Un Mazzo di Fruste

di Arduino Napoleone

da Palena

 

Arduino Napoleone è nato a Palena nel 1913 ed è scomparso nel 1985. Palenese per orgini e cultura ha vissuto la sua intensa esistenza attraverso quasi un secolo in cui una secolare cultura paesana è cambiata di pari passo con gli sconvolgimenti che negli ultimi decenni sono stati protagonisti di una trasformazione che ha inciso nelle tradizioni e nei modi di vivere di un tempo. Intere generazioni, quindi, hanno per forza di cose perso di vista culture e modi vivere connaturati a realtà ormai lontanissime da noi ma ancora incredibilmente ricche di densissime pagine di umanità e semplicità. Pagine di vita austere ma piene anche, straordinariamente, di passioni autentiche, di sapori legati alle intensità di vita di cui la sincera e spesso povera ma antica umanità palenese era ricchissima. Arduino Napoleone tutto questo nella sua lunga carriera di artista ha saputo trasformare in immagini attraverso la sua arte pittorica ed anche, con una fine capacità narrativa, attraverso il suo libro di novelle "Un Mazzo di Fruste" pubblicato nel 1979 da Japadre editore, che ben ha saputo evocare in quelle pagine, antiche impressioni ed emozioni del tempo che fu a Palena, che tuttora riescono a ridarci come sapori antichi la memoria di quei giorni, di quegli anni ..... di quegli uomini.

Estratti dal libro
"UN MAZZO DI FRUSTE"
di Arduino Napoleone:

 

 

da .... L'ALTARINO... Tempo Pasquale

Non è un vero e proprio racconto: è piuttosto un rivivere con la memoria accesa, e intenerita dalla nostalgia, le tante dolci sensazioni d'una infanzia trascorsa in un paese sereno, tranquillo, dove anche l'eco dei conflitti sociali (siamo negli anni del dopoguerra successivo alla prima guerra mondiale) giunge spenta o piuttosto si fonde, nei ricordi dell'Autore bambino, con le altre sensazioni più vive, più dolci, legate alla vita che si menava nella vecchia casa signorile di proprietà della famiglia: i personaggi che vi vissero, qui, quasi diventano ombre, che si muovono senza rumore, operano in una specie di sacrario e tutto quello che fanno, persino le pulizie pasquali o i dolci per le care ricorrenze, sembrano riti più che azioni vere e proprie: e tra quelle ombre via via prende più consistenza, tanto fisica che spirituale, il religiosissimo zio Elio, dietro il quale ancora torna l'anima dell'Autore bambino ad aggirarsi per le stanze e i corridoi della vecchia casa, avvertita nel fuoco della memoria, più come una dolce irrealtà che come una cosa concreta. E però il tempo è trascorso, alla fine: da un dopoguerra ad un altro dopoguerra: è andato perduto il bene dell'infanzia ed un altro bene... non s'è fatto avanti.

 

da ... IL TASSO

E' un racconto che modernamente potremmo chiamare "giallo", perché narra il mistero in cui resta avvolto per tanti anni un cupo delitto. Ma non bisogna credere che "il meglio" di esso sia nella trama: è nella maniera solita dell'Autore di tracciare ampi quadri della vita della sua cittadina natale: specialmente le prime pagine immettono il lettore in quell'ambiente, tipico dell'Abruzzo dell'inizio del secolo, senza sforzo: il brusio di quella gente, la vita di quelle cose, la passeggiata per la strada principale o la passeggiata festiva in una bella strada di campagna, nella quale appare improvvisa la visione d'una casa "misteriosa", fanno un poco da preludio al dramma che scoppia quasi improvviso e che ha per protagonisti un usuraio, un brigadiere dei carabinieri nato per delinquere e non per custodire la legge, un povero contadino, cui la povertà toglie ogni mezzo di difesa, allorché viene ingiustamente accusato e condannato. Il tutto poi è collocato abilmente in uno scorrere della più grande storia italiana, che abbraccia un periodo che va dall'inizio, appunto, del secolo, al secondo dopoguerra: di tante pene e di tanti cambiamenti restano testimoni solo pochi ruderi: i ruderi della casa del Tasso, trasformati quasi in significativi simboli

 

da ... L'UFFICIO DEI MORTI

Vi si descrive una usanza ora quasi spenta, ma una volta molto sentita, e vissuta con un sentimento singolare dagli abitanti della piccola Palena, in territorio chietino. Nella notte tra il primo di novembre ed il successivo giorno dei Morti, ad un segnale convenuto delle campane della Chiesa della Madonna del Rosario, la popolazione lascia il caldo del letto, si copre come in tempo di pieno inverno, e si reca in Chiesa, per prendere parte al suggestivo rito dedicato alla memoria dei defunti, celebrato, come forse in nessun altro paese mai si fa, in piena notte, in un ambiente, vale a dire, a quel ricordo assai più adatto e propizio che non sia certo quello del giorno. La poesia del racconto è tutta nell'abile rievocazione di quella vita, appunto, notturna, nella quale i personaggi del paese, in gran parte piccoli artigiani (abbondano gli scarpari), quasi si trasformano anche essi in ombre, formicolano per le stradicciuole, le rianimano con l'accenno agli antichi usi beati, e convengono in Chiesa, dove una musica ed un canto resi più sacri, se così si può dire, da una antichissima consuetudine, finiscono con l'esprimere un sentimento di solidarietà tra vivi e morti che è veramente suggestivo. La cerimonia finisce quando nel cielo appare la prima luce dell'alba: quasi il risveglio da un lungo tenero sonno, nel quale, sognando, s'è trascorsa, ancora una volta, un poco di vita con le persone amate e mai dimenticate.

 

da ... UN MAZZO DI FRUSTE

Questa volta il racconto tende a mettere in luce un carattere, a dare spazio a quello che, in tanti modi, è un fenomeno frequente, ma che acquista, nell'ambito d'un piccolo centro, una funzione particolare: l'attaccamento alla roba, il desiderio della ricchezza, non solo per le necessità dell'esistere, ma anche e soprattutto per il prestigio che conferisce. Antonino e Giovanni ne sono protagonisti, e vicini ad essi, le loro mogli: Antonino, modesto intellettualmente, chiuso nel giro di poche frasi, fisicamente grassoccio, fa quasi tutt'uno col suo negozio e neppure tenderebbe all'affermazione sociale, con l'ingresso nel circolo dei Signori, se la moglie non insistesse e non fosse lei a complottare. Giovanni è tipo più aperto, gioviale, più robusto anche nel fisico, considera il suo successo nel commercio come una cosa naturale: ha meno, se così si può dire, dell'arrivato, e pertanto si presta meno agli strali della gente, alle crudeltà dei giovanissimi, di cui è vittima, invece, Antonino. Ma, perché tanto attaccamento alla roba? sembra chiedersi l'Autore. Infatti arriva la guerra, e le distruzioni non risparmiano niente, ed i due arricchiti del paese finiscono con il trovarsi in mezzo ad una specie di giustizia sociale operata dai tedeschi: tutta la merce, ammassata nei loro negozi, viene distribuita ai poveri, e allorché Antonino muore di disperazione (gli è rimasto solo un mazzo di fruste), per lui non c'è nemmeno una cassa per la sepoltura.

 

Collaborazione web di Leo D'Emilio