Progetti e studi di architettura

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TEMPIO

 

La chiesa di San Francesco e Sigismondo Malatesta

La Chiesa di San Francesco - quella che poi sarà chiamata "Tempio Malatestiano" e che diverrà la cattedrale di Rimini era stata costruita dai Minori Conventuali nella seconda metà del Duecento in un luogo pressoché disabitato, accanto ad una fossa e al limite della "zona patarina". Si trattava di una chiesa ad unica navata, ampia, ma estremamente semplice e dimessa. Cominciò a diventare importante abbastanza presto, cioè almeno dall'inizio del Trecento, quando i signori di Rimini i Malatesti - la prescelsero come luogo per la loro sepoltura. Sempre all'inizio del secolo (e i due fatti sono probabilmente da mettere in connessione fra loro) Giotto ne dipinse l'abside con un ciclo di affreschi, forse di soggetto francescano, subito divenuto celebre e subito guardato con molta attenzione dai pittori locali. Nel 1447, seguendo una tradizione familiare ormai consolidata, Sigismondo Malatesta cominciò a costruire in San Francesco una cappella sepolcrale, sfondando la parete destra della navata e occupando lo spazio tra la facciata e una vecchia cappella, eretta dal frate minore Leontino da Rimini, vescovo di Fano dal 1362 al 1388. Nello stesso anno (1447) Isotta degli Atti - amante e poi sposa di Sigismondo - ottenne di poter utilizzare per sé ed ingrandire la cappella di Leontino, sicché i lavori procedettero per entrambe di pari passo e su uno stesso disegno. Per quanto si trattasse di lavori notevoli, non erano tali da trasformare completamente la fisionomia della chiesa francescana, ma proprio durante quei lavori, nel giro di pochi anni, Sigismondo concepì l'idea di rifare tutto l'edificio e di trasformarlo veramente nella chiesa dei Malatesti. Per quanto forse maturata lentamente, l'idea si concretizzò per un motivo preciso, dichiarato nella monumentale iscrizione della facciata e soprattutto nelle iscrizioni greche dei fianchi della nuova chiesa: "Sigismondo Pandolfo Malatesta, figlio di Pandolfo, scampato ai moltissimi e gravissimi pericoli attraversati nella guerra italica per le imprese con valore e con fortuna compiute, dedicava a Dio Immortale e alla città questo tempio, e lo innalzava sostenendone le grandi spese con magnifico animo, lasciando un monumento nobile e santo". Si trattava dunque di un voto fatto durante una guerra, probabilmente quella di Toscana, condotta vittoriosamente da Sigismondo per i Fiorentini contro Alfonso d'Aragona nel 1448. Appunto alla fine del 1448, o meglio all'anno successivo, risalgono forse i primi contatti con Leon Battista Alberti per il rifacimento di tutta la chiesa. Una sola condizione dovette essere posta all'architetto: il mantenimento delle due cappelle nuove, non ancora finite, per le quali già cominciavano a lavorare Agostino di Duccio e Matteo de' Pasti. L'ordine fu rispettato, ma finì per condizionare tutto l'interno della costruzione; il resto della chiesa fu, lentamente ma completamente, demolito, compresa l'abside con gli affreschi di Giotto, e solo qualche breve tratto di muro e la facciata vennero incorporati nella nuova costruzione. Attorno alla quale si lavorò almeno fino al 1460, anno in cui la fortuna di Sigismondo crollò rapidamente per la palese ribellione al Pontefice (Pio II), che nel Natale di quell'anno lo scomunicò: la scomunica - motivata nell'anno successivo e confermata solennemente nel 1462 portò fra l'altro all'esecuzione capitale "in effigie" del signore riminese. L'edificio dunque rimase incompiuto, ed ancor oggi, da qualunque parte lo si consideri, appare chiaramente incompiuto. E cosi proprio il monumento che per mole, forma, significati, e persino per impegno economico avrebbe dovuto rendere concreta nei secoli la grandezza di Sigismondo, finisce per essere la più esplicita testimonianza della sua improvvisa sfortuna, della fragilità della sua potenza economica e politica, dell'inconsistenza dei suoi sogni di gloria.
Al rifacimento totale di San Francesco si cominciò a lavorare materialmente intorno al 1450; da quell'anno infatti si nota un gran daffare per racimolare pietre e marmi, che vengono ordinati in Istria e a Verona, che vengono requisiti a Savignano e a Fano, che vengono presi a S. Apollinare in Classe e dall'antico porto romano di Rimini. Nel 1452 si prelevano persino le migliori lapidi sepolcrali del cimitero attiguo alla fabbrica. Ma l'edificio crebbe lentamente; alla fine del 1454 non era ancora del tutto finito il basamento, si discuteva su come realizzare gli archi laterali della facciata e l'Alberti apportava consistenti varianti al suo progetto. Come fosse questo progetto, e quindi come avrebbe dovuto essere completato l'edificio, è un problema aperto e forse insolvibile. L'unico documento che ci restituisce un'idea del modello albertiano è costituito da una medaglia fusa da Matteo de' Pasti verso il 1452, rappresentante la facciata del tempio sormontata da una grande cupola; su questa base, se è possibile ricostruire idealmente la facciata, è quasi impossibile ricostruire il resto. In sostanza le ipotesi sono due: la chiesa doveva terminare con un transetto su cui si librava una cupola a costoloni, oppure con una cupola rotonda più o meno direttamente ispirata al Pantheon.