Riministoria© Antonio Montanari

Aurelio Bertòla politico, presunto rivoluzionario. Documenti inediti (1796-98)

di Antonio Montanari

[da "Studi Romagnoli" XLVIII (1997), Cesena 2000, pp. 549-585]

 

7. L’invasione francese ed il caso Martinelli

Il 1° febbraio 1797 Bonaparte ha emesso da Bologna un editto con cui dichiarava rotto l’armistizio del 23 giugno 1796: all’articolo quattro, si ricordava che il Papa aveva ordito trattati con Vienna, ed aveva posto le sue truppe sotto il comando di generali ed ufficiali venuti dall’Austria. Tra loro, c’era quel Colli con cui Bertòla era fuggito a Roma. Il 12 gennaio alla Mesola i francesi avevano intercettato un corriere diretto a Venezia con missiva del Segretario di Stato Cardinal Busca, indirizzata al Prelato Albani inviato del Papa a Vienna. Nella lettera si parlava dei negoziati per concludere un’alleanza, della condotta dello stesso generale Colli e di "bande" austriache da far giungere in Romagna (38).

Mentre Mantova si arrendeva ai francesi il 2 febbraio, Napoleone riprendeva le ostilità contro lo Stato della Chiesa. Le operazioni militari di Bonaparte travolgono le truppe pontificie, come testimonia lo stesso Colli [FPS, 63.35] in questo breve messaggio a Bertòla, datato 10 febbraio 1797: "Che fatali circostanze l’esser generale d’un’armata che fugge, d’un paese che non vuol difendersi, ed esservi chiamato per essere testimone di tanta calamità senza potere di salvare questo buon Pontefice, ed i buoni" (39). Colli si trovava nei pressi di Foligno. Il 19 febbraio, con la pace di Tolentino, il Papa ha dovuto cedere la Legazione di Romagna.

Il 3 febbraio, all’indomani dell’attacco francese a Faenza e dopo la fuga da Rimini a San Marino del Vescovo Ferretti (40) e del Governatore, e mentre le "più distinte e doviziose famiglie […] si trasferiscono nei loro beni in villa", Martinelli si è attivato per far assumere dal civico Consiglio i provvedimenti necessari a non lasciare la città in balìa di se stessa e per prevenire (come racconta Zanotti) danni e disordini dell’invasione. Avvenuta il 4 febbraio l’occupazione di Rimini, Martinelli nella sua veste di presidente della Municipalità difende gli interessi della città: il 4 aprile non cede alle pesanti richieste economiche del generale Victor Perin che si rifarà della sconfitta saccheggiando la vicina Santarcangelo. A Martinelli, che da un trentennio era tra le figure di spicco della vita pubblica locale, vanno lodi e ringraziamenti per aver coraggiosamente salvato le sostanze dei suoi concittadini.

Diversa è la reazione della Giunta di Difesa della Cispadana che lo accusa con un velenoso pamphlet di essere sempre stato uno sfrontato doppiogiochista. Dopo i "felici successi delle Truppe Francesi contro gl’Insorgenti Montanari" il 26 marzo, Martinelli ha polemizzato: fu soltanto "l’affare di mezz’ora" l’attacco a Santarcangelo contro un’"orda di banditi", la cui azione, "ultimo sforzo della Romana debolezza", "non merita l’onore della nostra paura". La Giunta gli risponde: "voi antico Calunniatore del Governo [romano], e deciso fautore di tutte le novità", siete stato sempre protetto e favorito; "quando tutta la Romagna sapeva, che voi eravate alla testa di tutti i complotti, adunanze, conventicole contro il Principato; quando i Superiori n’erano informati; quando il popolo, perfino le Donnicciuole vi mostravano a dito, come il nemico del Governo Pontificio; voi pacificamente ve ne stavate in casa sicuro del fatto vostro: in tempi di pericolo, e di qualche energia del Governo contro i Novatori voi trovaste il modo di salvarvi ad onta delle declamazioni, che facevate fare dai Neofiti vostri".

Con segreti maneggi ed opportune raccomandazioni mentre dirigeva "operazioni arcane", Martinelli ha evitato "processi ben meritati". Egli è stato il maggior nemico del Principato, un seduttore del Popolo, un segreto macchinatore di novità nel Governo: "I Superiori della Provincia lo sapevano, lo vedevano, lo toccavano con mano: ognuno si meravigliava, che voi respiraste impunemente l’aria della vostra patria da voi corrotta e nella massima e nel costume: nei giorni, che vi accovacciavate per timore di essere scoperto, e per avere ozio sicuro ad oggetto di deludere l’altrui vigilanza, come nei giorni, che persuaso della vicina vostra risurrezione radunavate il vostro consiglio, e presiedevate alla Loggia rustica".

"Facilissima cosa", prosegue la requisitoria della Giunta, "sarebbe tessere il catalogo dei vostri associati risparmiati tutti dalla clemenza di Roma", elencare "i viaggi dei vostri Confidenti, gli odj cangiati in istretta amicizia per ordire la trama, e le finte relazioni con soggetti di tutt’altro sistema ad oggetto di tenervi mascherato". Il Governo romano era bene informato sulle mosse di Martinelli: "si conosceva, e si confessava, che voi eravate il Suddito più pericoloso, e di carattere più proditorio; e contuttociò vi si lasciò tutto l’agio di condurre a fine la macchina, che maneggiavate con tanta destrezza, ed attività". A Rimini Martinelli aveva organizzata la Municipalità con gente "ottusa, e nata nell’aria di Beozia" (41).

Se la politica è l’arte del possibile, Martinelli ne è un esemplare tanto perfetto da riuscire a primeggiare comunque, nonostante sospetti ed accuse: nello stesso ’97 diventa presidente dell’Amministrazione Centrale romagnola, e Seniore del Dipartimento del Rubicone nella Cisalpina, oltre che candidato alla prestigiosa carica di ambasciatore presso la Corte di Vienna (42). Ricacciati i francesi nel ’99 dagli austro-russi, gli Amministratori riminesi stilano un riservato riconoscimento dell’attività di Martinelli allorquando da Milano la Commissione generale di Polizia richiede "un’esatta informazione" sulla sua condotta dopo l’invasione e l’occupazione da parte di soldati di Napoleone. La risposta sottolinea che tale condotta "lontana dall’aver ispirato cattiva opinione di se stesso è stata piuttosto riconosciuta plausibile in rapporto all’interesse, che indefessamente in sì terribile occasione ha adoprato per migliorare la funesta sorte della stessa sua Patria invasa dal Nemico, come altresì per lo zelo, ed impegno dal medesimo addimostrati per conservare il buon ordine, e la pubblica tranquillità, essendovi in ambidue gli oggetti riuscito per quanto lo portavano le in allora luttuose circostanze" (43). Non per nulla, alla sua scomparsa nel 1805 a 63 anni, si meriterà questo elogio da parte del cronista Giangi: "È morto il conte Nicola Martinelli, l’uomo più bravo in politica che avevamo".

 

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8. Il "cittadino" Bertòla a Rimini (26 aprile 1797)

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