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L'Accademia dei Filopatridi - Storia

L'attuale Accademia dei Filopatridi è erede diretta dell'Accademia degli Incolti, attestata fin dal 1651. Ne dà notizia una Diceria del savignanese Florenzo Righetti, che tratta il tema della "falsa amicizia": alla fine del testo, l'autore ricorda che esso fu recitato in una radunanza accademica, tenutasi nella sala del palazzo comunale, l'ultima domenica di carnevale di quel 1651. La denominazione della vecchia Accademia si ricava da un quadro raffigurante la Beata Vergine e San Nicolò, con in mezzo uno stemma che reca la parola "Incolti". Sotto c'è l'iscrizione latina "Ipsa satis tellus" (La terra per se stessa ci basta). Il canonico Luigi Nardi, nel secolo scorso, ricordava che il patrono degli "Incolti" era San Nicolò, in onore del quale ogni anno veniva indetta una cerimonia accademica.

La "Bibliothecula" degli "Incolti", nata "ad uso soltanto del Reverendo Clero", fu aperta nel 1690 "alla pubblica utilità della Illustre Comunità di Savignano", come dice in latino il titolo del Syllabus, un catalogo dei libri conservati in quella raccolta, iniziato nel XVII ed aggiornato nel XVIII secolo. Nello stesso 1690, papa Alessandro VIII con un suo "breve" decreta la scomunica a chiunque sottragga libri od altro materiale alla "Biblioteca del Palazzo pubblico".

Secondo il modello arcadico, nel 1801, l'Accademia degli "Incolti" viene trasformata nella Rubiconia Simpemenia dei Filopatridi, ovvero Unione di pastori amanti della Patria.

La "Bibliothecula" nel corso del '700 possiede anche testi di Chirurgia, Poesia (Orazio accanto alle liriche per la Festa della Beata Vergine di Fiumicino), Geografia (padre Vincenzo Coronelli), Economia ‘pratica’ ("del Cittadino in villa"). Non mancano Cicerone o il Giulio Cesare del De Bello Gallico. Ci sono gli Aneddoti di Amaduzzi, un trattato del riminese Sebastiano Vanzi, le Lettere Pastorali del vescovo di Rimini, card. Lodovico Valenti. Aristotele vi figura con sette volumi. Non manca il teorico delle argutezze barocche, Emanuele Tesauro che nel suo Canocchiale aristotelico presenta un'immagine della natura che è tutta all'opposto di quella contemporanea di Galileo.

Nel corso del XVIII secolo, la "Libreria pubblica" di Savignano si arricchisce di tre donazioni. Il notaio Girolamo Amati (1767), l'abate Giorgio Faberi (1776) e l'abate Amaduzzi (1792) lasciano i loro volumi a quell'istituzione. Amati ha raccolto testi pregevoli: la sua biblioteca offre una importante testimonianza del clima culturale del Settecento savignanese, alimentato da tante figure locali o riminesi. Tra queste c'è proprio un fratello di Amati, Pasquale che fu poi professore di Giurisprudenza a Ferrara. I testi dell'abate Faberi spaziano su vari argomenti di cultura dotta.

Amaduzzi ha raccolto non soltanto libri, ma anche manoscritti, epistolari, ritratti, incisioni. Tutto il materiale viene trasportato da Roma a Rimini sotto la sorveglianza del canonico Angelo Battaglini e dell'abate Fabrizio Zanotti: "In poco più di due mesi fu provveduto a trasformare le scansie in casse per la spedizione dei libri, a far rilegare manoscritti e miscellanee e a compilare due copie dell'elenco dei volumi contenuti in ciascuna cassa", come scrisse lo stesso Battaglini. Fra l'aprile e l'ottobre '92, il materiale di Amaduzzi (defunto il 21 gennaio precedente), giunse quindi a Savignano.

La Biblioteca accademica si è arricchita di anno in anno, sino ai giorni nostri. Nel 1932 Augusto Campana scriveva che essa "è la più piccola delle grandi, la più grande delle piccole".

Antonio Montanari

 

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07.06.2000 16:25 PM, corretto il 12.12.2003