IL NUOVO MILLENARISMOUn tentativo di descrivere  la complessità eliminando i luoghi comuniWEBMASTER E   AUTORE PROGETTO : CLEMENTE RUSSOUn  luogo della memoria, un luogo della civiltà

Questo sito aderisce all'appello di Giustizia e Libertà per la pace In  memoria dell'11 settembre 

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23.03.2003 In autoaggiornamento continuo

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LA STORIA COME SCIENZA DELLA MEMORIA

LA MODERNA SCHIAVITU'

LA SVOLTA DELLA RESISTENZA

NASCE LA GRANDE EUROPA

 IL GIORNO DELLA  MEMORIA 

LA STORIA PER SCHEMI GENERALI

ELEMENTI DI STORIOGRAFIA

LE ULTIME FRONTIERE DELLA GLOBALIZZAZIONE E IL NUOVO MILLENARISMO

 

SCENARI GLOBALI E GUERRA DEL TERRORE

LA SPORCA GUERRA AFGANA

LA GUERRA BATTERIOLOGICA

IL CONFLITTO GLOBALE

LA PIU' RECENTE STORIOGRAFIA

LA SVOLTA DELLA GLOBALIZZAZIONE NELLA RIFLESSIONE FILOSOFICA DI INIZIO MILLENNIO

QUALE FUTURO CI ASPETTA

LA MINACCIA VIENE DALLO SPAZIO

GLI ITALIANI SONO PIU' POVERI

LA NUBE CHE UCCIDE

TERRORE GLOBALE

IL PERCHE' DELLE CATASTROFI

QUADRANTE SCOLASTICO

IO NON RINUNCIO ALLA MEMORIA!( 27 gennaio 2003 da ricordare)

LE RAGIONI DEL DECLINO DELL'ITALIA

I LIBRI DI STORIA E IL FUTURO DELLA NAZIONE

LA STORIA COME SCIENZA DELLA MEMORIA

Uno dei compiti essenziali per la ricerca storica è quello di ripercorrere a ritroso, con l'ausilio del metodo delle scienze i fatti,gli ambiti, i percorsi di civiltà ripensandoli e ripresentandoli come scienza al lettore.

Nell’Apologia della storia", Marc Bloch si chiede quale sia veramente la funzione dello storico
: quella di giudicare o di comprendere ? Lo storico o il dotto è invitato a "eclissarsi" di fronte al fatto storico . E
la storia è chiamata a un doppio compito : quello dell’imparzialità e l’altro, il tentativo di riprodurre
l’evento passato per richiamarlo alla memoria collettiva come analisi della realtà
( M.Bloch, cit., cap.IV, 1 sgg. ).

Anche il docente di storia, pur non essendo stricto sensu uno storico, ha però il compito di trasmettere allo studente, al
cittadino, all’uomo contemporaneo, il senso del vero della dottrina storica e non ha che una via : quella di un’analisi
puntuale, non inficiata da personalismi o ideologismi che generano solo coscienza reificata


LA MODERNA SCHIAVITU''

Generalmenteed erroneamente si ritiene che la schiavitù sia oramai un ricordo del passato : nulla di più falso e fuorviante.

In realtà la schiavitù è ancor oggi consentita de jure al di fuori della civiltà occidentale e de facto anche
all'interno dell'evoluto Occidente.

Basti pensare a fenomeni come quelli legati alla tratta degli schiavi ( prostituzione e mercato clandestino degli
organi, legato al rapimento di bambini anche in tenera età).

Storicamente l'abolizione della schiavitù (Abramo Lincoln, 1863) non significò per
decine di milioni di nigger la libertà, bensì nuove e più subdole forme di violenza e di sopraffazione da parte dei
detentori della ricchezza e del potere ( "Radici", Alex Haley, la saga di una famiglia americana,Rizzoli 1977, 473 sgg).

Questa è la ragione per cui l'ONU ha dedicato la data odierna alla giornata della memoria delle persone ridotte in schiavitù.

LA SVOLTA DELLA RESISTENZA

Una Legge voluta dal Parlamento europeo e fatta propria da quelli nazionali, dedica un giorno ( il 27
gennaio ) data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, al fine di ricordare
la
Shoah
(sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione dei cittadini ebrei.Se la
Storia
è ancora un luogo privilegiato della memoria, di quello che Hegel ha definito lo "Spirito del tempo",
allora dobbiamo tutti far sì che questa categoria dello spirito riviva nei nostri cuori, nelle radici culturali della nostra casa comune,
la civiltà occidentale, nella stessa storia come processo di civiltà e scienza dell'uomo nel tempo.


Si celebra quest’anno il 56° anniversario della “Liberazione”. Sostenere, come fa certa tendenza politica e culturale nel nostro
Paese, che la Resistenza sia stata contraddistinta da una inoppugnabile prevalenza ideologica del partito comunista, è un
falso storico.

E’ vero invece che non solo la Resistenza si configura come un movimento di popolo ( guerra di massa contro l’oppressore), ma
che, anzi, i movimenti partigiani di ispirazione non comunista rappresentarono forse la maggioranza nella nazione.
Lo stesso capo del Corpo Volontari della Libertà era il monarchico Cadorna.

Ma soprattutto : crolla miseramente il teorema storico della separazione tra un Nord partigiano e un Sud monarchico e legittimista.

La deduzione, suffragata dalle testimonianze documentali, che assegna al Mezzogiorno d'Italia un ruolo di primo piano nella
dialettica storica della Resistenza, è stata già confermata (sul campo di concentramento di Ferramonti
cfr.P.Borzomati, La Calabria nei documenti storici, Falzea, 2000, 70-75 ). Di fatto, la prima azione di liberazione
del movimento partigiano fu compiuta con la conquista di Napoli (27.09.1943) ispirata dalla popolazione e dai partigiani che
liberarono la città partenopea ancor prima dell’arrivo degli anglo-americani.



LA STORIA PER
SCHEMI GENERALI



La conoscenza storica non può non occupare, in una riforma culturale del sistema scolastico come quella che si prepara, un posto di rilievo centrale. Studenti e studentesse dovranno essere in grado dl orientarsi in maniera non superficiale all'interno dell'itinerario
storico della civiltà cui apparteniamo.


Il fatto, di per sé rivoluzionario, che la riforma ministeriale consenta di dedicare un intero anno di studi alla storia del
novecento, non deve però indurre alle facili generalizzazioni e agli entusiasmi eccessivi .

Si pensi, infatti, che il novecento è, per definizione, l’unico secolo nel quale si evidenzia la mondializzazione della storia(*).

Ripercorrere, quindi, il processo evolutivo del novecento significa soprattutto connotare la formazione dello studente, o di chi voglia semplicemente rimettere in discussione la propria cultura, con il "riorientamento gestaltico" in corso :
in definitiva, significa comunque mettersi in crisi, imponendo alla propria personalità flessibilità, capacità adattive,
duttilità intellettuale. Studiando a fondo il novecento, gli italiani apprenderanno meglio il rapporto tra cittadino,
istituzioni e società civile, potranno confrontarsi con l’evoluzione della tecnostruttura, interrogarsi sul futuro
prossimo; sfidare anche, se possibile, i propri pregiudizi (*).



 

 

Circa le fonti storiografiche, è del tutto ovvio che occorre un
percorso selettivo, dal momento che la bibliografia è davvero imponente.Un esempio illuminante di come si possano utilizzare le
fonti ( nella fattispecie gli archivi russi dell’era postcomunista ) ce lo offre il giovanissimo storico inglese
Orlando Figes, che ne"La tragedia di un popolo",Corbaccio 1997 descrive , analizzandola in modo lucido e impersonale, la
catastofe annunciata della società russa, basandosi sulla ricchezza e selettività delle fonti documentali, senza
infingimenti o ideologizzazioni di sorta.

"Caratteristica principale del testo è la ricerca di fonti molto private, quali diari, lettere, appunti, ricordi di
personaggi principali come di secondarie "comparse". Il risultato è un appassionante diario collettivo di anni in cui la
tragedia e l'entusiasmo si fondevano dando vita a uno straordinario fermento generale. La "tragedia di un
popolo", con il suo tributo di migliaia di morti, ma anche il suo risveglio da un torpore millenario, che ha segnato la storia
mondiale del secolo. A coronamento del notevole lavoro, una parte iconografica ricca di immagini curiose e inedite, aiuta a ricreare
una panoramica completa dell'epoca".(recensione su Alice.it).

In tema di repertori che traggono la loro ispirazione da fonti storiografiche , si segnala con il suo ultimo lavoro, "Il
passato di un’illusione"( 1996), lo storico francese François Furet , un’autorità nel campo della Rivoluzione Francese,
esprimendo il suo parere per un argomento che per più di trent’anni ha interessato la politica francese. Raymond Aron e
la naturalizzata tedesca Hannah Arendt : il comunismo e il nazismo, due facce dello stesso fenomeno
totalitario
. François Furet parte dall’analisi del modello rivoluzionario francese ( Danton e Robespierre e il suo regime del
"Terrore") per risalire alle fonti di ispirazione di tutti i totalitarismi del novecento.( Fonti : Hannah Arendt, le
origini del totalitarismo,New York,1951 ; Raymond Aron, L’essence du totalitarisme, 1954 ) (*).


Ma fino ad oggi la conoscenza del Novecento è stata accantonata in tutto o in parte con gravi danni per la
capacità dei giovani usciti dalla scuola di muoversi all'interno del mondo contemporaneo.

E' giunto il tempo di porre termine a questa situazione e di attribuire ai problemi, agli avvenimenti, alle personalità che
hanno segnato la storia del secolo appena trascorso uno spazio adeguato. Spetterà agli insegnanti mettere in luce il confronto
tra le visioni differenti che caratterizzano l'interpretazionedi un secolo complesso e ancora aperto a ogni seria ricostruzione che ne metta in evidenza il carattere e gli esiti.

La conoscenza del Novecento favorirà nei giovani l'apertura ad ottiche,
teorie, linguaggi assai differenti da quelli adottati tradizionalmente nella scuola."




ELEMENTI DI STORIOGRAFIA


La
ricercadi uno schema generale del processo storico e dei suoi caratteri evolutivi è da sempre il compito istituzionale di ogni seria indagine storiografica, soprattutto a partire dall’Illuminismo.

Marx, Hegel,Comte nel secolo scorso hanno inquadrato tale indagine in sistemi a carattere scientifico di tale complessità da essere a buon diritto scambiati per ideologie
.Infine l’enorme accumulazione di conoscenze, soprattutto a carattere scientifico, del XX secolo, ha portato gli storici a rivedere i caratteri, le procedure e finanche i metodi dell’indagine storiografica,riconsiderando gli schemi generali, anzitutto con il ridurne la portata e la stessa pretesa di verità

Ripercorrere, quindi, il processo evolutivo del novecento significa soprattutto connotare la formazione dello studente, o di chi voglia semplicemente rimettere in discussione la propria cultura, con il "riorientamento gestaltico" in corso :
in definitiva, significa comunque mettersi in crisi, imponendo alla propria personalità flessibilità, capacità adattive,duttilità intellettuale(*). Studiando a fondo il novecento, gli Italiani apprenderanno meglio il rapporto tra cittadino, istituzioni e società civile, potranno confrontarsi con l’evoluzione della tecnostruttura, interrogarsi sul futuro prossimo; sfidare anche, se possibile, i propri pregiudizi (*).

Circa le fonti storiografiche, è del tutto ovvio che occorre un percorso selettivo, dal momento che la bibliografia è davvero imponente.Un esempio illuminante di come si possano utilizzare le fonti ( nella
fattispecie gli archivi russi dell’era postcomunista ) ce lo offre il giovanissimo storico inglese Orlando Figes, che ne"La tragedia di un popolo",Corbaccio 1997 descrive ,analizzandola in modo lucido e impersonale, la catastofe annunciata della società russa, basandosi sulla ricchezza e selettività delle fonti documentali, senza infingimenti o ideologizzazioni di sorta.

"Caratteristica principale del testo è la ricerca di fonti molto private, quali diari, lettere, appunti, ricordi di personaggi principali come di secondarie "comparse". Il risultato è un appassionante diario collettivo di anni in cui la tragedia e l'entusiasmo si fondevano dando vita a uno straordinario fermento generale. La "tragedia di un popolo", con il suo tributo di migliaia di morti, ma anche il suo risveglio da un torpore millenario, che ha segnato la storia mondiale del secolo. A coronamento del notevole lavoro, una parte iconografica ricca di immagini curiose
e inedite, aiuta a ricreare una panoramica completa dell'epoca".(recensione su Alice.it).

In tema di repertori e di fonti metodologiche della ricerca che traggono la loro ispirazione da fonti storiografiche , si segnala
la c.d. "storiografia revisionista", in particolare gli storici François Furet e Ernst Nolte .Il primo,con il suo ultimo lavoro, "Il passato di
un’illusione"( 1996), esprimendo il suo parere per un argomento che per più di trent’anni ha interessato la politica francese.Lo storico tedesco invece accomuna, in un "novum" metodologico, fascismo, nazismo e comunismo, considerandoli alla stregua di moderni totalitarismi che, avviando machiavellicamente la scissione fra morale e politica, corrompono il costume sociale e politico dell'Europa.

E, appunto, una corretta analisi sui totalitarismi del '900 non può trascurare il fondamentale contributo che lo storico anglosassone Eric Hobsbawm ha pubblicato nel 1994 con il titolo "the Age of Extre-mes : The Short Twentieth Century, 1914-1991" (trad.t." Il Secolo Breve" ). Due sono le straordinarie novità interpretative dell'opera: il concetto di brevità e precarietà del tempo nel XX secolo ( un secolo che dura solo 75 anni! ); infine la crisi economica globale e pervasiva, scandita dal ritmo ossessivo del tempo ( crisi cicliche, crisi finale dopo il 1991caratterizzata dalla perdita del carattere ontologico della storia).

L'estremismo e la violenza apocalittica del secolo più intenso della storia sono la diretta conseguenza delle prime due nozioni interpretative al punto da non lasciare dubbio alcuno allo spettatore disorientato : " Il secolo breve è terminato lasciando aperti problemi per i quali nessuno ha o dice di avere le soluzioni (..)Per la prima volta manca del tutto ogni sistema e struttura internazionale(..)Un'epoca della storia è finita(..)Se l'umanità deve avere un futuro in cui riconoscersi, non potrà averlo prolungando il passato o il presente".


(11.09.2001) : IL NUOVO MILLENARISMO

L'ansia profetica di un'umanità che ha forse definitivamente smarrito il senso della storia, in un trascorrere inautentico che nega a se stessa la temporalità, la razionalità e la stessa norma etica dell'agire, si introietta così nel vissuto quotidiano dell'individuo postmoderno, in un nuovo millenarismo che pone domande cui essa stessa non sa più rispondere.Già da qualche anno, a onor del vero, tale evidenza appariva presente nella diagnosi storiografica di E.Hobsbawm, allorché significativamente e quasi profeticamente lo storico anglosassone così concludeva la sua lucida analisi."Non sappiamo dove stiamo andando. Sappiamo solo che la storia ci ha portato a questo punto e - se i lettori condividono l'argomentazione di questo libro [Il Secolo Breve ] sappiamo anche perché. Comunque, una cosa è chiara. Se l'umanità deve avere un futuro nel quale riconoscersi, non potrà averlo prolungando il passato o il presente. Se cerchiamo di costruire il terzo millennio su questa base, falliremo. E il prezzo del fallimento, vale a dire l'alternativa a una società mutata, è il buio" (E. Hobsbawm, cit, 674)

"L'11 settembre 2001 è finita l'era geopolitica cominciata il 9 novembre 1989"Così esordisce la rivista italiana di geopolitica Limes nel fascicolo intitolato significativamente "La guerra del Terrore"( Suppl. n° 4- 2001 ). L'evento, non certo completamente inatteso, che ha colpito l'America, ha tutto l'aspetto di una crisi di civiltà.

Esso sancisce al tempo stesso un inizio e una fine.E' un inizio perché, nell'insieme degli scenari strategici postmoderni, sancisce definitivamente l'avvio di una nuova era nei rapporti internazionali e nella stessa politica di potenza,  finora egemonizzata dagli USA e, in misura minore, dal Patto Atlantico, unico sopravvissuto alla politica dei blocchi ideologico -militari.

Ma è altrettanto indubbio che tale evento  è anche la fine di un'epopea, breve quanto intensa : l'epopea del dopo Berlino(1989-91) In questo senso è più corretto parlare di conflitto asimmetrico.E' infatti indubbio che, per come è avvenuto, l'attacco all'America sia un atto di guerra; ma una guerra in cui le parti contraenti sono asimmetriche. Chi si contrapporrebbe militarmente e politicamente al blocco occidentale? Per raggiungere quali fini geo-strategici? Alla fine prevale la tesi di chi dimostra che la globalizzazione, oltre il postmoderno, ha imposto anche le linee strategiche dei nuovi conflitti del III millennio.Il mondo materialmente egualizzato come sopra descritto giace in una situazione di diarchia dicotomica : da una parte i Paesi industrializzati (Occidente), dall'altra i Paesi poveri (Terzo e Quarto Mondo ). Da una parte quella che Immanuel Kant avrebbe chiamato "La pace perpetua", dall'altra la guerra, clausewizianamente definibile come ""La continuazione della politica, con altri mezzi"Si evidenzia una poliarchia di fatto quale evidenza planetaria, con una spaccatura economica, ideologico-religiosa ed etica di dimensioni apocalittiche, in cui si afferma quale fase matura del processo storico la politica del terrore, attraverso la liturgia politica propria della sua prassi ."

Riflette in tal senso Fukuyama: "Questa opinione è stata contestata da molti e forse nella maniera più chiara da Samuel Huntington. Egli sosteneva che piuttosto che progredire verso un singolo sistema globale, il mondo restava impantanato in uno "scontro di civiltà", in cui sei o sette grandi gruppi culturali coesistono senza convergere e costituiscono le nuove linee di frattura del conflitto globale.
Poiché l'attacco perfettamente riuscito al centro del capitalismo globale è stato chiaramente perpetrato da estremisti islamici contrari all'esistenza stessa della civiltà occidentale, gli osservatori hanno utilizzato pesantemente la tesi dello «scontro» di Huntington a scapito della mia teoria della «fine della storia»"(La Repubblica, 19.10.2001).

E ritorna ancora più di recente con un documentato e analitico contributo a sostenere le sue ragioni,  in particolare nella dialettica tra Islam e Occidente, profetizzandone l'esito nella dissoluzione di ogni prospettiva storica coerente ( intervento su La Repubblica, 27.12.2001).

La più recente e avvertita indagine storiografica ha invece messo in evidenza gli snodi problematici dell'ultimo orizzonte di civiltà che sono riassumibili come segue:

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aspetti convergenti tra Occidente e Islam ( Edward Said )che criticano l'impostazione critica di Samuel Huntington(The Crash of Civilizations, 1993);

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equilibrio tendenzialmente poliarchico degli attuali assetti globali (Luigi Bonanate, Il potere del terrore, 1998);

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interazioni reciproche e confronti culturali epocali tra Oriente e Occidente quali leit-motiv dell'ultimo confronto di civiltà(Franco Ricca, Confronti culturali, in Atlante del Novecento, UTET, 2000, p.941).

Come si vede, le tesi della continuità prevalgono essenzialmente rispetto a quelle che rappresentano la rottura.

La vasta regione montuosa compresa tra i sistemi montuosi dell'Hindukush, del Karakorum e del Pamir racchiude una storia plurimillenaria straordinariamente ricca di orizzonti di civiltà.

Una volta nota come Battriana, la regione  con i suoi contrafforti rocciosi, impenetrabili e silenziosi era considerata il ponte naturale, la chiave di accesso che dall'Asia Centrale porta direttamente all'India, quindi strategica per ogni civiltà che volesse espandersi da e per l'Asia Centrale verso l'Europa.e viceversa.

Appunto "ai confini occidentali dell’India, in quella regione che dai cinque fiumi che la irrigano fu chiamata dai Greci Pentopotamia, dagli Aryi Sapta-Sindhu, ed oggi è il Penjab, stanziò anticamente, venti e più secoli innanzi l’era, una vasta aggregazione di famiglie e di tribù, che andate lungamente errando per le alture dell’Asia centrale, ed avuta poi più ferma e durevole sede nella Battriana e nella Sogdiana, regioni montane e liete per cui trascorre divallando 1’Oxus, erano quindi discese nelle fertili e belle pianure sottoposte, rallegrate da splendido cielo, da mirabile fecondità e da limpide acque. Quelle famiglie, quelle tribù che si erano a mano a mano accozzate insieme, e che formeranno più tardi il popolo Indo-Aryo, attendevano in quei primordi dell’errante loro vita all’agricoltura e alla pastorizia. La loro lingua, che svolgendo via via il fecondo e robusto suo germe, diventerà più tardi un capolavoro dell’ingegno umano, e le cui propaggini vigorose si ramificheranno nei principali idiomi europei, era allora un complesso di monosillabi radicali, dotati di una possanza maravigliosa, determinabili in modo infinito, e fecondi di tutte le immagini della parola e del pensiero.

Nel primo periodo della loro vita i popoli sono principalmente dominati dall’aspetto del mondo esterno, dall’azione possente, irresistibile dei fenomeni naturali; quindi quel sentimento intimo, spontaneo, universale di un Essere sovrano, quel sentimento che spinge gli uomini all’adorazione, al culto del divino, all’espressione del pensiero religioso, dovea di necessità in quel primo periodo di lor vita manifestarsi in modo conforme al loro [585] sentire, volgersi ai grandi oggetti sensibili, idoleggiarli, farli divini, esplicarsi insomma nel culto della natura. Tale appunto fu il culto primitivo di quelle genti stanziate nelle regioni dell’Indo. Elle invocarono con preci, sacrifizi ed inni l’aurora, il sole, la luna, il fuoco, i venti, i fiumi; salutavano con gioia il nascente crepuscolo del mattino e lo schiarirsi del giorno, celebravano la vittoria del Dio della luce sulla nemica tenebra della notte, e scioglievano inni di grazia alle divinità protettrici, mediante il cui soccorso elle uscivano vittoriose dall’incessante lotta colle forze della natura e colle stirpi loro avverse. Nessun culto naturale, io credo, si manifestò mai con inni cosi nobili; tutto in essi ritrae dalla grandezza della natura, dagli aspetti sublimi che si offrivano a quelle vergini imaginative, dalla bellezza d’uno splendido cielo, dalla vastità dell’orizzonte profondo dei monti. La lingua di quegli inni, benché piena di forme arcaiche, di strutture più che ardite, d’un certo disordine che rivela il conato del pensiero nel trasformare in parola sensibile il verbo ideale, manifesta pur nondimeno una gagliardia ed una freschezza maravigliosa."

 

Questa è la ragione per cui Alessandro il Grande durante la storica impresa che lo vide protagonista, puntò alla Battriana come a un obiettivo strategico della sua espansione verso Oriente e la civiltà indiana.. Così,  quando il fuggitivo Dario si presentò al satrapo della Battriana, quest'ultimo, credendo di far cosa gradita al Principe macedone, lo uccise a tradimento.

LA SVOLTA DELLA GLOBALIZZAZIONE NELLA RIFLESSIONE FILOSOFICA DI INIZIO MILLENNIO

Quando il ritmo degli avvenimenti sorpassa la nostra capacità di lettura e comprensione della realtà, consegnando il presente all'oblio della ragione e all'ottundimento dei sensi; quando alla norma dell'agire, kantianamente inteso, si sostituisce l'ansia profetica di un'umanità che ha forse definitivamente smarrito il senso della storia, in un trascorrere inautentico che nega a se stessa la temporalità, allora la razionalità e la stessa norma etica dell'agire, si introiettano  nel vissuto quotidiano dell'individuo postmoderno, in un nuovo millenarismo che pone domande cui essa stessa non sa più rispondere.

Proprio in queste ultime settimane alcuni importanti contributi filosofici sono sono stati dedicati al tentativo di una spiegazione dell'ultimo, drammatico   scorcio della società globalizzata, una storica demarcazione nello sviluppo delle civiltà.

Ha iniziato Jurgen Habermas  (Fede e sapere,MicroMega, 5/nov.2001) attraverso una lucidissima trasposizione della ideologia fondamentalista, che evidenzia i seguenti snodi problematici :

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I contenuti della nuova secolarizzazione della società postsecolare; in tal senso la teoria interpretativa di Habermas mette in risalto il definitivo divorzio, nella società globalizzata del postmoderno, fra fede e politica, fra religione e Stato, denotando una genealogia dell'odieno conflitto che si connoita per la spietata secolarizzazione e l'irriguardosa impostazione edonista e materialista.

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I nuovi emblemi della modernità globalizzata che oltrepassano le ideologie per fungere da humus di una nuova cultura desacralizzata che segna il definitivo tramonto del principio d'autorità e dell'etica moderna;

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il nuovo ruolo della storia, che viene prospettato in antitesi alle teorizzazioni di quegli storici ( Hobsbawm ,Fukujama)favorevoli alla teoria della fine della storia; in tal senso la storia si pone come fondamento della scienza nel tempo, "necessità della funzione civilizzatrice di un common sense democraticamente illuminato che, nel brusio delle voci levantesi dallo scontro culturale, sia in grado di imporsi quale terzo partito tra scienza e religione (..) una secolarizzazione non distruttiva si compie nella modalità della traduzione. Questo è ciò che l'Occidente, in quanto potenza secolarizzante su scala mondiale, può imparare dalla propria storia"(Habermas,cit., 10 ).

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La nuova analisi del fondamentalismo, individuato per la prima volta quale modello antitetico alla globalizzazione, "fenomeno prettamente moderno caratterizzato dalla asincronia tra le ragioni e i mezzi"(Habermas, cit., 8).

QUALE FUTURO CI ASPETTA

Il WWF Italia, l'autorevole rivista Science e l'UNICEF hanno individuato almeno quattro indicatori di calamità nel prossimo futuro :

·         Il primo indicatore è l’impronta ecologica, che rappresenta la pressione della specie umana sulle risorse mondiali e che si esprime in ettari pro-capite.

·         L’altro è l’indice di biodiversità che dà una misura del declino delle specie viventi». Ebbene, come calcolano gli esperti del Wwf, oggi per non far morire il pianeta dovremmo avere un’impronta ecologica di circa 2, mentre si va da 10 degli Usa, a 5 dell’Europa occidentale a 2 dell’Asia Centrale, fino a 1 dell’Africa.
L’indice complessivo di biodiversità, è passato da 100 a 65. «Tutto questo serve a dire ai governi del pianeta che le parole non bastano più: ci voglio azioni e impegni concreti, con precise scadenze per diminuire la pressione delle società umane sul pianeta e riequilibrare la distribuzione della ricchezza»(F.Foresta Martin ).

·         Poi c'è il rischio concreto della diffusione incontrollata delle malattie epidemiche proprie dei climi tropicali ( febbre dengue, malaria, ebola) e in aggiunta il rischio di ulteriore incontrollata estensione dell'AIDS a causa della quasi assoluta mancanza di prevenzione su scala planetaria, con gravissimi fattori di crisi in atto in Africa e nell’estremo oriente (Cina ).

·         Infine l'indice di mortalità e natalità :ogni tre secondi nel mondo un bambino muore per cause facilmente evitabili. Un conteggio drammatico quello contenunto nel Rapporto annuale sull'infanzia dell'Unicef. Cifre che parlano di 11 milioni di bambini con meno di cinque anni morti in un anno, 30 mila 500 al giorno, 1.270 l'ora, 21 al minuto. In conclusione ogni secondo nel mondo nasce, spesso in condizioni precarie, un essere umano, ogni tre secondi però uno di questi ultimi ( un terzo ) muore per qualche gravissimo motivo ( fame e/o malattie ).Forum Edscuola ).

 

 

LA MINACCIA VIENE DALLO SPAZIO

 

Come se non bastasse, c’è una ulteriore, minacciosa e potenzialmente catastrofica prospettiva di estinzione di massa per le specie ospitate dal nostro Pianeta: è la minaccia incombente dell’impatto con un asteroide. Data per virtualmente inesistente dagli esperti di tutto il mondo, quanto meno in tempi brevi (l’ultima volta che un asteroide colpì la Terra,circa 60 milioni di anni addietro, l’impatto causò immediatamente l’estinzione dei dinosauri e il passaggio ad un’altra era geologica), tale malaugurata ipotesi è stata ultimamente avvalorata da un dato osservativo.Il 5 luglio di quest’anno, astronomi di un osservatorio del New Mexico hanno individuato un grande asteroide, del diametro di 2 km,( n° Ctl 2002NT7 ) in potenziale rotta di collisione con la Terra, prevista per il 2019. Tanto per dare un’idea della minaccia, le dimensioni del corpo celeste sono pressappoco simili a quelle dell’asteroide che per l’appunto colpì la Terra all’epoca dei dinosauri! Ma per avere la certezza della rotta di collisione, saranno necessari altri riscontri oggettivi e calcoli per circa due mesi, dopo i quali si potrà eventualmente confermare ( noi ci auguriamo di no,,,) tale ulteriore millenaristica ipotesi.Gli ultimi calcoli della NASA ( 21 settembre ) spostano un po' in là nel tempo la data dell'incontro rvvicinato (presumibilmente il 2060 ) e rendono comunque improbabile un impatto. Informeremo i lettori su ogni eventuale elemento di novità su questo singolare e delicatissimo caso:

 

 ITALIANI SEMPRE PIU' POVERI

Nell'Italia che corre e produce cresce la folla degli "invisibili" Così un servizio giornalistico di  GIANCARLO MOLA per “Repubblica” commenta le ultime statistiche relative a dati Istat 2002.

In un recente rapporto l'Istat ha sollevato il tema grazie alla forza dei numeri: dodici famiglie su cento - spiegava lo studio dell'Istituto di statistica - sono da considerarsi povere. Si tratta di due milioni e seicentomila nuclei, due terzi dei quali risiedono nelle regioni del Sud

 Più che mai quindi per il Belpaese :” I poveri del terzo millennio sono quelli della porta accanto. Quelli che all'improvviso si sono trovati a gestire una famiglia numerosa o nella quale a tirare la carretta è la donna di casa. Che si sono ammalati, hanno perso il lavoro o sono finiti in cassa integrazione. O che semplicemente sono invecchiati, e si sono trovati soli di fronte ai casi della vita. Non abitano nei centri o nei quartieri residenziali delle grandi città, ma per vederli non bisogna necessariamente avventurarsi nelle periferie degradate delle metropoli. Sono i poveri invisibili, spesso nascosti dietro a una apparente normalità: un lavoro, una casa in affitto, la spesa al mercatino rionale e ai grandi magazzini. Diversi fra loro, ma con un tratto comune: provare a far campare una famiglia al massimo con 800 euro al mese.”(Repubblica, 9.8.2002 ).
Nessuno può dirsi completamente al riparo. Avere un lavoro spesso non è sufficiente a superare la soglia della povertà relativa, anche se il 41 per cento delle famiglie con due disoccupati si trova al di sotto. Nel Mezzogiorno, però, può essere determinante il sesso del capofamiglia: se è una donna, ha una possibilità su quattro di trovarsi, e far trovare le persone che vivono con lei, in condizioni di serio disagio. E molte delle persone che superano il limite degli ottocento euro sono comunque considerate in bilico. L'Istat li definisce "a rischio di povertà", perché i consumi non superano il 20 per cento dello standard, cioè non superano i mille euro al mese. Sono un altro otto per cento di famiglie italiane: il loro status è legato a un filo, per precipitare basta davvero pochissimo.Anche la percezione della propria situazione economico-sociale, da parte degli Italiani, sta cambiando velocemente: oggi, per dirla con il giornalista autore del reportage, siamo tutti un po’ meno felici e un po’ più preoccupati per il futuro.

 

Altro che belle promesse propagandistiche, degne del libro dei sogni, dei nostri politici!

 

LA NUBE CHE UCCIDE

Ha una estensione inimmaginabile, che copre gran parte del quadrante Sud -est del Pianeta, e comprende un'area vastissima che si estende dall'Oceano indiano al Sudest asiatico, fino all'Oceania! Si tratta di un sottilissimo quanto micidiale smog, dovuto ai residui industriali dei Paesi cosiddetti evuluti: vapori industriali, aerosol di sterco di mucca, residui solforati e quant'altro occorra per minacciare di uccidere centinaia di migliaia di inermi persone. Vedere per credere !

 

IN MEMORIA DELL'11 SETTEMBRE

Se è vero quanto abbiamo cercato di dimostrare, che cioè la storia è memoria, nessun avvenimento quanto quello di un anno fa ha contribuito a cambiare la prospettiva storica, cioè tutti noi.I fatti successi hanno incontrovertibilmente cambiato il corso della storia, anche se non nel modo voluto da Bin Laden e da Al Quaeda.Alla fine,come spesso accade per i grandi fatti della storia, gli interrogativisono assai più numerosi delle risposte certe..L'Occidente è più che mai l'Impero, ai confini del quale le civiltà per ora escluse dalla leadership planetaria premono confusamente  e in disordine contro i suoi confini geopolitici, etici ed economici. ma l'equilibrio multipolare è ancora troppo fragile  e ambiguo per garantire pace durevole e spirito multiculturale e tollerante. All'intolleranza si risponde con l'odio ( etnico, religioso, culturale, politico ).

 

TERRORE GLOBALE


Nazioni secolarmente oppresse, come quella cecena, unite ( forse ) in una lotta titanica e in un abbraccio mortale con l'internazionale del Terrore,  contro tutti. Contro gli antichi oppressori, in un intreccio planetario e con una commistione oscura e sinistra  di linguaggi primordiali; contro se stessi e la propria tradizione, contro la ragione, contro la storia....Ma perché  mai?

 

IL PERCHE' DELLE CATASTROFI


Esiste o può essere dimostrata una legge che abbini le catastrofi o la loro teorizzazione a un tentativo di spiegazione scientifica?

 

ITALIA  SENZA PRESENTE, NE' FUTURO

Tasso di natalità e di fertilità ai minimi storici,con conseguente rapido invecchiamento della popolazione,  mancanza di ideali forti da coltivare, nessun interesse a sviluppare la ricerca scientifica e il sistema formativo, sistema produttivo debole ed eccessivamente frammentato. Inoltre:  permanenza storica degli squilibri territoriali ( questione meridionale )disincanto e riflusso nel privato nei rapporti sociali, deriva plebiscitaria nel sistema politico, incurabile ansia e sensazione di stanchezza diffusa. Questo l'allarmante quadro che emerge dall'annuale Rapporto del CENSIS sulla situazione generale del Belpaese, dipinto con la consueta bravura, questa volta venata da un pizzico di pessimismo,dal prof. De Rita.Ne consigliamo una meditata lettura, quantomeno per prendere consapevolezza della gravità della situazione, così come viene descritta con il conforto di un imponente e aggiornatissimo apparato statistico. Se questa è la realtà attuale, quali sono le cause, prossime e remote, dell'inevitabile e ormai evidente declino dell'Italia?

La questione italiana, ormai tra le più dibattute nel nostro Paese ( e non solo ) ha molteplici fattori, non tutti facilmente ricavabili dal quadro istituzionale attuale. Proviamo ad analizzarli, aiutandoci con la lucida analisi che ne ha tratto Norberto Bobbio  in " Il dialogo intorno alla Repubblica"  ( Laterza, Bari, 2001). Egli ha creduto di individuarne le origini storico - politiche nella mancanza di una élite, nonché nella cronica inadeguatezza nella nostra classe dirigente, che non ha mai assolto al ruolo di una moderna egemonia culturale, gramscianamente intesa, per incapacità e vizi storici ( Ivi, 109-122 ).Ne derivano le attuali patologie politiche, tra cui, dopo il terremoto politico (Tangentopoli ) che ha visto decadere un'intera generazione , sono rimarchevoli :

-  la patologica proliferazione di partiti politici impropri ed eversivi, spesso viziati dal culto del personalismo, tra cui emerge prepotentemente Forza Italia, il partito-azienda di Silvio Berlusconi;

- le tendenze demagogico - oligarchiche del leader politico emergente e la sua inveterata abitudine a considerarsi"l'unto del Signore" ( Ivi, 85 sgg.);

- la liquidazione dell'eredità storica del Partito d'Azione e dei leaders storici della Democrazia Cristiana e della sinistra marxista, i soli in grado di esercitare una guida culturale ad ampio respiro e ad interpretare gli umori popolari, perché legati alla lotta politica per l'affermazione della Repubblica ( Resistenza, Liberazione, Miracolo Economico);

- l'impossibilità di avviare la tanto attesa riforma costituzionale, per la evidente e oramai cronica  inadeguatezza della nostra classe politica . Bobbio, che non è mai  tenero con gli attuali uomini politici, rievoca puntualmente gli inutili tentativi avviati fin dalle precedenti legislature per tentare qualche riforma e in particolare il clamoroso fallimento della Commissione Bicamerale ( Ivi, 110 sgg. ).

Berlusconi non è in grado di riempire le piazze ( la sua oratoria non è di stampo mussoliniano); in compenso sa far abilmente leva sui bisogni radicati nel tessuto sociale, è un leader mediatico  pervasivo, in grado di condizionare fortemente le scelte politiche di un elettorato apatico, stanco dei partiti e desideroso di una guida forte e autorevole, considerato il vuoto attuale dell'ambiente societario e la mancanza di un ideale forte e coinvolgente che sia fattore di coesione per la nazione.  Forse l'unico leader politico oggi in grado di colmare tale vuoto è lo stesso Presidente della Repubblica, C.Azeglio Ciampi; uomo colto, autorevole ed equilibrato, amato dagli Italiani per la sua onestà, coerenza e comprovata capacità di leadership ( Ivi, 121 sgg. ).

L'analisi è impietosa, i rimedi incerti, quando non addirittura fuorvianti. La rassegna attuale continua con un interessante contributo di Ilvo Diamanti (La Repubblica, 27.12.2002). Egli parte dalla constatazione della progressiva perdita di dinamismo del sistema economico dopo gli anni '70, con il conseguente e persistente basso tasso di incremento del PIL anche rispetto a tutti gli altri Paesi dell'area OCSE. A tale fattore si sarebbe poi aggiunto lo shock  che ha spazzato via un'intera generazione di politici che, nel bene o nel male, avevano comunque contribuito al benessere comune e all'affermazione progressiva e imponente dell'economia di mercato, fino ad arrivare al c.d. Nuovo Rinascimento dell'inizio anni '90. La perdita di credibilità delle istituzioni ha dunque marciato di pari passo con il declino dell'apparato produttivo e con il drammatico evidenziarsi della crisi politica. Ora la prospettiva è una sola : ricostruire materialmente e, soprattutto, moralmente una identità nazionale oggi mancante, pena la lenta ed inesorabile dissoluzione del nostro fragile e malato sistema .

 

 

I LIBRI DI STORIA E IL FUTURO DELLA NAZIONE

Se il futuro di una Nazione moderna si potesse misurare sulla bontà della ricerca storica, se si potesse fondare su quest'ultima un indice di civiltà, una sorta di sistema nazionale di valutazione della civiltà di un popolo. Se tutto questo fosse possibile, allora si dovrebbe considerare con preoccupazione e fondato pessimismo la "querelle" sul controllo governativo dei libri di testo di storia, richiesto con un atto ufficiale della Commissione Cultura della Camera dei deputati e respinto al mittente dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento Giovanardi.Si pensi che soltanto Il Ministero per la Cultura Popolare negli anni '30 dell'era fascista, in tutta la storia d'Italia, aveva istituito un controllo con censura sulla stampa e sui libri di testo.Un altro segnale preoccupante di declino che incombe sul nostro futuro. Un'altra prova incontrovertibile di miopia politica e di oscurantismo culturale della classe dirigente nostrana, incapace di guardare al di là del proprio naso e di offrire ad un Paese creativo e ricco di cultura come il nostro la benché minima prospettiva di progresso e lungimiranza. Mi coglie un dubbio atroce: la coalizione oggi al governo non si era pomposamente definita "Casa delle Libertà"?( Noo, non può essere, ho un po' di arterie.....).

NASCE LA GRANDE EUROPA (10 dic. 2002 )

Nasce a Copenhagen in Danimarca,il 10 dicembre 2002, significativamente sotto  la Presidenza italiana della Commissione Europea, affidata a Romano Prodi e considerata unanimemente l'artefice di questo storico evento, la Grande Europa, a 25 Stati e con una popolazione di  453 milioni di cittadini. Dopo oltre venti secoli di guerre ( anche le due guerre mondiali hanno una matrice europea ) devastazioni, olocausti, odi etnici ed egoismi nazionali di infimo profilo.Nasce sotto il segno di un federalismo solidale, improntato al già noto "principio di sussidiarietà" già recepito dal nostro ordinamento federale.Nasce con un imperativo morale: mai più regredire al passato!

A CHI GIOVA LA GUERRA IRACHENA?

Ai mercanti d'armi, ai terroristi, agli sfruttatori delle risorse petrolifere, a tutti coloro che , inquinando ancor più la limacciosa palude della politica nazionale e internazionale, strumentalizzano l'uso del potere di interdizione delle armi con un uso cinico del consenso ( o del dissenso ).Vae victis!

 L'evolversi del complesso quadro internazionale, , così come alla vigilia era stato prospettato dagli esperti nazionali e internazionali dimostra, ancora una volta, la validità in trinseca dell'asserto clausewitziano "la guerra è la continuazione della politica, con altri mezzi". Infatti di fronte ad un'opinione pubblica mondiale sconcertata e tradita nelle sue convinzioni più profonde, espresse anche un pò ingenuamente con l'ondata di ritorno di un pacifismo troppo ideologicamente orientato ( ma il criminale è o no Saddam?) si apre lo scenario strategico forse più inquietante del nuovo millennio.attorno a noi e a discapito degli equilibri globali. Infatti il primo asse politico-militare ad andare in pezzi è quello euro-atlantico ivi compreso il legame transatlantico di cui all'art. 27 degli accordi del 1999. Ci si chiede infatti quali valori e interessi comuni verranno ancora salvaguardati e se possano ancora ritenersi comuni i valori della solidarietà atlantica ora messi in forse.

E che dire del principio della guerra preventiva? Dopo che gli USA lo hanno infranto, lo farà ora la Turchia, sia pure per mero interesse economico ( le cospicue riserve petrolifere del Nord Iraq ) ? E un domani chi può negare che un'altra potenza, magari atomica ( es, la Corea del Nord ) non faccia uso di questo principio pienamente legittimato perché attuato fuori dalla legalità internazionale? I rischi sul già instabile sistema delle relazioni internazionali sono anche troppo evidenti.