Riministoria© Antonio Montanari

Aurelio Bertòla politico, presunto rivoluzionario. Documenti inediti (1796-98)

di Antonio Montanari

[da "Studi Romagnoli" XLVIII (1997), Cesena 2000, pp. 549-585]

 

6. In fuga a Roma (15 gennaio 1797)

Il Diario del gennaio 1797 s’interrompe sotto la data di domenica 15 quando Bertòla, sono parole sue a Mascheroni, esce da Rimini al fine di sottrarsi "all’imminente pericolo di esser arrestato e condotto in assai miser luogo, come uomo di opinioni infette e perverse" (29): fatto oggetto di "una persecuzione del Governo Romano verso la metà di Gennaio passai a Roma: arguite come io fossi sicuro della mia innocenza", scriverà a Pindemonte (30). Il biografo Pozzetti [p. 12] narra che Bertòla "in un col gen. Colli a Roma s’incamminò".

Michele Colli era giunto a Rimini all’alba del 13 gennaio, proveniente da Ancona ed accompagnato da "ufficiali tutti al servizio al Papa" (31). Era andato a Faenza e ritornato la sera del 15 a Rimini, dove partecipa ad una festa in teatro prima di avviarsi per Roma. Zanotti racconta che Colli era stato dall’imperatore d’Austria "accordato alle tante istanze del S. Padre", per fargli assumere il comando delle truppe pontificie. Colli aveva servito anche il re di Sardegna. Circa il viaggio di Colli in Romagna, Zanotti osserva: "Non dié questo generale veruna bellica disposizione in momento tanto importante. La sua visita si valutò una comparsa vana ed inutile".

A Roma Bertòla si ferma un mese. Con Mascheroni, subito dopo l’accenno "all’imminente pericolo di essere arrestato", aggiunge: "E poiché una crudele persecuzione aveva menato un nuovo colpo alla meschina mia salute, deliberai di andare a passare il resto dell’invernata a Napoli" (32). Dai documenti non riusciamo a sapere se questa "crudele persecuzione" sia successiva all’episodio riminese della "persecuzione del Governo Romano" ricordata con Pindemonte, o se debba identificarsi con esso (33).

Appreso da Ridolfi che Milano gli ha pagato ottocento lire, Bertòla cambia programma: rinuncia a Napoli e va in Toscana, dividendo "due mesi fra Siena e Firenze", dove riabbraccia "tanti amici non più veduti da 22 anni addietro"; infine, sofferente di aneurisma, torna in villa a San Lorenzo "sul finire di aprile". [PL, p. 155]

Dall’aggiunta al Diario, relativamente al periodo 6-10 marzo 1797 [FPS 63.50], si ricavano le solite incertezze sulla destinazione del viaggio: Bertòla si trova a Siena, e non sa se dopo Firenze e Bologna andrà a Pavia o a Rimini. Negli stessi giorni perviene a Bertòla da Milano, spedita l’8 marzo da De Vecchi [FPS, 60.371] a nome di Ridolfi, una cambialetta di duecento lire, pari a 173,183 lire fiorentine: "cambio assai caro, ma le circostanze non accordano meglio". "Lo stato di guerra in cui più o meno trovasi l’Italia", prosegue De Vecchi, "produce un’indispensabile incaglio nel corso delle lettere". Da Roma, sempre l’11 febbraio, Bertòla ha spiegato a Mascheroni che lì non giungevano notizie dai territori pontifici e dagli Stati italiani: "Pregovi di dirmi come siami stata accordata la proroga e per quanti mesi, e quali uffizj io debba ancor fare: anzi vi pregherò ancora di fare per me questi uffizj subito, se li credete importanti. Per pietà, non mi abbandonate".

Una lettera senza firma e senza luogo, datata 17 marzo [FPS, 63.42] informa Bertòla: "Il Corriere di Francia proveniente da Roma giunto qui ieri mi recò la risposta del noto Amico. Esso mi rimanda la di lei memoria, che ella troverà qui acclusa unitamente all’articolo della di lui lettera, che ne adduce il motivo. Poco io posso in questo, o in altri oggetti […]". Anche questa "memoria" aveva forse per oggetto la sua situazione a Pavia.

Nell’epistola che De Vecchi invia il 19 marzo a Bertòla [FPS, 60.372] incontriamo una frase ("Nuove del tutto mi riescono le vostre strane vicende"), che lascia intravedere come il comportamento del poeta riminese venisse considerato poco entusiasta se non ambiguo, da parte di chi era vicino al potere napoleonico. Nella stessa missiva, De Vecchi aggiunge che la "cambialetta" gli era stata inviata per ordine di Ridolfi il quale non "accennò punto il motivo del vostro viaggio" (a Firenze): "Trovo savio il partito di non inoltrarvi verso Pavia" fino alla buona stagione; "non mancherò intanto di farvi sapere nel modo che potrò la situazione vostra, ma sarebbe più regolare e cauto lo faceste direttamente per via di Ridolfi e per il canale uficiale del Rettor Magnifico; credo certissimo che una tal misura di confidenza otterrà l’intento, e se vi uniste l’appoggio di cotesto Ministro della Repubblica Francese, sarebbe un nuovo legale attestato non essere difetto di buona volontà, ma delle disgrazie che vi han perseguitato doppiamente". Il 4 aprile Bertòla scrive al Rettor Magnifico, Rasori [63.177]: "Imploro la vostra mediazione, perché la mia assenza non paja quello che non è; e perché non mi sia ascritto a colpa ciò ch’à volere della propria fortuna".

Il 20 maggio [FPS, 60.373] De Vecchi rassicura Bertòla: "vi è in voi il titolo della buona fede, appoggiato dall’acquiescenza del Governo, né vi è per questo lato da temere atti arbitrarj, ed improvvisi contro il tenore delle leggi vigenti, e delle regole di giustizia". De Vecchi ipotizza che si proceda a riformare la pianta dell’Istruzione Nazionale, in seguito ai mutamenti costituzionali repubblicani in atto: dopo le riunioni modenesi del Congresso cispadano concluse il 1° marzo, Napoleone ha infatti deciso di fondare la Cisalpina che, come si è visto, nascerà ufficialmente il 29 giugno.

Bertòla soggiorna a Firenze dal 15 marzo [FPS, 63.148] al 22 aprile. Il foglio volante del Diario (1° aprile-11 maggio), ce lo mostra dapprima "incerto ancora" sul suo destino e sopra i propri "affari", anche perché "le strade di Romagna infestate" non lo invogliano a muoversi. Ed introduce una novità rispetto alle annotazioni senesi. Bertòla ha scelto: "andrò poi a Rimini. Miseria e guai d’ogni sorte" lo costringono ad avviarsi in patria, con la volontà però di ritornare "entro il maggio" a Firenze. L’11 aprile chiede a Nicola Martinelli se può "per qualche dì andare a casa sua, e se son sicure le strade". Da Rimini, il 18 Martinelli [FPS, 61.17] gli risponde: "Vieni presto, e vieni in casa mia. Dormirai nella piccola biblioteca, e mangerai col Generale Comandante della provincia [Sahuguet]. Domani parto per Forlì, dove mette sede la Centrale, che sloggia da Ravenna. Io vado a rinunciare il mio impiego di Municipale, perché la fatica e il malino hanno pregiudicata la mia salute (34). Vieni, che mi sei necessario, perché il malino divien serio". Il 4 febbraio Napoleone ha creato l’Amministrazione Centrale della Legazione di Romagna (35), stabilendola a Ravenna: di essa fanno parte nove persone, tra cui lo stesso Nicola Martinelli. Il 21 aprile la sede dell’Amministrazione Centrale è trasferita a Forlì (36).

Nel Diario fiorentino il 18 aprile Bertòla appunta circa una lettera a Mascheroni, relativa alla sua posizione universitaria: "con l’attestato di Frank che solo ho creduto migliore perché noto in Lombardia" (37); "che non avendo qui più come vivere, torno a Rimini, dove avrò qualche soccorso da’ parenti". Il 22 aprile Bertòla parte da Firenze. A Bologna soggiorna il 23 ed il 24. Il 25 giunge a Forlì. Il 26 è a Rimini: si ferma "in città", malato ma tranquillo, "presso l’amico" Martinelli. La Romagna è in mano delle truppe napoleoniche da quasi tre mesi.

 

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