Riministoria© Antonio Montanari

Antonio Bianchi

Non dire: "Chi sa mai perché

i tempi di prima eran migliori di questi?";

giacché stolta è una tale domanda.

 

Ecclesiaste 7, 11

 

 

La verità non può già chiamarsi guelfa o ghibellina.

 

Lodovico Antonio Muratori

 

1. Vita oscura di un bibliotecario gambalunghiano

 

Antonio Bianchi nasce il 27 marzo 1784 "circa horam 12" a Savignano di Romagna (1) da Tommaso "notajo, onestissimo uomo di quella ragguardevole Terra" e da Cecilia Beltramelli riminese. Quando non ha ancora sette anni, suo padre trasferisce la famiglia a Rimini (2), "mosso da quella sollecitudine che ebbe molta per l'educazione della prole" (Tonini Bianchi, pp. 1-2).

"Ottimo cittadino e buon letterato", Antonio Bianchi siede "fra Magistrati, ove la integrità, e la fermezza dell'animo suo a più prove rifulsero", e onora la patria "colle forze dell'ingegno", applicandosi "allo studio delle cose storiche, numismatiche, ed archeologiche" (ib., pp. 2-3). Diventa bibliotecario alla Gambalunghiana di Rimini nel 1837. Scompare l'11 novembre 1840.

 

 

L'unica immagine che possediamo di Bianchi è un disegno realizzato da Luigi Tonini, che lo ritrae di profilo con una gibbosità vagamente leopardiana in cui sembrano raccontarsi le fatiche delle sudate carte. Quello schizzo (poi tradotto su lastra dall'incisore G. Marcucci), è inserito nell'edizione a stampa della breve "vita" di Bianchi scritta da Tonini nel 1841, dalla quale abbiamo ricavato le nostre citazioni.

Prima fu composto il testo e poi venne eseguito il disegno, racconta Carlo Tonini: "Del Bianchi non esisteva un ritratto; perché alla guisa di molti altri uomini della sua tempera, umili e di sé non curanti, avea sempre ricusato di farlosi".

Al momento di mandare in tipografia le pagine da stampare, l'editore (il forlivese Antonio Hercolani) chiese a Luigi Tonini "l'effigie del lodato". Luigi Tonini, interpellato un pittore che declinò l'incarico, "non bastandogli il cuore che gli dovesse andar perduta quella fatica per tale mancanza, prese subito, colla pertinacia di un inflessibil proposto, a gittar colla penna sulla carta l'immagine dell'uomo insigne, quale l'avea viva e chiara nella sua mente; né si cessò dal ripeterne le prove fino a che non vide comparirne alcuna, che più al vero si appressasse. E come gli parve di esservi riuscito, mostrolla, senza far motto di cui dovesse essere, a persone che avevano conosciuto il Bianchi: le quali al primo vederla, non avendo esitato un tratto a ravvisarlo, egli tutto lieto, mandolla subito all'Hercolani in Forlì, e per tal modo venne a capo del suo nobile intento" (Tonini Memorie, pp. 30-31).

 

 

Bianchi è nominato direttore della Gambalunghiana a cinquantatré anni. Suo coadiutore è Luigi Tonini, che ne ha trenta. Il loro rapporto, per il salto generazionale esistente, dovette essere simile a quello tra un padre severo ma prodigo di consigli, ed un figlio desideroso di crescere da solo, però anche consapevole del debito di riconoscenza contratto con il maestro per l'insegnamento ricevuto ogni giorno.

Di questa dialettica tra due differenti personalità ed esperienze, non c'è traccia nelle pagine di Luigi Tonini, forse per il rispetto reverenziale che egli nutriva verso Bianchi. Rispetto che lo portava a scrivere in quella biografia un elogio della perfezione fattasi carne nell'uomo, nel cittadino e nello studioso, la cui esistenza era stata tutta dedicata alla famiglia ed al lavoro.

"Amarissima" fu per Luigi Tonini, secondo le parole del figlio Carlo, la morte di Bianchi "sì per la stima che egli facea di quel dotto, e sì per l'affezione e benevolenza singolare che il medesimo avea sempre dimostrato verso di lui" (ib., p. 29).

 

 

La breve opera di Tonini, che appare ad occhi moderni troppo retorica e priva dello scenario storico, risponde ai precetti letterari dell'Ottocento. Si aggiunga che Tonini, come è stato autorevolmente sottolineato, "alla realtà del suo tempo aderì molto scarsamente" (Zuffa Pensieri, p. 392), per cui non poteva comporre in modo diverso quel medaglione che, alla fine, risulta rivolto soltanto "ad illustrare l'erudito ed in termini anche generici" (ib., p. 391, nota 2).

Se le dimenticanze della penna tradiscono sempre un non troppo misterioso atteggiarsi del nostro spirito o dell'inconscio, vuol dir forse qualcosa che Luigi Tonini abbia tralasciato di citare la data della nascita di Bianchi, come se essa fosse secondaria per lui, rispetto a quella della morte, riportata all'inizio del testo. (3) Per Tonini ciò che conta è proprio il 1840, quando può succedere a Bianchi nella direzione della Gambalunghiana.

In apertura del suo Rimini (uscito a dispense tra 1847 e ’48), rivolgendosi al "Lettore Umanissimo", Luigi Tonini racconta la gestazione del volume: la prima idea gli era venuta nei "più verdi anni". Buttatosi a capofitto in una ricerca che gli procurava "diletto", ben presto raccolse tanto materiale da poter "abbozzare" e condurre "se non a termine, molto innanzi" il suo testo. Il quale "sarebbe rimasto sempre sepolto ove nacque, se la morte non ci avesse rapito anzi tempo un uomo di sempre cara memoria a tutti che lo conobbero; dico il chiarissimo Bibliotecario Antonio Bianchi". (4)

Ricordiamo un'osservazione del prof. Angelo Turchini sul metodo di lavoro di Tonini, che "utilizzava ampiamente i frutti del lavoro del suo maestro", Antonio Bianchi. (9)

 

 

Nel 1840, "non è a domandare con quanto maggior calore" Tonini tornasse al "pressoché abbandonato lavoro". Abbandonato per "dovuto rispetto" dopo che, "e fu circa il 1833" (6), aveva appreso come Bianchi "già da più anni fosse volto" a produrre qualcosa di simile sulla "patria Storia". La scomparsa del bibliotecario chiudeva ogni possibile rivalità: bastava rendere omaggio allo scomparso, come avviene con le sedici righe a piè della seconda pagina dell'introduzione, riportando infine che i lavori di Bianchi "si conservano da suoi Eredi". (7)

Resasi vacante la carica di civico bibliotecario occupata da Bianchi, Luigi Tonini "chiese e ottenne dal Municipio di succedergli: il che per altro non fu che in via, come si dice, temporanea, ché la nomina stabile gli fu conferita molti anni dopo", nel 1853 (Tonini Memorie, p. 31).

Nel ’74, alla morte di Luigi Tonini, gli subentrerà il figlio Carlo che, nella sua monumentale storia della Coltura riminese (1884), soprattutto per i limiti cronologici impostisi, cita Bianchi quasi di sfuggita. Una prima volta, trattando di un manoscritto di Sebastiano Bovio de’ Gherardi del 1543, scrive che esso "giovò alle dotte investigazioni di Antonio Bianchi", riguardo al quale il lettore che non sa nulla, viene lasciato in felice ignoranza (cfr. parte i, p. 427). La seconda, è nell'elenco dei "Letterati riminesi del secolo xix" (parte ii, p. 698).

 

 

Nel 1959 Mario Zuffa, anch'egli bibliotecario della Gambalunghiana (8), va a scoprire aspetti inesplorati della figura di Bianchi, attraverso una Cronaca riminese 1830-32, rimasta "inedita ed inutilizzata, mentre avrebbe potuto servire, non tanto ad illustrare meglio la figura del suo autore -che pur lo meriterebbe- quanto come fonte storica per la conoscenza dell'opinione pubblica prima e dopo la rivoluzione del ’31" (Zuffa Pensieri, p. 392).

Sino al 1959 ed al saggio di Zuffa, nessuno studio aveva cercato di illuminare l'opera e le idee di Bianchi che da vivo, per umiltà e modestia secondo Luigi Tonini (ma non escluderemmo anche motivi di censura, per certe pagine sulle vicende della Chiesa come istituzione politica), non stampò i propri scritti; e che da morto fu lasciato nel solenne dimenticatoio degli scaffali.

L'unico ad interessarsi per una pubblicazione "in cinquecento copie delle due imprese scientifiche più impegnative" di Bianchi, cioè "la trascrizione degli Statuti municipali e il corpus delle epigrafi riminesi", è stato lo stesso Luigi Tonini, come si ricava da un preventivo di spesa per tale edizione, rintracciato dall'attuale direttore della Gambalunghiana, Piero Meldini, e citato nella presentazione di un'altra piccola serie di pagine inedite di Bianchi, raccolte sotto il titolo di Guida pe’ forastieri (Rimini 1993). Titolo che è stato riproposto in modo quasi identico dallo stesso Luigi Tonini nel 1864 con la ben più consistente Guida del forestiere nella città di Rimini, primo esempio di pubblicazione moderna per visitatori ed ospiti interessati a conoscere il volto antico e moderno della nuova stazione balneare, il cui primo stabilimento marittimo era sorto nel 1843. (9)

 

 

Il predecessore di Bianchi alla Gambalunghiana era stato Luigi Nardi che ricoprì l'incarico dal 1818 sino alla morte, avvenuta il 5 giugno 1837 a sessant'anni. Sacerdote dai molti interessi, Nardi fu attento al culto della tradizione antiquaria, caratteristica della cosiddetta Scuola classica romagnola. Era originario, al pari di Bianchi, di Savignano che fu madre di molti ingegni, ed è tuttora sede della Rubiconia Accademia dei Filopatridi tra i cui fondatori risulta, nel 1801, lo stesso Nardi. (10) Il quale, prima di dedicarsi toto corde alla cura della Gambalunghiana, fu dal 1813 al ’28 arciprete della chiesa riminese di San Giovanni Evangelista, detta di Sant'Agostino dal nome degli Eremitani che vi officiarono sino alla soppressione del loro Ordine (1797). Sulla sua tomba, che si trova nella stessa chiesa, Nardi volle che fossero incise queste parole:

"Spes † unica - Ad un povero prete qui sepolto requiem æternam".

A differenza di Bianchi, Nardi aveva pubblicato molto. La fama conquistata attraverso gli scritti e gli scambi epistolari con i "più insigni rappresentanti della cultura sacra e profana del tempo" (11), e l'attenzione dedicata agli studi, non attenuarono mai in lui la pietà religiosa. Il suo carattere ed il suo stile di vita ci sono restituiti interi da questo passaggio di una lettera del 13 luglio 1835, indirizzata a Monaldo Leopardi: "Io non cerco che una nicchia oscura e pacifica pe’ miei lavori, e per attendere più seriamente a prepararmi alla morte". (12)

 

 

Quell'epigrafe così eloquente nel suo silenzio, appare in significativo contrasto con il monumento che nella stessa chiesa raccoglie i resti mortali di Iano Planco, uno dei protagonisti della cultura italiana del Settecento. Monumento che rispecchia la vita di un uomo il quale era stato ambizioso all'eccesso, e si era considerato inarrivabile exemplum di dottrina e di sapienza universali. (13) Se Nardi volle che le poche parole della propria semplice pietra tombale fossero un inno alla fede ed un'attestazione della speranza nella redenzione della Croce, Planco invece aveva cercato per il proprio solenne sarcofago una frase dotta, ripresa da un'iscrizione medievale da lui stesso scoperta: "Credo quia Redemptor meus vivit et in novissimo die suscitabit me…" (14).

"Vanitas vanitatum…" forse recitava nel profondo del suo animo l'arciprete Nardi, segnandosi davanti alla sepoltura di Planco. A Nardi, "povero prete", apparivano più affini spiritualmente personaggi come Antonio Bianchi di cui così scrisse nel 1827: "Alle cognizioni letterarie, ed alla raccolta di cose antiche pregevoli, unisce modestia tale che il parlarne più oltre sarebbe un offenderlo. Si attendono in breve alcuni frutti del suo ingegno, specialmente la superba collezione delle lapidi riminesi". (15)

Bianchi sottoponeva a Nardi i propri lavori, per ottenerne un giudizio, come si apprende dalla p. 165 del ms. 628 (dedicato appunto alle Inscriptiones ariminenses), ove in margine ad un passo che inizia: "Se ne’ Stati secolari prevaleva la prepotenza, non era tutta virtù nella gerarchia ecclesiastica", leggiamo: "Da levarsi questo paragrafo. Avevo accennati certi disordini ed abusi per confronto de’ tempi presenti, e specialmente per quelli che lodano tutto l'antico; ma mi si fa riflettere che ciò puol esser preso in mala parte, e conseguentemente sarà meglio cancellare sì questo paragr[afo] come qualch'altra cosa in seguito (Nardi osser[vazioni])".

Nardi (secondo Romolo Comandini che fu attento e sottile studioso della cultura romagnola tra fine Settecento ed inizio Novecento), apparve "propenso a riconoscere in temporalibus una preponderante funzione alle autorità civili ed incline ad assecondare le ispirazioni degli Stati della Chiesa a forme di più ragionevole libertà" (16). "Per il fatto d'esser vissuto in un periodo oltremodo difficile" spiega ancora Comandini (17), Nardi "aveva imparato a barcamenarsi fra i due estremi della rivoluzione e della reazione, riuscendo a tenersi au dessus de la mélée e ad avere amici tra chierici e laici, tra conservatori e progressisti".

La maniera "un poco petulante" che Rosmini sottolineava nell'opera più famosa di Nardi, I Parrochi (1829-30), è presente anche nelle polemiche che il nostro canonico conduceva sul terreno politico e religioso contro il Giansenismo (18), considerato causa di tutti i guasti della società moderna, e contro il progresso, inteso come un male a cui egli non vedeva rimedio (19).

Il suggerimento dato da Nardi a Bianchi di togliere alcuni passi dal ms. 628, nasce da questa immagine negativa della contemporaneità. Al contrario, secondo Bianchi, non si può essere lodatori del tempo passato, perché anche in esso ci sono "disordini e abusi". Circa questa diversa interpretazione della Storia, non va dimenticato che Bianchi poteva essere più libero di Nardi nei suoi giudizi, in quanto non sacerdote. Però Bianchi stesso, come vedremo in seguito, ha talora forti preoccupazioni di non allontanarsi dall'ortodossia cattolica, come succede riguardo al problema della interpretazione della Bibbia in riferimento al discorso scientifico.

 

 

Sulla personalità di Bianchi, dunque, Nardi e Luigi Tonini concordano, quando ne fanno consistere l'elemento fondamentale nella modestia. Una conferma a questi giudizi, quasi per rispondere ad eventuali osservazioni circa un'eccessiva idealizzazione del personaggio, ci pare di trovarla nell'incipit del ms. 628: "ho creduto bene di qui riunire quelle memorie che in varj ritagli di tempo ho potuto raccogliere = scritte così come la penna getta = per fuggir l'ozio e non per cercar gloria" (20); e in una pagina che può esser considerata autobiografica come sovente lo sono le composizioni poetiche: è un sonetto inedito, conservato in BGR nel Fondo raccolto dal canonico Zeffirino Gambetti (21) il quale appuntò di proprio pugno, sul foglio ove sono vergati i versi, la precisazione che si tratta di una "Manoscritto del fu Antonio Bianchi Archeologo Savignanese".

Di mano di Bianchi, al verso 10, c'è un richiamo con la seguente nota: "S. Paolo ai Corinti, i. cap. xiii". Nel relativo passo della citazione, incontriamo il tema centrale della lirica: "…se non ho la carità sono un niente". Il sonetto, per il suo contenuto, è una specie di confessione laica.

Attraverso la mediazione letteraria della forma poetica e del richiamo paolino, si giustifica il racconto discreto che l'autore fa di sé stesso:

 

Se quanti sono infermi d'inteletto

Per Ira, Invidia, o per Superbia stolta

A se stessi volgessero una volta

La dottrina, Signor, d'ogni tuo detto;

 

Forse che impalliditi nello aspetto

Ogni lor baldanza vedrian tolta;

Che ben si parrìa loro più che molta

La lordura che chiudono nel petto.

 

E saprebber, che tale invano è pio,

Invano è giusto, ed è Profeta invano,

Se Caritate dal suo cuor bandìo.

 

Quinci stendendo all'altrui pro la mano,

Una saria la mente uno il desìo

Di tutto quanto il popolo cristiano.

 

Il sonetto è accompagnato, nel fascicolo del Fondo Gambetti, da altri documenti: un elenco di monete o medaglie ("Se il possessore delle medesime amasse di darle in cambio della qui acclusa, me le potrà far avere con tutto suo comodo, o in caso diverso mi restituisca la mia"), e due lettere indirizzate da Bianchi a Gambetti, che trascriviamo integralmente, data la loro brevità.

La prima è del 3 gennaio 1837: "Preg.mo Sig. Canonico. Le sono molto obbligato della premura avuta nel mandarmi l'acclusa nota; non ne posso però approfittare perché li ho già tutti, meno di qualche libercolo di poca entità, che non acquisto se non se quando capitano intonsi e perfettamente conservati. Con tutta la dovuta stima e riconoscenza passo a protestarmi. Di Lei Dev.mo Obbl.mo Servitore Antonio Bianchi".

La seconda reca la data del 20 maggio 1838: "Stimatiss.o Sig. Canonico. Le sono molto obbligato della fattami esibita, mi dispiace di non poter approfittare della sua gentilezza, non essendovi nel gruppo inviatomi cosa che mi possa servire, perciò gle [sic] lo rimetto intatto. Mi farà sempre cosa molto grata, se capitandole qualche anticaglia favorirà di farmela avere. Frattanto con la più distinta stima passo a protestarmi De.mo ed Obbl.mo Servitore Antonio Bianchi".

Nella prima epistola è utile sottolineare un'attenzione quasi maniacale verso certi "libercoli" che debbono essere "intonsi e perfettamente conservati": è un atteggiamento da pignolo collezionista che, dal punto di vista psicologico, può trovare corrispondenza nell'andamento della grafia di Bianchi, precisa e minuta, senza concessioni a svolazzi e fantasie (22). Il soffermarsi, almeno in certi casi, sull'esclusivo aspetto esteriore del prodotto editoriale, sembra lontano dalla consapevolezza che ogni volume può, pure nei segni del tempo e dell'uso, contenere le tracce per una storia segreta meritevole di essere, se non documentata, almeno ipotizzata. (23)

Quei libri intonsi assurgono quasi a valore simbolico della biografia intellettuale di Bianchi e di quanto, per lungo tempo, si è saputo di lui. Destinato a vivere di luce riflessa (attraverso le scarse testimonianze alle quali abbiamo accennato), se non in ombra, senza che sulla sua opera si puntassero i riflettori della critica e l'attenzione dei lettori, la figura di Bianchi s'intravede soltanto attraverso limitati indizi, di fronte ai quali viene da ricordare un paragrafo dei Giochi di pazienza intitolato: "Dove si va in archivio e biblioteche e non si trova niente". (24)

Nel nostro caso, per giungere a qualche risultato, è opportuno anzitutto ripercorrere la strada segnata da Luigi Tonini e da Mario Zuffa. Con il suo studio su Bianchi "politico", Zuffa soprattutto ha tracciato precisi ed inediti sentieri (25) da cui non ci si può allontanare, per non perdere l'esatto orientamento.

 

 

 

Vai ai capitoli successivi:

2. Dalla Geologia alla Teologia

3. Il pensiero storico-politico, tra Machiavelli e Muratori

4. Nel retrobottega dello studioso

5. Appendici

6. Note al testo

7. Nota aggiuntiva

8. Tavola abbreviazioni

9. Lettera di Luigi Nardi

10. Appendici

 

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