Titolo originale: Dark Moon
QUARTA DI COPERTINA
Per
sette anni i quattro Ducati si sono combattuti per il possesso della Perla Nera,
un manufatto magico di enorme potere, ultima testimonianza dell'esistenza degli
Eldarin. Questi erano un popolo di esseri pacifici, dall'aspetto felino, che era
scomparso misteriosamente nel volgere di pochi istanti, quando gli umani avevano
provato ad attaccarli pensando che potessero rappresentare una minaccia. Sirano,
quarto Duca di Romarck, è un mago ed è anche il possessore della Perla Nera.
Nel tentativo di capirne i segreti libera i Daroth, un popolo malvagio e
antropofago che gli Eldarin avevano rinchiuso con un potentissimo incantesimo
all'interno della Perla Nera diversi secoli prima. I Daroth distruggono due
delle capitali dei Ducati, ma sono costretti a fermare la loro avanzata a causa
dell'inverno, poichè non possono sopportare il freddo. Questa loro debolezza
permette ad Albreck, Duca di Corduin, di approntare le difese della sua città.
Il compito viene affidato a Karis, un abilissimo generale di truppe mercenarie
donna, che riuscirà a fermare il nemico. Per la sua impresa Karis si servirà
dell'aiuto di Tarantio, un leggendario spadaccino che nasconde un segreto:
alberga dentro di lui un demone chiamato Dace, un suo alter ego che emerge ogni
volta che Tarantio deve combattere o si trova in pericolo. Ma Tarantio non è
solo, ma ha un prezioso alleato: Duvodas, un mago umano allevato dagli Eldarin.
COMMENTO
Ecco un altro libro che ho terminato di leggere da
qualche tempo, e che mi accingo a commentare solo ora per ragioni di tempo. Di
primo acchito, questo può sembrare il classico libro di Gemmell: ci sono i
classici elementi della narrativa dell'autore inglese.
Innanzitutto, la trama si dipana, come in Guerrieri
d'Inverno, partendo da un male minore (la cupidigia di Sirano, duca di
Romark), per crescere in un male maggiore (la minaccia dei Daroth). Anche in
quest'opera, Gemmell esalta l'eroismo nato dalle situazioni di pericolo tipiche
di battaglie e guerre, pur stigmatizzando la violenza e ciò che essa genera; DG,
in effetti, sembra tenere slegati i due concetti, quasi che la guerra sia un
male necessario a far emergere il coraggio e la parte migliore degli uomini... o
la peggiore. Testimoni di questi aspetti sono i personaggi di Tarantio il
Guerriero e Duvodas il Cantore. A proposito della figura del cantore, bisogna
consigerare che essa non solo è ricorrente, ma in prepotente evoluzione: in Druss
la leggenda, Sieben non è altro che un allegro compagno un po' cinico che
fa da spalla al protagonista. Di sicuro la sua importanza cresce in La
leggenda di Morte che Cammina. Ma Duvodas, più decisivo anche di Nuada nei Cavalieri
dei Gabala, è un personaggio centrale, al pari di Tarantio, Karis e Forin.
In effetti, forse la sua importanza dipende dal fatto che questo libro ha le
tinte del romanzo corale, senza un vero e proprio protagonista, ma con un gruppo
di figure che si spartiscono il palco scenico. Un po' un romanzo alla Guerra e
Pace, se mi passate il paragone irriverente... solo più interessante!
Tuttavia, il vero punto di rottura, rispetto alla
precedente produzione di Gemmell fin qui recensita, sta nel fatto che in
quest'opera campeggia una gigantesca figura femminile, Karis. Non siamo ancora
ai livelli che, da questo punto di vista, toccherà La figlia di mano di ferro,
ma di sicuro si potrebbe dire che Karis è allo stesso livello, se non sopra, le
figure maschili di questo romanzo: ella tova la sua definitiva consacrazione
nella propria fine, quasi una parabola evangelica, una favola di Esopo
sull'inutile necessità della guerra.
Ultima annotazione: potrebbe essere giustificata una
continuità con i Drenai, dal momento che viene detto che un tempio in montagna
è stato costruito dai preti dalle Fonte, e viene citato Shemak. Del resto non
sono presenti altre annotazioni di questo tipo, e l'economia non viene gestita
con la stessa unità monetaria dei Drenai; inostre esiste la scrittura e le
distanze vengono misurate in KM. Di sicuro, questi cambiamenti potrebbero essere
intervenuti nell'epoca di passaggio tra un regime e l'altro.
Voto: 7
PROLOGO
Tarantio era stato un bambino calmo e solitario che
aveva vissuto la maggior parte dell'infanzia con un padre vedovo che si
ubriacava al mattino e piangeva al pomeriggio. Sua madre, un'acrobata che
viaggiava insieme a un gruppo di zingari che si guadagnava da vivere esibendosi
ai banchetti o nelle piazze, era morta quando lui aveva sei anni a causa
di un'epidemia di peste. L'unico ricordo che conservava della genitrice era
l'immagine di un'allegra ragazza, quasi donna, che lo lanciava in aria per farlo
divertire. Da lei, Tarantio aveva ereditato l'agilità, la destrezza di mano e
la tenebrosa bellezza. Dal padre, invece, pensava di aver ricevuto solamente
Dace, il demone che portava in sè,
con il quale aveva condiviso la maggior parte della sua vita.
Ora Tarantio era un guerriero, ma prima d'intraprendere quella carriera aveva
svolto i lavori più disparati, dal marinaio al minatore, dal domatore di
cavalli all'apprendista chierico per un anziano scrittore. Una fredda
folata di vento penetrò nella caverna e Tarantio, che si era rasato gli
scuri capelli per evitare di prendersi i pidocchi, tirò su il colletto
della pesante giubba grigia per ripararsi la nuca, quindi estrasse dal fodero
una corta spada e la tenne a portata di mano. Fuori la pioggia cadeva
insistente e poteva sentire il rumore della cascata. Sicuramente i suoi
inseguitori si erano cercati un riparo. Potrebbero essere proprio qui
fuori, sussurrò la voce di Dace nella sua mente. Magari si stanno
avvicinando furtivamente, pronti a tagliarci la gola. Ti piacerebbe che
fosse cosi, vero Dace. Altri uomini da uccidere.
A ognuno il suo, rispose Dace in tono affabile. Tarantio era troppo stanco
per continuare a discutere, ma l'intrusione del suo alter ego lo aveva
messo di cattivo umore. Sette anni prima la guerra si era abbattuta sui Ducati
come un uragano senziente, risucchiando gli uomini all'interno del suo cuore
rabbioso per poi nutrirli di odio e amore per la distruzione. Il Demone
della Guerra aveva diversi aspetti, nessuno bello, ma tutti con dei tratti in
comune: gli occhi riflettevano la morte, dal suo mantello nascevano le
pestilenze, la bocca portava la carestia e le mani dispensavano la più
nera delle disperazioni. Dace era estasiato da quella situazione, lui e la
guerra erano fatti l'uno per l'altro. Gli altri uomini ammiravano la sua
destrezza e il suo talento letale e lo consideravano una sorta di talismano. Ma
il demone era un assassino. Già da un po' di tempo Tarantio non era più in
grado di ricordarsi il numero delle persone che aveva ucciso, e il loro volto
era scomparso dalla sua memoria da più tempo ancora. Adesso ne rammentava solo
due: il primo era un uomo riverso su lenzuola di seta coperte di sangue con gli
occhi gonfi e la mascella cadente, il secondo un ladro e assassino che era stato
il possessore delle spade che portava addosso.
Il giovane guerriero aggiunse due pezzi di legna nel fuoco e osservò le
ombre danzare contro le pareti della caverna. I suoi due compagni erano sdraiati
a terra, uno stava dormendo, l'altro stava morendo.
Perchè ripensi ancora al massacro della spiaggia? gli domandò Dace.
Tarantio rabbrividì e il ricordo si fece ancor più vivido.
Sette anni prima una vecchia nave era stata tirata a secco a causa
di una tempesta, l'albero era stato tolto e le vele erano state avvolte e
appoggiate contro la scogliera. Gli uomini dell'equipaggio si erano radunati
intorno ai fuochi parlando, ridendo e giocando a dadi, felici di essere
scampati al maltempo. Il suono delle loro risate di sollievo era rimbalzato
contro le pareti della scogliera fino a raggiungere il bosco alle spalle
dell'accampamento.
Ed era stato proprio di là che erano spuntati silenziosamente gli assassini
che si erano scagliati in mezzo al campo come dei demoni, in uno
scintillare di spade e asce. L'equipaggio della nave era stato massacrato
senza pietà.
Come al solito Tarantio non si trovava con i suoi compagni. Infatti era
intento a osservare le stelle seduto con Ia schiena appoggiata a un masso
lontano dai fuochi. Appena aveva sentito il primo urlo si era inginocchiato e
aveva osservato la scena. Disarmato e inesperto, il giovane marinaio non era
stato in grado di aiutare i suoi compagni e si era rannicchiato, tremante,
dietro il masso. incurante dell'alta marea che gli lambiva li stivali. Dal
mascondiglio aveva sentito i ladri saccheggiare la nave del suo carico di spezie
e liquori delle isole, delle sete del continente meridionale e dei lingotti
d'argento destinati alla zecca di Loretheli.
Verso l'alba uno degli assalitori si era diretto verso le rocce e lo aveva
trovato. L'ondata di terrore che aveva colto Tarantio aveva permesso a Dace di
manifestarsi. Il demone aveva fracassato con un masso la testa dell'esterrefatto
predone, lo aveva trascinato dietro le rocce, gli aveva tolto la spada e il
borsellino colmo di denaro, poi si era allontanato dalla scena del
massacro.
Tarantio aveva ripreso il controllo del suo corpo solo quando Dace si era
allontanato a sufficienza e si era calmato. Quest'ultimo non si era opposto allo
scambio, poichè quando non c'era da ricorrere alla violenza si annoiava
facilmente.
Solo e senza amici, Tarantio aveva raggiunto la città corsara di Loretheli
in cerca di un nuovo imbarco, e invece aveva incontrato Sigellus lo Spadaccino.
Il giovane guerriero ripensava spesso a quell'uomo e ai pericoli che
avevano affrontato insieme, ma quei ricordi erano sempre ammantati da un
velo di tristezza e di dispiacere per la sua morte. Sigellus aveva
conosciuto anche Dace. Durante un allenamento il demone era riuscito a prendere
il sopravvento e aveva cercato di ucciderlo. Lo spadaccino si era salvato solo
grazie alla sua maggiore esperienza, tuttavia Dace era riuscito a ferirlo prima
di svenire colpito da un pugno al mento.
'Cosa diavolo c'è di sbagliato in te, ragazzo?' gli aveva chiesto quando si
era svegliato. Per la seconda volta nella sua giovane vita, Tarantio aveva
parlato di Dace. Sigellus lo aveva ascoltato fissandolo con li occhi
grigi inespressivi e un profondo taglio sotto l'occhio.
Quando Tarantio aveva terminato il racconto, lo spadaccino si era seduto con
un sospiro. 'Tutti gli uomini portano dentro di loro un demone, Chio, - gli
aveva detto. 'Almeno tu hai fatto uno sforzo per riuscire a controllarlo. Potrei
parlare con Dace?
'Credi che io sia pazzo?
'Non so che cosa sei, ragazzo, ma fammi parlare con Dace.
'Ti ho capito, signore, - aveva affermato Tarantio. 'Ma non ho nessuna
voglia di lasciarlo libero'
'Molto bene. Ascoltami, Dace. combatti con molto fervore e sei incredibilmente
veloce. Ma impiegherai molto tempo prima di diventare bravo almeno la metà di
quanto lo sono io. Quindi cerca di capire quanto ti sto per dire. Se
proverai a uccidermi ancora una volta t'infilzerò come un pesce. Affermò
fissando gli occhi blu scuro di Chio.
'Ha capito?
'Sì, signore, ha capito.
'Bene, - aveva dichiarato Sigellus sorridendo, poi aveva preso un fazzoletto
di seta e si era tamponato la ferita. 'Per oggi ci siamo allenati abbastanza,
sento che c'è una coppa di vino che mi sta chiamando a gran voce.
Lo odio, aveva dichiarato Dace. Un giorno lo ucciderò.
Stai mentendo, gli aveva risposto Tarantio. Non è vero che lo odi.
Dace era rimasto in silenzio e dopo qualche istante era tornato a sussurrare
nella mente del ragazzo. E' stata. la prima persona, te escluso, a voler parlare
con me: con Dace.
Tarantio non lo aveva mai sentito parlare con un tono così dolce e in quel
momento si era sentito geloso. 'Ha minacciato di ucciderti, gli aveva fatto
notare.
Ha detto che sono bravo. Incredibilmente veloce.
E' un mio amico.
Vuoi che lo uccida?
No!
Allora lascia che lui sia anche mio amico.
Tarantio rebbrividì e respinse quei ricordi dolorosi.
Quando era iniziata la guerra della Perla, i Quattro Ducati avevano
cominciato a reclutare soldati. Ben pochi tra loro avevano visto l'antefatto per
cui stavano per uccidere o morire, e un numero ancor più esiguo ne capiva la
reale importanza. Intorno a essa si erano sprecate un mucchio di parole. Alcuni
sostenevano che fosse un'arma di enorme potere, altri una pietra guaritrice in
grado di donare l'immortalità e altri ancora affermavano che fosse un gioiello
attraverso il quale si poteva conoscere il futuro. Ma nessuno di loro sapeva la
verità.
Dopo essersi congedati da Sigellus, Tarantio e Dace avevano vagato per i
Ducati, arruolandosi in svariate unità mercenarie e per due volte in
eserciti regolari, prendendo parte ad assedi, cariche di cavalleria, schermaglie
e diverse battaglie campali. Nella maggior parte dei casi avevano avuto la
fortuna di trovarsi dalla parte dei vincitori, ma per quattro volte, come in
quel momento, avevano fatto parte di un esercito sconfitto.
Il fuoco bruciava appena all'interno della profonda grotta e riscaldava
appena le mani di Tarantio. Kiriel stava morendo appoggiato contro la parete
opposta. Le ferite allo stomaco erano sempre le peggiori, ma quella era
particolarmente grave perchè‚ erano stati recisi anche gli intestini. Il
ragazzo mormorò qualcosa, poi emise un urlo. Tarantio lo raggiunse e gli
appoggiò un dito sulla bocca. 'Devi
essere forte, Kiriel. Cerca di stare zitto, il nemico è vicino. - Kiriel aprì
gli occhi azzurri febbricitanti, aveva lo stesso sguardo di un bambino che
desiderava essere rassicurato.
'Fa male, Tarantio, - sussurrò. 'Sto morendo?
'Morire? Per un taglietto simile? Riposati. Entro l'alba ti sentirai in grado
di combattere contro un orso.
'Veramente?
'Veramente, - mentì Tarantio, sapendo bene che il ragazzo non avrebbe visto
l'alba. Prese ad accarezzargli i capelli finche. non si addormentò, quindi tornò
verso il fuoco. Una figura massiccia si stirò e andò a sedersi di fronte a
lui.
'A volte mentire è una gentilezza, - affermò con calma l'uomo, mentre il
fuoco gli illuminava la barba rossiccia e gli occhi, verdi e freddi come un
gioiello. 'Penso che l'affondo gli abbia bucato gli intestini. La ferita puzza.
Tarantio annuì e aggiunse dell'altra legna al fuoco, intanto il suo compagno
cominciò a ridacchiare. 'Finchè non li hai attaccati credevo che per noi fosse
finita laggiù. Devo essere onesto, Tarantio, avevo già sentito parlare della
tua abilità, ma non avevo mai creduto a quelle storie. Ma, per le tette di
Shemm, adesso ci credo. Non ho mai visto niente di simile. Sono contento di
essere riuscito a scappare con te..
'Pensi che ci sia qualche altro sopravvissuto?
Tarantio riflettè per qualche attimo. Forse uno o due. Probabilmente sono
nelle nostre stesse condizioni. Ma è piuttosto improbabile. Quelli che ci hanno
assalito non volevano fare prigionieri.
'Credi che ci stiano ancora seguendo?
Tarantio alzò le spalle. 'Lo sapremo domani.
'Quale direzione potremmo prendere?
'Quella che preferisci. Non viaggeremo insieme. Sto per andare sulle
montagne. Da solo
'Non gradisci la mia compagnia? - chiese l'uomo cominciando ad arrabbiarsi.
Tarantio lo fissò negli occhi. Forin era un assassino, durante l'estate
precedente aveva ucciso due mercenari a mani nude a causa di una paga non
versata. Non era saggio farlo arrabbiare. Il giovane guerriero stava cercando
qualche argomento per calmare la situazione quando sentì Dace insorgere.
Normalmente sarebbe riuscito a trattenerlo con la forza di volontà, ma in quel
momento era molto stanco e il demone ne approfittò per imporsi. Dace ghignò in
faccia a Forin. 'Che cosa vuoi? Sei un bruto senza coscienza, taglieresti la
gola di tua madre per un penny d'argento.
Forin si tese serrando l'elsa della spada. 'Ricordati, brutto figlio di
puttana, che potrei tagliarti in due senza neanche cominciare a sudare. Ti
potrei mangiare in un solo boccone se qualcuno ti imburrasse
e ti cucisse le orecchie contro le tempie - affermò Dace.
Per un istante il gigante rimase pietrificato, poi scoppiò in una fragorosa
risata. 'Per il paradiso, hai molta considerazione di te, piccolo uomo! Credo
che sarei un boccone piuttosto indigesto anche per il leggendario Tarantio.
Comunque è da pazzi parlare in questo modo. Ci stanno dando la caccia e non ha
senso combattere l'uno contro l'altro. Adesso dimmi come mai non dovremmo
prendere la stessa stradabar;
La risposta spiazzò Dace e Tarantio ne approfittò per riprendere il
controllo, sbattè gli occhi e fece un profondo respiro. 'Avranno visto le
nostre tracce,&hibar; spiegò a Forin, 'e si saranno resi conto che uno di
noi è ferito. Quindi è improbabile che ci inseguano in forze. Impiegheranno
otto o dieci soldati, al massimo. Se ci dividiamo, potrebbero seguire il nostro
esempio, oppure concentrarsi su uno solo di noi. In ogni caso separandoci
aumentiamo le nostre possibilità di salvezza.
'Le nostre? Il ragazzo non arriverà al mattino.
'Le mie e le tue, intendevo,&hibar; replicò secco Tarantio.
Forin annuì. 'Perchè non ti sei spiegato subito? Perchè mi hai insultato?
Tarantio alzò le spalle. 'Non ti offendere, Forin, è colpa del mio sangue
zingaro. A me non piace stare in compagnia.
Forin si rilassò. 'Non sono offeso. C'è stato un tempo in cui avrei pagato
ben più di un penny d'argento per avere il privilegio di sgozzare mia madre.
Allora ero un bambino. Tutto quella che so di mia madre è che spezzò il
cuore di mio padre e mi abbandonò. Non ti sei sbagliato di molto. -
L'uomo fece un sorriso imbarazzato e cominciò a giocherellare pigramente
con la barba. 'Mio padre era un brav'uomo. Un grande cantastorie. Tutti i
bambini del villaggio si riunivano in casa mia per ascoltarlo. Conosceva anche
la Storia. Sapeva le vicende dei regni antichi, l'Eldarin, il Daroth e il
vecchio Impero. Di solito mischiava queste storie con le leggende. Che notti
stupende passavamo!
Sedevamo davanti a lui a bocca aperta e li occhi dilatati dal terrore. Aveva
una grande voce, profonda e sepolcrale.
L'ho spaventato, disse Dace. Adesso vuole essere nostro amico.
Forse, concordò Tarantio. Ma tu spaventi tutti, me incluso.
'Che cosa è successo a tuo padre? - gli chiese Tarantio ad alta voce.
'Si prese la polmonite e morì. - Forin divenne silenzioso e cominciò a
pulirsi il fango dai pantaloni di cuoio. Il giovane guerriero si accorse che il
grosso uomo stava cercando di reprimere le emozioni.
Forin si schiarì la gola ed estrasse il coltello da caccia, prese la cote da
una tasca del vestito e cominciò ad affilare la lama con dei lunghi e morbidi
movimenti. Quando fu soddisfatto del filo, prese un piccolo specchio ovale con
il bordo in argento e cominciò a radere i peli che crescevano sotto le linea
della barba. Finita l'operazione rinfoderò il coltello, mise via lo specchio e
prese a fissare il silenzioso Tarantio.
'Mio padre era un brav'uomo che meritava molto di più di quello che ha
avuto. Quando è morto pesava meno di un bambino.
'Brutto modo di morire - concordò Tarantio.
'Nessuno mi ha ancora dimostrato se ne esiste uno bello - puntualizzò Forin.
'Sai, quando avevo sette anni un giorno venne a trovarci un Eldarin. Ero
spaventato a morte. Quella creatura si sedette tranquil lamente vicino al
cumino, mentre io lo fissavo nascosto dietro la sedia di mio padre. Non
era il pelo sulla faccia che mi inquietava, erano i suoi occhi. Erano così
rossi. Però parlava in modo molto calmo e mio padre insistette finchè
io non gli strinsi la mano. Aveva ragione, una volta che gli fui vicino,
la mia paura scomparve.
Tarantio annuì. 'Un tempo ho fatto l'apprendista per un vecchio scrittore
che mi descrisse gli Eldarin. Mi disse che il loro volto ricorda quello dei
lupi.
'Non è del tutto esatto, - affermò Forin. 'I lupi non sono un buon termine
di paragone. Fanno venire in mente qualcosa di selvaggio, ma in quell'essere non
c'era nulla di selvaggio. Ma a quel tempo lo guardai con gli occhi fiduciosi di
un bambino di sette anni. Mi permise di toccargli la peluria bianca che gli
ricopriva il volto e la fronte, era soffice come il pelo di un coniglio. Mi
addormentai vicino al fuoco mentre lui e mio padre continuavano u parlare.
Quando mi svegliai al nettino se n'era già andato.
'Di che cosa avevano parlato?
'Non mi ricordo tanto bene. Poesia. Storie. Mio padre era colpito dai
massacri dei Daroth, ma l'Eldarin non ne voleva parlare. - I verdi occhi
di Forin fissarono Taramio. 'Dici che la gente non ti piace. Perchè hai portato
il ragazzo fin qua? Lo conoscevi appena. Si era unito a noi solo pochi giorni
fa.
'Chi lo sa? Dormiamo. - Tarantio si sdraiò vicino al fuoco morente usando la
spessa giubba di lana come coperta.
Il sogno fu chiaro e semplice. Gli assalitori sbucarono dall'oscurità
brandendo le spade affilate, circondando il suo gruppo di mercenari. Presi di
sorpresa, molti morirono al primo attacco. Tarantio rimase paralizzato per
qualche attimo, Dace no. Estraendo entrambe le spade, il demone osservò la
linea dei nemici e poi si lanciò all'attacco, senza sapere se Forin e Kiriel lo
stessero seguendo. In verità non gliene importava molto. Le sue spade
ondeggiavano a destra e a sinistra aprendo un
sentiero di morte tra gli attaccanti, poi si lanciò verso gli alberi. Forin
e Kiriel sfruttarono il varco e lo seguirono, ma il ragazzo fu ferito gravemente
allo stomaco. La luce della luna era piuttosto scarsa, ma Dace aveva una
buona visione notturna e riuscì a guidarli nel cuore della foresta. Kiriel si
accasciò contro un albero con i vestiti imbrattati di sangue. Sentendosi al
sicuro, Tarantiu riuscì a riprendere il controllo e aiutò il ragazzo. Poi,
quando Kiriel svenne, Forin lo sollevò portandolo
nella caverna.
Nel sogno Tarantio divenne il ragazzo, e si sentì preda della morte e della
paura. I volti degli uomini che Dace aveva ucciso divennero quelli dei suoi
amici e compagni delle schermaglie di un tempo.
Il viso di un vecchio fluttuò nelI'aria fino a fermarsi davanti a lui.
'La verità brucia, Chio, - gli disse. 'La verità è una luce
splendente, e
fa così male.
GLOSSARIO
Tarantio o Chio |
Spadaccino senza rivali nella sua
epoca |
Dace |
Personalità demoniaca |
Sigellus |
Maestro di Tarantio |
Shemm |
Divinità |
Forin |
Gigantesco mercenario |
Eldarin |
Razza pacifica con grandi poteri
magici; somigliano a dei lupi, ma eretti |
Daroth |
Bellicosa razza di enormi guerrieri
virtualmente immortali; temono l'acqua profonda e il freddo. |
Karis, la Puttana da
Guerra, la Regina di Ghiaccio |
Generalessa mercenario senza pari |
Lunder |
Mercante di dubbia moralità |
Hlobane, Prentius,
Loretheli e Corduin |
Capitali dei quattro ducati |
Marche, Romark,
Morgallis |
I quattro ducati |
Gatien |
Insegnante di Tarantio |
Miriac |
Dama di compagnia di Corduin |
Duvodas l'Arpista |
Cantore cresciuto con gli Eldarin |
Eldarisa |
Capitale dell'Eldarin |
Ranaloth |
Maestro di Duvodas |
Browyn |
Vecchio sognatore semi eremita |
Sacra Armata |
Forza d'invasione dei quattro Ducati
diretta verso l'Eldarin |
Sirano |
Quinto Duca di Romark, incantatore |
Ardlin |
Medico - mago |
Shira |
Bellissima ragazza zoppa |
Ceofrin |
Locandiere padre di Shira |
Lord Albreck |
Signore di Corduin |
Vint |
Campione del Duca di Corduin |
Pooris |
Ambasciatore e politico di Corduin |
Shemak |
Divinità maschile |
Oltor |
'... erano cantanti, musicisti e
poeti. Pensavano che l'universo fosse una Grande Canzone e la vita che
vi scorre all'interno fosse semplicemente un'eco della sua melodia.' Un
concetto simile è espresso in Eco del Grande Canto. |
Niro |
Chierico |
Necklen |
Anziano mercenario |
Ozhobar |
Inventore e ingegnere. E'
probabilmente ispirato a big Oz, un amico di Gemmell che, come il
personaggio, è molto disponibile ma non offrirà mai a nessuno i suoi
biscotti (come dice in una dedica). |
Primo Oltor |
Capo spirituale dela razza Oltor |
Brek |
Aiutante di Ozhobar |
NOTA: 1 pezzo d'oro = 20 pezzi d'argento.
|