Riministoria© Antonio Montanari

Giovanni Bianchi (Iano Planco). 

La Spetiaria del Sole, edizione integrale dal testo a stampa del 1994:

 

1. "Il divin Planco"

 

 

Giovanni Bianchi (1693-1775), celebre medico e filosofo riminese, è il protagonista di queste pagine, in cui si presentano documenti 'dimenticati' per oltre due secoli. Si tratta di lettere che Giovanni, i suoi fratelli ed una cognata si scambiarono, dal 1715 al '43.

La Spetiaria del Sole è il negozio del padre di Giovanni, Girolamo Bianchi, farmacista. I documenti di cui parliamo, sono stati raccolti nel secolo scorso dal canonico Zeffirino Gambetti. Dal 1870 si trovano nella Biblioteca Gambalunghiana di Rimini.

Impossibile sembra che Carlo Tonini, celebre e celebrato studioso, e fonte pressoché unica di ogni ricerca anche odierna, non li abbia consultati. Più facile, anche se irriguardoso, è ipotizzare che non li abbia voluti utilizzare, per non smontare il mito che Giovanni Bianchi aveva costruito di sé per i contemporanei e per i posteri.

L'immagine che della famiglia Bianchi emerge dall'epistolario, è diversa da quella che Giovanni ci offre nei suoi scritti. La precoce morte di Girolamo segna una svolta drammatica, di cui però non c'è traccia nelle pagine di Giovanni, né nelle biografie che gli furono dedicate.

Giampaolo Giovenardi, arciprete di San Vito ed ex alunno di Giovanni Bianchi, che tenne per volontà dello scomparso l'Orazion funerale in suo onore, ricorda soltanto che i genitori del Nostro furono "non riguardevoli per nobiltà di sangue, né per abbondevole copia di ricchezze, ma solamente onesti, e civili". Quell'aggettivo "onesti" è lo stesso usato da Bianchi in un'autobiografia latina del '42. A chi successivamente gli rinfaccia di non esser mai stato ricco, Bianchi risponde di non esser mai stato "povero".

Giovanni nelle proprie pagine si racconta come fanciullo prodigio, e come giovane tutto rivolto agli studi, dotato di capacità eccezionali. Nelle lettere che gli scrive un fratello, frate nei Minimi, Giovanni invece appare come un perdigiorno che frequenta cattive compagnie.

Giovanni Bianchi fu bastian contrario per vocazione, attaccabrighe per diletto, e petulante censore delle altrui opinioni. Lui stesso si confessa "implacabile nelle inimicizie e negli odi".

Nelle polemiche, ricorre sempre a degli pseudonimi: attacca quella "peste di chirurgo" primario di Rimini, nel 1722, dietro la maschera di tal Marco Chillenio, anagramma del cerusico Carlo Michelini che gli finanzia il pamphlet; nel '26, si firma Ianus Plancus; nel '31, Pietro Ghigi; nel '45, addirittura si sdoppia come Simone Cosmopolita che interviene contro un anonimo bolognese "pro Iano Planco".

Nel corso della celebre disputa sul risanamento del porto canale di Rimini, Bianchi pubblica la Memoria del suo oppositore Serafino Calindri, aggiungendovi delle maliziose note a firma del solito Marco Chillenio che apparirà pure come autore di una Lettera in difesa del "Signor Dottor Bianchi" e delle sue teorie idrauliche. Lo scontro di Planco nel 1731 con il bolognese Giambattista Mazzacurati, medico che esercitava a Pesaro, provocò addirittura l'intervento del papa che interessò i Legati di Pesaro e Ravenna affinché la questione fosse risolta.

Brutto carattere, dunque, il Nostro: "pieno […] di vanagloria e jattanza e […] non esente dai bassi affetti dell'invidia, e sprezzatore per conseguenza dell'altrui merito, godeva delle contese letterarie e scientifiche", così lo definisce Carlo Tonini.

"Ovunque si recasse suscitava interesse, si procurava preziose e durature amicizie, sino a quando, almeno, non ne guastava qualcuna con le sue non sempre felici polemiche", racconta Gian L. Masetti Zannini. "Personaggio di valore indiscusso", fu "anche ambizioso all'eccesso", secondo Giuseppe Pecci. "Grandi difetti ebbe compagni alle sue grandi virtù: e più notevole fu quello della vanagloria e dello spirito irrequieto e battagliero, onde tante questioni incontrò, e tanta molestia ebbe a soffrire", sottolinea Carlo Tonini.

"Non si sa veramente per qual motivo latinizzasse il proprio nome in quello di Giano Planco (Janus Plancus)": forse, lo fece "per quella sua boria e ostentazione che aveva d'uomo studioso delle antichità". Per la sua "indole sarcastica e battagliera", incontrò "molte e fiere inimicizie" e guerre, in patria come fuori di Rimini. (È ancora Carlo Tonini a commentare.)

Comune maestro di una generazione d'intellettuali concittadini, Bianchi compie irregolarmente i primi studi, a causa della morte del padre, avvenuta quando lui ha 8 anni. Fino agli 11 studia Latino presso i Gesuiti riminesi, poi si dedica alla lettura di storici, geografi, botanici, chimici. A 18 anni si accosta alla Filosofia, analizzando le opere di Cartesio e Newton. In seminario, lo costringono a studiare il pensiero aristotelico, un edificio ormai demolito dalla nuova Scienza di Galileo. A 24 anni comincia a studiare Medicina a Bologna. A 26, nel 1719, si laurea.

Poi va a Padova, dove si lega d'amicizia con Giambattista Morgagni e con Antonio Vallisnieri: il primo è il fondatore dell'Anatomia patologica, il secondo è un convinto sostenitore del metodo sperimentale di Galilei nell'arte medica.

Ritornato a Rimini, dopo aver curato gratis i poveri per tre mesi, Bianchi inizia un suo giro d'Italia che dura dal '23 al '40. Contatta luminari, allaccia rapporti di lavoro. Spera nell'incarico di professore di Medicina teorica a Padova, ma glielo soffia un collega già celebre, il professor Piacentini. Scrive opuscoli polemici, studia le maree e le conchiglie. In casa propria, allestisce un museo in cui raccoglie di tutto, collezioni naturalistiche ed archeologiche che attirano l'attenzione dei forestieri: "Mi rallegro […] al vedere che non passa letterato per Rimini, che non faccia capo a lei", gli scrive Ludovico A. Muratori che lo ha raccomandato per il posto a Padova.

Nel 1741 dall'Università di Siena gli viene la nomina a titolare di Anatomia umana. Per Bianchi, sembra iniziare una nuova stagione, ma purtroppo ha breve durata. Appena salito in cattedra, comincia a scontrarsi con i colleghi, tacciandoli d'ignoranza, e lamentandosi della penuria di libri in fatto di Storia Naturale. In Botanica, si mette a tartassare vivi e defunti.

Gli sorge intorno una barriera di ostilità e di diffidenza, destinata ad aumentare nel '42 con quella sciagurata autobiografia anonima che, alle smaccate lodi a Bianchi, univa gli attacchi all'ambiente accademico senese. Attacchi che ne rivelavano l'autore nel medesimo soggetto di quelle pagine.

Alla fine, Bianchi è costretto ad ammettere di aver scritto lui stesso il testo incriminato, prima di ritornarsene (nel '44) a Rimini, dove la Municipalità gli assegna uno stipendio annuo di duecento scudi per la sua sola presenza, con la qualifica di medico primario, e lo onora anche della cittadinanza nobile.

A Rimini, Bianchi riprende l'insegnamento privato, iniziato prima di andare a Siena. La sua casa si trasforma in una vera e propria scuola, ricca di materiale didattico di vario tipo, e di una biblioteca ch'egli tiene continuamente aggiornata.

La frequentano allievi che diventeranno famosi, come Battarra, Bonsi, Garampi e Lorenzo Ganganelli, il futuro Clemente XIV. In quella casa, Bianchi nel novembre del '45 ripristina l'Accademia dei Lincei che, nata a Roma nel 1603, era stata chiusa nel 1630, alla morte del fondatore Federico Cesi. (Dal 1755, dell'Accademia riminese si perdono le tracce.)

Nel 1746 a Bianchi vengono lanciate "accuse acerbissime […] quasi di violata religione nella sezione dei cadaveri". L'Anatomia costituisce la sua passione scientifica e per questa, anche a Siena, aveva già incontrato contrasti: i colleghi lo avevano accusato di infettare il nosocomio, con quasi duecento autopsie in sette mesi. Come lui stesso racconta, le proteste riminesi lo costringono a chiedere licenza alla Curia romana, per le sue esercitazioni.

Nel '49 osserva un caso clinico che poi descrive nella Storia medica d'una postema nel lato destro del cerebello…, per dimostrare che una lesione del cervelletto provoca una paralisi nel corpo dalla stessa parte del lobo offeso, non in quella opposta come accade per il cervello. Considerata oggi il suo capolavoro scientifico, la Storia non fu allora accolta positivamente dal mondo medico, con l'eccezione di Morgagni.

I rapporti epistolari tra Bianchi e Morgagni sono comunque anteriori alla pubblicazione della Storia, avvenuta nel '51: Morgagni gli aveva già scritto che Antonio Maria Valsalva, proprio maestro, morto nel 1723, aveva sostenuto la diversità tra cervello e cervelletto circa le conseguenze delle "offese" a questi organi, fornendone "la vera dimostrazione anatomica e clinica del fatto" nel De Aure humana tractatus.

Ricevuta la Storia, Morgagni nell'aprile '52 scrive a Bianchi: "A me parve degna di lode la Diligenza di Lei in riosservare attentamente ciò che tanti altri Notomisti osservando, non avevano con pari esattezza descritto […]".

Quel "riosservare" è un ironico accenno, in sintonia con il carattere ilare di Morgagni, ad una ‘scoperta dell'acqua calda’ fatta da Bianchi? Probabilmente Morgagni attribuiva a Planco soltanto il merito di aver messo in ordine nozioni già acquisite, ma non da tutti accettate.

Tra 1759 e '61, appaiono vari scritti di Planco contro l'inoculazione del vaiolo a scopo preventivo, propugnata dal medico genovese Giovammaria Bicetti De' Buttinoni. Il quale era stato consigliato da alcuni greci che avevano visto praticare la vaccinazione a Costantinopoli, presso quel "folto popol che noi chiamiam barbaro e rude", come scriverà nel 1765 Giuseppe Parini nell'ode L'innesto del vaiuolo, dedicata allo stesso Bicetti.

Nel '61 Bianchi riceve una lettera (autografa solo nella chiusa) di Voltaire che lo ringrazia del discorso In lode dell'arte comica, inviatogli in dono. Rousseau lo cita nel libro primo dell'Emilio [1762], dove raccomanda la dieta vegetariana (detta pitagorica), propugnata da Antonio Cocchi ed avversata da Bianchi.

L'ex allievo Ganganelli gli scrive nel '63 che non c'è forestiero che non passi per Rimini per "vedere il Dott. Bianchi, e che non abbia segnato" quel nome tra i suoi ricordi.

Appena eletto papa nel '69, Ganganelli nomina Planco archiatro pontificio onorario e cameriere segreto. La Municipalità riminese gli raddoppia a 400 gli scudi dello stipendio annuo, per ordine dello stesso pontefice. Dopo la morte di Clemente XIV, Bianchi è confermato da Pio VI nella carica che gli dà diritto di farsi chiamare monsignore e d'indossare un elegante abito prelatizio ("mantellone paonazzo", lo chiama), con cui egli si pavoneggia, ambizioso qual è.

Negli anni '60 a Rimini, si discute animatamente della sistemazione del porto canale. Il filosofo Giovanni Antonio Battarra è contrario a prolungare i moli, come invece propone Bianchi che, firmandosi Chillenio, attacca il proprio ex allievo e collaboratore (gli ha fatto incidere tavole di rame nel '44). I rapporti tra i due sono tesi già da un po' di tempo, e peggioreranno. Planco combatte anche l'opinione di padre Ruggiero Boscovich ("levare la Marecchia dal porto presente o levare il porto dalla Marecchia"), e lo accusa di dar "cattivi consigli".

Boscovich, scrivendo a mons. Garampi il 9 luglio 1768, tira una frecciatina che sembra rivolta proprio al medico Bianchi: "Né avrei creduto, che la tracotanza di alcuni ignorantissimi in quelle materie, e non so quanto meritatamente accreditati in altre, dovesse far tanta impressione in alcune persone di rango impiegate ne' governi […]".

L'idraulica non è il suo campo, ma Planco da buon erudito settecentesco vuole dimostrarsi enciclopedico. La gloria sicura, egli se l'attendeva ovviamente dalla Medicina, dove "rese famigliare il salutevole rimedio della China China per le febbri terzane, come per tante altre del medesimo genere"; produceva guarigioni quasi miracolose, per cui era solito autodefinirsi "il medico de' disperati".

È sostenitore dell'idroterapia, ritiene i viaggi giovevoli a migliorare "spiriti ed umori" del corpo, in un'epoca in cui sta nascendo un turismo culturale ed uno anche balneare: provetto nuotatore, in uno scritto del 29 luglio 1746 lascia la prima testimonianza moderna di un bagno di mare (fatto di sera, con il marchese Giambattista Diotallevo Buonadrata), prima di un lauto pranzo a bordo "d'una galeotta napolitana".

A 60 anni s'innamora di una celebre attrice comica romana, Antonia Cavallucci, che egli chiama "valorosa fanciulla". Il teatino padre Paolo Paciaudi, la definisce invece "infame sgualdrina" e "cortigiana svergognata", d'accordo con Giovanni Lami che la classifica semplicemente, alla francese, una "figlia di gioia".

Poi, la vecchiaia di Planco è turbata anche da problemi famigliari: nel '72, il fratello Giuseppe impazzisce.

Giovanni Bianchi muore il 3 dicembre 1775, a 82 anni e 11 mesi, per "un'atroce infreddatura" contratta sei giorni prima nell'assistere alla sacra funzione celebratasi in "rendimento di grazie" per la promozione alla sacra porpora del concittadino Francesco Banditi. "Fu sepolto in Abito e Rocchetto in S. Agostino".

La lapide reca il testo da Planco stesso dettato in latino, ove si legge che lui nacque infelice, visse ancor più infelice e infelicissimo morì: credo quia redemtor meus vivit - et in novissimo die suscitabit me - heic requiescit in pace - ioannes paullus simo bianchius - domo arimino qui appellari latine maluit ianus plancus - nascitur infelix vixit infelicior - obiit infelicissime - sed adiuvante deo animo semper hilari quod sibi - ratione et assiduo bonarum pene omnium - litterarum studio comparaverat - vixit annos lxxxii menses xi - obiit ann. salutis mdcclxxv. vale.

L'epigrafe suscita (anch'essa) delle polemiche. Un suo ex alunno, il filosofo abate Giancristofano Amaduzzi, giustifica l'"irrequietezza del suo spirito, per cagione della pazzia frenetica del fratello", anche se ritiene quel testo "uno sconcio di decrepitezza".

"Bizzarra come era bizzarro Planco", definisce l'epigrafe in una lettera privata il poeta Aurelio Bertola che, per la Gazzetta Universale di Firenze, compila un necrologio ("giovanilmente sincero", secondo Augusto Campana), in cui descrive più i difetti che i pregi di Bianchi: lo chiama stravagante, ambizioso, "poco felice nella natìa favella […] osservatore giudizioso della Natura, ma poco amico di quella massima legge: Niun esperimento dee farsi una sol volta. Vantatore di se stesso […] ed alcuna volta ributtante disprezzatore d'altrui, appassionato all'estremo per le beghe letterarie, e soggetto alle bassezze dell'ambizione".

Ne nasce un "vespaio" (il termine è dello scienziato veterinario Francesco Bonsi). "I Riminesi sono sossopra", confida Bertola all'abate Amaduzzi, difendendosi: "Ho detto delle verità alquanto dure" e "mi si danno i titoli di bastardo, di apostata". Bertola accusa "la grossolana Riminese improprietà", definisce i propri concittadini delle "bestie da soma", non sopporta il "ridicolo ascendente di Planco" esercitato sugli allievi della sua scuola. Ma poi, quasi per farsi perdonare, scrive un'ode in onore di Bianchi:

 

"Rimino mia non piangere,

vive il divin tuo Planco".

 

Prosegui: 

2. La Spetiaria del Sole

3. Frate Girolamo, Filippo e Giuseppe Bianchi

4. Appendice. Suggerimento per una novella boccaccevole

5. Nota bibliografica

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