IL LINGUAGGIO.

Definizione, funzioni e caratteri. La linguistica. La psicolinguistica: produrre e comprendere. Il ruolo del linguaggio nello sviluppo. Rapporti fra pensiero e linguaggio. Le aree cerebrali del linguaggio.

 

 

 

Definizione, funzioni e caratteri.

Possiamo intendere il "linguaggio" come un sistema di segni (tanto parole che ideogrammi) usati in modi regolari di combinazione, secondo regole convenzionalmente stabilite, allo scopo di comunicare. Esso, dunque, permette almeno 2 importanti funzioni: quella "comunicativa", grazie alla quale siamo anche in grado di trasmettere idee e conoscenze, e quella "simbolica e di astrazione".

Come tale, è un’attività caratterizzante della specie umana, nonostante i primati possano essi stessi svilupparne delle forme più o meno semplici (esperimenti di Hayes e Hayes con Vikki e di Gardner e Gardner con Washoe): ma mentre, riguardo agli animali in genere, i comportamenti utilizzati per la comunicazione sono innati, la specie umana – pur avendo una disposizione genetica a parlare - deve però acquisire durante lo sviluppo tale capacità.

Il linguaggio utilizza un dizionario di simboli memorizzati (le parole), un insieme di regole organizzate in sottosistemi (la grammatica), e una sintassi con cui le parole sono unite in strutture più complesse, le frasi. Esso, dunque, ha un’organizzazione grammaticale e sintattica ("struttura superficiale"), corrispondente a quanto diciamo e udiamo, che porta appunto in superficie il significato dei nostri pensieri ("struttura profonda").

Possiamo dividere, in base alle loro funzioni, le espressioni linguistiche in:

- "espressive": quando appunto esprimono i pensieri, i desideri, gli atteggiamenti di chi parla;

- "evocative": quando appunto evocano gli effetti, le reazioni (pensieri, valutazioni, tendenze all’azione) in chi ascolta o in chi interpreta;

- "denotative": quando infine sono connesse da un certo argomento, designano o alludono al suo riferimento.

La linguistica, poi, ha contribuito a definire altre coordinate del linguaggio: ogni lingua (dal punto di vista "morfologico") include, così, unità di suono ("fonemi"), che vengono fusi in unità di significato ("morfemi": le singole parole, ma anche suffissi e prefissi) per poi essere uniti a formare le parole. Inoltre, in base alle sue proprietà, il linguaggio è inteso come:

- "produttivo": non c’è limite alle nuove frasi generabili;

-"strutturato": le parole vengono organizzate secondo regole grammaticali e sintattiche in frasi, e queste nel discorso;

- "referenziale": esistono corrispondenze tra le parole e il loro significato.

[Riguardo a quest’ultimo punto, complesso è il problema della formazione e organizzazione dei concetti nella memoria a lungo termine e dei rapporti fra sistema delle conoscenze (o enciclopedia) e sistemi lessicali (cioè l’organizzazione dei significati delle parole della nostra lingua). A tal proposito, Tulving (1972) ha teorizzato l’esistenza di una vera e propria "memoria semantica", che comprenderebbe parole simboli algoritmi e sapere enciclopedico, distinta dalla "memoria episodica", che contiene invece informazioni relative a fatti o esperienze personali. Il modello di memoria semantica che ricordiamo è quello di Collins e Quillian (1969, 1972), per il quale i concetti sono organizzati gerarchicamente in una rete con nodi e indicatori.]

Nella dizione, infine, si compiono almeno 3 tipi di azioni (l’ "atto linguistico" è appunto l’azione che accompagna la dizione):

- "locutoria", che è l’atto di dire qualcosa;

- "illocutoria", che si compie nel dire qualcosa (domandare, promettere…);

- "perlocutoria", che si compie col dire qualcosa (persuadere, convincere…).

 

La linguistica.

La "linguistica" è la disciplina che si occupa dello studio della lingua come sistema (ovvero, delle sue regole), a prescindere da chi la usa e dal modo in cui viene usata.

E’ importante, a questo proposito, distinguere tra lingua e linguaggio: secondo la distinzione canonica di De Saussure (1922), "langue" è – così - il codice, o insieme di convenzioni, in cui si esprime una lingua, mentre la "parole" è l’atto dell’individuo che usa quel codice.

La linguistica generativa. Chomsky (1957), con la sua opera "Strutture sintattiche", fu fondatore di questo indirizzo, chiamato "generativismo" nel senso che appunto si preoccupa di individuare le regole linguistiche che permettano l’uso creativo, cioè la produzione sempre nuova di espressioni della lingua da parte del parlante.

Secondo Chomsky, la linguistica è una disciplina empirica i cui dati sono i giudizi che i parlanti di una lingua danno sulle frasi della stessa; scopo della linguistica deve quindi essere quello di spiegare quali sono le regole, esplicite o implicite, che un parlante usa nel dare questi giudizi.

Funzionale a questa definizione è l’opportuna distinzione che il nostro autore introduce tra "competenza" (che è il sistema di regole che, interiorizzato dal parlante, consente a quest’ultimo di comprendere un numero infinito di frasi diverse) ed "esecuzione" (che comprende le manifestazioni linguistiche reali del soggetto).

Ora, sempre secondo Chomsky, l’acquisizione di una lingua può essere spiegata solo postulando l’esistenza di una facoltà mentale altamente specializzata e innata (cioè dipendente da caratteristiche del cervello umano che sono geneticamente determinate): il "language acquisition device" (LAD). Sarebbe altrimenti un mistero come i bambini possano imparare a parlare, nonostante una qualsiasi lingua naturale abbia una struttura estremamente complessa. L’unica spiegazione possibile è che tutte le lingue naturali abbiano uba struttura in gran parte comune, e che questa struttura comune, in quanto rispecchia il modo di funzionare innato della facoltà del linguaggio, non abbia bisogno di essere appresa dal bambino.

Il sistema di restrizioni imposte dalla facoltà del linguaggio sulla struttura di una qualsiasi lingua costituisce la cosiddetta "Grammatica Universale": compito ultimo del linguista è fornire, così, una descrizione il più possibile completa e accurata della "Grammatica Universale".

 

La psicolinguistica: produrre e comprendere.

Il termine "psicolinguistica" indica il settore della psicologia che studia la capacità di parlare e capire.

*La "produzione linguistica" prevede 5 fasi fondamentali, delle quali le prime 4 riguardano la pianificazione e solo l’ultima l’esecuzione:

a Pianificazione del discorso (ciò che si vuole fare/ottenere parlando);

b Pianificazione delle frasi. Nel pianificare una frase, il parlante deve decidere:

- il contenuto proposizionale (il nocciolo, il significato della frase);

- il contenuto illocutorio, ciò che si vuol compiere nel dire qualcosa (domandare, promettere…);

- la struttura tematica, ciò che il parlante considera già noto all’ascoltatore e ciò che invece considera nuovo nella frase che sta pianificando.

c Pianificazione dei "costituenti", ovvero di "molecole" semantiche che sono meno di una frase e più di una parola.

d Programma articolatorio, ovvero la perfetta padronanza del proprio apparato vocale, in modo da poter eseguire il programma nel modo e al tempo opportuni.

e Articolazione: è il passo finale della produzione, e si realizza attraverso meccanismi che aggiungono sequenzialità e ordine temporale al programma articolatorio e coordinano i movimenti dei nostri organi vocali.

*Tuttavia, il linguaggio non si basa soltanto sulla espressione, bensì richiede anche la "comprensione", un procedimento complicato che richiede, a sua volta, un’abilità di "acquisizione" (vd. "Il ruolo del linguaggio nello sviluppo") e funzioni percettive e di elaborazione dei simboli (fonemi, morfemi, parole) e della loro sequenza, sia come formazione di parole (comprensione del significato) sia come formazione di frasi (comprensione della sintassi).

Questo è un meccanismo di tipo "bottom-up", ma si esegue anche il confronto con parole simili a quelle che si conoscono (meccanismo di tipo "top-down"), mettendo in atto una anticipazione che dopo alcuni fonemi aiuterà a intuire quale sarà la parola, oppure dopo alcune parole a capire il resto del discorso ("teoria dell’analisi per sintesi", Halle e Stevens, 1962).

Per ottenere questo risultato, un ascoltatore deve evidentemente utilizzare un largo numero di strategie di:

a "approccio sintattico" (Bever 1970, Kimball 1973 ed altri), che cioè utilizza informazioni provenienti dalla struttura della frase: secondo questo tipo di approccio, gli ascoltatori hanno a loro disposizione una serie di strategie mentali, grazie alle quali, ascoltando una frase, essi sono in grado di segmentarla in costituenti, classificare questi costituenti e costruire, a partire da questi, l’interpretazione semantica della frase. A tal scopo, particolare rilievo avrebbero le "parole funzionali" (articoli, preposizioni, congiunzioni, pronomi…): Kimball ha infatti proposto la seguente strategia: "ogni volta che trovi una parola funzionale, inizia un nuovo costituente più grande di una singola parola".

b "approccio semantico", che cioè utilizza informazioni sui significati delle parole: secondo questo tipo di approccio, lo scopo dell’ascoltatore è di determinare in che modo il suo interlocutore intendeva utilizzare ciò che ha detto. Per raggiungere questo scopo, l’ascoltatore utilizza 2 principi:

- "il principio di realtà": egli interpreta ciò che ascolta nella convinzione che il parlante si stia riferendo a qualcosa che ha senso;

- "il principio cooperativo": egli ascolta nella convinzione che il parlante stia dicendo la verità, dica tutto ciò che è necessario far sapere e non di più, dica cose rilevanti e usi frasi in modo non intenzionalmente ambiguo.

Infine, anche il contesto è importante per capire le parole, soprattutto in condizioni di diminuita capacità percettiva.

 

Il ruolo del linguaggio nello sviluppo.

Nello sviluppo mentale del bambino l’acquisizione del linguaggio ha un ruolo importante come organizzatore e trasformatore dell’informazione che egli sta raccogliendo.

La comunicazione verbale si inserisce man mano in una dinamica di interazione intrapsichica (tra due persone, generalmente il piccolo e la madre) nella quale ha avuto un ruolo fondamentale la comunicazione non verbale (sguardo, espressione del viso, movimenti della testa…).

Il bambino emette prima dei suoni (suoni che sono significativamente uguali in tutti i contesti linguistici: p, b, m, t a, e; ciò probabilmente è in relazione allo sviluppo neurologico e muscolare del bambino in questo periodo); poi un balbettio, le prime sillabe ("ma-ma") intorno ai 6-10 mesi e le prime parole intorno ai 12-18 mesi. La grammatica comincia a manifestarsi dopo il 1° anno e si sviluppa fino all’età scolare (il "cosa facete?", facile da sentire da un bambino, sta a testimoniare che il piccolo nel periodo dell’acquisizione non si limita a ripetere o imitare ciò che dicono gli adulti, bensì acquisisce regole grammaticali, di cui non è ancora in grado di conoscere tutte le eccezioni).

In un primo stadio, il bambino usa frasi formate da due parole ("bimbo pappa": sono "olofrasi", cioè insiemi di parole mediante i quali si esprimono intere frasi), poi a 2 anni ca comincia a usare pronomi articoli e forme rudimentali di verbi ("linguaggio telegrafico"). Gradualmente, il suo linguaggio diventa più ricco e si raffina nelle forme grammaticali e sintattiche corrette. Il bambino possiede quindi un’attività di pensiero indipendente dall’attività linguistica; gradualmente (e intorno ai 2 anni), le due attività si legano e interagiscono tra loro, senza perdere però le loro specifiche proprietà.

Piaget ha rivolto, inoltre, l’attenzione sui discorsi dei bambini dai 3 ai 7 anni, notando che il linguaggio ch’egli definisce "egocentrico" (ripetizioni ecolaliche o giochi di suoni-parole, monologhi, monologhi collettivi, in cui il bambino coinvolge gli altri nell’azione, ma senza preoccuparsi di essre ascoltato o compreso) cede progressivamente a quello "socializzato", anche se (secondo Vygotskij) non scompare del tutto.

La relazione tra pensiero e linguaggio diventa più problematica quando viene considerata nel contesto sociale in cui il bambino cresce. Ne è un esempio la differenza di "vocabolari" tra i diversi parlanti: alcuni parlanti, infatti, hanno un vocabolario meno ricco e frasi sintatticamente meno complesse di altri.

Queste differenze nello stile di comunicazione sono state interpretate da alcuni psicologi, come l’inglese B. Bernstein, in relazione alla classe sociale di appartenenza: i parlanti della classe bassa avrebbero un "codice ristretto" rispetto ai parlanti della classe media dotati di un "codice elaborato".

Altri psicologi, invece, ritengono che gli stili di comunicazione rilflettano modalità diverse di comunicare nei vari gruppi sociali (o all’interno di uno stesso gruppo), piuttosto che carenze linguistiche di origine sociale: insomma, i contenuti del pensiero possono assumere forme linguistiche diverse in uno stesso individuo in relazione al contesto sociale.

 

Rapporti fra pensiero e linguaggio.

Il linguaggio ha una stretta relazione con il pensiero, tanto che molti psicologi si sono interessati alla possibilità e alle modalità dei loro rapporti, discutendo quale delle due funzioni fosse preminente.

Il dibattito suscitò diverse ipotesi:

a Il pensiero è linguaggio (ipotesi comportamentistica), ovvero è un comportamento verbale interiorizzato o appena accennato. Il linguaggio è considerato come attività motoria appresa col condizionamento operante, oppure – più specificamente – costituisce un apprendimento semantico (Skinner, 1957). Il comportamentismo segue il nominalismo empirico di Locke: i concetti sono etichette verbali attaccate a insiemi di oggetti. Per essi, infine, le prime parole sarebbero frutto di un coordinamento tra vari processi cognitivi e del processo di condivisione sociale.

b Il linguaggio determina il pensiero e il comportamento (ipotesi "forte" del "determinismo linguistico" di Whorf, 1956), e costituisce una specie di stampo per i processi logici e percettivi: la lingua, con le sue strutture, determina la maniera di pensare e di percepire il mondo ("relativismo linguistico").

Esiste anche una versione "debole" del "determinismo linguistico": il linguaggio orienta il pensiero ad esercitare il suo potere astrattivo.

c Il linguaggio dipende dal pensiero (cognitivismo di Piaget), cioè non è altro che un sottosistema all’interno di una più generale capacità cognitiva, la "capacità simbolica". Entrambi, poi, dipendono dall’intelligenza stessa, che è anteriore al linguaggio ed indipendente da esso.

d Linguaggio e pensiero sono in origine indipendenti, cioè hanno sequenze evolutive autonome, ma poi si integrano in un processo di reciproco influenzamento e potenziamento (ipotesi della psicologia sovietica: Vygotskij, 1962): il linguaggio è sociale, acquista una funzione regolatrice del pensiero, che diventa così una costruzione sociale; interiorizzandosi, diventa individuale (e lo stesso sociale diventa individuale). "Il pensiero - secondo Vygotskij – non è semplicemente espresso in parole; esso viene ad esistere attraverso di esse".

e:

1 Il linguaggio è un processo cognitivo, cioè è pensiero (ipotesi di Bruner 1966, degli psicolinguisti, dei semanticisti): ciò non vuol dire che dipende dal pensiero, né che il pensiero sia linguaggio, bensì che il linguaggio è pensiero oggettivato verbalmente; il linguaggio e il pensiero possono essere differenziati solo funzionalmente: la comunicazione, insomma, non è una funzione essenziale del pensiero.

2 Linguaggio e pensiero sono costruiti socialmente, cioè nella comunicazione (ipotesi di Schaffer, 1977, realizzata attraverso gli studi delle interazioni madre-bambino: è la madre che insegna al bambino un uso "intenzionale" del linguaggio).

 

Le aree cerebrali del linguaggio.

Per un corretto comportamento verbale, solo un emisfero del cervello, di solito il sinistro, sembra essere indispensabile (che poi questo emisfero controlli, oltre che il linguaggio, anche la mano dominante, ha portato qualcuno a considerarlo l’ "emisfero dominante"). Più specificamente, 2 sono le aree corticali interessate:

a quella della terza circonvoluzione frontale (secondo il Broca, 1861): lesioni in quest’area tendono a dar luogo a deficit nella produzione del linguaggio ("afasia espressiva");

b quella temporale-parietale posteriore (secondo il Wernicke, 1874): lesioni in quest’area tendono a dar luogo a difficoltà nella comprensione ("afasia ricettiva").

 

 

 

Introduzione: i modelli

L'apprendimento

Il conflitto

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Lo sviluppo cognitivo

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