Titolo originale: Dark Moon

QUARTA DI COPERTINA

Per sette anni i quattro Ducati si sono combattuti per il possesso della Perla Nera, un manufatto magico di enorme potere, ultima testimonianza dell'esistenza degli Eldarin. Questi erano un popolo di esseri pacifici, dall'aspetto felino, che era scomparso misteriosamente nel volgere di pochi istanti, quando gli umani avevano provato ad attaccarli pensando che potessero rappresentare una minaccia. Sirano, quarto Duca di Romarck, è un mago ed è anche il possessore della Perla Nera. Nel tentativo di capirne i segreti libera i Daroth, un popolo malvagio e  antropofago che gli Eldarin avevano rinchiuso con un potentissimo incantesimo all'interno della Perla Nera diversi secoli prima. I Daroth distruggono due delle capitali dei Ducati, ma sono costretti a fermare la loro avanzata a causa dell'inverno, poichè non possono sopportare il freddo. Questa loro debolezza permette ad Albreck, Duca di Corduin, di approntare le difese della sua città. Il compito viene affidato a Karis, un abilissimo generale di truppe mercenarie donna, che riuscirà a fermare il nemico. Per la sua impresa Karis si servirà dell'aiuto di Tarantio, un leggendario spadaccino che nasconde un segreto: alberga dentro di lui un demone chiamato Dace, un suo alter ego che emerge ogni volta che Tarantio deve combattere o si trova in pericolo. Ma Tarantio non è solo, ma ha un prezioso alleato: Duvodas, un mago umano allevato dagli Eldarin.


COMMENTO

Ecco un altro libro che ho terminato di leggere da qualche tempo, e che mi accingo a commentare solo ora per ragioni di tempo. Di primo acchito, questo può sembrare il classico libro di Gemmell: ci sono i classici elementi della narrativa dell'autore inglese.

Innanzitutto, la trama si dipana, come in Guerrieri d'Inverno, partendo da un male minore (la cupidigia di Sirano, duca di Romark), per crescere in un male maggiore (la minaccia dei Daroth). Anche in quest'opera, Gemmell esalta l'eroismo nato dalle situazioni di pericolo tipiche di battaglie e guerre, pur stigmatizzando la violenza e ciò che essa genera; DG, in effetti, sembra tenere slegati i due concetti, quasi che la guerra sia un male necessario a far emergere il coraggio e la parte migliore degli uomini... o la peggiore. Testimoni di questi aspetti sono i personaggi di Tarantio il Guerriero e Duvodas il Cantore. A proposito della figura del cantore, bisogna consigerare che essa non solo è ricorrente, ma in prepotente evoluzione: in Druss la leggenda, Sieben non è altro che un allegro compagno un po' cinico che fa da spalla al protagonista. Di sicuro la sua importanza cresce in La leggenda di Morte che Cammina. Ma Duvodas, più decisivo anche di Nuada nei Cavalieri dei Gabala, è un personaggio centrale, al pari di Tarantio, Karis e Forin. In effetti, forse la sua importanza dipende dal fatto che questo libro ha le tinte del romanzo corale, senza un vero e proprio protagonista, ma con un gruppo di figure che si spartiscono il palco scenico. Un po' un romanzo alla Guerra e Pace, se mi passate il paragone irriverente... solo più interessante!

Tuttavia, il vero punto di rottura, rispetto alla precedente produzione di Gemmell fin qui recensita, sta nel fatto che in quest'opera campeggia una gigantesca figura femminile, Karis. Non siamo ancora ai livelli che, da questo punto di vista, toccherà La figlia di mano di ferro, ma di sicuro si potrebbe dire che Karis è allo stesso livello, se non sopra, le figure maschili di questo romanzo: ella tova la sua definitiva consacrazione nella propria fine, quasi una parabola evangelica, una favola di Esopo sull'inutile necessità della guerra.

Ultima annotazione: potrebbe essere giustificata una continuità con i Drenai, dal momento che viene detto che un tempio in montagna è stato costruito dai preti dalle Fonte, e viene citato Shemak. Del resto non sono presenti altre annotazioni di questo tipo, e l'economia non viene gestita con la stessa unità monetaria dei Drenai; inostre esiste la scrittura e le distanze vengono misurate in KM. Di sicuro, questi cambiamenti potrebbero essere intervenuti nell'epoca di passaggio tra un regime e l'altro.

Voto: 7


PROLOGO

Tarantio era stato un bambino calmo e solitario che aveva vissuto la maggior parte dell'infanzia con un padre vedovo che si ubriacava al mattino e piangeva al pomeriggio. Sua madre, un'acrobata che viaggiava insieme a un gruppo di zingari che si guadagnava da vivere esibendosi ai banchetti o nelle piazze, era morta quando lui aveva sei anni a causa di un'epidemia di peste. L'unico ricordo che conservava della genitrice era l'immagine di un'allegra ragazza, quasi donna, che lo lanciava in aria per farlo divertire. Da lei, Tarantio aveva ereditato l'agilità, la destrezza di mano e la tenebrosa bellezza. Dal padre, invece, pensava di aver ricevuto solamente Dace, il demone che portava in sè,
con il quale aveva condiviso la maggior parte della sua vita.
Ora Tarantio era un guerriero, ma prima d'intraprendere quella carriera aveva svolto i lavori più disparati, dal marinaio al minatore, dal domatore di cavalli all'apprendista chierico per un anziano scrittore. Una fredda folata di vento penetrò nella caverna e Tarantio, che si era rasato gli scuri capelli per evitare di prendersi i pidocchi, tirò su il colletto della pesante giubba grigia per ripararsi la nuca, quindi estrasse dal fodero una corta spada e la tenne a portata di mano. Fuori la pioggia cadeva insistente e poteva sentire il rumore della cascata. Sicuramente i suoi inseguitori si erano cercati un riparo. Potrebbero essere proprio qui fuori, sussurrò la voce di Dace nella sua mente. Magari si stanno avvicinando furtivamente, pronti a tagliarci la gola. Ti piacerebbe che fosse cosi, vero Dace. Altri uomini da uccidere.
A ognuno il suo, rispose Dace in tono affabile. Tarantio era troppo stanco per continuare a discutere, ma l'intrusione del suo alter ego lo aveva messo di cattivo umore. Sette anni prima la guerra si era abbattuta sui Ducati come un uragano senziente, risucchiando gli uomini all'interno del suo cuore rabbioso per poi nutrirli di odio e amore per la distruzione. Il Demone della Guerra aveva diversi aspetti, nessuno bello, ma tutti con dei tratti in comune: gli occhi riflettevano la morte, dal suo mantello nascevano le pestilenze, la bocca portava la carestia e le mani dispensavano la più nera delle disperazioni. Dace era estasiato da quella situazione, lui e la guerra erano fatti l'uno per l'altro. Gli altri uomini ammiravano la sua destrezza e il suo talento letale e lo consideravano una sorta di talismano. Ma il demone era un assassino. Già da un po' di tempo Tarantio non era più in grado di ricordarsi il numero delle persone che aveva ucciso, e il loro volto era scomparso dalla sua memoria da più tempo ancora. Adesso ne rammentava solo due: il primo era un uomo riverso su lenzuola di seta coperte di sangue con gli occhi gonfi e la mascella cadente, il secondo un ladro e assassino che era stato il possessore delle spade che portava addosso.
Il giovane guerriero aggiunse due pezzi di legna nel fuoco e osservò le ombre danzare contro le pareti della caverna. I suoi due compagni erano sdraiati a terra, uno stava dormendo, l'altro stava morendo.
Perchè ripensi ancora al massacro della spiaggia? gli domandò Dace.
Tarantio rabbrividì e il ricordo si fece ancor più vivido.
Sette anni prima una vecchia nave era stata tirata a secco a causa
di una tempesta, l'albero era stato tolto e le vele erano state avvolte e
appoggiate contro la scogliera. Gli uomini dell'equipaggio si erano radunati intorno ai fuochi parlando, ridendo e giocando a dadi, felici di essere scampati al maltempo. Il suono delle loro risate di sollievo era rimbalzato contro le pareti della scogliera fino a raggiungere il bosco alle spalle dell'accampamento.
Ed era stato proprio di là che erano spuntati silenziosamente gli assassini che si erano scagliati in mezzo al campo come dei demoni, in uno scintillare di spade e asce. L'equipaggio della nave era stato massacrato senza pietà.
Come al solito Tarantio non si trovava con i suoi compagni. Infatti era intento a osservare le stelle seduto con Ia schiena appoggiata a un masso lontano dai fuochi. Appena aveva sentito il primo urlo si era inginocchiato e aveva osservato la scena. Disarmato e inesperto, il giovane marinaio non era stato in grado di aiutare i suoi compagni e si era rannicchiato, tremante, dietro il masso. incurante dell'alta marea che gli lambiva li stivali. Dal mascondiglio aveva sentito i ladri saccheggiare la nave del suo carico di spezie e liquori delle isole, delle sete del continente meridionale e dei lingotti d'argento destinati alla zecca di Loretheli.
Verso l'alba uno degli assalitori si era diretto verso le rocce e lo aveva trovato. L'ondata di terrore che aveva colto Tarantio aveva permesso a Dace di manifestarsi. Il demone aveva fracassato con un masso la testa dell'esterrefatto predone, lo aveva trascinato dietro le rocce, gli aveva tolto la spada e il borsellino colmo di denaro, poi si era allontanato dalla scena del massacro.
Tarantio aveva ripreso il controllo del suo corpo solo quando Dace si era allontanato a sufficienza e si era calmato. Quest'ultimo non si era opposto allo scambio, poichè quando non c'era da ricorrere alla violenza si annoiava facilmente.
Solo e senza amici, Tarantio aveva raggiunto la città corsara di Loretheli in cerca di un nuovo imbarco, e invece aveva incontrato Sigellus lo Spadaccino. Il giovane guerriero ripensava spesso a quell'uomo e ai pericoli che avevano affrontato insieme, ma quei ricordi erano sempre ammantati da un velo di tristezza e di dispiacere per la sua morte. Sigellus aveva conosciuto anche Dace. Durante un allenamento il demone era riuscito a prendere il sopravvento e aveva cercato di ucciderlo. Lo spadaccino si era salvato solo grazie alla sua maggiore esperienza, tuttavia Dace era riuscito a ferirlo prima di svenire colpito da un pugno al mento.
'Cosa diavolo c'è di sbagliato in te, ragazzo?' gli aveva chiesto quando si era svegliato. Per la seconda volta nella sua giovane vita, Tarantio aveva parlato di Dace. Sigellus lo aveva ascoltato fissandolo con li occhi grigi inespressivi e un profondo taglio sotto l'occhio.
Quando Tarantio aveva terminato il racconto, lo spadaccino si era seduto con un sospiro. 'Tutti gli uomini portano dentro di loro un demone, Chio, - gli aveva detto. 'Almeno tu hai fatto uno sforzo per riuscire a controllarlo. Potrei parlare con Dace?
'Credi che io sia pazzo?
'Non so che cosa sei, ragazzo, ma fammi parlare con Dace.
'Ti ho capito, signore, - aveva affermato Tarantio. 'Ma non ho nessuna voglia di lasciarlo libero'
'Molto bene. Ascoltami, Dace. combatti con molto fervore e sei incredibilmente veloce. Ma impiegherai molto tempo prima di diventare bravo almeno la metà di quanto lo sono io. Quindi cerca di capire quanto ti sto per dire. Se proverai a uccidermi ancora una volta t'infilzerò come un pesce. Affermò fissando gli occhi blu scuro di Chio.
'Ha capito?
'Sì, signore, ha capito.
'Bene, - aveva dichiarato Sigellus sorridendo, poi aveva preso un fazzoletto di seta e si era tamponato la ferita. 'Per oggi ci siamo allenati abbastanza, sento che c'è una coppa di vino che mi sta chiamando a gran voce.
Lo odio, aveva dichiarato Dace. Un giorno lo ucciderò.
Stai mentendo, gli aveva risposto Tarantio. Non è vero che lo odi.
Dace era rimasto in silenzio e dopo qualche istante era tornato a sussurrare nella mente del ragazzo. E' stata. la prima persona, te escluso, a voler parlare con me: con Dace.
Tarantio non lo aveva mai sentito parlare con un tono così dolce e in quel momento si era sentito geloso. 'Ha minacciato di ucciderti, gli aveva fatto notare.
Ha detto che sono bravo. Incredibilmente veloce.
E' un mio amico.
Vuoi che lo uccida?
No!
Allora lascia che lui sia anche mio amico.
Tarantio rebbrividì e respinse quei ricordi dolorosi.
Quando era iniziata la guerra della Perla, i Quattro Ducati avevano cominciato a reclutare soldati. Ben pochi tra loro avevano visto l'antefatto per cui stavano per uccidere o morire, e un numero ancor più esiguo ne capiva la reale importanza. Intorno a essa si erano sprecate un mucchio di parole. Alcuni sostenevano che fosse un'arma di enorme potere, altri una pietra guaritrice in grado di donare l'immortalità e altri ancora affermavano che fosse un gioiello attraverso il quale si poteva conoscere il futuro. Ma nessuno di loro sapeva la verità.
Dopo essersi congedati da Sigellus, Tarantio e Dace avevano vagato per i Ducati, arruolandosi in svariate unità mercenarie e per due volte in eserciti regolari, prendendo parte ad assedi, cariche di cavalleria, schermaglie e diverse battaglie campali. Nella maggior parte dei casi avevano avuto la fortuna di trovarsi dalla parte dei vincitori, ma per quattro volte, come in quel momento, avevano fatto parte di un esercito sconfitto.
Il fuoco bruciava appena all'interno della profonda grotta e riscaldava appena le mani di Tarantio. Kiriel stava morendo appoggiato contro la parete opposta. Le ferite allo stomaco erano sempre le peggiori, ma quella era particolarmente grave perchè‚ erano stati recisi anche gli intestini. Il ragazzo mormorò qualcosa, poi emise un urlo. Tarantio lo raggiunse e gli appoggiò un dito sulla bocca. 'Devi
essere forte, Kiriel. Cerca di stare zitto, il nemico è vicino. - Kiriel aprì gli occhi azzurri febbricitanti, aveva lo stesso sguardo di un bambino che desiderava essere rassicurato.
'Fa male, Tarantio, - sussurrò. 'Sto morendo?
'Morire? Per un taglietto simile? Riposati. Entro l'alba ti sentirai in grado di combattere contro un orso.
'Veramente?
'Veramente, - mentì Tarantio, sapendo bene che il ragazzo non avrebbe visto l'alba. Prese ad accarezzargli i capelli finche. non si addormentò, quindi tornò verso il fuoco. Una figura massiccia si stirò e andò a sedersi di fronte a lui.
'A volte mentire è una gentilezza, - affermò con calma l'uomo, mentre il fuoco gli illuminava la barba rossiccia e gli occhi, verdi e freddi come un gioiello. 'Penso che l'affondo gli abbia bucato gli intestini. La ferita puzza.
Tarantio annuì e aggiunse dell'altra legna al fuoco, intanto il suo compagno cominciò a ridacchiare. 'Finchè non li hai attaccati credevo che per noi fosse finita laggiù. Devo essere onesto, Tarantio, avevo già sentito parlare della tua abilità, ma non avevo mai creduto a quelle storie. Ma, per le tette di Shemm, adesso ci credo. Non ho mai visto niente di simile. Sono contento di essere riuscito a scappare con te..
'Pensi che ci sia qualche altro sopravvissuto?
Tarantio riflettè per qualche attimo. Forse uno o due. Probabilmente sono nelle nostre stesse condizioni. Ma è piuttosto improbabile. Quelli che ci hanno assalito non volevano fare prigionieri.
'Credi che ci stiano ancora seguendo?
Tarantio alzò le spalle. 'Lo sapremo domani.
'Quale direzione potremmo prendere?
'Quella che preferisci. Non viaggeremo insieme. Sto per andare sulle montagne. Da solo
'Non gradisci la mia compagnia? - chiese l'uomo cominciando ad arrabbiarsi.
Tarantio lo fissò negli occhi. Forin era un assassino, durante l'estate precedente aveva ucciso due mercenari a mani nude a causa di una paga non versata. Non era saggio farlo arrabbiare. Il giovane guerriero stava cercando qualche argomento per calmare la situazione quando sentì Dace insorgere. Normalmente sarebbe riuscito a trattenerlo con la forza di volontà, ma in quel momento era molto stanco e il demone ne approfittò per imporsi. Dace ghignò in faccia a Forin. 'Che cosa vuoi? Sei un bruto senza coscienza, taglieresti la gola di tua madre per un penny d'argento.
Forin si tese serrando l'elsa della spada. 'Ricordati, brutto figlio di puttana, che potrei tagliarti in due senza neanche cominciare a sudare. Ti potrei mangiare in un solo boccone se qualcuno ti imburrasse
e ti cucisse le orecchie contro le tempie - affermò Dace.
Per un istante il gigante rimase pietrificato, poi scoppiò in una fragorosa risata. 'Per il paradiso, hai molta considerazione di te, piccolo uomo! Credo che sarei un boccone piuttosto indigesto anche per il leggendario Tarantio. Comunque è da pazzi parlare in questo modo. Ci stanno dando la caccia e non ha senso combattere l'uno contro l'altro. Adesso dimmi come mai non dovremmo prendere la stessa stradabar;
La risposta spiazzò Dace e Tarantio ne approfittò per riprendere il controllo, sbattè gli occhi e fece un profondo respiro. 'Avranno visto le nostre tracce,&hibar; spiegò a Forin, 'e si saranno resi conto che uno di noi è ferito. Quindi è improbabile che ci inseguano in forze. Impiegheranno otto o dieci soldati, al massimo. Se ci dividiamo, potrebbero seguire il nostro esempio, oppure concentrarsi su uno solo di noi. In ogni caso separandoci aumentiamo le nostre possibilità di salvezza.
'Le nostre? Il ragazzo non arriverà al mattino.
'Le mie e le tue, intendevo,&hibar; replicò secco Tarantio.
Forin annuì. 'Perchè non ti sei spiegato subito? Perchè mi hai insultato?
Tarantio alzò le spalle. 'Non ti offendere, Forin, è colpa del mio sangue zingaro. A me non piace stare in compagnia.
Forin si rilassò. 'Non sono offeso. C'è stato un tempo in cui avrei pagato ben più di un penny d'argento per avere il privilegio di sgozzare mia madre. Allora ero un bambino. Tutto quella che so di mia madre è che spezzò il cuore di mio padre e mi abbandonò. Non ti sei sbagliato di molto. - L'uomo fece un sorriso imbarazzato e cominciò a giocherellare pigramente con la barba. 'Mio padre era un brav'uomo. Un grande cantastorie. Tutti i bambini del villaggio si riunivano in casa mia per ascoltarlo. Conosceva anche la Storia. Sapeva le vicende dei regni antichi, l'Eldarin, il Daroth e il vecchio Impero. Di solito mischiava queste storie con le leggende. Che notti stupende passavamo!
Sedevamo davanti a lui a bocca aperta e li occhi dilatati dal terrore. Aveva una grande voce, profonda e sepolcrale.
L'ho spaventato, disse Dace. Adesso vuole essere nostro amico.
Forse, concordò Tarantio. Ma tu spaventi tutti, me incluso.
'Che cosa è successo a tuo padre? - gli chiese Tarantio ad alta voce.
'Si prese la polmonite e morì. - Forin divenne silenzioso e cominciò a pulirsi il fango dai pantaloni di cuoio. Il giovane guerriero si accorse che il grosso uomo stava cercando di reprimere le emozioni.
Forin si schiarì la gola ed estrasse il coltello da caccia, prese la cote da una tasca del vestito e cominciò ad affilare la lama con dei lunghi e morbidi movimenti. Quando fu soddisfatto del filo, prese un piccolo specchio ovale con il bordo in argento e cominciò a radere i peli che crescevano sotto le linea della barba. Finita l'operazione rinfoderò il coltello, mise via lo specchio e prese a fissare il silenzioso Tarantio.
'Mio padre era un brav'uomo che meritava molto di più di quello che ha avuto. Quando è morto pesava meno di un bambino.
'Brutto modo di morire - concordò Tarantio.
'Nessuno mi ha ancora dimostrato se ne esiste uno bello - puntualizzò Forin. 'Sai, quando avevo sette anni un giorno venne a trovarci un Eldarin. Ero spaventato a morte. Quella creatura si sedette tranquil lamente vicino al cumino, mentre io lo fissavo nascosto dietro la sedia di mio padre. Non era il pelo sulla faccia che mi inquietava, erano i suoi occhi. Erano così rossi. Però parlava in modo molto calmo e mio padre insistette finchè io non gli strinsi la mano. Aveva ragione, una volta che gli fui vicino, la mia paura scomparve.
Tarantio annuì. 'Un tempo ho fatto l'apprendista per un vecchio scrittore che mi descrisse gli Eldarin. Mi disse che il loro volto ricorda quello dei lupi.
'Non è del tutto esatto, - affermò Forin. 'I lupi non sono un buon termine di paragone. Fanno venire in mente qualcosa di selvaggio, ma in quell'essere non c'era nulla di selvaggio. Ma a quel tempo lo guardai con gli occhi fiduciosi di un bambino di sette anni. Mi permise di toccargli la peluria bianca che gli ricopriva il volto e la fronte, era soffice come il pelo di un coniglio. Mi addormentai vicino al fuoco mentre lui e mio padre continuavano u parlare. Quando mi svegliai al nettino se n'era già andato.
'Di che cosa avevano parlato?
'Non mi ricordo tanto bene. Poesia. Storie. Mio padre era colpito dai massacri dei Daroth, ma l'Eldarin non ne voleva parlare. - I verdi occhi di Forin fissarono Taramio. 'Dici che la gente non ti piace. Perchè hai portato il ragazzo fin qua? Lo conoscevi appena. Si era unito a noi solo pochi giorni fa.
'Chi lo sa? Dormiamo. - Tarantio si sdraiò vicino al fuoco morente usando la spessa giubba di lana come coperta.
Il sogno fu chiaro e semplice. Gli assalitori sbucarono dall'oscurità brandendo le spade affilate, circondando il suo gruppo di mercenari. Presi di sorpresa, molti morirono al primo attacco. Tarantio rimase paralizzato per qualche attimo, Dace no. Estraendo entrambe le spade, il demone osservò la linea dei nemici e poi si lanciò all'attacco, senza sapere se Forin e Kiriel lo stessero seguendo. In verità non gliene importava molto. Le sue spade ondeggiavano a destra e a sinistra aprendo un
sentiero di morte tra gli attaccanti, poi si lanciò verso gli alberi. Forin e Kiriel sfruttarono il varco e lo seguirono, ma il ragazzo fu ferito gravemente allo stomaco. La luce della luna era piuttosto scarsa, ma Dace aveva una buona visione notturna e riuscì a guidarli nel cuore della foresta. Kiriel si accasciò contro un albero con i vestiti imbrattati di sangue. Sentendosi al sicuro, Tarantiu riuscì a riprendere il controllo e aiutò il ragazzo. Poi, quando Kiriel svenne, Forin lo sollevò portandolo
nella caverna.
Nel sogno Tarantio divenne il ragazzo, e si sentì preda della morte e della paura. I volti degli uomini che Dace aveva ucciso divennero quelli dei suoi amici e compagni delle schermaglie di un tempo.
Il viso di un vecchio fluttuò nelI'aria fino a fermarsi davanti a lui.
'La verità brucia, Chio, - gli disse. 'La verità è una luce splendente, e
fa così male.


GLOSSARIO

 
Tarantio o Chio Spadaccino senza rivali nella sua epoca
Dace Personalità demoniaca
Sigellus Maestro di Tarantio
Shemm Divinità
Forin Gigantesco mercenario
Eldarin Razza pacifica con grandi poteri magici; somigliano a dei lupi, ma eretti
Daroth Bellicosa razza di enormi guerrieri virtualmente immortali; temono l'acqua profonda e il freddo.
Karis, la Puttana da Guerra, la Regina di Ghiaccio Generalessa mercenario senza pari
Lunder Mercante di dubbia moralità
Hlobane, Prentius, Loretheli e Corduin Capitali dei quattro ducati
Marche, Romark, Morgallis I quattro ducati
Gatien Insegnante di Tarantio
Miriac Dama di compagnia di Corduin
Duvodas l'Arpista Cantore cresciuto con gli Eldarin
Eldarisa Capitale dell'Eldarin
Ranaloth Maestro di Duvodas
Browyn Vecchio sognatore semi eremita
Sacra Armata Forza d'invasione dei quattro Ducati diretta verso l'Eldarin
Sirano Quinto Duca di Romark, incantatore
Ardlin Medico - mago
Shira Bellissima ragazza zoppa
Ceofrin Locandiere padre di Shira
Lord Albreck Signore di Corduin
Vint Campione del Duca di Corduin
Pooris Ambasciatore e politico di Corduin
Shemak Divinità maschile
Oltor '... erano cantanti, musicisti e poeti. Pensavano che l'universo fosse una Grande Canzone e la vita che vi scorre all'interno fosse semplicemente un'eco della sua melodia.' Un concetto simile è espresso in Eco del Grande Canto.
Niro Chierico
Necklen Anziano mercenario
Ozhobar Inventore e ingegnere. E' probabilmente ispirato a big Oz, un amico di Gemmell che, come il personaggio, è molto disponibile ma non offrirà mai a nessuno i suoi biscotti (come dice in una dedica).
Primo Oltor Capo spirituale dela razza Oltor
Brek Aiutante di Ozhobar

NOTA: 1 pezzo d'oro = 20 pezzi d'argento.