Titolo originale: Winter warriors
Glossario

QUARTA DI COPERTINA

Eoni fa i demoni avevano un corpo e seminavano il terrore tra gli uomini.
Tre re e un mago, chiamato Emsharas, unirono le loro forze per combatterli
e riuscirono a confinarli, grazie al Grande Incantesimo, in un'altra dimensione. Ora Anhtart, il Signore dei Demoni, è tornato tra gli umani
sotto mentite spoglie. La sua intenzione è quella di far tornare il suo popolo sulla Terra, e per fare ciò deve sacrificare i tre re. Il demone riesce a uccidere l'imperatore di Ventria,e Skanda, il re dei Drenai. Non gli rimane che portare sull'altare sacrificale il figlio di Skanda che presto nascerà dalla moglie, la regina Axiana. Ma tre vecchi militari Drenai in congedo si opporranno ai suoi piani e decideranno di difendere la sovrana. Sono lo spadaccino e giocoliere di colore Nogusta, il malinconico e raffinato arciere di nome Kebra e il rude e leale lottatore Bison. Un nuovo romanzo del ciclo dei Drenai, che può anche essere letto da solo.


COMMENTO

Questa non è esattamente quella che io considero l'opera meglio riuscita di David: dipenderà dalla traduzione non sempre precisa (in alcuni casi vengono tradotti anche i titoli militari tipicamente drenai! Per non parlare degli errori di stampa. Bisogna notare che essi sono comunque in diminuzione), dalla collegialità della figura protagonista, che mi impedisce di identificare il personaggio-guida del libro, o forse solo dal fatto che i tre eroi si assomigliano in definitiva tra loro. Ora, non mi fraintendete: per me un'opera di questo livello scritta da David Gemmell è criticabile (fino a un certo punto!), ma esclusivamente perchè l'autore mi ha abituato ad attendermi sempre il meglio. In realtà considero questo un buon libro, a livello assoluto, e l'ho letto, come al solito, in tre o quattro giorni.

Devo però rimarcare due cose che mi hanno lasciato perplesso: in primo luogo il lungo periodo cronologico lasciato scoperto tra la fine di Quest for the lost heroes e l'inizio di questo libro, in cui i Drenai riescono a riconquistare la libertà e ricostituire un impero, tanto da attaccare nuovamente Ventria e conquistarla in modo abbastanza permanente; del resto sono convinto che David ci farà al più presto sapere come questi eventi siano maturati. In secondo luogo, ho avuto l'impressione di uno spirito di rivalsa, in qualche modo aleggiante in questo volume e in Quest for the lost heroes: gli eroi in questione sono persone dell'età dell'autore, vecchi se considerati dal punto di vista bellico, ma in realtà ricchi d'esperienza e di buon senso. Non discuto che la verità sia effettivamente questa, solo mi sembra che Gemmell tenda a sottolineare in certi punti eccessivamente questi fatti, attribuendo ai giovani solo avventatezza ed esuberanza fisica, in costante contrapposizione ai doni della maturità.

 Voto: 7


PROLOGO

Quella fredda e dura notte di tardo inverno aveva una bellezza particolare e agghiacciante. Le stelle brillavano come diamanti contro il cielo limpido che sovrastava le montagne. La neve, che ricopriva i pini e i cedri, dominava un paesaggio monocromo e immoto. Il silenzio era turbato solo dall'occasionale e improvviso scricchiolio di un ramo sovraccarico, o dal fruscio del gelido vento del nord che portava con sé 1'eco di un blocco di neve caduto a terra.
Un cavallo emerse dal limitare della foresta facendosi lentamente strada nello spesso manto bianco che copriva il terreno. Il cavaliere, incappucciato e curvo sulla sella, con la testa piegala contro il petto per riparasi dal vento, usava le mani guantate per stringere intorno al collo il mantello spruzzato di neve. Appena si allontanò dagli alberi il vento sembrò prenderlo di mira, accanendosi intorno alla sua figura. Per niente preoccupato dall'intensificarsi delle raffiche, l'uomo spronò la caval-catura. Un gufo bianco si staccò dalla cima di un albero e la superò planando sulla radura. Il piccolo topo, che stava correndo sulla neve, scartò immediatamente appena avvertì il tocco degli artigli sulla schie-na. La repentina deviazione servi quasi a salvarlo.
Quasi.
In quella gelida landa non esistevano compromessi, i contrasti erano netti, tutto era bianco o nero, niente sfumature, niente grigio. Non c'erano scuse, non esisteva una seconda possibilità: successo o fallimento, vita o morte. In un luogo simile, 'quasi' equivaleva a una sentenza capitale.
II cavaliere alzò gli occhi al cielo nel momento stesso in cui il rapace si allontanava con la sua preda. In quel mondo dominato dal bianco, i brillanti occhi blu, incastonati in un volto dalla pelle scura come l'ebano, brillarono di riflessi argentati. L'uomo di colore toccò i fianchi del cavallo con i talloni, dirigendolo verso gli alberi sul lato opposto della radura. "Siamo stanchi entrambi," sussurrò al castrato, accarezzandogli il lungo collo. "Presto ci fermeremo."
Nogusta fissò il cielo. Era sempre limpido. Stanotte non nevicherà, penso. Quella era una condizione che tornava a suo vantaggio. La neve fresca non avrebbe coperto le tracce che stava seguendo. quindi avrebbe potuto riposare e riprendere le ricerche all'alba. La luce della luna filtro attraverso i rami e il cavaliere iniziò a cercare un luogo per accamparsi. Malgrado lo spesso mantello grigio con il cappuccio, la maglia e i pantaloni di lana nera, cominciava a sentire il freddo. Aveva le orecchie gelate. Normalmente avrebbe avvolto la sciarpa intorno al viso, ma in quel caso non si sarebbe dimostrata un'azione saggia. Doveva essere molto cauto, i tre uomini a cui stava dando la caccia erano dei disperati che avevano già ucciso una volta e che non avrebbero esitato a rifarlo, quindi doveva essere in grado di scorgere il minimo movimento o di sentire il più flebile dei rumori.
Assicurò le redini al pomello della sella e sfregò le mani contro le orecchie. Il dolore fu intenso. Non aver paura del freddo, si rammentò. Se lo senti vuol dire che sei vivo. Se avesse cominciato ad avvertire una sensazione di torpore accompagnata da un'onda di calore avrebbe dovuto cominciare a preoccuparsi: quelli erano i sintomi dell'assideramento. Il cavallo arrancava seguendo le tracce come un segugio. Nogusta tirò le redini e la bestia si fermò. Con una temperatura simile anche gli assassini sarebbero stati costretti ad accamparsi e ad allestire un fuoco, altrimenti sarebbero morti. Annusò l'aria, ma non avverti l'odore di legna bruciata.
Nogusta non era in grado di affrontarli in quel momento, quindi decise di abbandonare la pista e di addentrarsi nel fitto della foresta in cerca di una parete di roccia o di un avvallamento del terreno in cui accendere un fuoco e riposarsi.
Il cavallo incespicò, ma riuscì a riguadagnare prontamente l'equilibrio. Nogusta rischiò di cadere e, proprio mentre si raddrizzava sulla sella, scorse tra gli alberi una capanna. Se non fosse stato per quel piccolo contrattempo l'avrebbe superata senza notarla. L'uomo di colore smontò e guidò l'esausto castrato fino alla costruzione abbandonata. La bicocca era lunga e stretta, sovrastata da un tetto di zolle d'erba, il cui spiovente, che scendeva sul lato opposto all'entrata, quasi toccava terra. Nogusta portò il cavallo sotto la falda, lo strigliò, tolse le bisacce, fece passare le maniglie della sacca con il grano dietro le orecchie, quindi gli mise una coperta sull'ampia schiena.
Lasciò che la bestia si sfamasse con calma e andò verso il lato opposto della costruzione. La porta, sostenuta solo da un cardine di cuoio marcio, era semiaperta e per entrare dovette superare il cumulo di neve che si era ammassato sull'uscio. Malgrado il buio che avvolgeva la stanza, Nogusta riuscì a distinguere le pietre grigie del camino in cui, rispettando l'usanza comune a tutti gli abitanti delle terre selvagge, la legna era già stata sistemata per il fuoco. Spazzò via con cautela la neve caduta dalla canna fumaria sopra i rami e li risistemò. Da un sacchetto di pelle tirò fuori l'esca, l'acciarino e la pietra focaia. Ebbe un attimo di esitazione. Stava tremando, aveva un disperato bisogno di scaldarsi, e se il fuoco non avesse presa immediatamente avrebbe impiegato ore a cercare d'accenderlo sfregando il coltello contro la pietra focaia. Colpì l'acciarino e l'esca prese fuoco, l'appoggio sotto i rami più piccoli e sussurrò una preghiera affinchè la fortuna non lo abbandonasse. Le fiamme tremarono, quindi avvolsero i ceppi più grossi. Nogusta si sedette con un sospiro di sollievo. A mano a mano che la luce aumentava di intensità cominciò a esaminare l'interno della capanna. L'uomo che l'aveva eretta doveva essere stato un individuo molto meticoloso, poichè l'aveva costruita decisamente bene. Le giunture tra le pareti, come anche il sedile di pietra, le quattro sedie e lo stretto letto erano ben rifinite. Sulla parete settentrionale erano stati affissi degli scaffali che in quel momento erano vuoti. C'era solo una finestra e le imposte erano chiuse perfettamente. Di fianco al camino c'era una pila di legna coperta da una vecchia tela di ragno.
Gli scaffali vuoti e la mancanza di effetti personali erano un chiaro segno che il precedente proprietario di quell'abitazione aveva deciso di andarsene. Il modo in cui era stata costruita faceva capire che doveva essere stato un individuo preciso e paziente, e quei tipi di persone erano molto difficili da scoraggiare. Nogusta continuo l'esame delle pareti; in quella casa mancava il tocco femminile, quell'uomo aveva vissuto da solo. Probabilmente un cacciatore di pelli. E quando era andato via - forse perchè non c'era più selvaggina sulle montagne - aveva preparato il fuoco per il visitatore successivo. Un uomo previdente. Per Nogusta era come se fosse stato accolto dal padrone in persona e quella sensazione gli piacque.
Uscì dalla capanna e tornò dal cavallo, gli tolse il sacco del cibo ormai vuoto e gli accarezzò il collo. Non era necessario impastoiarlo, non avrebbe mai abbandonato il riparo in una notte cori fredda. Inoltre, in quel punto, la parete esterna del camino sporgeva all'infuori e presto avrebbe cominciato a scaldarsi. "Qua sarai al sicuro, amico mio," gli disse.
Raccolse le bisacce e tornò nella capanna. Risistemò la porta contro lo stipite sbrecciato, quindi prese una sedia e si accomodò davanti al fuoco. Le fredde pietre del camino stavano risucchiando tutto il calore. "Sii paziente," si esortò. Dopo alcuni minuti vide un pidocchio del legno sbucare fuori da un ceppo in fiamme. Nogusta estrasse la spada e appoggio la punta contro il pezzo di legno offrendo cosi all' insetto una via di fuga. Il pidocchio si avvicinò alla lama, quindi si allontanò e cadde tra le fiamme. "Pazzo," disse. "La lama rappresentava la tua unica salvezza."
Il fuoco cominciò a bruciare intensamente, Nogusta si alzò, si tolse il mantello e la maglia, esponendo il petto muscoloso e coperto di cicatrici al calore delle fiamme. Si risedette e inclinandosi in avanti allungo le mani verso il camino, dopo qualche attimo cominciò a giocherellare pigramente con il talismano che portava appeso al collo. Era un manufatto molto antico: una mezza luna d'argento stretta in una affusolata mano d'oro. L'oro era pesante e scuro. L'argento non si era mai annerito. Era sempre rimasto come la luna che rappresentava: puro e splendente. Ricordò le parole di suo padre: "Questo amuleto magico fu portato da un uomo molto più valoroso di tutti i re, Nogusta. Era un grande. Era un nostro antenato e quando lo indossi devi essere sicuro che i tuoi intenti siano nobili. Se essi rimarranno tali allora avrai il dono del Terzo Occhio."
"E' stato grazie a questo amuleto che hai visto i ladri di bestiame sui pascoli settentrionali?"
"Si."
"Allora perchè non lo tieni tu?"
"Egli ti ha scelto, Nogusta. Tu hai vista la magia. E' sempre il talismano a scegliere. Sono secoli che si comporta in questo modo. E - se la Fonte lo vorrà - sceglierà uno dei tuoi figli."
Se la Fonte lo vorrà...
Ma la Fonte non aveva voluto.
Nogusta chiuse la mano intorno al talismano nella speranza di avere una visione, ma non successe nulla.
Prese un piccolo pacco dalle bisacce e lo aprì. Al suo interno c'erano diversi pezzi di carne secca salata e cominciò a mangiare lentamente.
Aggiunse due ceppi al fuoco, si avvicinò al letto e scosse le coperte fini per liberarle dalla polvere. In quel punto la stanza era più fredda e Nogusta cominciò a rabbrividire. Rise. "Stai invecchiando," si prese in giro. "Un tempo non avresti patito cosi il freddo."
Tornò vicino al camino, indossò la maglia e in quel momento nella sua mente si materializzò l'immagine di un volta angoloso attraversato da un allegro sorriso. Era Orendo, l'esploratore. Avevano combattuto insieme per circa vent'anni, prima al servizio del vecchio re, poi sotto il comando del figlio. A Nogusta, Orendo era sempre piaciuto. Quell'uomo era un veterano e quando gli veniva dato un ordine lo eseguiva alla lettera. Inoltre era di buon cuore. Alcune settimane prima aveva trovato un bambino disperso nella neve. Era quasi assiderato e lui la aveva portato al campo dove lo aveva coperto e vegliato, continuando a massaggiarlo per tutta la notte. Grazie a questo gesto il bambino era sopravvissuto.
Nogusta sospirò. Adesso, Orendo stava scappando insieme ad altri due soldati. I tre avevano ucciso un mercante. La figlia li aveva colti sul fatto e loro le avevano riservato la stesso destino toccato al padre, prima, però, l'avevano violentata. Ma la coltellata che avrebbe dovuto spaccarle il cuore non aveva raggiunto il bersaglio, la ragazza era sopravvissuta e al suo risveglio aveva fatto i nomi degli assalitori.
"Non devi portarli indietro," gli aveva ordinato il Lupo Bianco. "Non voglio processi pubblici. Servirebbero solo ad abbassare il morale delle truppe." Nogusta aveva fissato gli occhi chiari e freddi del vecchio generale.
"Si, mio generale."
"Vuoi portare Bison e Kebra con te?" aveva chiesto.
"No. Bison e Orendo sono amici. Lo farò da solo."
"Orendo non è anche un tuo amico?" aveva domandato Banelion avvicinandosi.
"Vuoi che ti porti le loro teste come prova che ho compiuto la missione?"
"No. La tua parola è sufficiente," aveva risposto Banelion. L'affermazione aveva riempito Nogusta d'orgoglio. Erano venticinque anni che si trovava sotto il comando di Banelion - praticamente per gran parte della sua vita da adulto. Il generale non era un uomo che elargiva lodi con facilità, ma i suoi soldati lo servivano con cieca lealtà.
Nogusta prese a fissare il fuoco. Il comportamento di Orendo la aveva stupito molto. Ma anche lui, come Bison, Kebra e perfino il Lupo Bianco in persona stavano per essere congedati.
Il re aveva ordinato che fosse fatto un censimento dei militari più anziani dell'esercito. Secondo le voci di corridoio quegli uomini, che avevano combattuto per suo padre, salvando il Drenai quando tutto era sembrato perduto, che avevano invaso Ventria, annichilendo le truppe dell'imperatore, stavano per essere pagati e messi in pensione. Orendo aveva creduto a quella diceria e aveva presa parte alla rapina. Tuttavia, Nogusta non riusciva a credere che il suo compagno d'arme avesse partecipato a uno stupro e tentato di uccidere la vittima. Ma le prove erano schiaccianti. La ragazza aveva detto che era stato lui a istigare i suoi compagni e a piantarle un coltello nel petto.
Nogusta continuava a fissare il fuoco assorto nelle sue riflessioni. Quel crimine lo aveva scosso più di tanto? Un uomo bravo a giudicare i suoi simili non avrebbe mai ritenuto Orendo capace di una simile nefandezza. Ma nel corso di tutti quegli anni passati tra il fuoco e il sangue di centinaia di scontri, tra le delusioni per l'infrangersi di un sogno o per la fine di una speranza, Nogusta aveva imparato di cosa erano capaci i cosiddetti uomini buoni. Sistemò il fuoco in modo che bruciasse più lentamente, spostò il letto vicino al camino, si tolse gli stivali e si sdraiò, avvolgendosi nelle coperte.
Fuori il vento continuava a urlare.
Si svegliò all'alba. La capanna era calda e il fuoco si era ormai ridotto a un cumulo di braci ardenti. Mise gli stivali, prese la borraccia e bevve un lungo sorso d'acqua, quindi indossò il mantello, raccolse le bisacce e andò dal cavallo. Come aveva previsto, le pietre esterne del camino erano calde e questo aveva impedito alla temperatura di abbassarsi troppo. "Come stai, ragazzo?" disse accarezzando il collo della bestia, che rispose spingendo il muso contro il petto del padrone. "Li prenderemo entro oggi, dopo ti riporterò nella tua stalla calda." Tornò nella capanna, tolse le braci dal camino e preparò una nuovo letto di rami per il prossimo visitatore, quindi sellò il cavallo e tornò a inoltrarsi nel bosco.