Riministoria
© Antonio MontanariAurelio Bertòla politico, presunto rivoluzionario.
Documenti inediti (1796-98)di Antonio Montanari
[da "Studi Romagnoli" XLVIII (1997), Cesena 2000, pp. 549-585]
12. Lultimo viaggio a Milano (gennaio 1798)
A metà gennaio 1798 con Nicola Martinelli (59) Bertòla si reca a Milano, la città in cui durante gli anni dellinsegnamento pavese ha abitato in contrada de Bigli, presso i coniugi Airoldi. Si ammala nuovamente. A fine febbraio deve subire cinque cavate di sangue. Il 14 marzo [FGM], a Francesco Martinelli fratello di Nicola, scrive di "star meglio. Io disegno di pormi in viaggio accompagnato da Bajocco il dì 23 o 24" (60). E il 24 marzo [FPS, 63.137] allo stesso Francesco: "A me non scrivete più; perchio o fra quindici giorni son vivo, e non sarò più qui; o son morto, né so che vi sia posta per laltro mondo".
Nicola ha ricevuto da Rimini lamentele sul "passaggio immenso" di truppe francesi. Ne ha parlato ad alcuni membri del Direttorio, ricevendo una risposta che "non ha replica": "la Cisalpina non comanda alla Francia, ma la Francia alla Cisalpina" [FPS, 63.133].
Tra fine marzo ed inizio aprile, Bertòla ritorna a Rimini, a San Lorenzo. È qui che Nicola Martinelli il 5 maggio [FPS, 61.20] gli invia lultima lettera del suo carteggio: "Scrissi a Checco, che vi dicesse che la politica andava come la vostra salute. Ve lo confermo. Vi soggiungerò solo, che non pare lontano lo sviluppo. È rientrata in Genova la flotta, dicesi per ordine di Parigi. Dunque non si taglierà più listmo. Tutte le lettere assicurano che si ritirano le truppe destinate allo sbarco in Inghilterra. Dunque pare non lontana la pace universale. Come sarà? Le opinioni sono discordi come prima" (61).
Il poeta è gravemente infermo, e Francesco Martinelli si offre di ospitarlo nel proprio palazzo, dove Bertòla si trasferisce nel periodo compreso tra il 17 ed il 22 giugno (62). Alle cinque del pomeriggio del 30, muore. Il cronista Giangi annota: "È passato a miglior vita il Professor Aurelio Bertòla di anni 44 con sentimenti di vero cristiano e con aver ricevuto (da lui richiesti) tutti li sacramenti". Nella stessa sera il suo corpo viene trasportato "privatim" nel vicino Tempio Malatestiano (63). Il 1° luglio è sepolto nella tomba degli avi (64), con una cerimonia frettolosa e senza pompe, forse proprio per motivi politici.
Bertòla aveva appoggiato quei nemici della Chiesa i quali, instaurata la Repubblica a Roma, hanno costretto Pio VI a lasciare la sede apostolica il 20 febbraio. Nel primo dei suoi scritti per le Letture (29 settembre 1797), si era illuso che la condotta dei repubblicani francesi fosse "mirabilmente in armonia colla religione de nostri Padri": aveva inquadrato il discorso politico particolare in quello filosofico più generale, ricordando (con lo stesso ottimismo degli scritti di dieci anni prima), che "la natura tende invariabilmente a un ordine fisso e conservatore", lo stesso a cui mirava il "nuovo Governo" della Cisalpina. Nellultimo articolo che compone per le Letture (65) prima di morire, Bertòla appare un pensatore tutto diverso, più disincantato e problematico, rispetto a quello della Filosofia della Storia. Non è "vano osservare", scrive, come "dagli stessi principj" possano "derivare talvolta conseguenze differentissime; come queste stesse conseguenze finanche sembrino non di rado essere una cagione; come degli avvenimenti contrarj sieno leffetto degli stessi assiomi; come sincontrino da per tutto eccezioni, riserve, modificazioni; e come la verità sembri voler più fuggire chi più qui linsegue".
Bertòla era stato un rivoluzionario pacifico. Lunica battaglia da lui combattuta, è quella con un cane che, su sua richiesta, il cittadino Daniele Felici dellAmministrazione Centrale dellEmilia gli aveva fornito nellagosto 1797, quale "fedel compagno del giorno come terribile sentinella notturna". Appena ricevuto il dono Bertòla, con una comunicazione ufficiale allo stesso Felici, rinunciava a quellanimale che gli aveva "fatto temer di tal guerra da non finir così presto e da esser soggetto di poemi e di poesie". Una guerra, aggiungeva, "per cui non siam nati" (66).
Antonio Montanari
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