Riministoria© Antonio Montanari

Aurelio Bertòla politico, presunto rivoluzionario. Documenti inediti (1796-98)

di Antonio Montanari

[da "Studi Romagnoli" XLVIII (1997), Cesena 2000, pp. 549-585]

 

2. La paura della "mendicità" (1795-96)

La campagna d’Italia inizia il 12 aprile 1796. Il 9 maggio è firmato l’armistizio con Parma, il 12 con Modena. L’avanguardia francese giunge a Milano il 14. Napoleone vi entra da trionfatore il giorno successivo. Tra 18 e 23 giugno Bonaparte occupa le Legazioni pontificie, e costringe la Santa Sede all’armistizio di Bologna, impegnandosi a sgombrare la Legazione di Ravenna di cui fa parte Rimini. Dopo la firma dell’armistizio, avvenuta il 23 giugno, il generale divisionale dell’Armata francese Pierre Augerau (braccio destro di Napoleone) scende in Romagna, mentre il Cardinal Legato, a cui era stato "fatto intendere di allontanarsi da Ravenna", si rifugia a Pesaro. Augerau, che a Forlì è accolto dalle sassate del "Popolo in fermento", convoca per lunedì 27 giugno a Ravenna un "Congresso provinciale", allo scopo di sapere dagli amministratori delle singole città "se volevano essere liberi o soggetti al Papa" (5).

Al "Congresso" partecipano due rappresentanti di ogni Comunità: da Rimini, racconta il cronista Zanotti (6), intervengono Marco Bonzetti, "buon cattolico, schietto, ed amato da tutti", ed il conte Nicola Martinelli, "soverchiamente politico, mondano, e generalmente malveduto". Martinelli era parente ed amico di Bertòla. I deputati romagnoli rispondono ad Augerau che, per evitare gli inconvenienti tipici di ogni cambiamento violento, "amavano di continuare a vivere sotto il governo" del Papa (7). Augerau ordina che la Romagna paghi alla Nazione francese, entro tre giorni, una contribuzione stabilita con "preciso riparto" tra le singole città. L’armata francese, ritiratasi verso Imola il 26 giugno, ridiscende il 28 su Forlì, Ravenna e Cesena, per una veloce rapina di "ciò che vi si trovò appartenente al Papa", per risalire infine sino a Bologna.

L’arrivo di Napoleone in Lombardia e le vicende militari in Emilia e Romagna, si succedono mentre Bertòla giace infermo nello splendido isolamento di San Lorenzo in Monte, sulle colline della città, in un "casino" che ha potuto acquistare il 20 marzo 1794, grazie all’aiuto economico della giovane contessa cesenate Orintia Romagnoli in Sacrati. Dalla primavera del 1793 Bertòla non siede più sulla Cattedra pavese, a causa delle precarie condizioni di salute. Nel ’93 aveva trascorso serenamente le consuete vacanze estive, prima di esser costretto a letto da una malattia che il suo primo biografo Pompilio Pozzetti definisce "gagliarda" (8). Era partito da Milano il 14 agosto, si era recato a Verona per incontrare Elisabetta Contarini Mosconi madre di una sua figlia naturale, Lauretta (9) ; ed il 10 settembre era andato a Venezia, dove aveva riabbracciato una nuova fiamma, Isabella Teotochi, moglie del nobile Marin. A novembre era tornato a Verona, diretto a Pavia, ma dal giorno 11 era stato costretto a letto. Il 16 [FPS, 63.186] aveva chiesto alla Conferenza Governativa di Milano il congedo da trascorrere a Rimini, allegando un certificato medico stilato dal dottor Leonardo Targa, in cui si parlava di reumi al petto. Al conte di Keunküller [ib.], aveva confidato di temere che, nel "misero stato" di salute in cui si trovava, presso molti si risvegliassero "idee poco favorevoli" al suo zelo di docente.

Da Milano Bertòla aveva ottenuto la licenza di andare "a respirare per qualche mese l’aria nativa". A dicembre si era così trasferito da Verona a Rimini. L’amico Ippolito Pindemonte [PL, p. 123, 4 dicembre 1793], gli aveva augurato di risanare presto, per tornare a ricevere a Venezia un certo "sorrisino". Ma per tutto il ’94 Bertòla non aveva potuto lasciare Rimini ed il "nido", così lo chiama lui stesso, di San Lorenzo. Nell’aprile ’95, ha temuto di essere affetto da un nuovo disturbo, "l’esistenza di un corpo estraneo nella vescica". Senza "fede ne’ chirurghi di questo paese [Rimini]", progettava di farsi visitare da quelli di Venezia. [FPS, 63.184] Una lettera di Pindemonte del 19 settembre ’95 [PL, p. 142] ci informa che Bertòla nell’estate ’95 si è effettivamente recato "a Venezia per consultare que’ Professori nel timore di patir di renella": non era quello il vero male che lo molestava, ironizza Pindemonte accennando sulla passione dell’amico verso Isabella Teotochi.

Tornato a Rimini, il 29 ottobre Bertòla ha chiesto alla Conferenza Governativa di Milano un’altra licenza a passar l’inverno lungi da Pavia, con un certificato del medico riminese Michele Rosa, il quale attestava che il poeta non avrebbe potuto applicarsi senza suo grave danno "e nemmeno affacciarsi a un clima più rigoroso" (10). Lo stesso giorno Bertòla aveva implorato "pietà" dal plenipotenziario imperiale, il conte Johann Joseph Wilczeck (11): "Son presso a vedermi nella mendicità". Per timore della giubilazione, già ordinata dalla Conferenza Governativa, aveva chiesto un impiego diverso dalla Cattedra, ed aveva ricordato che quanto percepiva non gli bastava "a vivere": "Oltre alla salute", aveva aggiunto, "potrei accennare altri titoli; i servizi in biblioteca (12) senza soldo, il servizio prestato con somma cura nelle Scuole Minori (13), e le diverse opere pubblicate ecc.". [FPS, 63.185]

 

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