a trovare non poteva andare troppo per il sottile: di necessità doveva fare virtù. Nel volgere di quindici giorni marito, moglie e figlia si riunirono a Tegucigalpa e ripresero a condurre una normale vita familiare. L'impatto e l'ambientamento non sollevarono grandi difficoltà. L'Honduras è infatti uno Stato del Centro America di lingua e tradizioni spagnole molto simili a quelle italiane. La sua posizione a nord dell'equatore gli riserva un clima tropicale, temperato dalla vicinanza dei due oceani, Atlantico e Pacifico, che lo costeggiano rispettivamente ad est e ad ovest; niente a che vedere con l'opprimente calura dell'Uganda, la cui latitudine coincide con l'equatore.

Più meno nello stesso periodo Renato aveva iniziato ad esaminare la relazione che il suo collaboratore gli aveva predisposto. Rispetto alla data iniziale erano trascorse altre tre settimane. Il ragionier Vinci, estensore del lavoro, assistito da Mauro e dal suo pseudo contabile, non riusciva a completare la ricognizione dell'effettivo stato di salute dell'azienda in quanto, nonostante ogni attenzione, di volta in volta spuntavano fuori sistematicamente ulteriori elementi di natura economico-finanziaria che andavano a modificare le rilevazioni già eseguite. Con grande disappunto di Mauro, i dati aggiuntivi erano quasi sempre di segno negativo e facevano emergere debiti o insussistenze che egli non conosceva o di cui non aveva memoria, facendo sprofondare l'entità del valore reale del complesso dei beni inventariati ad un livello di gran lunga inferiore alle più pessimistiche previsioni. Si scoprì, per esempio, che nell'estate di due anni prima, quando per circa venti giorni il negozio rimase chiuso per ferie, molti dei prodotti non deperibili in magazzino erano scomparsi. Nello stesso periodo il forno aveva continuato ovviamente a funzionare, ma le forniture di pane erano state fatturate per quantitativi irrisori mentre la farina utilizzata per la panificazione non presentava riduzioni significativa rispetto alla normale capacità di produzione. Crediti di valore non insignificante risultavano regolarmente pagati, non c'era però traccia dei relativi incassi. Al contrario, i fornitori reclamavano il pagamento di fatture che contabilmente erano considerate già pagate; lo stesso fenomeno appariva anche per le rate delle cartelle delle tasse, tanto che l'esattoria aveva avviato la procedura di pignoramento per rifarsi nei confronti del debitore inadempiente. Quando Renato ebbe ultimato la lettura di quello che appariva un vero e proprio sfacelo non riuscì a trattenere la sua rabbia e sbottò in una clamorosa esclamazione: "Ma tu, Mauro, dove sei stato in tutto questo tempo? Nel letto di qualche signora compiacente o al tavolo verde!"

La sua indole di avveduto uomo d'affari ed il non dimenticato ricordo dei suoi primi passi nel mondo del lavoro che gli fecero scoprire le capacità imprenditoriali del povero signor Fausto emergevano prepotenti dal suo animo. Egli sapeva per diretta esperienza quanto fosse difficile impiantare e far crescere un'azienda e constatare come un cialtrone, quale era di fatto Mauro, non fosse stato capace di gestire il bene ereditato lo faceva indignare. "Tuo padre ha speso una vita per creare e far fruttare un patrimonio; al tuo posto, con poca fatica io lo avrei potenziato oppure avrei potuto limitarmi a gestirlo vivendo di rendita. Tu, con le tue idee, lo hai quasi distrutto nel giro di cinque anni". Mauro subiva l'istintiva ed inaspettata reazione di Renato, che si era così accalorato nel prendere visione degli elementi raccolti e sottoposti alla sua attenzione da apparire agli occhi di un estraneo come un diretto interessato negli affari che invece erano di un altro.

Sbollito il furore, provò a delineare un quadro d'assieme di quanto restava della florida azienda che ricordava e, ben sapendo che il suo compito era quello di salvare il salvabile, elencò i primi provvedimenti da prendere. Decise di affidare la supervisione amministrativa al suo ragionier Vinci, che doveva sorvegliare le merci in magazzino, cercare di recuperare i crediti in essere e definire con cautela le pendenze con i fornitori, mentre andavano pagati subito i debiti con il fisco. Degli esattori delle tasse è meglio diffidare. E' preferibile pagare anche qualche penalità effettivamente non dovuta che entrare in conflitto con loro!

Per far ciò occorreva praticare un'altra iniezione di liquidità nella cassa pressoché svuotata dell'azienda di Mauro. Il primo finanziamento era servito infatti per tamponare le falle più vistose. Renato versò altri dieci milioni nelle mani di Mauro e lo convinse a seguire puntualmente le raccomandazioni che gli aveva fatto. Di lì ad un paio di mesi sarebbero tornati a fare un controllo sugli esiti della gestione così impostata e ne avrebbero tratto gli elementi per operare le scelte definitive più opportune. "Come vedi, Mauro", concluse Renato, "ti sto dando una mano e non solo quella, tu però sei il primo che deve aiutarmi. Se ti impegni seriamente, aiuti anche te stesso ad uscire da questa brutta china in cui stai scivolando". "Grazie, grazie, Renà", rispose Mauro, "è che dovevo venì da te cinque anni fa. Allora non pensavo che il commercio fosse così insidioso. Beh, poi.... ci siamo capiti. Stà alla catena come un cane non mi è mai piaciuto. Dovevo fà un altro mestiere, io!"."Arrivederci, Mauro, arrivederci", lo congedò Renato. Altri impegni, altri clienti aspettavano e la segretaria gli aveva messo sotto gli occhi l'elenco di tutte le telefonate pervenute in quell'oretta dedicata all'azienda Pisani. Per chi è preso nell'ingranaggio del lavoro in posizioni di responsabilità o è addirittura gestore della fortuna della sua impresa due mesi trascorrono in un batter d'occhio. Fu così che quando il ragionier Vinci ricordò a Renato l'opportunità di fare il punto sullo stato dell'azienda Pisani affidata alle sue cure, essendo ormai trascorsi i due mesi considerati necessari per fare una valutazione più attendibile, egli si meravigliò di come già fosse giunto il momento di emettere la sentenza. Per non intralciare l'attività di routine e potersi dedicare senza interruzione all'esame dei risultati della gestione controllata, Renato decise di incontrarsi nel suo ufficio il martedì successivo dopo cena, verso le ventidue, con la speranza di definire l'intricata vicenda entro la mezzanotte. Puntuali all'appuntamento, il ragionier Vinci con i suoi dati contabili e gestionali, Mauro con il non dissimulato timore di dover subire ulteriori perdite e Renato con la responsabilità di dover decidere interventi non indolori e recuperare i suoi capitali immessi nell'impresa. Tutti e tre si sedettero intorno ad un tavolo. Quella sera ed in quella stanza Renato doveva decidere la sorte proprio di quell'impresa che aveva fatto entrare nelle sue tasche i suoi primi guadagni. Iniziò ad analizzare e a scomporre i dati portati alla sua attenzione, si informò sull'andamento del mercato, sulla concorrenza e sulle nuove tecniche di panificazione. Effettuò una disamina articolata dei vari temi e, alla fine di un dibattito approfondito con i suoi interlocutori, disse che a suo parere l'attività industriale, cioè il forno, doveva essere separata da quella commerciale, ossia il negozio di generi alimentari ed affini. La sua decisione si basava su dati di fatto concreti: il forno era ormai tecnicamente superato, la sua struttura e l'alimentazione a gasolio erano antieconomiche. Poiché la ditta Pisani aveva conservato una clientela piuttosto vasta e fedele, a suo parere occorreva ristrutturare l'intero apparato industriale e quindi necessitavano nuovi investimenti. Mauro, però, non aveva a disposizione i capitali indispensabili e non trovava in quel momento istituti di credito disposti a finanziarlo. A questi due impedimenti se ne aggiungeva un terzo: Mauro non intendeva sacrificarsi lavorando di notte per seguire in prima persona questa attività che, delegata ad altri, non avrebbe certamente fornito quei margini di reddito indispensabili per riequilibrare il bilancio dell'azienda. Da queste due premesse discendeva la terza. Mauro avrebbe dovuto dedicarsi all'esercizio del negozio di generi alimentari; questa attività era a lui più congeniale, non lo avrebbe costretto al lavoro notturno ed essendo il negozio contiguo al forno, avrebbe potuto sottoscrivere una convenzione con il nuovo panificatore per garantirsi la fornitura del pane e dei vari prodotti da forno a prezzi preferenziali. Così sulla carta il progetto sembrava perfetto. Anche il ragionier Vinci, ormai addentro alle segrete cose dell’azienda Pisani, non suggeriva altre alternative. Lo stesso Mauro, diretto interessato, si stava convincendo che, in ultima analisi, la soluzione prospettata da Renato, seppur dolorosa, era l’unica che potesse toglierlo dalle gravi difficoltà in cui si dibatteva. Occorreva ora dare pratica applicazione a quanto ipotizzato e convenuto intorno a quel tavolo. Si era fatta mezzanotte ed i primi sintomi di stanchezza cominciavano ad affiorare. Renato chiese un’altra manciata di tempo per formalizzare almeno il progetto preliminare alla realizzazione di quattro convenuto. Ormai anche lui era direttamente coinvolto nell’operazione di riassetto e gli premeva impiegare al meglio il capitale da lui fornito, che nel momento dell’emergenza aveva consentito a Mauro di non affogare. Tutto considerato, dalla vendita del forno Mauro avrebbe introitato grosso modo un’ottantina di milioni. Con questa somma avrebbe potuto saldare ogni pendenza tuttora in piedi, rilanciare l’attività del negozio e disporre ancora di un margine di liquidità che, però, Renato non voleva assolutamente lasciargli in mano, conoscendo l’uomo che lui definiva senza mezzi termini uno "sciagurato". Proprio per la stima che lo legava al defunto signor Fausto e condizionato dai ricordi presenti nel suo animo, Renato aveva progettato nella sua mente un’ipotesi di accomodamento che in primo luogo impedisse a Mauro di continuare a dilapidare quella porzione di capitale che sarebbe rimasta nelle sue tasche a conclusione della vicenda e contestualmente permettesse a lui stesso di impiegare proficuamente le somme che aveva anticipato. Prospettò ai presenti quanto aveva in testa in questi termini: "Bisogna trovare un acquirente del forno disposto a riammodernarlo e a gestirlo con la nostra partecipazione. Tu, Mauro, dovresti aderire all’iniziativa con la quota di capitale che incasserai dalla vendita, detratte parte delle somme che mi devi restituire e quelle a te necessarie per chiudere ogni pendenza; qualche altro milione lo dovresti spendere per migliorare il look del negozio e con il restante potresti avere una compartecipazione del quindici-venti per cento. Anch’io, rinunciando al totale rimborso e con qualche altro finanziamento, potrei diventare proprietario di una partecipazione di pari valore; il resto della torta apparterrà al compratore, che dovremo sin da ora individuare". Il ragionier Vinci annuiva e Mauro, questa volta coerente nella sua scelta di affidarsi alla competenza di Renato, si dichiarò disponibile a collaborare alla riuscita dell’ipotesi prospettata. "Visto che anche tu, Renato, partecipi con i tuoi soldi all’iniziativa, mi sento più tranquillo", dedusse con una logica elementare, "a me mi fanno fesso quando vogliono, con te non c’è riuscito nessuno". "Non è proprio così", lo corresse Renato, "bisogna sempre stare con gli occhi aperti, impegnarsi e sperare nella buona sorte. E’ l’una passata, andiamo a dormire subito ché tra poche ore si ricomincia", si congedò Renato.

"Sei sempre lo stesso, come quando avevi diciott’anni", sottolineò Mauro. "Buonanotte, Renà". Si salutarono e ciascuno andò per la sua strada.

Il progetto delineato avrebbe potuto trovare una effettiva realizzazione se si fosse riusciti ad individuare la persona giusta, qualcuno che avesse molta voglia di lavorare, spirito di sacrificio e fosse disposto a rischiare qualche decina di milioni. Insieme a queste tre disponibilità ne avrebbe dovuta possedere una quarta: avere e riscuotere la totale fiducia degli altri due soci, ossia di Mauro e Renato. Non era facile trovare un elemento con questi requisiti, d’altra parte la ricerca non avrebbe potuto protrarsi per un tempo indefinito in quanto la situazione, già molto precaria, rischiava di deteriorarsi ulteriormente. Dopo circa dieci giorni fu il ragionier Vinci a sottoporre all’attenzione di Renato il nome di un commerciante che si trovava nelle condizioni inverse a quelle di Mauro. Costui era il signor Brunetti, che gestiva da anni, con buoni risultati, un negozio di generi alimentari analogo a quello di Mauro, aveva un figlio da avviare al lavoro ed intendeva espandere la sua attività. Messo discretamente al corrente della possibilità di conciliare le sue aspirazioni con quelle delle altre parti in causa, il signor Brunetti si fece ben presto convincere a concludere la trattativa commerciale propostagli.

Per realizzare appieno il progetto studiato da Renato bisognava ancora superare due difficoltà: far ottenere all’acquirente un fido bancario piuttosto consistente ed introdurre il figlio del signor Brunetti nell’arte della panificazione. "Per quanto riguarda il primo impedimento, parlerò io con il direttore della Banca", promise Renato, "per il secondo, quasi quasi potrei risolverlo in prima persona", affermò ridendo, "ricordo ancora come si fa il pane!".