Riministoria© Antonio Montanari

Giovanni Bianchi (Iano Planco). 

La Spetiaria del Sole, edizione integrale dal testo a stampa del 1994:

3. Frate Girolamo, Filippo e Giuseppe Bianchi

 

 

Planco andava nella Spetiaria come un qualsiasi garzone "che stassene in un angolo della bottega, intento a sceglier'erbe, radici e foglie". Non è lui a raccontarcelo, ma un suo avversario che critica le vanterie esposte da Planco nell'autobiografia scritta in latino nel 1742. Planco replica che non è mai stato "pauper & abiectus", bensì sempre un uomo "libero" dedito alla cultura.

L'aver lavorato nella Spetiaria, è un ricordo che lui rimuove come qualcosa di vergognoso.

Nonostante la morte del padre (sosteneva in quell'autobiografia), si era dedicato subito allo studio delle Lettere, nelle quali si era nutrito per tutta la vita. Il racconto ufficiale che Planco fa della propria giovinezza, non coincide con le notizie che ricaviamo dalle lettere famigliari: dove traspare invece un'esistenza normale, non da genio. La figura di Planco viene ridimensionata, ma anche resa più simpatica. I testi delle lettere sono stati riportati fedelmente agli originali, con i modi ortografici e gli errori in essi contenuti.

 

Seguiamo in parallelo le vicende di Planco e di suo fratello Pietro. Pietro va a scuola dai Padri Minimi, senza troppo entusiasmo. (Per Planco, invece, il ragazzo dà lustro a quell'Ordine.) Destinato a diventar frate con il nome di Girolamo, riprendendo quello del padre defunto, Pietro ama poco o nulla i libri, e definisce "coglionerie" gli studi di Teologia. Il 13 dicembre 1716 è fatto Diacono.

Il giorno prima scrive a Planco: "[…] intendo con mio sommo dispiacere la morte di P[adre] Massani, ma se la causa della sua morte è stata la soverchia applicazione allo studio, non pensate già che questa debba essere la causa della mia ancora, perché già ho abbandonato affatto lo studio, perché già noto che lo studio non serve a niente nella Religione". Il 18 dicembre 1717, a Pesaro, è ordinato sacerdote.

Nelle lettere che Pietro scrive al fratello, scopriamo gli aspetti inediti della biografia di Planco. Frate Girolamo è preoccupato per la condotta di Giovanni che pratica persone "che sono bufoni, che non sono boni ad altro che coglionar il prossimo, e da quali non si puol imparare niente di serio". Nella stessa missiva, ricorda a Planco: "[…] non mancate di fare le parti del nostro debito acciò siate stimato, e ciò farete se vi manterete sul savio, e abbandonerete le bufonarie" [1715]. (Planco racconta diversamente di sé stesso, e in quel periodo si rappresenta come tutto rivolto agli studi della nuova Filosofia, della nuova Scienza e della Lingua greca, nella quale diventa peritissimo.)

All'inizio del '17, Girolamo suggerisce al fratello di porsi "alla chierica". Il sacerdozio però non attira Giovanni che ne teme i vincoli. Qualche amico vorrebbe spingerlo verso gli studi di Diritto, ma lui non apprezza "gli imbrogli e le arti dei legulei".

Frate Girolamo, benché più giovane di un anno rispetto a Planco, si attribuisce il ruolo di capofamiglia ed i suoi toni diventano severi. Nel marzo '17 ironizza: "Ho supposto fin ora che voi vi siate pigliato tempo per pensare alla vostra ellezione di stato, e perciò non abbiate potuto scrivermi". In aprile, non avendolo visto comparire alla fiera, gli scrive da Fano: temo che stiate male "o pure che habbiate de grandi interessi matteschi a quali secondo il solito v'applichiate".

Quando nel novembre del '17, a 24 anni, Planco sceglie di avviarsi alla Facoltà di Medicina, frate Girolamo osserva: "Godo che siate arrivato in Bologna sano e salvo […]; non vorrei che questo fosse il tratto dell'asino, cio è che principiaste con fervore e che poi vi" perdeste per strada, "in mille altre scienze"; "vi ricordo l'honor vostro, le spese della casa, l'utile che perdereste (ciò non riuscendo), e la povertà nella quale con tempo potreste cadere". Figuriamoci se l'enciclopedico Planco voleva accettare questi consigli, farciti di ammonizioni realistiche!

A Fano frate Girolamo ha conosciuto l'"Eccellentissimo Signor Dottor fisico Pini da Rimini, [il] quale si muore quasi per la fame". Per la festa di San Francesco da Paola, si è invitato da solo al convento dei Minimi, e tanto mangiò che i frati pensarono che "fosse un ano che havesse mangiato o pure che avesse il male della lupa".

Della Medicina, Girolamo non ha molta fiducia. I medici li manda "a far dar l'asino tutti quanti", per averli sperimentati di persona: sofferente di "ipocondria e debbolezza", vedeva in quei giorni "vicina" la fine della propria esistenza. (Siamo ancora nel '17, vivrà altri quattordici anni.)

La lettera di frate Girolamo con gli auguri a Planco per la sua carriera universitaria, termina con un'annotazione amara: "[…] state sicuro che quando avrò bisogno di qualche cosa da casa scriverò solamente a Francesco, e quando mi venisse voglia di scrivere a Filippo e Gioseppe non gli scriverò altro che esortazioni accio abbassino l'alterigia e faciano capitale di Fran[ces]co".

Nel '16 Giuseppe lascia lo studio, e "attende alla botega": frate Girolamo suggerisce a Planco di farlo esercitare "in leggere e scrivere acciò gia che sà poco legere con il tempo sappia niente".

 

Il nome di Francesco Bontadini appare per la prima volta nelle lettere del '16. Il frate lascia intendere come la famiglia sia divisa in due partiti, a proposito della gestione della bottega: lui parteggia per Francesco, che invece è osteggiato da Filippo e Giuseppe.

Da una missiva successiva di Filippo, del '18, si ricava che la discussione verteva sulla pretesa di Francesco d'"entrare in parte […] del negozio".

Planco sembra fungere da paciere: "Vedete di mitigare Filippo e fare che egli e Giuseppe se la passino daccordo con Fran[ces]co". Ma in realtà, come lo accusa Filippo, Planco sostiene Francesco. Costui ha esperienza d'affari, mentre Filippo e Giuseppe sono ancora troppo giovani per cavarsela da soli: in quel 1717, quando frate Girolamo scrive a Planco di fare affidamento unicamente su Francesco, essi non hanno ancora diciannove e diciotto anni.

Nel '18 (riferisce Filippo a Planco), frate Girolamo li rimprovera: cominciò a "dire cabiamo [che abbiamo] in testa di voler far gl'omini, e reger noi […]". Filippo risponde: "[…] certo che lo dobiamo avere che, e roba nostra, e non siamo piu ragazi dessere menato a naso da piu nessuno".

Dall'incrociarsi della corrispondenza tra Planco ed i suoi fratelli, apprendiamo anche che Francesco Bontadini, nell'autunno 1718, decide di sposarsi con Giovannina Buferla, senza dir nulla ai Bianchi, nella cui casa egli vive assieme alla propria madre: "Gia credo che sapiate che Francesco sia lo sposo nella giovanina inamorata di buferla, credevo che velaveva avisato […] noi non sapiamo come egli si vogli fare, e lui [frate Girolamo] mi disse non la condura gia in casa nostra, edio li risposi certo che non la [l'ha] da condure, ma bensì a da condur via sua madre", scrive Filippo a Planco.

Francesco sembra citato anche nel testamento di Girolamo Bianchi, esibito dallo stesso Francesco e da frate Girolamo a Filippo e a Giuseppe, in un incontro finito in rissa, con una "ciasata" da "farsi sentire per tutta la piaza o per dir meglio da tutta la Città": "[…] non sei padrone" ha urlato Francesco a Filippo che non è riuscito a trattenere "la colera" nel rispondergli [1719].

Francesco è sollecitato "dal'inquetudine di sua madre […] a far negozio da sé", scrive Filippo a Planco, rassicurandolo: "[…] fra tanto io mi vado impraticando del negozio, e penso quando noi saremo in stato lo faremo da noi, che sesanta scudi saranno buoni per voi acio potiate proseguire i vostri studi senza discapito di Casa nostra" [1719]. (Quei "sesanta scudi" sono la parte che spetta annualmente a Francesco.)

Filippo accusa Planco: "[…] quando vi bisogna qualca cosa non fate mai capo da noi contuttocio vi mantenete in Bologna col dispendio comune per vostro vantaggio, e pure non vi sia negato nulla, e vero che sete magiore ma abbiamo quel tanto, che gli avete voi e non voleste che fosimo padrone dun mezo baioco mi pare che sia un indiscretezza la vostra" [1719].

Nel 1720 frate Girolamo apprende che Francesco "non stava più in nostra botega", senza però saperne la causa. Il frate esorta Planco a far "animo a Filippo acciò diventi premuroso nelli interessi di bottega"; e lo sollecita ad insegnargli "con pazienza a far conti e scrivere".

"Filippo, per quanto intendo non si avanza altro che in buffoneria, e poco o niente attende agli interessi di casa; che piutosto procura di scialare quanto può", annota amareggiato frate Girolamo, quasi per dire a Planco (in quei giorni a Crema): avevo ragione io a voler affidare a Francesco la gestione della nostra bottega [1723]. L'unica preoccupazione di Filippo, secondo il frate, è quella di "pigliarsi li suoi divertimenti", mentre soltanto Giuseppe cura il negozio.

Nel '24 Filippo lascia l'impresa di famiglia, andando a lavorare altrove come orafo ed ottico. Nel '28 titolare unico della Spetiaria figura Giuseppe il quale già in una lettera del '26, nell'augurare a Planco "buon Carnavale", si lamentava che "la solita scarsezza di denari rovina il tutto".

 

Nel '29 Filippo pensa di aprire una propria bottega a Santarcangelo, senza però sciogliere la società famigliare. Due anni dopo è a Roma, dove viene assunto, su raccomandazione di mons. Antonio Leprotti (prima docente di Filosofia in Seminario a Rimini, e poi medico personale di Clemente XII e Benedetto XIV), dall'orefice Angelo Spinaci, "uno dei migliori argentieri" della città. Ma Filippo arriva quando Spinaci cade in disgrazia presso l'aristocrazia capitolina, per colpa di un marchese che ha screditato la bottega con una scenata per strada. Filippo ha poca paga e niente lavoro: "[…] siamo cinque lavoranti che ci stiamo a guardar" [1731]. Però non si perde d'animo: "[…] sia come si voglia à me non importa pur un Cazzo".

 

Contemporaneamente Planco ha altri pensieri per la testa: si è innamorato. Filippo gli raccomanda di fare attenzione: "[…] guardate d'imbarcarvi bene é di spendere bene i vostri danari, acioche non vabiate poi à pentire come sucede alla magior parte degli amogliati".

Quanto ai propri (scarsi) danari, Filippo accusa ancora Planco: "[…] a voi non si è negato cossa alcuna, ma ben sì negate tutto a me". E rinvanga il passato: "[…] se voi non aveste protegiuto tanto quel nostro dil[ettissi]mo Sig.e Francesco Ladro Baccho Sommo che nel temppo che voi eravate in Bologna li vene volonta di prender moglie ed io vi scrissi che sarebbe stato bene il mandarlo via dalla bottega […] e Giuseppe io eramo dacordi di caciarlo al diavollo come ben si merittava per le tante suue belle azioni fataci dacordo assieme con voi ed il Frate nostro Fratello".

A causa di Francesco, Filippo se ne era andato di bottega, "per non più poter sofrire l'imperianza di quel nostro tanto amaro birbante".

Nella stessa lettera Filippo scrive a Planco: "Gia che voi dite d'aver contribuito molto piu di me in servizio della Casa con aver pagato mille e quattrocento scudi di debiti che aveva lassiati nostro Padre pero in questo voi dite una solennissima fandonia perché in tal tempo voi non eravate capace à far senza robba […]".

Allora, Planco studiava e doveva essere mantenuto, forse con altri debiti, come lascia intendere Filippo che conclude: "[…] or su faciamola finita perche sé non tralasciarete con questo caluniarmi vi giuro che in breve tempo la romperemo affatto".

Tre anni dopo Filippo ribadisce da Roma: "Intendo più tosto allegerire il mio debito, che soddisfare al vostro merito".

Per aprire la propria bottega, Francesco ha preso, dalla Spetiaria del Sole, "la robba la più bela e la migliore", denuncia Filippo, ricordando amaramente a Planco di non esser stato "patrone di dire una meza parola" nei momenti in cui si è deciso il futuro della vita economica sua e di Giuseppe [1731].

Ora che si trova in cattive acque, Filippo incolpa quella coalizione tra frate Girolamo e Planco, che ha sostenuto gli interessi di Francesco.

Non sappiamo quanto tempo sia durato il soggiorno romano di Filippo, il quale nel '41 risulta ritornato in Romagna. Si è sposato con Lucrezia, ed ha un figlio, Girolamo, futuro medico e collaboratore di Planco. Vive poveramente in una proprietà agricola della moglie, a San Martino in Converseto (Comune di Borghi). Desidererebbe ritornare a casa propria, presso Giuseppe, ma costui non vuole e preferisce aiutarlo a distanza inviandogli periodicamente del grano. Giuseppe scrive a Planco: "[…] li mando quello che posso; ma non vorrei che un giorno mi venissero in stuffo. Da un canto compatisco perché ho veduto la sua miseria mà pol dire mea culpa".

A San Martino Filippo scompare il 3 aprile 1743, in seguito a grave malattia, dopo aver avuto un altro figlio, Giacomo, morto il mese precedente, all'età di un anno.

Ai funerali di Filippo, non ci sono i suoi fratelli. Planco è a Siena. Giuseppe invece deve badare alle "canaglie" spagnole che gli hanno occupato la casa. Sono i giorni della guerra di successione austriaca (1740-48).

 

Il piccolo Girolamo viene ospitato da Giuseppe, nominato nel testamento di Filippo tutore del bambino. Lucrezia, la vedova, è in miseria, ma senza grossi debiti, pagati da Filippo poco prima di morire, vendendo "la robba e casa che aveva a Bagniolo di Borghi".

Lucrezia scrive a Planco, rinfacciandogli che si "fosse disgustato con il fratello". Per fortuna, aggiungeva, al piccolo Girolamo Planco ha perdonato il fatto di essere figlio di un fratello non amato, e lo ha messo in mano dei "Signori Cognati". La sua situazione economica è aggravata dalla "dimoranza di queste truppe che hanno messo il vivere in un prezzo non giusto; siché la mia fiducia e speranza stà riposta nel buon animo di V. S. Ill.ma", confida a Planco [1743].

I "Signori Cognati" mandano subito Girolamo a scuola da una maestra che abita "sul campo delli Teatini" (relaziona Giuseppe a Planco). Girolamo il 20 maggio 1760 si laurea a Cesena in Sacra Filosofia e Medicina. Divenuto poi aiuto di Planco, quando avrà un figlio, nel 1796, lo chiamerà in suo onore Giovanni. Abiterà nella casa dell'illustre zio, in "Strada Vescovado, vicino al Tempio Malatestiano".

 

Al nome di Filippo è legato un episodio del 1719, narrato da frate Girolamo: "un certo Frataccio" di Rimini aveva cercato di presentare a casa Bianchi la figlia del notaio Ricci, "una bella giovine", su mandato della madre di costei, parlando in particolare appunto con Filippo. Frate Girolamo allora temette "difficultà, rotture, inimicizie e miserie che possono succedere si a Filippo come anche alla giovine", e che si riprometteva di rappresentare al notaio Ricci, nel caso in cui "il negozio potesse andare avanti" per l'interesse del mezzano, a cui la madre della ragazza aveva "promesso qualche cosa".

Il matrimonio con la giovane Ricci avrebbe potuto procurare a Filippo un'esistenza diversa, ma non se ne fece nulla proprio a causa dell'intervento del fratello frate.

 

Frate Girolamo come un vero pater familias "giudica e manda", pretendendo di guidare in tutto i fratelli. Nel '23, suggerisce a Planco di arruolarsi presso "il gran Turco" che "sta faccendo de preparativi di guerra". Come a dire: dato che qui non combini nulla, vai alle armi. Planco invece viaggia per l'Italia, in cerca non soltanto di amici e scoperte culturali, ma pure della salute. Gli studi continui e i tanti esami anatomici compiuti, lo avevano fiaccato.

Riposatosi e inosservante dei consigli, Planco riprende le consuete ricerche in tutti i campi dello scibile. E scrive pure novelle, imitando quel Boccaccio il cui capolavoro frate Girolamo gli ha chiesto nel '21, per leggere in convento le "maggiori novelle sopra li Frati", onde i suoi "sudditi" imparassero "ancor loro a fare furbarie simili".

Sarà poi lo stesso Girolamo ad inviare a Planco suggerimenti narrativi licenziosi, in puro stile decameroniano, presi dalla cronaca di fatti correnti in Pesaro, dove si trovava [vedi Appendice].

Nel chiostro, frate Girolamo si sente lontano dalla vita: "Qualche volta mandatemi li avvisi [i giornali] acciò mi divertisca qualche poco e per sapere qualche novità del mondo" [1721]. Erano giorni di cattivo tempo, quelli. Da Misano non si reca a predicare a Scacciano, "stante le pessime strade": "non voglio perdere la sanità e le scarpe per dire quatro ciarle a quei Villani".

Divenuto "abate", deve "stare in gravità, e non dare in coglionerie", anche se non può "far tanto per reprimersi, perche quod natura dat", nessuno riesce a mutare [1719]. La vita conventuale lo amareggia: "[…] mi trovo molto angustiato per le maligne simulazioni che girano tra frati, [i] quali si mostrano sempre piu in apparenza cordiali, quanto più sono in realtà maligni. Dico di questi di Pesaro […]" [1722].

Non tollera però analoghe critiche da parte di Planco: "Ma oh quanto siete presuntuoso […], d'animo codardo e vile! Tuta la vostra arditezza non consiste in altro che in ciarlare e tagliare, come suol dirsi, li panni di dosso agli altri, e particolarmente a noi poveri Frati […]" [1722]. La lettera vibra della passione di un'invettiva contro i "Secolaracci", seguaci del Mondo, e maestri "dell'instabilità e dell'inganno".

Di queste parole forse si sarà ricordato Planco nel '69 quando, divenuto medico del papa, è "posto in grado di prelatura", ed ha diritto al titolo di monsignore. I tempi "matteschi", di cui aveva parlato frate Girolamo, erano ormai lontani. Ma il fantasma della follia vaga per casa Bianchi: Giuseppe (come si è visto) impazzisce nel '72. La malinconia lo perseguita da una vita. Nel '16, Girolamo aveva scritto a Planco: fatelo "stare allegro perche temo ha dinanzi tragico".

Nessun documento abbiamo trovato sulla fine di Giuseppe. Quella di Girolamo invece è descritta in una serie di lettere del frate stesso a Planco. Afflitto da tosse, catarro abbondante e ristrettezza di petto, Girolamo non si fida ancora dei medici: "[…] io non sono così facile a dar fede a certi uni che milantano con i loro segreti di far resuscitare i morti, per far morire i vivi" [1730]. Nel frattempo, invoca da Planco un aiuto a diventar padre provinciale (era superiore), muovendosi con un anno e nove mesi di anticipo sulla data prevista.

Nella primavera successiva le sue condizioni peggiorano: "[…] per l'inappetenza mi sono tanto indebolito che non poteva più reggermi in piedi" [1731]. Dopo una nuova cura, una purga quotidiana, migliora un poco. Dal letto segue lo svolgimento della già citata lite 'scientifica' di Planco con il medico Mazzacurati, e ne fa un'accurata relazione al fratello, consigliandogli di non farsi vedere da quelle parti.

Chiede a Planco di comperargli le opere di San Girolamo, "[…] non già perché io abbia intenzione di voler ritornare alla applicazione, ma solo affinche se mai morissi (giacche sto malsano) li Frati non mi trovino tanto danaro da farli ridere".

L'ultima lettera è del 10 luglio 1731: "Perché non ho forza di scrivere faro solam[en]te due righe per far vedere che sono ancor vivo; dicendovi che io sto con gran ansietà aspettandovi, affinché mi diate qualche solievo, che fin ora da veruno non ho avuto […]". E manda a dire "alli Padri Sapientoni" del convento di "Rimino": "[…] io ancora non sono moribondo come essi vorrebono". In quel convento egli ha sofferto "tante inquetudini" che considera "il principio ed aggravamento della […] malatia, che ora vorrebbero terminata ben presto con la morte".

Scompare pochi giorni dopo, il 12 agosto 1731, "d'Anni di Religione de minimi 22 […] d'età sua Anni 36 mesi 9 giorni 12". Fu sepolto nella chiesa di San Francesco da Paola, a Pesaro, "essendo il terzo anno che fù Corettore di detto Convento". Così si legge in un'aggiunta (di mano posteriore) alle carte del farmacista Girolamo Bianchi sulla sua famiglia.

 

 

4. Appendice. Suggerimento per una novella boccaccevole

5. Nota bibliografica

1. "Il divin Planco"

2. La Spetiaria del Sole

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