Titolo originale: Druss the Legend
QUARTA DI COPERTINA
Tempi
terribili incombono sul mondo dei Drenai. L'impero di Ventria ‚ minacciato da
una guerra sanguinaria e il trono stesso di Gorben ‚ in pericolo.
L'imperatore, come estrema risorsa, ha deciso di affidare le sorti del suo reame
al potere di una spada incantata dagli immensi poteri, ma l'animo di un uomo, sia pure un
sovrano, saprà resistere alla forza di un simile sortilegio?
Nella terra di Vagrian bande di scorridori terrorizzano e saccheggiano pacifici
villaggi e un giorno la loro furia si abbatte su quello in cui vive Rowena, un
affascinante donna dagli occulti talenti, che viene rapita insieme alle altre
donne giovani del villaggio. Ma Rowena è la donna di Druss, un guerriero
possente e feroce, collerico e audace fino alla follia, che si mette
immediatamente sulle tracce dell'amata. Comincia così uno straordinario viaggio
avventuroso attraverso le terre dei Drenai, che vede cavalcare a fianco di Druss
l'affascinante
Sieben, poeta e saggio, beniamino di tutte le donne. In un crescendo avventuroso
che ha i sapori e i toni dell'autentica saga epica, i nostri eroi avanzano al
galoppo verso uno straordinario finale!
Con tutta la potenza della sua fantasia, David Gemmel ci riconduce finalmente
lungo le vie della terra dei Drenai, regalandoci un nuovo capitolo del suo ciclo
più famoso!
COMMENTO
Questo è il libro di Druss... lo vediamo fin da
giovanissimo inseguire il suo amore in una trama calcata forse sulla falsa riga
del mito di Orfeo, lo vediamo patire ogni sorta di tormento e uscirne sempre
vincitore: lo vediamo diventare da Druss il boscaiolo, Druss la Leggenda. Mentre
negli altri due casi Druss viene sempre accostato a un altro grande personaggio,
in questo caso dimostra di essere un personaggio che può, con la sua tenacia e
la sua tipica, tranquilla, sicurezza nei propri mezzi riempire da solo un libro,
nello stesso modo in cui può difendere il passo di Skeln o assalttare una nave
di pirati da solo, in modo sfacciato. Anzi, nemmeno sfacciato, perchè questo
presupporebbe la consapevolezza della propria grandezza, che in questo
personaggio è del tutto assente: Druss fa semplicemente quello che è giusto
fare... ed è questo a renderlo grande.
Annotazione del 10 aprile 2000
Io penso che la caratteristica peculiare di Druss,
quella per cui è tanto amato da tanta gente, sia chè è un modello, oltre che
un eroe. Benchè possa sembrare la stessa cosa, c'è una profonda differenza tra
i due termini: l'eroe è spesso tale per vocazione e senza sforzo; è quasi
senz'anima, un qualcosa di irraggiungibile, un'aquila in cielo. Un modello è
fatto di carne e sangue, mangia, respira, è tangibile. Druss è come un grosso
erbivoro, un bisonte, qualcosa di terribilmente terreno, una tranquilla forza
della natura che non si scatena mai senza motivo, ma che può diventare
inarrestabile. Druss è la fatica di riuscire anche contro ogni probabilità, la
tenacia di canalizzare ogni stilla di potenziale verso il conseguimento di un
obiettivo. Druss è l'uomo che in molti vorremmo essere, perchè nonostante sia
granitico sotto ogni punto di vista, non ispira soggezzione grazie ai suoi modi
a prima vista rozzi, ma in realtà profondamente onesti, alla sua lungimiranza,
al modo crudele in cui la vita lo tratta. Tutto questo ci permette di
solidarizzare con lui, perchè sotto il manto di spade e magie, le sue
sofferenze sono un po' le nostre... e ci ricordano che non è mai importante
riuscire quanto lo è stato tentare con tutte le nostre forze.
Voto: 8
PROLOGO
Inginocchiato al riparo del
sottobosco, l'uomo stava scrutando con i suoi occhi scuri i massi che si
allargavano più avanti e gli alberi al di là di essi; vestita di una casacca
di pelle di daino frangiata e di stivali e calzoni di cuoio, la
sua alta figura era virtualmente invisibile nell'ombra degli alberi.
La traccia, nitida sotto il sole che brillava alto nel sereno cielo estivo, non
poteva risalire a più di tre ore prima perchè anche se gli insetti avevano
leggermente alterato le impronte degli zoccoli nel passarvi sopra strisciando i
contorni erano ancora ben definiti.
Quaranta cavalieri, carichi di bottino...
Shadak indietreggiò nel sottobosco, dove era legata la sua cavalcatura,e indugiò
per un momento ad accarezzare il lungo collo dell'animale prima di prendere la
cintura posata sulla parte posteriore della sella; affibbiatasela intorno alla
vita estrasse le due corte spade che pendevano da essa, fatte del miglior
acciaio vagriano e affilate su entrambi i lati. Dopo un momento di riflessione
ripose le lame nel fodero e si protese a sfilare dal pomo della sella l'arco e
la faretra di frecce che vi erano appesi. L'arco era di corno vagriano, un'arma
da caccia capace di scagliare con letale precisione frecce lunghe mezzo metro a
sessanta passi di
distanza; quanto alla faretra di pelle di daino, Shadak l'aveva fabbrica di
persona e conteneva venti frecce con le piume di penne d'oca tinte di rosso e di
giallo e con la punta di fèrro, priva di uncini e facile da recuperare dal
corpo delle vittime. In fretta tese l'arco e incoccò una freccia, poi si mise
in spalla la faretra e si avviò con cautela verso la pista.
Avevano lasciato una retroguardia? Era improbabile, perchè non c'erano soldati
drenai nel raggio di un'ottantina di chilometri.
Shadak era però un uomo cauto e conosceva Collan, per cui si sentì assalire
dalla tensione nell'immaginare il suo volto sorridente e crudele, i suoi occhi
beffardi.
- Niente ira - si autoammonì. Però era difficile, amaramente difficile, anche
se ricordò a se stesso che gli uomini in preda all'ira commettevano errori e
che il cacciatore doveva essere freddo come il ferro.
In silenzio continuò ad avanzare. Più avanti, sulla sua sinistra, un masso
torreggiante sporgeva dal terreno a circa una ventina di passi di distanza,
mentre sulla destra c'era un agglomerato di rocce più piccole, alte poco più
di un metro. Tratto un profondo respiro, Sbadak si alzò in piedi e lasciò il
proprio nascondiglio. Un uomo entrò nel suo campo visivo sbucando da dietro il
masso più grosso e subito lui si lasciò cadere su un ginocchio, con il
risultato che la freccia dell'assalitore trapassò soltanto l'aria sopra la sua
testa. L'arciere cercò di tornare con un balzo al riparo del masso ma nel
momento stesso in cui si abbassava Shadak aveva già lasciato partire a sua
volta un dardo, che si andò a piantare nella gola dell'uomo, fuoriuscendo dalla
parte posteriore del collo.
Un altro assalitore si lancio in avanti, questa volta da destra. Non avendo il
tempo di incoccare una seconda freccia, Shadak vibrò un colpo con l'arco
calandolo come un randello di traverso sulla faccia dell'avversario. Questi
incespicò e Shadak ne approfittò per lasciar cadere l'arco ed estrarre le due
corte spade, trapassando con un ampio fendente il collo dell'uomo. Altri due
guerrieri entrarono correndo nel suo campo visivo e lui balzò loro incontro;
entrambi avevano indosso una corazza di ferro, avevano il collo e la testa
protetti da cotta di maglia e impugnavano una sciabola.
- Non morirai facilmente, bastardo! - gridò il primo, un uomo alto dalle spalle
ampie, poi socchiuse gli occhi nel riconoscere lo spadaccino che aveva davanti e
nel suo grido la paura venne a sostituire la bramosia della battaglia... ma
ormai era troppo vicino a Shadak per potersi ritire e tentò lo stesso un rozzo
affondo con la sciabola.
Shadak parò con facilità e al tempo stesso la sua seconda spada penetrò nella
bocca dell'assalitore, fuoriuscendo attraverso le ossa del collo. Il guerriero
si accasciò al suolo morto e il suo compagno cominciò a indietreggiare.
- Non sapevamo che si trattava di te, lo giuro! - implorò, con e mani che
tremavano.
- Adesso lo sapete - ribattè Shadak, in tono sommesso Senza dire una parola
l'uomo si volse e spiccò la corsa verso gli alberi mentre Shadak riponeva le
spade nel fodero e andava a recuperare l'arco abbandonato a terra: incoccata una
freccia trasse indietro la corda e il dardo saettò attraverso l'aria, andando a
trapassare la coscia dell'uomo in corsa che crollò al suolo con un urlo. Quando
Shadak raggiunse il punto in cui giaceva, il ferito rotolò sulla schiena e
lasciò cadere la spada.
- Per pietà, non mi uccidere - supplicò.
- Voi non avete avuto pietà a Corialis - replicò Shadak, - ma se mi dirai dove
è diretto Collan ti lascero in vita.
In lontananza un lupo lanciò il suo solitario ululato, a cui ne rispose un
altro e un altro ancora.
- C'è un villaggio... trenta chilometri a sudest di qui - disse l'uomo, con lo
sguardo fisso sulla corta spada che Shadak aveva di nuovo in pugno. - Lo abbiamo
esplorato e abbiamo visto che ci sono giovani donne in abbondanza.
Collan e Harib Ka hanno intenzione di saccheggiarlo per procurarsi delle schiave
da portare a Mashrapur.
- Ti credo - annuì Shadak, dopo un momento.
- Mi lascerai vivere, vero? Lo hai promesso - gemette il ferito.
- Mantengo sempre le mie promesse - precisò Shadak, disgustato dalla debolezza
di quell'uomo.
Abbassandosi, gli estrasse con un secco strattone la freccia dalla gamba; un
fiotto di sangue scaturì dalla lacerazione e il guerriero ferito gemette mentre
Shadak puliva la freccia sul suo mantello prima di raddrizzarsi e di dirigersi
verso il primo nemico che aveva abbattuto. Inginocchiatosi accanto al corpo
recuperò l'altra freccia e infine raggiunse a grandi passi il punto in cui i
razziatori avevano impastoiato i loro cavalli. Montato in sella al primo, lo
condusse insieme agli altri verso il tratto di sottobosco a valle della pista
dove aveva lasciato il proprio castrato, avviandosi quindi lungo il sentiero con
tutti gli animali.
- Che ne sarà di me? - gridò il ferito.
- Cerca di fare del tuo meglio per tenere lontani i lupi -
consigliò Shadak, girandosi sulla sella. - Entro il tramonto avranno già
avvertito l'odore del tuo sangue.
- Lasciami un cavallo! Nel nome della Misericordia!
- Non sono un uomo misericordioso - ribattè Shadak.
E si allontanò verso sudest e le lontane montagne.
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