I METODI CLINICI.

Introduzione. Il metodo del colloquio clinico. Il metodo psicoanalitico.

 

 

 

 

Introduzione.

Il "metodo clinico" nasce come alternativa polemica contro la psicologia accademica, sperimentalista per definizione. Esso utilizza il rapporto interpersonale come strumento euristico e si pone come obiettivo lo studio del comportamento, inteso nella sua globalità e non solo in circoscritti settori.

Gli aspetti fondamentali dell’osservazione clinica sono 2:

- il metodo del colloquio clinico

- il metodo psicoanalitico

 

Il metodo del colloquio clinico.

Il colloquio clinico è una tecnica di osservazione e di studio del comportamento umano: gli scopi più generali, che gli sono attribuiti, sono quelli di "raccogliere informazioni" ("colloquio diagnostico") e di "motivare" ed "informare" ("colloquio terapeutico e di orientamento").

Le informazioni ricavabili dal colloquio clinico sono state schematizzate da Cook (1971) in 3 categorie:

1 CONTENUTO.

S'intendono comprese in tale denominazione le espressioni verbali (da un punto di vista strettamente linguistico, esse sono determinate da 2 fattori: la presenza di un codice comune e l’intenzione di comunicare attraverso quel codice) e le azioni del soggetto.

Partendo casomai dal problema che ha condotto il soggetto all’esame, e adattando al problema le caratteristiche del colloquio (approfondimenti, libertà di espressione…), si procede generalmente ad una vera e propria anamnesi biografica del soggetto stesso, che tenga conto di tutte le tappe dello sviluppo della sua personalità (composizione della famiglia d’origine e suo clima affettivo; eventi fondamentali dell’infanzia; salute fisica; stabilirsi delle prime relazioni extrafamiliari; esperienze in rapporto all’educazione scolastica; vita affettiva; relazioni sociali; vita professionale; utilizzazione del tempo libero; livello socio-economico raggiunto; rapporti in un eventuale nuovo ambito familiare).

2 CONTESTO (nel quale viene messo in atto il comportamento del soggetto: il colloquio clinico è esso stesso un contesto).

3 ESPRESSIONI NON VERBALI.

*In tale denominazione, si comprendono:

- in base ad elementi "dinamici":

*comportamento spaziale: vicinanza fisica, orientazione spaziale, postura

*comportamento motorio-gestuale: gesti delle mani e gesti del capo

*espressioni del volto

- in base ad elementi "statici": aspetto esteriore.

- vi possiamo far rientrare anche gli aspetti "paralinguistici" del comportamento verbale (Trager, 1958), che comprendono la qualità della voce e le vocalizzazioni.

[*Ekman e Fiesen (1969, 1972) hanno individuato, in linea generale, 5 categorie di segnali non verbali:

a "emblematici", ovvero emessi intenzionalmente e aventi un significato specifico (ad es., scuotere la mano in segno di saluto);

b "illustratori", ovvero realizzati nel corso della comunicazione verbale per illustrare ciò che si va dicendo;

c "indicatori dello stato emotivo" (ad es., scuotere un pugno in segno di rabbia);

d "regolatori", ovvero tendenti a regolare appunto la sincronizzazione degl’interventi nell’ambito di un dialogo;

e "di adattamento" alla situazione.

*Da quanto detto, si evince che la comunicazione non verbale ha una sua forte componente relazionale, metacomunicativa e simbolica.]

 

 

 

*La tecnica del colloquio clinico ha applicazioni molteplici (pur con varianti di rilievo) anche in altri settori non strettamente psicologici (giuridico, medico, giornalistico…). Inoltre, lo psicologo e lo psichiatra la utilizzano in occasioni diverse: nel campo medico-legale (per determinare, ad es., la "pericolosità sociale" dell’individuo incriminato), nel campo della selezione e dell’orientamento professionale (per valutare le attitudini specifiche dell’esaminato), nel campo più strettamente clinico (per il rilievo e lo studio delle anomalie comportamentali).

In ogni caso, l’obiettivo di base del colloquio clinico è quello di delineare la struttura della personalità del soggetto esaminato.

A tal fine, il materiale raccolto durante il colloquio (dati riguardanti la situazione attuale, dati biografici, atteggiamenti nei riguardi dell’esaminatore, comunicazione espressiva…) dovrà essere sottoposto ad un vaglio critico: dev'essere così valutata la verosimiglianza e la coerenza dei fatti; l’eventuale presenza di zone oscure; la presenza di dettagli più o meno numerosi nei vari settori esplorati.

*Il colloquio clinico permette una conoscenza diretta ("dal vivo") della dinamica interpersonale del soggetto "esaminato". Esso è, infatti, una struttura sociale elementare, diadica (tra l’esaminatore e l’esaminato), un caso particolare della vita di relazione del soggetto.

Inoltre, l’utilizzazione del colloquio a scopo diagnostico e prognostico si basa su di un presupposto fondamentale: che i tratti, le disposizioni, rilevate in una persona in occasione del colloquio non sono caratteristiche contingenti o casuali, ma possono essere trasferite ad ambiti più vasti e rilevanti del comportamento (possono cioè essere ascritte all’ "identità psicologica" della persona, tenendo però presente che la persona stessa è comunque un "sistema multivalente", cioè dalle potenzialità molteplici e dai molteplici "ruoli" ch’ella veste nei diversi contesti).

*In base a quanto detto, è perciò importante delineare alcuni problemi che possono compromettere la validità e l’attendibilità del colloquio clinico:

a il problema dell'eventuale suggestione indotta nell'esaminato dalle formule usate dall’interrogatore;

b il problema dell’intervento della personalità (oltre che del ruolo speciale) dell’esaminatore, che suscita emozioni e motivazioni particolari nell’esaminato (l’esaminatore è sì un osservatore, ma un "osservatore partecipe")

In senso specifico, s’intende per "ruolo" il comportamento da tenere in un sistema sociale (famiglia, scuola…), riferito ad una particolare posizione.

Ad es., nel colloquio adottato in campo medico-legale, il perito può essere visto dall’accusato fondamentalmente sotto 4 diversi aspetti: come agente medico dell’apparato repressivo; come agente di un tabù sociale (la follia); come borghese sprezzante o comunque estraneo; come medico protettore, salvatore. Ovviamente, in base all’immagine assegnatagli dal soggetto esaminato, l’esaminato stesso reagirà con atteggiamenti diversi (aggressività o evasività o compiacenza).

c il problema della valutazione critica della testimonianza del soggetto, cioè della sua fedeltà e della sua completezza. [vd. punto precedente]

d il problema del contenimento, entro certi limiti tollerabili, della distorsione interpretativa, quando l’esaminatore operi la sintesi conclusiva sul materiale raccolto.

Gli errori di valutazione diagnostica sono dovuti precipuamente a:

- "impostazione iniziale prevenuta", che porta l’esaminatore a ricercare nel colloquio solo i sintomi che la confermino;

- "implicazioni ingiustificate" legate all’esperienza soggettiva dell’esaminatore e all’accettazione acritica di teorie e sistemi psicologici;

- "somiglianza o simpatia presunta" che l’esaminatore crea con l’esaminato;

- "proiezione", secondo cui il giudice "proietta" appunto sull’esaminato i propri bisogni e motivazioni. La proiezione, a sua volta, può essere:

*"attributiva" (è la somiglianza del punto 3);

*"classica" (l’esaminatore attribuisce all’esaminato proprie caratteristiche indesiderate);

*"razionalizzata" (l’esaminatore è consapevole della propria proiezione, ma non dei motivi per cui lo fa).

- "fraintendimento", ovvero incomprensione, travisamento (inconsapevole) del messaggio da parte del ricevente.

 

Il metodo psicoanalitico.

*Cenni sul fondatore. Sigmund Freud (Freiberg 1856 – Londra 1939) compie gli studi di medicina a Vienna, e nel laboratorio di neurofisiologia di E. Brucke, allievo di Helmholtz, conduce interessanti ricerche sul campo dell’istologia delle cellule nervose. Nel 1882, però, deve abbandonare, per ragioni economiche, la ricerca scientifica e comincia ad esercitare la professione nell’ospedale di Vienna, dove diviene assistente del direttore della clinica psichiatrica, T. Meynert, e entra in rapporto con J. Breuer.

*Studi sull’isteria. Nel 1885 si reca, con una borsa di studio, a Parigi per seguire le ricerche di Charcot sull’isteria: F. resta colpito dalla novità di quelle ricerche che spostavano il riferimento delle psicopatologie dal soma alla psiche. Tornato a Vienna, apre un proprio studio nel 1886, e decide di dedicarsi alla cura dell’isteria, sottoponendo i suoi pazienti all’ipnosi.

A questi interessi, F. era stato spinto proprio da Breuer, che gli aveva raccontato il famoso "caso di Anna O.", una giovane donna che dopo la morte del padre – sopravvenuta in seguito ad una lunga malattia – aveva cominciato a manifestare gravi disturbi isterici: paralisi con contratture, inibizioni e stati di confusione mentale. Sottoponendo ad ipnosi la paziente, Breuer aveva constatato come, lasciandola parlare, ella rievocasse situazioni traumatiche (legate per lo più al periodo in cui aveva assistito il padre) e desse sfogo a reazioni di rabbia e di disgusto che in quelle situazioni aveva represse: la scarica di emozioni provocata dalla rievocazione allucinatoria del trauma ("abreazione") determinava la sparizione del sintomo ("catarsi"). Malgrado il successo ottenuto sui sintomi, Breuer aveva tuttavia abbandonato la terapia quando la paziente aveva manifestato, in delirio, sentimenti di amore nei suoi confronti.

Freud applicò il "metodo catartico" ad altri pazienti, e convinse Breuer a collaborare alla stesura dei "Saggi sull’isteria" (1895), i quali documentano, però, anche la divergenza che segnò la fine della loro collaborazione scientifica.

Infatti, mentre Breuer restò convinto che la rimozione del ricordo delle scene traumatiche avesse la sua ragione nel fatto che tali scene sarebbero state vissute in uno stato di coscienza "ipnoide", assai simile a quello di ipnosi che ne consentiva la rievocazione, F. invece stava giungendo alla conclusione dell’origine sessuale dell’isteria e, in generale, della nevrosi, nel senso che alla loro base c’è un "conflitto difensivo", ovvero l’insorgere di resistenze contro determinate pulsioni sessuali e rappresentazioni, debitamente "rimosse", perché foriere di effetti spiacevoli. Inoltre, anche se continuò a usarlo, F. si era reso conto che il metodo ipnotico incideva solamente sui sintomi, senza intaccare minimamente le cause degli stessi (e quindi eliminava o attenuava proprio quelle difese e quelle resistenze che sono alla base dell’insorgere dell’isteria e della nevrosi, e che invece dovrebbero essere appunto portate in primo piano), e che quindi suddetto metodo doveva e poteva essere utilizzato non più a fini terapeutici, bensì a scopi puramente esplorativi.

*Il metodo delle "libere associazioni". La psicoanalisi vera e propria nasce quando F. compie il passaggio dal "metodo catartico" al metodo delle "libere associazioni" (nell’originale tedesco, l’espressione significa precisamente: "idee che vengono in mente in modo improvviso e spontaneo", senza sforzo o concentrazione).

In effetti, F. già pian piano aveva abbandonato il metodo ipnotico, rendendosi conto che, anche senza ipnosi, emergevano i ricordi patogeni che andava cercando, con la "semplice insistenza" da parte del medico e con la "concentrazione" da parte del paziente.

Di poi, consequenziale fu il passaggio al metodo delle "libere associazioni", ritenuto la "regola fondamentale" della pratica psicoanalitica: l’analista invita il paziente a comunicare tutto quanto gli passa per la mente: pensieri, fantasie, sogni, sensazioni, accadimenti, senza esercitare alcuna selezione o critica, e senza omettere alcun elemento, anche se ritenuto sgradevole, banale, imbarazzante, irrilevante…

*L’inconscio. Il risultato più importante del metodo suddetto fu la scoperta dell’"inconscio". I contenuti inconsci hanno le seguenti caratteristiche specifiche:

- spostamento, cioè trasferimento dell’importanza emotiva di un determinato contenuto mentale a un altro;

- assenza di contraddizione mutua e condensazione, ovvero possibile coesistenza di opposte tendenze mentali (ad es., amore e odio);

- assenza di negazione all’appagamento di un desiderio;

- sostituzione della realtà esterna con la realtà psichica;

- assenza di spazio;

- funzionamento in base al solo principio "piacere-dispiacere".

F. ha dato il nome di "processi psichici primari" ai modi di funzionamento psichico caratteristici dell’inconscio, esemplificati dal sogno, ai quali ha contrapposto i "processi secondari", caratteristici del pensiero cosciente, razionale, che obbediscono alle leggi logiche e spazio-temporali: egli ritiene che la coscienza sia solo una piccola zona – "provincia" – del "territorio" psiche, e che l’inconscio – come la parte sommersa di un iceberg – sia molto più vasto.

*I "punti di vista" psichici: le "topiche" freudiane. F. considera teoricamente la psiche ricorrendo a diverse modalità, a diversi "punti di vista":

a) il "punto di vista topico" ("I topica"): così detto perché viene utilizzata una metafora topografica nel descrivere la psiche come distinta in più (nella fattispecie, 3) "luoghi" psichici:

1 un "sistema psichico inconscio", costituito dai contenuti psichici non compresi nel campo attuale della coscienza: essi sono "dinamicamente" attivi, in quanto esercitano una pressione permanente volta ad ottenere l’accesso alla coscienza, ma incontrano forze contrarie (di "rimozione") che glielo vietano; riescono così ad esprimersi in genere soltanto attraverso dei "derivati": sintomi, sogni, paraprassi…

2 un "sistema psichico preconscio", costituito da contenuti psichici anch’essi non compresi nel campo attuale della coscienza, ma che possono essere facilmente resi consapevoli dal soggetto stesso senza necessità di trasformare il suo psichismo, quindi senza resistenza e aiuti esterni;

3 un "sistema psichico conscio", costituito dai contenuti psichici compresi, invece, nel campo attuale della coscienza.

b) il "punto di vista dinamico", che considera la psiche dalla prospettiva delle varie forze che in essa si esprimono e dei conflitti esistenti tra loro: quindi le diverse "pulsioni" e le "difese" operanti contro di esse.

L’inconscio viene così a coincidere con il "rimosso", cioè con tutti quei contenuti psichici (fantasie, pensieri, ricordi) legati alle pulsioni vissute come spiacevoli. Ovviamente, la "rimozione" è soltanto uno tra i possibili "meccanismi di difesa".

c) il "punto di vista economico", che concerne l’intensità, la quantità delle forze psichiche in gioco.

E’ in base a questo punto di vista che F. ha tracciato la linea di demarcazione tra normalità e patologia in campo mentale: il criterio decisivo non è la qualità dei processi implicati – il tipo di forze psichiche – ma appunto la quantità relativa delle diverse forze, tra le quali non sussiste differenza qualitativa. Come dire che i conflitti inconsci sono gli stessi, ma nei nevrotici sono molto più intensi che negl'individui normali.

 

d) il "punto di vista strutturale" ("II topica", elaborato dopo il 1920), che rappresenta appunto la "struttura tripartita" dell’apparato psichico:

1 l’ "Es": completamente inconscio, è il serbatoio di tutte le pulsioni (sessuali, aggressive, autoconservative…) nella loro espressione psichica; tali contenuti pulsionali sono in parte ereditari o innati, in parte rimossi e acquisiti.

2 l’ "Io": è il mediatore tra le rivendicazioni dell’ Es, gl’imperativi del Super-io e le esigenze della realtà esterna: deve mediare i conflitti non soltanto tra Es e realtà, ma anche quelli tra Es e Super-io. L’ Io svolge inoltre funzioni coscienti attinenti al pensiero vigile (processi secondari, attenzione, percezione, giudizio, memoria…) ma non coincide con il sistema conscio: infatti esso svolge anche funzioni difensive in gran parte inconsce.

3 il "Super-io": in buona parte inconscio, svolge un ruolo assimilabile a quello di un giudice o di un censore nei confronti dell’ Io, e le funzioni attribuitegli sono la coscienza morale, l’autosservazione, la formazione di ideali. Esso si costituisce in parte per l’interiorizzazione dei divieti e delle richieste dei genitori, e in parte per proiezione delle pulsioni del soggetto ("autorità interiorizzata").

*La "libido ". L’indagine sui contenuti fantasmatici dell’ Es, condusse F. alla formulazione di una dottrina generale delle pulsioni, in cui la "libido" (ovvero, l’espressione psichica dell’energia sessuale) si esprime percorrendo quelle zone erogene, ognuna delle quali rappresenta una fase della sua evoluzione. Per F. non esiste un’unica pulsione sessuale, ma la sessualità è un insieme di pulsioni parziali che partono da diverse zone corporee e che hanno mete diverse: ogni pulsione ha infatti una fonte (una parte del corpo, una "zona erogena", connessa sempre a una funzione vitale), una meta (la scarica della tensione sessuale) e un oggetto (un oggetto appropriato a procurare il soddisfacimento).

Le analisi sulla "libido" sono contenute nello scritto "Tre saggi sulla teoria della sessualità". Due sono i punti fondamentali:

- l’originale interpretazione della "perversione" come attività sessuale che sia volta non alla procreazione, bensì alla ricerca del piacere fine a se stesso;

- la demolizione del preconcetto che la sessualità appartenga solo all’età adulta: anzi F. definisce il bambino come un "essere perverso polimorfo" (perverso in base a quanto detto sopra, polimorfo perché ricerca il piacere con varie parti del suo corpo).

In questa concezione, la "libido" subisce un’evoluzione in varie fasi nell’individuo, collegandosi come detto ad altre funzioni vitali e localizzandosi in determinate "zone erogene":

a "fase orale" (primo anno e mezzo circa di vita): questa fase è caratterizzata, da una parte, dall’attività della suzione, fonte di piacere, e dall’altra, dall’introiezione, cioè dall’impossessamento dell’oggetto attraverso l’introduzione orale. Incorporando gli oggetti, il bambino si unisce e s’identifica con essi.

b "fase anale" (fino a 3 anni): in questa fase, l’ano (o meglio il controllo dello sfintere anale, nella ritenzione e nell’espulsione delle feci) viene ad essere la localizzazione più importante dei desideri e delle gratificazioni sessuali.

c "fase fallica" (dai 3 e i 6 anni): in questa fase, l’unico organo conosciuto sia dal maschio che dalla femmina è il fallo, che crea tra i due sessi l’opposizione: presenza del fallo e assenza del fallo.

c1) E’ in questa fase, poi, che F. colloca la nascita di quel fondamentale evento psichico che è il "complesso epidico", cioè quell’insieme (=complesso) di sentimenti amorosi e ostili che il bambino sperimenta nei confronti dei genitori: più specificamente, nella sua forma "positiva", desiderio della morte del rivale del proprio sesso, associato al desiderio sessuale per l’individuo di sesso opposto (si rammenti il mito di Edipo, che uccide il padre Laio e sposa la madre Giocasta, del tutto inconsapevolmente). La scoperta dell’Edipo è preparata dall’abbandono della "teoria della seduzione infantile" (cui F. era giunto a causa dell’insistenza ch’egli riscontrava nel racconto dei suoi pazienti di episodi di seduzione infantile, ad opera prevalentemente del padre o di un fratello maggiore): l’Edipo è infatti non un trauma reale (la seduzione infantile), ma il "fantasma" di una seduzione.

c2) Accanto e connesso al complesso epidico, vi è il "complesso di castrazione", che assume un diverso significato e provoca differenti conseguenze nei due sessi. Per il bambino, la castrazione, che rappresenta una punizione da parte del padre nei confronti delle sue attività sessuali e del suo desiderio epidico di possedere la madre, si trasforma in angoscia di castrazione, che, allontanando il bambino dall’oggetto materno, segna la fine del complesso epidico, l’imminente formazione del Super-io e l’entrata nella fase di latenza. Nella bambina, il complesso di castrazione induce a pensare l’assenza del pene come un disonore di cui è responsabile la madre; questa fantasia genera un sentimento di invidia nei confronti di quest’organo che la bambina cerca di compensare desiderando il pene del padre e volgendo, dipoi, la propria sessualità verso la ricettività.

d "fase di latenza" (dai 6 agli 11 anni): questa fase è caratterizzata da un (apparente) assopimento degl’interessi sessuali.

e "fase genitale" (dagli 11 anni in poi): fa la sua comparsa nell’età dello sviluppo, con la piena maturazione e differenziazione degli organi sessuali.

Lo sviluppo della "libido" può svolgersi naturalmente, o subire degli arresti per l’interferenza della "fissazione" o della "regressione", che rispettivamente bloccano (persistendo in una data fase) lo sviluppo psichico o lo riportano a fasi precedenti, con conseguente formazione di sintomi nevrotici.

*Eros e Thanatos. Come abbiamo visto, nella sistemazione complessiva che F. elabora, la vita psichica appare dominata da 2 principi contrapposti: il "principio del piacere", che domina le pulsioni e la loro soddisfazione allucinatoria, e il "principio della realtà", che governa il processo secondario, e per il quale ci si rappresenta non ciò che è piacevole, ma ciò che è reale, anche se spiacevole.

Nell’ulteriore elaborazione, F. ricorre ad un’altra polarità: egli cioè ritiene che in ogni uomo operino essenzialmente 2 tipi di pulsioni: "pulsione di vita" ("Eros"), comprendente libido e pulsione di autoconservazione, e "pulsione di morte" ("Thanatos"), che si manifesta in tendenze auto ed eterodistruttive. L’eterna lotta tra Eros e Thanatos costituisce la forma più profonda dell’ambivalenza, dell’angoscia e del senso di colpa nell'uomo. Questi 2 principi, infine, consentono a F. di estendere la teoria psicoanalitica anche a fenomeni sociali e culturali.

*Il significato e la funzione del sogno. F. considerò l’ "interpretazione dei sogni" (come recita il titolo del suo capolavoro, 1900) come "la via regia verso la conoscenza dell’inconscio" e "il più sicuro fondamento della psicanalisi". Tale interpretazione viene condotta mediante la combinazione di 2 distinte tecniche: l’ "analisi simbolica" e le "associazioni libere".

I sogni sono la forma che l’attività psichica assume durante lo stato di sonno; più precisamente, sono allucinazioni che si hanno durante il sonno, ma – a differenza delle allucinazioni osservabili nelle malattie mentali – si tratta di fenomeni psichici normali.

*Il sogno che viene raccontato dopo il risveglio, rappresenta solo il risultato finale dell’attività psichica inconscia che ha luogo durante il sonno: ciò che si ricorda viene chiamato "contenuto onirico manifesto"; la sua forza per così dire motrice e produttrice viene invece chiamata "contenuto onirico latente", ed è costituito da desideri, tendenze e pensieri inconsci. Il significato reale del sogno non corrisponde mai, tranne rare eccezioni, al significato eventualmente individuabile nel sogno manifesto.

*Il processo che ha prodotto la trasformazione del contenuto latente nel contenuto manifesto del sogno è il cosiddetto "lavoro onirico". Il fattore principalmente responsabile di questa trasformazione è invece la "censura onirica", ovvero quella funzione psichica che tende ad impedire ai desideri inconsci l’accesso diretto alla coscienza (essa, potremmo dire, rappresenta l’aspetto notturno della "rimozione"). Orbene, se nel sogno gli elementi rimossi affiorano con minore difficoltà, ciò è dovuto al fatto che la censura onirica è meno severa della rimozione diurna; in altre parole, durante il sonno la rimozione subisce un’attenuazione, poiché in tale stato le tendenze rimosse sono sentite come meno pericolose in quanto, a differenza della veglia, non possono essere soddisfatte mediante l’azione, bensì solo in forma allucinatoria.

*Insomma, il sogno non rivela direttamente l’inconscio, ma offre un campo da interpretare, ripercorrendo a ritroso l’attività del "lavoro onirico": non quindi "il contenuto manifesto" del sogno, bensì il "lavoro onirico" che lo ha prodotto deve costituire l’oggetto dell’interpretazione.

*Le operazioni psichiche inconsce che si attivano nel lavoro onirico sono principalmente:

a l’ "elaborazione primaria", che comprende:

- "drammatizzazione", ovvero quel processo per cui i sogni vengono trasformati in immagini, soprattutto visive;

- "condensazione", ovvero quel processo per cui più pensieri latenti vengono rappresentati da un unico elemento del contenuto manifesto;

- "dispersione" degli elementi, il contrario della condensazione;

- "spostamento" (di accento), ovvero quel processo che consiste nella tendenza a trasferire l’accento, l’intensità, l’importanza emotiva di determinati elementi del sogno ad altri elementi, in modo da eludere la censura e superarne gli ostacoli;

- "simbolizzazione", che può considerarsi una forma particolare di spostamento: quando un elemento rimosso del contenuto onirico latente viene rappresentato da qualche altro elemento concreto nel sogno manifesto, quest’ultimo elemento è appunto un "simbolo".

b l’ "elaborazione secondaria", ovvero quel processo di rimaneggiamento del sogno, per cui si tende ad eliminare le apparenti assurdità, contraddizioni, incoerenze, per presentarlo in una forma il più possibile coerente, logica e comprensibile, eventualmente mediante aggiunte e trasposizioni (si pensi al montaggio di un film).

F. ritiene che l’ "elaborazione secondaria" incominci ad agire già mentre si sta sognando, e che s'intensifichi quando ci si avvicina allo stato di veglia, e soprattutto quando si racconta il sogno.

*Per quanto riguarda il materiale col quale viene costruito il sogno, occorre invece distinguere fra materiale attuale o relativamente recente (fantasie resti desideri sogni diurni e stimoli sensoriali: ma questi elementi, seppur contribuiscono a costruire il sogno, tuttavia non lo spiegano o determinano) e quello costituito dai desideri infantili rimossi: e solo questi ultimi hanno la forza necessaria di "promuovere" un sogno. Insomma, il sogno costituisce la realizzazione allucinatoria e deformata di un desiderio infantile rimosso.

*Riguardo, infine, alla funzione del sogno, F. afferma che esso è un "custode del sonno": nel sonno, infatti, si attenuano le resistenze e le difese dell’io, e si ha quindi una maggiore pressione dell’inconscio; ebbene, fornendo ai desideri inconsci una piccola e innocua espressione sottoforma di appagamento allucinatorio, sufficientemente mascherata per non "turbare" la censura, il sogno permette la continuazione del sonno: diversamente, si determinerebbe un’angoscia tale da condurre al risveglio.

*La psicopatologia della vita quotidiana: gli atti mancati. F. introduce l’espressione "atto mancato" – nella sua "Psicopatologia della vita quotidiana" (1900) - per definire tipiche manifestazioni dell’inconscio come i lapsus, gli errori di lettura e di scrittura, l’oblio dei nomi, la sbadataggine, lo smarrimento di oggetti e simili.

L’atto mancato ha il valore di un sintomo perché rivela l’esistenza di un conflitto tra l’intenzione cosciente e la pulsione rimossa. Approfittando della riduzione della sorveglianza dell’ Io, la pulsione rimossa riesce ad esprimersi, alterando il comportamento cosciente. Così, distrazione, disattenzione, stanchezza e affini sono, di per sé, tutte condizioni che tutt’al più possono facilitare il verificarsi di un atto mancato, non però produrlo.

L’atto mancato rientra nei meccanismi di "spostamento" e, proprio in quanto soddisfa in modo manifesto un desiderio inconscio, rispetto a tale soddisfacimento costituisce un atto pienamente riuscito.

*Il motto di spirito. Il motto di spirito – che possiamo caratterizzare in spirito di parola o spirito di pensiero, e che va opportunamente distinto dal comico, e accostato casomai all’arguzia – è una frase, una battuta o un breve racconto che serve ad esprimere, in maniera mascherata, e quindi accettabile, ciò che altrimenti sarebbe male accolto o quantomeno sconveniente. Ciò, operando distorsioni di senso nelle singole unità lessicali (nel caso dello spirito di parola) o sulla struttura e sulla formulazione concettuale della frase (nel caso dello spirito di pensiero).

F. intese il motto di spirito come un atto creativo "liberatorio" (le istanze morali volte alla repressione dei desideri inaccettabili vengono sollevate dal loro compito censorio, permettendo un risparmio di energia psichica) ed il "piacere" che ne consegue è testimoniato dalla reazione del riso. Così, se i motti si diversificano, per gli scopi, in tendenziosi ed innocenti, condividono in ultima analisi lo stesso obbiettivo, che è il ritorno al mondo infantile, luogo in cui per eccellenza è consentita la libera espressione.

Anche nel motto di spirito intervengono i 2 meccanismi psichici della "condensazione" e dello "spostamento" che operano nel sogno, per cui F. trova una corrispondenza tra motto di spirito e sogno (anche se questo, a differenza del primo, è per eccellenza un’attività intima e asociale) dato che, in entrambi i casi, è necessario risalire dal "contenuto manifesto" al "contenuto latente". Questo itinerario fa del motto di spirito una via d’accesso per l’inconscio.

*Il significato dei sintomi. Ancora nella "rimozione" F. individua l’elemento responsabile della formazione del "sintomo", che può esprimersi come "formazione di compromesso" tra due esigenze contrastanti – ovvero, una volta al soddisfacimento del desiderio, l’altra appunto alla sua rimozione - tramite la parziale soddisfazione di entrambe; come "formazione reattiva" (dove prevale la difesa) che consente di dominare un impulso inaccettabile con l’esagerazione della tendenza opposta (come, ad es., la scrupolosità ed il pudore, che diventano tratti caratteriali per reagire all’impulso sessuale); o come "formazione sostitutiva" che consente di soddisfare un desiderio rimosso tramite un altro desiderio o un surrogato in genere (è il meccanismo che produce le paraprassi e i motti di spirito).

Da qui nascono i concetti di:

- "utile primario" della malattia o del sintomo nevrotico: F. ritiene che esso consista nell’abolizione o nella diminuzione dell’angoscia, della paura o del senso di colpa che verrebbero avvertiti, se i desideri rimossi irrompessero nella coscienza;

- "utile secondario": una volta che si è formato un sintomo, l’ Io può scoprire che esso porta con sé alcuni vantaggi, i quali possono indurre un nevrotico a rimanere legato alla propria malattia. I vantaggi secondari (o esterni) derivano dai riflessi sociali della malattia (possono consistere nel ricavare attenzioni… nell’essere esonerati da responsabilità, ecc…).

*Transfert e controtransfert: significati e funzioni. Il "transfert", nella sua accezione più generale, è l’atteggiamento emotivo (positivo o negativo) del paziente nei confronti del suo psicanalista: in un’accezione più specifica, è il processo col quale il paziente proietta sulla figura del proprio psicanalista affetti, pensieri e condotte originariamente relativi a persone (evidentemente facenti parte del proprio nucleo familiare) della propria esperienza precedente l’analisi. In un transfert negativo, il vissuto di ostilità del paziente verso il terapeuta può essere in realtà rivolto verso il padre (magari già morto) del paziente stesso.

In realtà, il transfert non costituisce una caratteristica esclusiva della situazione analitica, bensì è presente in molteplici situazioni interpersonali (come nel rapporto tra medico e malato, fra maestro e allievo, fra ipnotizzatore e ipnotizzato…); ma è nella situazione analitica, e soltanto in essa, che il transfert viene interpretato e utilizzato a fini terapeutici.

A partire dal 1912, e in gran parte come conseguenza dell’avvenuta scoperta e sistematizzazione del complesso edipico, F. individua nel transfert tutta la forza dei prototipi infantili, elabora la nozione fondamentale di "nevrosi di transfert" come sostituto guaribile della nevrosi originaria. Di qui, egli conferisce al transfert una dignità teoretica oltre che metodologica, nella misura in cui la "coazione" a ripetere i prototipi infantili, che lo caratterizza, viene assunta a dimostrazione dell’ineliminabilità del fantasma inconscio.

Il "controtransfert" consiste, invece, nella risposta inconscia dello psicanalista al transfert del suo paziente. Scarsamente elaborato da F., il concetto di controtransfert ha invece assunto una notevole importanza (tanto sul piano metodologico che su quello teorico) nella psicoanalisi post-freudiana, intervenuta spesso in situazioni cliniche (come quelle relative a pazienti bambini e a pazienti psicotici) nelle quali l’inconscio del terapeuta è costretto a venire allo scoperto più di quanto non avvenisse nella classica situazione clinica freudiana, concernente pazienti adulti e nevrotici.

*La psicoanalisi come metodo scientifico: conclusioni. In ultima analisi, possiamo ben affermare che la psicoanalisi è al tempo stesso attività terapeutica e attività di ricerca in senso stretto. In questo secondo senso, l’oggetto di studio della psicoanalisi è costituito dalle "relazioni oggettuali inconsce".

Il metodo utilizzato per realizzare tale studio è unico, caratteristico della sola psicoanalisi, in quanto lo strumento di osservazione è la mente analizzata dello psicoanalista, il suo contatto con il proprio controtransfert e la sua capacità di ragionarci intorno per poter formulare le interpretazioni.

I dati su cui opera sono costituiti dallo sviluppo del transfert, ossia dallo sviluppo delle relazioni oggettuali inconsce lungo il corso della relazione transferenziale.

Il metodo della psicoanalisi, insomma, consiste nello stabilire una relazione tra due persone in una situazione ("setting") molto controllata e nello studiare i fatti che vengono alla luce quando l’analista limita la propria attività alla interpretazione del transfert.

Infine, da quanto detto finora, si evince che tutte le ipotesi avanzate dal modello psicanalitico comportano una concezione del tutto deterministica del comportamento umano: infatti, sarebbero proprio le forze pulsionali a fornire energia all’individuo ed a permettergli, quindi, di agire psichicamente e di adattarsi alla realtà. Esse vengono regolate e funzionano, come visto, secondo le 2 leggi fondamentali dell’organizzazione psichica: il principio di piacere e il principio di realtà.

Tale orientamento comporta anche l’assunzione che la salute e la malattia psichica non hanno caratteristiche d'incompatibilità e d'opposizione, ma sono piuttosto i due punti estremi di un continuum, lungo il quale è possibile collocare la quasi totalità degli individui.

 

 

 

Introduzione: i modelli

L'apprendimento

Il conflitto

Il metodo sperimentale

Il pensiero

Lo sviluppo affettivo

I metodi psicometrici

Il linguaggio

Lo sviluppo cognitivo

I metodi clinici

La personalità

Lo sviluppo sociale

I processi sensoriali

Le motivazioni

Le fasi dello sviluppo

La percezione

La frustrazione

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