Titolo originale: Knights of dark renown

QUARTA DI COPERTINA

Quella dei Cavalieri dei Gabala è la leggenda più conosciuta nella foresta al di là dell’Oceano. Nove era il loro numero, come nove sono i Ducati sulla cui sicurezza e pace hanno vegliato per anni e anni. Fino a quando non scomparvero al di là di una magica porta che metteva in collegamento fra loro i vari universi. Guidati da Samildanach, il loro capo, i cavalieri sparirono per sempre da questo mondo. Solo uno di loro, Manannan, non trovò il coraggio di seguirli e tuttora calca la terra dei Gabala, perseguitato dal rimorso e dalla sua deprecabile fama. Perché per la gente, ormai, è il Cavaliere Codardo. Eppure solo lui può salvare la sua patria ora che le nubi di tempesta di una terribile guerra si stanno addensando e che la più insidiosa magia nera minaccia l'integrità e la sopravvivenza stessa dei Ducati. Perché c’è una sola speranza di sconfiggere le forze del male: penetrare nell'Altro Mondo e convincere gli otto cavalieri scomparsi a fare ritorno, per difendere ancora una volta i Gabala. E solo un uomo al mondo può riuscire in questa impresa disperata, quella che lo ha sempre precipitato nel terrore: Manannan, il Cavaliere Codardo.Tutto l’incanto e la magia suggestiva della prosa di David Gemmell, il creatore del Ciclo dei Sipstrassi e della Saga dei Drenai, si dispiegano prepotentemente in questo incredibile romanzo che vi lascerà letteralmente senza fiato.


COMMENTO

Ho finito già da qualche tempo di rileggere questo libro, che devo dire ha confermato l'impressione che ne avevo tratto la prima volta: un libro superbo, uno dei migliori scritti da Gemmell al di fuori del ciclo dei Drenai. Forse l'ho apprezzato perchè ripropone molte chiavi proprie degli stessi Drenai, soprattutto dal punto di vista socio-politico: ci troviamo infatti in un impero che ha già vissuto i propri giorni di splendore, ma che ormai giace nella polvere; e anche in questo libro vengono utilizzati i raq d'oro per le transazioni commerciali, si fanno gli scongiuri col segno del Corno Protettivo e si prega la fonte nei momenti di sconforto. I Nomadi esistono anche in questo mondo, ma si sono ormai integrati e sono in maggioranza ricchi mercanti. Tuttavia, come per i Drenai, il loro campo militare si chiamava Khan, e usava la strategia del terrore di Ulrich. Anche in questo universo non esiste la scrittura e i cantori di saghe sono i depositari di avvenimenti storici che non esitano ad abbellire, sorvolando sui corvi che si posano sui cadaveri degli sconfitti dopo ogni 'gloriosa' battaglia. A differenza dei Drenai, invece, si usa una datazione precisa, simile a quella che utilizziamo noi occidentali, contando gli anni da un'avvenimento preciso: la storia si svolge nel 1196.

I temi del libro sono i soliti di DG, esplorati sempre in modo nuovo. Come in Morningstar, Llaw Gyffes è un eroe involontario, sul cui conto le storie si ingigantiscono senza il suo consenso; Nuada è l'ennesimo affascinante cantore con doti maggiori di quante se ne scorgano al primo sguardo, sulla scia di Sieben e di Duvodas.

 Il 'bene' non è un concetto assoluto e dimostrabile a priori, ma piuttosto una qualità dell'anima, una luce presente in ognuno e che ognuno può decidere di seguire, anche se non vi è naturalmente portato. La redenzione è sempre possibile: non esistono uomini 'buoni' o 'cattivi', ma solo azioni rette o malvagie, cui le persone scelgono di soggiacere o sfuggire. In particolar modo, questo è il libro dell'UBRIS punita, della tracotanza, della fustigazione delle certezze: il messaggio è chiaro, mai abbassare la guardia, mai farsi accecare dalla propria grandezza o dai propri sogni di grandezza, giocare a dadi con la sorte, nascondersi dietro uno schermo di falsa generosità... perchè tutto ciò non farà altro che scompaginare i vostri piani e portarvi lontano dalla meta.

Detto per inciso: Samildanach è una figura eccezionale, che mi sarebbe piaciuto vedere approfondita da Gemmell. Mi piacerebbe che, per una volta, raccontasse non l'ascesa, ma la caduta morale di un eroe... anche se sarebbe emotivamente traumatico.

Voto: 8


PROLOGO

Aveva nove anni e il suo animo era pervaso in pari misura di dolore e di gioia mentre volava sotto le stelle e su una terra ammantata di luce lunare. Si trattava di un sogno... perchè perfino i ragazzini di nove anni sanno che le persone non possono volare davvero... e tuttavia in quel momento e indipendentemente dal fatto che si trattasse di un sogno, lui era solo e libero.
Non c'era nessuno a castigarlo per aver rubato un pasticcino al miele, nessuno che lo percuotesse per aver trascurato di vedere una ditata sull'argento che aveva lucidato per ore interminabili.
Da qualche parte... anche se non avrebbe saputo dire dove... sua madre giaceva fredda nella morte e il dolore che questo gli procurava era come un coltello rovente che gli trapassasse l'anima. 
Come è proprio dei bambini, però, allontanò quella sofferenza dalla mente e sollevò lo sguardo sulle stelle luminose come diamanti: sembravano cosi vicine che cercò di librarsi verso di esse, 
ma le stelle continuarono a restare fuori della sua portata, fredde e scintillanti, e alla fine lui rallentò il proprio volo, rivolgendo lo sguardo verso il basso.
Adesso la terra i Gabala appariva così piccola, e il mondo cosi grande! La Foresta dell'Oceano si stendeva sotto di lui come il pelo di un lupo e le montagne apparivano semplici rughe nella pelle di un vecchio. Scese più in basso, cadendo a spirale verso il terreno, e urlò di paura quando le montagne gli si levarono incontro rapide, aguzze e minacciose. Sul mare oltre il porto di Pertia poteva vedere le grandi triremi con le loro vele quadrate e con i remi alzati, e sulla terraferma spiccavano le luci
dei villaggi e delle città... i quattro grossi bracieri che ardevano sulle mura della fortezza di Matcha apparivano simili a candele tremolanti disposte su una torta. Ignorando le luci, volò lontano da esse e verso le remote montagne.
Desiderava di non dover più tornare a casa, di poter fluttuare in quel modo per sempre, al sicuro dalle molteplici torture della schiavitù. Finchè‚ sua madre era stata viva c'era stato qualcuno a cui importava di lui non come di uno schiavo ma in quanto Lug, suo figlio, carne della sua carne. Le sue braccia erano sempre state aperte per accoglierlo. Angoscia e dolore tornarono ad aggredirlo. Quando si era ammalata, gli avevano detto che sua madre aveva bisogno di riposo, ma non era servito e allora avevano mandato a chiamare il Guaritore Gwydion, che però era assente perchè‚ si era dovuto recare nella lontana città di Furborg. Lug aveva visto la carne dissolversi sul volto materno, aveva visto sua madre mutarsi da una donna viva e amorevole in una figura scheletrica i cui occhi lo guardavano senza riconoscerlo e le cui braccia non avevano più la forza di aprirsi per consolarlo. E poi se n'era andata... mentre lui dormiva. Lug le aveva dato il bacio della buona notte, poi era stato accompagnato nella stanza che adesso divideva con altri cinque ragazzi; l'indomani
mattina aveva finito in fretta i lavori assegnatigli ed era corso nella camera della madre soltanto per trovarla coperta da un lenzuolo di lino bianco, che aveva tirato indietro per vederla in volto: gli occhi di sua madre erano chiusi, la bocca aperta, e non si scorgeva in lei la minima traccia di respiro o di movimento.
L'anziano schiavo Patricaeus lo aveva trovato lì e lo aveva portato nella propria stanza. Per quanto consapevole della presenza del vecchio, Lug non era riuscito a muoversi perchè‚ era paralizzato dallo shock... si era reso conto che Patricaeus lo stava sistemando nel proprio letto, con le coperte calde rimboccate intorno alle spalle, ma non era stato in grado di fare nulla, neppure di chiudere gli occhi. Il vecchio gli aveva accarezzato il volto e gli aveva abbassato con gentilezza le palpebre.
Lug aveva dormito a lungo... poi qualcosa si era spezzato dentro di lui e il suo spirito si era innalzato libero nel1'aria notturna.
Sebbene non avesse freddo fu attraversato da un brivido, e desiderò di poter riportare indietro sua madre. Proprio in quel momento la sua attenzione fu attratta da un movimento sul terreno sottostante: un gruppo di uomini a cavallo, nove in tutto, che avanzano nella notte su alti stalloni bianchi. Planando verso di loro, Lug vide che erano Cavalieri vestiti in armatura bianca, con il manto candido che ricadeva drappeggiato sulla sella alle loro spalle, e li osservò allinearsi su un prato, dove una nebbia biancastra si agitava intorno agli zoccoli degli animali come un mare spettrale. Su una collina poco distante scorse poi un uomo che aveva il volto in parte nascosto dal cappuccio scuro
di un manto di velluto e che stava cantilenando qualcosa in un linguaggio a lui ignoto. I Cavalieri rimasero fermi in sella, in silenzio, mentre la nebbia s'infittiva intorno a loro.
Lug si avvicinò maggiormente, evitando l'uomo che cantilenava e andando a posarsi sul fianco di un'al Ira collina, accanto ad alcuni alberi: nel momento in cui sfiorò il terreno cominciò però a sprofondare in esso e sullo sprone del panico tornò a librarsi in aria, desiderando di essere solido... il desiderio divenne realtà e lui potè‚ sedersi sull'erba del pendio collinare su cui la nebbia rifiutava d'inerpicarsi, disponendosi ad osservare i Cavalieri.
La loro armatura scintillava sotto la luce della luna: elmo rotondo dall'alto pennacchio nero, gorgiera di piastre argentee che si allargava a proteggere le spalle, corazza decorata da incisioni, protezioni per le cosce e schinieri... ma niente scudo.
Nove Cavalieri su nove stalloni bianchi...
D'un tratto Lug ricordò le storie che Patricaeus era solito raccontargli nella Sala degli Schiavi durante la Festa del Solstizio...
e seppe chi erano coloro che stava spiando.
Erano i leggendari Cavalieri di Gabala.
Lug non conosceva i loro nomi... sapeva soltanto che il loro Signore era Samildanach, il più grande spadaccino del regno. 
Scrutando il gruppo il ragazzo lo individuò al centro, più alto degli altri e con l'elmo lucente adorno di due ali di corvo, seduto in sella in silenzio... in attesa.
Ma in attesa di cosa?
Lug spostò lo sguardo sull'uomo che continuava a cantilenare, e in quel momento i cavalli presero a nitrire di terrore. Mentre i Cavalieri si sforzavano di calmarli, Lug rimase a bocca aperta nel vedere che le stelle stavano scomparendo dal cielo a mano a mano che una grande porta scura si formava davanti ai nove uomini; poi una sottile striscia di un grigio argenteo apparve nel rettangolo di oscurità e un vento violento ululò attraverso l'apertura. 
Subito la nebbia si levò come un'onda enorme ad avviluppare i Cavalieri, e urla ultraterrene presero ad echeggiare da oltre la buia Porta.
- Seguite la Spada! - gridò una voce, e Lug vide la lama
di Samildanach scintillare come una lanterna, sentendo al tempo stesso il rombante battere degli zoccoli quando i Cavalieri spronarono le loro cavalcature.
Poi scese il silenzio e l'oscurità svanì, lasciando le stelle nuovamente libere di brillare.
Lug guardò in direzione della cima dell'altra collina, ma anche l'uomo che si trovava lassù era scomparso.
Intanto la nebbia si era raccolta e stava fluendo su per il pendio collinare. Lug si alzò in piedi e cercò di volare ma non ci riuscì: adesso il suo corpo era solido e radicato alla terra. Il vento freddo fo sfiorò, strappandogli un brivido. Ora quel sogno non era più confortante e lui provava un bisogno disperato di tornare a casa. Ma dov'era la sua casa? Quanto si era spinto lontano nel suo volo?
Dalla cortina di foschia giunse un rumore... una sorta di fruscio strisciante... che lo indusse a girarsi di scatto, cercando di scrutare il terreno circostante: la nebbia grigia si stava però allargando dovunque. Lug spiccò la corsa per risa1ire la collina, con il cuore che gli martellava in petto, ma scivolò e cadde sull'erba fangosa, rotolando sul dorso. Un'ombra scura si erse allora su di lui e quando artigli affilati scesero verso il suo corpo, lacerandogli la pelle del petto, il ragazzo rotolò disperatamente per allontanarsi.
- No! - urlò, vedendo le fauci grondanti di bava della bestia che si abbassavano verso la sua faccia, e sollevò il braccio di scatto.
Un abbagliante raggio di luce dorata gli scaturì dalle dita e andò ad avviluppare la creatura, che scomparve con un urlo di agonia mentre Lug si lasciava ricadere sull'erba. Poi un'altra ombra cadde su di lui, inducendolo a raggomitolarsi sul terreno.
- Non aver paura - mormorò una voce.
Sollevando lo sguardo, Lug vide la sagoma di un uomo che si stagliava contro lo sfondo della luce lunare, che colpiva lo sconosciuto alle spalle rendendo impossibile discernere i suoi lineamenti.
- Ho paura - disse. - Voglio andare a casa.
- E vi tornerai, ragazzo mio. E allora dimenticherai questo... sogno.
- Cos'era quella bestia?
- E' giunta attraverso la Porta, ma adesso è morta, ragazzo, tu l'hai distrutta come sapevo che avresti fatto, perchè il Potere è in te. Arrivederci. Ci incontreremo ancora.
- Chi sei?
- Io sono il Dagda. Ora dormi... e torna a casa.
Lug chiuse gli occhi e scivolò nell'incoscienza. Quando li riaprì era disteso nel letto di Patricaeus, con il vecchio che sonnecchiava accanto a lui su una sedia. Il ragazzo si girò su un fianco, e lo scricchiolio del letto ebbe l'effetto di svegliare il vecchio.
- Come ti senti, Lug? 
- Cosa ci faccio qui, signore? Dov'è mia madre?
- E' morta, ragazzo - rispose Patricaeus, in tono triste. 
L'abbiamo seppellita questo pomeriggio.
In quel momento Lug si sollevò a sedere e la coperta scivolò giù dal suo petto.
- Nel nome degli dei... cos'hai fatto? - sussurrò il vecchio, e nell'abbassare lo sguardo Lug vide che il suo petto era segnato da quattro lacerazioni poco profonde che avevano sanguinato abbondantemente, inzuppando di sangue il lenzuolo sottostante la coperta. Patricaeus 
tirò indietro le coltri, e le gambe del ragazza risultarono essere coperte di fango secco.
- Lug, mi vuoi spiegare dove sei andato mentre io dormivo?
- Non lo so - pianse Lug. - Non so nulla. Voglio mia madre. Per favore.
- Mi dispiace, Lug, davvero - sussurrò il vecchio, sedendo accanto al ragazzo in lacrime 
e stringendolo fra le braccia.


GLOSSARIO

 
Foresta dell'Oceano Grande foresta all'interno delle terre dei Gabala e covo dei rivoltosi
Pertia Principale porto commerciale dei Gabala
Lug (poi Lamfhada - Lungobraccio) Schiavo fuggiasco, allievo di Ollathair
Gwydion Famoso guaritore
Fulborg Capitale di uno dei nove Ducati
Kuan (Grandecuore) Stallone di Manannan
Manannan Il Cavaliere Codardo, uno dei nove Cavalieri di Gabala
Ollathair o Ruad Ro-fhessa Ultimo armaiolo dei Cavalieri di Gabala
Fomoria e Asripur Nazioni un tempo soggiogate dai Gabala
Bianco, Azzurro, Giallo, Rosso, Verde, Nero, Viola Colori della magia
Llaw Gyffes (Fortemano) Ex fabbro capo dei rivoltosi della foresta
Matcha Capitale di uno dei nove Ducati
Ahak, Signore del Regno, Capitano di Diecimila Lance Re dei Gabala
Cithaeron Località straniera, oltre il Mare Interno
Groundsel Brigante della Foresta dell'Oceano
Dianu e Sheera Sorelle di una casata nobile, imparentate con i Nomadi
Lord Errin di Laene Nobile e amico del duca di Matcha
Ubadai Nomade servitore di Errin
Okessa Veggente di corte a Matcha
Nuada o Mano d'Argento Cantore di saghe e suonatore d'arpa
Gar-Aden Campo di concentramento dei Nomadi
Elodan Ex campione del re, crudelmente mutilato dopo un duello
Morrigan Amante platonica di Samildanach
Boran Servitore di Errin
Samildanach, Edrin, Pateus, Manannan, Bersis, Cantaray, Joanin, Keristae e Bodrach Cavalieri di Gabala
Arian Ragazza di un accampamento dei ribelli
Stella del Guerriero Stella Polare (?)
Lanciere Costellazione siderale
Paulus Poeta e Magistrato dei Virae
Virae Popolo residente oltre la porta tra i mondi
Ambria Bevanda distillata dai Virae
Roem Duca di Matcha
Dagda Saggio custode dei colori e mago di grande potere
Kar-schen Generale delle truppe reali

NOTA: L'armatura dei cavalieri di Gabala forgiata da Ollathair è di metallo empatico: essa riflette, cioè, la purezza della persona che la indossa, deteriorandosi se le sue motivazioni si rivelano egoiste.