Due vite parallele

 

L'ESSERE E L'APPARIRE

di Enrico Gilardoni

 

 

 

CAPITOLO VI

 

Con queste premesse non rimaneva che attendere la data dello svolgimento degli esami, che sono molteplici e molto impegnativi. I candidati alla carriera diplomatica devono infatti sostenere e superare le seguenti prove: un tema su un argomento di storia contemporanea, uno di diritto internazionale, uno di economia politica, una composizione in lingua inglese ed un'altra in una seconda lingua scelta dal candidato. Chi riesce ad ottenere un punteggio non inferiore ai sessanta centesimi è ammesso ad un colloquio che riguarda le stesse materie degli esami scritti. L'altro non indifferente ostacolo che Giulio doveva superare era rappresentato dal servizio militare. Questo secondo impedimento lo disturbava addirittura più che dover affrontare la lunga sfilza di esami previsti dal concorso per accedere alla carriera diplomatica. Essere costretti a fare tante cose non sempre piacevoli in un ambiente eterogeneo che annulla anche la più limitata privacy, lontano da casa e con ben scarsi comforts, lo indispettiva non poco. Lui si sentiva del tutto alieno a doversi sobbarcare per più di un anno questo particolare servizio che intimamente rifiutava. Del tutto in linea con la sua indole, che pretendeva di vedersi riconosciuta ogni sua pretesa senza andare troppo per il sottile e manovrando con ogni mezzo, spingeva i suoi a trovare una qualsiasi scappatoia per sottrarsi all'obbligo a cui devono sottostare tutti i cittadini di sesso maschile. Giulio avrebbe voluto avere analoghe facilitazioni anche sull'altro fronte, quello rappresentato dal difficile concorso per accedere alla carriera diplomatica. Era però consapevole che le due circostanze erano molto diverse tra loro. Un conto era privare l'esercito della partecipazione di un soldato che avrebbe svolto un servizio coatto e di malavoglia fra le tante decine di migliaia di giovani a disposizione dello Stato, un conto era entrare nella carriera diplomatica, ambitissimo traguardo riservato ad una élite di candidati altamente qualificati che devono superare una severa selezione predisposta proprio per individuare gli elementi ritenuti più idonei ad intraprendere quella delicatissima attività. Pertanto Giulio non perdeva il suo tempo, dedicandosi allo studio e frequentando appositi corsi di preparazione alle prove di esame previste dal concorso bandito dal Ministero degli Esteri. Anche il suo feeling con Isabella sembrava essersi consolidato e, almeno per il momento, era immune da evasioni compromettenti. Col passare del tempo, tra i due impegni che aveva di fronte il più ostico sembrava proprio quello rappresentato dal servizio militare, che, comunque, costituiva un impedimento all'auspicato accesso alla carriera diplomatica. Checché se ne dicesse in giro e nonostante i dissimulati interessamenti di suo padre, non appariva facile superare questo indifferibile scoglio. Alla fine, seguendo la strada meno tortuosa, ottenne l'agognato esonero grazie a certificati medici compiacenti che massimizzavano residue tracce di una modesta pleurite avuta da ragazzo.

Da quel fatidico giorno Giulio, non più gravato dall'opprimente scadenza che come una spada di Damocle incombeva sul suo capo, si dedicò con grande impegno alla preparazione del concorso le cui prove erano in programma per l'autunno successivo. Nelle pause dello studio fantasticava sul suo avvenire. Ipotizzando di essere già in servizio accarezzava il sogno di raggiungere i più alti gradi della gerarchia bruciando le tappe di una carriera che prevedeva vari livelli. "Se l'anno prossimo sarò volontario diplomatico, primo gradino della scala gerarchica, farò in modo di diventare presto... segretario di legazione, poi primo segretario e via di questo passo". Giulio fin da ragazzo aveva imparato a conoscere come si articolano i gradi, correlati all'importanza delle sedi diplomatiche sparse per il mondo. Raggiunto il livello di "primo segretario" sognava di percorrere l'intera scala gerarchica che prevede la seguente progressione: "consigliere di legazione", "consigliere di ambasciata", "ministro plenipotenziario di 2a classe", "ministro plenipotenziario di 1a classe", "ambasciatore".

Renato stava acquisendo la mentalità dell'imprenditore. Riusciva a dissimulare le effettive reazioni interiori al verificarsi di non rari imprevisti, come pure restava imperturbabile al concretizzarsi di più fortunate transazioni commerciali. Nella sua testa egli elaborava continuamene il trend delle attività poiché sapeva bene che il vero indice del profitto o del deficit è rappresentato dall'entità del volume degli affari che, come è ovvio, nel loro insieme non possono escludere una componente negativa. Immerso com'era nella sua attività egli non avrebbe mai immaginato che proprio nello svolgimento del suo lavoro avrebbe incontrato la donna che sarebbe poi diventata la compagna della sua vita. Fra gli innumerevoli colloqui che aveva quotidianamente gli capitò di entrare in contatto un certo cavalier Bertini, che intendeva stipulare una polizza di assicurazione sulla vita e contestualmente avere un finanziamento a lui necessario per portare a termine la costruzione di una villa in corso di edificazione su un fondo di sua proprietà ubicato nel territorio del vicino comune di Rocca Priora. L'uomo, non più giovane, era accompagnato da una ragazza che presentò a Renato come sua figlia. Per istruire la pratica, piuttosto complessa dal punto di vista burocratico, furono necessari ripetuti incontri che il cavalier Bertini cercò di evitare affermando di non avere né tempo né voglia di seguire tutti questi adempimenti effettivamente aridi e prolissi.

L'incombenza fu assegnata alla figliola che lo aveva accompagnato. Benedetta, questo era il nome della ragazza, accettò senza troppo entusiasmo l'invito del padre. Dopo i primi colloqui, tuttavia, lo spirito e la brillante carica interiore dei due giovani prevalse sull'aridità dei documenti da produrre e da prendere in esame e di volta in volta il successivo incontro programmato si trasformò da un grigio obbligo burocratico in un appuntamento atteso e desiderato. Nel giro di poche settimane era sorta spontaneamente una spiccata e reciproca simpatia fra i due che aveva fatto presto a trasformarsi in un sentimento più profondo. Alla loro età e consapevoli della loro autonomia Renato e Benedetta non frapposero ostacoli al loro naturale desiderio di possedersi e così, dopo neanche un anno dal primo approccio, decisero di mettere su casa, rimandando la effettiva celebrazione delle nozze alla eventuale nascita di un pargoletto. Benedetta era la figlia di primo letto del cavalier Bertini, che, rimasto vedovo, si era risposato senza tuttavia concepire altri eredi. La giovane era una insegnante non ancora di ruolo ma prossima a diventarlo e inoltre non era mai entrata in sintonia con la sua matrigna e anche questo motivo l'aveva spinta a lasciare la casa paterna. Grazie alla combinazione di tutte queste componenti, Renato si trovò di fatto sposato quasi senza accorgersene nel volgere di poco tempo. Egli stesso si era adoperato per fare in fretta ed ora si sentiva appagato nel suo ruolo di marito di una donna che non aveva cercato ma che in sostanza corrispondeva al tipo di partner che aveva idealizzato in tempi passati ove fosse entrato scientemente nell'ordine di idee di sposarsi. Questo suo nuovo status, ma sopratutto la sua indole, lo spingeva a dedicarsi con sempre maggiore impegno al lavoro. Ormai non gli bastava più raggiungere un congruo margine di guadagno, lui voleva primeggiare rispetto ai suoi diretti concorrenti. Forte di numerosi successi ottenuti, egli tendeva ora a selezionare i suoi affari privilegiando quelli che non solo gli avrebbero potuto fare avere un maggior utile ma sopratutto costituire un indice di egemonia della sua presenza sulla piazza. Benedetta non condivideva per intero questa sua filosofia esistenziale, suffragando la sua tesi con le sempre crescenti disponibilità finanziarie che il suo Renato riusciva a trarre dal lavoro.

"Se ti logorassi un pò meno correndo e telefonando di qua e di là staremmo un pò insieme in pace e tranquillità. Ne guadagnerebbe la qualità della nostra esistenza. Con i tuoi lauti profitti e il mio stipendio potemmo vivere bene, serenamente e senza affanni".

"Non è così", ribatteva Renato, "dobbiamo in buona parte pagare la casa che ci siamo comprati e finire di arredarla. Se viene un bambino ricordati che nasce nudo come un verme e ha bisogno di tutto! Ma non basta. Per stare veramente tranquilli dovrei essere io l'effettivo titolare dell'agenzia mentre, come ben sai, è il signor Marini l'intestatario del mandato. Sulla cresta dell'onda com'è adesso vorrà un capitale per cedermi la Ditta". "Lo vedi", rispondeva Benedetta ,"tu che ti atteggi ad esperto uomo d'affari ti sei danneggiato con le tue mani. Se non avessi rilanciato il prestigio e la redditività dell'agenzia ora l'avresti potuta comprare con pochi soldi". "Ma come sei brava! Bell'idea!" ironizzava Renato "ma io, secondo te, senza impegnarmi a fondo come avrei potuto guadagnare quel tanto di più che mi consente di propormi quale acquirente di una azienda che in realtà era poco appetibile ma che invece, se ben gestita, può essere fonte di ragguardevoli introiti come io stesso ho dimostrato. Senza contare che la Compagnia di Assicurazioni da cui dipendiamo non mi avrebbe mai preso in considerazione come un potenziale acquirente avendo fallito nella mia ormai pluriennale gestione. Si fa presto a parlare. Un conto è accontentarsi di fare il travet, un conto è voler diventare un uomo che è riuscito ad affermarsi. Niente trionfalismi, comunque. Ringraziamo Dio, piuttosto, e tiriamo innanzi. Se riuscirò nel mio intento non dovrò riconoscenza a nessuno".

La diatriba non avrebbe mai avuto fine se Renato non avesse promesso di dedicarle un pò più di tempo. Nel suo intimo egli aveva già convenuto che con l'acquisto di un dono non insignificante avrebbe ottenuto, almeno per un certo periodo, la disponibilità di poter portare avanti i suoi programmi lavorativi a tempo pieno. "Non solo mi danno l'anima per costruire per entrambi un avvenire migliore ma devo anche comprarmi lo spazio per poter lavorare!", concluse dentro di sé. "Mi sembra veramente un paradosso!". In realtà la situazione rispecchiava le tesi sostenute da ambedue i coniugi. Al momento le entrate familiari erano effettivamente abbondanti, permaneva tuttavia l'incognita rappresentata dalla necessità di acquisire la titolarità del mandato di Agente della Compagnia di Assicurazioni. Se Renato non fosse riuscito nell'intento avrebbe vanificato gran parte delle sue fatiche e sopratutto non avrebbe raggiunto il traguardo che si era prefisso, che, circostanza ancora più importante , coincideva con la conquista definitiva di un posto di lavoro sicuro. I mesi si susseguivano ai mesi senza che la situazione si modificasse. I cauti sondaggi che Renato effettuava in varie direzioni non ottenevano che risposte del tutto interlocutorie.

Quando ormai aveva deciso di accantonare il problema, almeno sotto l'aspetto psicologico, furono i familiari del signor Giuseppe Marini a farsi avanti. Alcuni fatti importanti li avevano spinti a voler definire uno stato di cose che effettivamente andava formalizzato in termini più concreti. La prima delle ragioni era rappresentata dall'aggravarsi dello stato di salute del signor Giuseppe. L'eventuale decesso del congiunto avrebbe costituito una ulteriore difficoltà nel successivo conseguente passaggio di proprietà dell'Agenzia e nelle pratiche di successione. La seconda discendeva dalla constatazione che si erano maturati i tempi per la corresponsione della pensione di vecchiaia spettante all'ormai anziano operatore finanziario. La terza ed ultima: la volontà di trasformare in danaro liquido il capitale rappresentato dall'agenzia di loro proprietà, ormai da tempo gestita con successo da Renato. Alle due parti in causa se ne doveva aggiungere per forza di cose una terza: la Compagnia di Assicurazioni. All'epoca la stessa aveva affidato il mandato di rappresentarla al signor Giuseppe Marini e ora ovviamene doveva dare il suo gradimento a chi fosse subentrato al posto del precedente mandatario. Sotto questo aspetto Renato si sentiva piuttosto tranquillo. In più occasioni era entrato in contatto con diversi funzionari della Società ed aveva sempre avuto la sensazione di esser favorevolmente considerato. Dalla sua aveva poi l'incontestabile prova di aver gestito con successo l'Agenzia nel non breve lasso di tempo in cui lui ne aveva curato direttamente l'attività. Il volume degli affari era infatti notevolmente lievitato con ovvie positive ricadute sia per il gestore che per la Compagnia di assicurazioni. Rimanevano tuttavia altre due incognite: la partecipazione di altri candidati alla successione e, nella eventualità che fosse stato lui il prescelto, la necessità di reperire il non indifferente capitale per liquidare il signor Marini e per costituire la cauzione da versare alle Assicurazioni Generali di Trieste. Anche volendo dare per scontato che in ultima analisi egli sarebbe stato il candidato vincente proprio sulla base dei riscontri oggettivi che aveva più volte passato in rassegna nella sua mente, rimaneva l'altro ostacolo obiettivamente più difficile da superare.

In attesa che le procedure burocratiche previste in queste circostanze facessero maturare l'evento, Renato cercava di prepararsi per disporre di tutti i titoli idonei a superare eventuali concorrenti e inoltre cercava la disponibilità delle Banche a finanziarlo. Egli ben sapeva che per ottenere dei prestiti dagli Istituti di credito bisogna fornire ampie garanzie ed essere considerati persone solvibili dagli esigenti direttori di banca. Di fronte ad una sua richiesta di fido la sua posizione di neo Agente di Assicurazioni sarebbe stata certamente esaminata con il microscopio per scoprire eventuali carenze. La ricorrente frequentazione degli uffici delle locali Agenzie bancarie derivante dalla sua attività di assicuratore lo aveva introdotto in quell'ambiente ponendolo a contatto con i direttori di Sede con i quali intratteneva cordiali rapporti di lavoro.

Con uno in particolare, il ragionier Binetti, responsabile della Agenzia della Banca Commerciale, i ripetuti incontri avevano trasformato le relazioni di lavoro in una reciproca stima, diventata con il trascorrere del tempo una cordiale amicizia. Com'è naturale, Renato lo contattò per avere tutti gli opportuni consigli che lo potessero favorire nella circostanza. Messo al corrente delle sue intenzioni e delle sue aspettative, il ragionier Binetti, com'era sua abitudine, gli parlò con franchezza: "Vedi Renato" cominciò a dire, "avere un fido di un importo notevole come quello che tu chiedi non è facile. Innanzitutto le garanzie che tu puoi offrire non sono quelle preferite dalle banche, che ovviamente prediligono le proprietà immobiliari sulle quali eventualmente rivalersi, in secondo luogo non puoi sottovalutare i costi che dovresti sopportare per pagare gli interessi che si maturano sulle somme prese a prestito. Hai provato a quantificare questi oneri che ti andresti ad accollare? I tuoi margini di guadagno sarebbero drasticamente ridotti fino quasi ad annullarsi. Sempreché il diavolo non ci metta la coda. Se poi ti capita un imprevisto? Se strada facendo qualche tuo cliente viene meno ai suoi impegni?". Renato lo stava ad ascoltare senza interromperlo. Quando il ragionier Binetti concluse l'esposizione delle sue tesi fu lui a mettere a fuoco in poche parole la sua posizione: "Da quanto mi hai detto, caro Binetti, ho rafforzato il mio convincimento che le Banche non intendono affrontare il benché minimo rischio nell'espletare la propria attività. Proprio il contrario di quanto, almeno in teoria, dovrebbero fare per favorire l'espandersi dell'economia e lo sviluppo industriale e commerciale. Nel mio caso è vero che non posso offrire solide garanzie immobiliari tranne l'appartamento dove abito e che peraltro non ho ancora ultimato di pagare; tuttavia, se la cosa va in porto, diverrei il titolare della più nota Agenzia di Assicurazioni della piazza, che, come sai, ha un buon giro d'affari. Ecco pertanto che la garanzia che potrei offrire sarebbe rappresentata proprio dalla mia attività. E' chiaro che se le cose mi dovessero andare male, contrariamente a quanto è avvenuto negli ultimi anni, anche la Banca correrebbe dei rischi, rischi peraltro insiti nella sua funzione. Così facendo a mio parere svolgerebbe effettivamente il suo ruolo di motore dello sviluppo....". "Si, si, Renato, lo so bene, quello che tu hai rappresentato è il quadro esatto di quello che si studia sui banchi di scuola e che in teoria dovrebbe essere il compito delle banche; in realtà non è facile tradurre in pratica i principi canonici che stanno a monte della concessione delle linee di credito ai clienti. Sappi anche che, nonostante tutte queste precauzioni, non è raro che gli Istituti di Credito restino con un pugno di mosche in mano. Le famose "sofferenze" aumentano di anno in anno di numero e di entità. Non è facile, te lo posso garantire, dare tutte le colpe alla Banca e nessuna a chi in un modo o in un altro ne approfitta".

Il colloquio non avrebbe mai avuto fine se altri clienti che premevano per parlare con il direttore dell'Agenzia non avessero cominciato a spazientirsi. Binetti promise di dare un parere favorevole alla domanda che Renato avrebbe dovuto compilare utilizzando gli appositi moduli che gli erano stati consegnati. Nel salutarlo gli ricordò anche di ridurre l'ammontare dell'importo richiesto e di provare ad istruire analoga pratica presso un'altra banca con la quale egli intratteneva un altro rapporto di conto-corrente.

Renato, raggiunta la strada, espresse a voce alta, in una specie di soliloquio, il suo pensiero conclusivo, che confermò le sue perplessità nei confronti del sistema bancario. "La mia posizione si fa più difficile. Di fronte al danaro, la mia dedizione, gli indubbi risultati conseguiti, la competenza dimostrata, l'aver battuto la concorrenza, tutto si perde non disponendo dei capitali indispensabili per acquistare l'Agenzia. E' possibile che la Compagnia di Assicurazioni preferisca affidarla ad un terzo, magari poco esperto, ma in possesso dei milioni necessari a soddisfare il venditore e non a me che mi trovo nella situazione inversa? Ne dovrò parlare a Benedetta, spero che condivida il mio punto di vista". L'uomo si macerava nei suoi pensieri nella consapevolezza che l'occasione che gli si presentava non si sarebbe più ripetuta. Se fosse riuscito a concretizzare l'affare avrebbe fatto quel salto di qualità che auspicava e che riteneva di essersi guadagnato. Se invece la combinazione gli fosse sfuggita, avrebbe dovuto rassegnarsi a continuare a svolgere il suo attuale lavoro in un ruolo del tutto subalterno ed anonimo.