Riministoria© Antonio Montanari

Aurelio Bertòla politico, presunto rivoluzionario. Documenti inediti (1796-98)

di Antonio Montanari

[da "Studi Romagnoli" XLVIII (1997), Cesena 2000, pp. 549-585]

 

3. Partenza da Rimini (21 ottobre 1796)

Nelle carte bertoliane c’è un silenzio che dal 29 ottobre ’95 giunge al 14 maggio ’96, data di un’altra lettera di Pindemonte [PL, p. 143], nella quale leggiamo che al riminese era stata tolta la pensione dell’Università. L’11 agosto Pindemonte, fa un enigmatico accenno: "Mi rallegro con voi per Vienna" [ib.]. L’11 ottobre 1796 Bertòla comincia a compilare la seconda parte di un Diario (14), della cui esistenza abbiamo dato notizia nel 1994, anticipandone alcune parti in un breve scritto (15). Oltre agli spostamenti di luogo ed alle spese sostenute, Bertòla nel Diario registra le lettere spedite, con il nome del destinatario e, quasi sempre, un brevissimo sunto di ogni epistola.

Sotto la doppia data del 14-15 ottobre, c’è l’annuncio ("mi scriva a Bologna"), dato ad un amico e collega pavese, l’olivetano padre Cesare Baldinotti, docente di Logica e Metafisica, di un viaggio che Bertòla compie la settimana successiva, partendo in diligenza da Rimini la sera di venerdì 21 ottobre 1796, e facendo tappa ad Imola. Il giorno seguente Bertòla raggiunge Bologna: si ammala subito, per cui è costretto a rimanervi fino al 2 dicembre. Bertòla lascia credere a molti dei suoi corrispondenti di aver abbandonato Rimini per recarsi a Pavia, allo scopo di ottenere nuovamente la pensione e di riscuoterne gli arretrati (16). La verità è un’altra. Nel Diario, sempre in riferimento a Baldinotti, il 1° novembre leggiamo: "non potea più restare in patria; né poi maneggiarmi: venuto qui per poi passare a Firenze a passare il verno: intanto adoperarsi per la pensione".

Nel progetto di Bertòla, Firenze (governata da Ferdinando III di Lorena, fratello dell’imperatore d’Austria Francesco II), era soltanto una tappa intermedia del suo peregrinare, da concludere a Vienna, dove era ben conosciuto e dove aveva soggiornato nel ’78 all’epoca della Nunziatura del riminese Giuseppe Garampi, grazie al cui intervento ebbe la Cattedra pavese (17). Di tale progetto, oltre che nella citata frase di Pindemonte ("Mi rallegro con voi per Vienna"), abbiamo conferma in una lettera del 25 agosto 1796 [FPS, 63.33] inviata a Bertòla da un corrispondente veneziano (dalla firma indecifrabile) che scrive da San Pietro d’Arzignano: "Perché mai a Vienna? parvi egli il momento, mio caro Amico, d’andar fra’ Tedeschi? L’impoverimento, la spopolazione, l’avvilimento, il malumore, il sospetto conseguente debbono render diabolico quel soggiorno! E poi quel climaccio freddo, umido, rattristante! O’ no; mi non abbandonerete l’Italia, che vi ama, che vi stima, che à una temperatura confacente alla debole vostra salute. E il vostro ritiro per la vecchiaja che diverrebb’egli se ci abbandonaste? Uno spinoso a capo di due anni. […] Credete a me; non v’allontanate che a discreta distanza dagli alberi che avete piantato".

Bertòla "non potea più restare in patria" a causa del clima politico creatosi all’interno dello Stato della Chiesa dopo l’armistizio del 23 giugno 1796. "La corte di Roma", secondo il cronista faentino don Saverio Tomba, "uditi i vantaggi degli Austriaci sul Reno conseguiti, e l’accrescimento delle forze imperiali verso l’Italia, che davano risoluti segni di voler recuperare gli Italiani possedimenti, cominciò a detestare gli umilianti articoli della tregua come nei giorni dello spavento li aveva prudentemente ricevuti" (18). In settembre il governo del Papa ha appreso di "un tradimento tramato dai francesi" ed ha rotto le trattative di pace in corso con Parigi a Firenze, cercando di "stabilire a Vienna un trattato di alleanza" (19). Napoleone minaccia: "Infelici Ravenna, Faenza, Rimini".

Il 4 ottobre il Pontefice ha chiamato a raccolta i sudditi "a difesa dei suoi Stati". L’8 il Senato di Bologna ha dichiarato che né la città né il suo territorio appartenevano più allo Stato ecclesiastico. Il 12 ottobre il Cardinal Gregorio Barnaba Chiaramonti (il futuro Pio VII) è fuggito da Imola "per timore di rimanere catturato nelle mani de’ Francesi". Il 14 cominciano a transitare per Rimini i dragoni pontifici diretti a Faenza. Il 16 ottobre per volontà di Napoleone si è riunito a Modena un Congresso con i rappresentanti di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, deliberando la fondazione della Confederazione Cispadana. Lo stesso Congresso il 17 ottobre ha emanato l’invito ai popoli della Romagna di unirsi ai Liberatori e di aderire alla Confederazione. Esaltando il governo della Chiesa come ispirato alla libertà, i papalini rispondono: "Noi ambiamo il suffragio vostro: noi dispregiamo quello dei vostri Oppressori".

Il 18 ottobre a Rimini è pervenuta la notificazione pontificia spedita il 3 ottobre a tutti i governatori delle province per una nuova difesa dello Stato della Chiesa. Lo stesso 18, mentre a Bologna veniva piantato l’Albero della Libertà e s’incendiava una caserma dei birri, Pio VI "per li nuovi sospetti o minacce dell’armi francesi allo Stato Pontificio", ordinava "guerra difensiva ai suoi sudditi". Da Forlì il 16 era cominciata in tutta la Romagna la cattura dei giacobini, trasferiti il 18 a Rimini e di lì nel forte di San Leo il giorno successivo. La repressione colpisce intellettuali, professionisti e parecchi nobili che avevano visto nell’arrivo dei francesi un "tramite, magari doloroso, verso la formazione di una diversa classe dirigente finalmente laica ed estranea alle commistioni fra il temporale e lo spirituale" (20).

Anche l’"illuminato" Bertòla correva il rischio di essere incarcerato, nella caccia ai sostenitori del partito oltremontano. È in questo scenario che egli tenta di "passare il verno" a Firenze, per stare lontano dalla Romagna e dalla Lombardia. Si profilava la ripresa della lotta tra Stato della Chiesa e Repubblica francese, e il precipitare della situazione politico-militare avrebbe potuto comportare per lui gravi conseguenze. Ma il destino ha voluto che la malattia lo bloccasse il 22 ottobre in quella Bologna che dal 16 dello stesso mese faceva parte della Cispadana.

 

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4. La malattia a Bologna (novembre 1796)

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