Progetti e studi di architettura

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TEMPIO

 

L'interno

Il forte linguaggio plastico dell'esterno del Tempio, con il suo aulico accento classicheggiante, è contraddetto dal pittoresco assetto architettonico dell'interno, evidentemente ancora gotico e anzi di un goticismo decorativo, sontuoso, che possiamo considerare sostanzialmente aderente al gusto della corte per l'esibizione del fasto e della ricchezza. Interno ed esterno formano come due parti indipendenti l'una dall'altra, senza rapporti reciproci, e sono frutto di mentalità e concezioni (più che di tempi) in profondo contrasto. L'unico punto in comune fra esterno ed interno dell'edificio sembra essere costituito da una dichiarata volontà celebrativa: ma all'esterno si tratta di aulica, solenne, universale esaltazione dell'uomo, della ragione, della storia che si concretizza e rivela nell'armonia e nella grandiosità delle proporzioni e delle masse plastiche; mentre all'interno si tratta di enfatica esaltazione del signore e della sua corte, della sua potenza e della sua ricchezza, che si traduce in un insieme decorativo raffinato e dispersivo, e che raccomanda i suoi significati a iscrizioni e sigle e simboli araldici. Certamente l'interno del Tempio ha qualcosa di profano e di svagato, tanto nell'insieme quanto nei particolari decorativi, accentuato anche dall'evidente stato di incompiutezza. Questa sensazione, ed una superficiale lettura dei cicli figurati hanno portato all'affermazione di Pio II che l'edificio fosse pieno di "opera gentilesche" tanto da sembrare un tempio di "infedeli adoratori di demoni", ed a quella di molti scrittori moderni che ne hanno parlato come di un "tempio d'amore", eretto esclusivamente per celebrare la passione di Sigismondo per la sua amante Isotta. Sigismondo e Isotta, secondo questi ultimi, occhieggerebbero da ogni parte della costruzione indissolubilmente legati in un nodo d'amore, rappresentato dalle iniziali del loro nome, S e I, che costituiscono invece la sigla del solo Sigismondo (come del resto PA era quella di suo padre Pandolfo, KA di suo zio Carlo, RO di suo figlio Roberto). Simili piacevolezze si possono rintracciare da un paio di secoli in quasi tutti gli illustratori del Tempio ed in quasi tutte le biografie di Sigismondo, per questi e per altri fatti spesso ridotto ad eroe di romanzi d'appendice, a protagonista di inverosimili "gialli" storici. Per ritornare al Tempio, va subito detto che per comprenderne i significati bisogna considerarlo la manifestazione più tipica della cultura, oltre che del gusto, della corte di Sigismondo: una cultura di tipo platonico, intellettualistica e raffinata, costantemente e volutamente lontana dalla realtà e anzi quasi timorosa di "contaminarsi" a contatto con la realtà, tanto quella dei fenomeni naturali quanto quella della vita sociale. L'ideazione della decorazione scultorea, tutta condotta dal fiorentino Agostino di Duccio e da maestranze da lui dirette, fra il 1449 e il 1457, è opera di umanisti come Basinio da Parma e Roberto Valturio, e sottintende una gran quantità di citazioni letterarie e filosofiche classiche i cui significati dovevano sfuggire ai non letterati. Il Valturio stesso dichiara esplicitamente che il piano iconografico del Tempio si ispirava alla filosofia, anzi "ai più riposti segreti della filosofia" che solo i più esperti possono penetrare; e non è affatto agevole anche o soprattutto perché i lavori rimasero interrotti nella parte conclusiva, che doveva fornire la chiave per una lettura organica - comprendere i veri significati dei cicli scultorei del Malatestiano, sui quali da anni gli studiosi discutono proponendo le interpretazioni più diverse. Una prima interpretazione unitaria dell'interno del Tempio è stata fornita nel 1928 da Giuseppe Del Piano in un opuscolo dedicato al "concetto spirituale" al "significato religioso e filosofico" dei cicli scultorei. Per il Del Piano il soggetto della decorazione sarebbe la "storia immortale della religiosità umana", illustrata nelle sue tappe fondamentali nelle varie cappelle, a cominciare da quella dei pianeti (con i simboli della civilizzazione e della teologia egiziana), per finire, attraverso quella di Sigismondo (con i simboli del Cristianesimo), nella cappella dedicata a San Michele, l'angelo del la redenzione, con la prefigurazione di una nuova e finalmente perfetta "religione universale". Questa interpretazione, "eretica", si opponeva a quella "erotica" che vedeva nell'edificio soprattutto l'esaltazione dell'amore di Sigismondo per Isotta, e che aveva fatto chiamare l'edificio "tempio Isotteo". Fu confutata nel 1951 da Domenico Garattoni, che sottolineò il legame fra i bassorilievi e i santi titolari delle varie cappelle, e notò che le cappelle stesse si fronteggiano secondo una chiara simmetria di significati religiosi. Propose dunque una lettura in chiave cristiana, per settori, e gli sembrò che i soggetti rispecchiassero precise scelte compiute dai Francescani, dal vescovo e dal clero secondo esigenze di culto.
Una chiave interpretativa diversa, e che ha alle spalle una cospicua tradizione, offriva André Chastel nel 1959: Glorificazione profana e spirito di devozione qui si legano strettamente; non si devono tuttavia immaginare che intenzioni eretiche e il proposito di insinuare un paganesimo sovversivo in un santuario cristiano fossero all'origine di questa insolita creazione: si deve invece pensare alle stravaganze dell'orgoglio. Il Malatesta ha voluto riunire le forme più moderne dell'arte e della cultura umanistica per rendere immortale la sua gloria". La decorazione del Tempio, ispirata alla cultura platonica coltivata alla corte riminese, sarebbe ordita su un doppio registro: la gloria del sapere e della potenza a cui ambiva Sigismondo. In quanto all'introduzione nella chiesa dei simboli del sapere e del cosmo astrologico (le figurazioni delle cappelle delle arti liberali e dello zodiaco) lo Chastel non la giudica impudente: "insolito invece, e provocante, era il fatto che si insistesse sulla loro struttura pagana e che si facesse servire, a quel che sembra, tutta quanta la decorazione del tempio solo alla glorificazione del Malatesta". I contributi più recenti sul problema dell'interpretazione dell'apparato iconografico del nostro edificio sono di Charles Mitchell. Questo studioso, rilevata una certa concordanza formale tra il passo in cui il Valturio ricorda il Tempio e gli scritti di Macrobio, esaminò alla luce di questi le sculture riminesi e giunse alla convinzione che il tema fondamentale in esse sviluppato fosse quello dell'identificazione di Sigismondo col sole e della sua apoteosi nel senso delle dottrine platoniche. Più recentemente, riprendendo questo tema, il Mitchell ha proposto un'interpretazione più complessa: le sculture avrebbero dovuto rappresentare le virtù di Sigismondo, il mito della vita spirituale di Sigismondo ed infine l'immortalità di Sigismondo. Ma per esigenze economiche nel 1454 il programma iconografico ed architettonico avrebbe subito una drastica riduzione ed un profondo rimaneggiamento, per permettere di utilizzare le sculture già eseguite, col risultato che ora una lettura corretta dei significati di tutta la parte decorativa è impossibile. Un'intera sezione non sarebbe stata realizzata: quella riguardante la salvezza cristiana, rappresentata da un ciclo di bassorilievi con la passione di Cristo, della quale tuttavia rimarrebbero pochi e sparsi elementi.