Riministoria

Antonio Montanari, Scienza e Carità

1.

I problemi dell’infanzia. Breve viaggio nel passato di Rimini

 

 

Di bambini parla uno dei più antichi documenti riminesi sulla pubblica "assistenza", l’atto del 26 giugno 1486 con cui undici ospedali cittadini vengono uniti a quello di Santa Maria della Misericordia in contrada di Santa Maria in Corte, detto "de Arimino" per distinguerlo dall’omonimo "de Burgo S. Juliani". Il documento elenca le categorie alle cui necessità gli ospedali dovevano prestare soccorso: poveri, infermi, pellegrini, fanciulli, vedove ed altri miserabili.

Si è da poco chiusa l’età di Sigismondo Pandolfo Malatesti, scomparso il 9 ottobre 1468 a cinquantuno anni di età, e dopo trentacinque di governo. Signore di Rimini è Galeotto Malatesti. Nel 1482 è stato nominato da Sisto IV tutore di Pandolfo, figlio di Roberto il Magnifico, che aveva sette anni. Galeotto ha appena fortificato il Borgo del Porto e, per migliorare la pubblica igiene, ha fatto selciare di nuovo tutte le vie della città. La decisione di riorganizzare l’attività ospedaliera, egli la prende assieme ai personaggi più in vista di Rimini, al fine di eliminare quelle carenze che, soprattutto in occasione di pesti e di epidemie, danneggiano bisognosi od ammalati. Viene costituito un patrimonio collettivo, da utilizzare al meglio per il bene comune.

Galeotto prosegue una politica di sostegno delle opere pie già avviata da Malatesta da Verucchio (1212-1312), primo Signore di Rimini, che "largheggiò di legati" a favore "di ogni ospedale". La figlia di Malatesta da Verucchio, Simona, nel 1355 fa costruire ed ornare un’infermeria "ad usum fratrum infirmorum" di Sant’Agostino. Carlo Malatesti verso il 1404 riedifica alla Colonnellina in centro città l’ospedale di Santo Spirito (sorto all’inizio del XIII secolo fuori di Porta Romana), con annesso oratorio; e ne affida i possedimenti ai frati di San Lorenzo in Monte, "ai quali poco appresso [1420, n.d.r.] succedettero i Monaci Olivetani di Scolca".

L’Ospedale della Misericordia è sorto nel XIV secolo lungo il Corso d’Augusto, all’angolo con la strada tuttora detta di Santa Maria in Corte, davanti alla chiesa dei Servi. Del complesso edilizio fa parte anche la chiesa (attualmente sconsacrata) di Santa Maria ad Nives che, rinnovata nel XVIII secolo, chiusa nel 1809 e riaperta nel 1814, "ebbe sotto cura l’antico suo Spedale, oggi [1880, n.d.r.] ad uso delle invalide, le sale di maternità, le Esposte, che abitavano il locale oggi Lazzaretto presso la Chiesa di S. M. in Corte, ed altre adiacenze; non che l’Ospedale grande degli infermi, tuttoché posto nel luogo che fu de’ Gesuiti". [1]

Nel Sito Riminese, storia della nostra città apparsa nel 1616, Raffaele Adimari scrive: l’"Hospitale della Misericordia", pur avendo "buonissima intrata di molte possessioni […] nondimeno è aggravato di tanta spesa, che li bisogna fare, nel governare li poveri ammalati, e far nutrire a Balie tanta quantità di creature, che li sono portate non solo dalla Diocesi, e Territorio Riminese: ma fino dall’Alpe, e altri luochi lontani, che arrivano, e passano alle volte due centenera di creature havendone poi anco cura, e mantenendoli dopo, che sono grandi i Maschi, facendone imparar’arte, e le Femine maritandole con dote conveniente: sì che à pena quell’intrata grande, c’hanno, può supplire a sì grave spesa".

Aggiunge Adimari : "Ultimamente è stata introdotto da pie, e devote persone, la santa, e pia opera, di raccogliere li poveri Orfanelli, e Orfanelle della Città, e Diocesi, somministrandoli il vito, e Maestri, che nè abbino cura, e li è stata concessa l’Habitatione dall’Hospitale della Misericordia, à quali concorrono assai elemosine per la lor soventione". [2] Ancor oggi sulla facciata della chiesa di Santa Maria ad Nives, esiste la buca usata allora per introdurre, come dice l’iscrizione incisa su marmo, "Elemosine e Resti all’Hospitale M[isercordia]".

Adimari racconta una situazione sociale che troviamo documentata già nelle nuove Constitutioni dell’Hospitale della Misericordia della Città d’Arimino del 1584, che riformano, per opera del vescovo Giovanni Battista Castelli, quelle "antiche puoco osservate", come si legge nell’introduzione. Negli ultimi tre capitoli si parla dei putti e delle putte "che all’Hospitale dall’impietà o necessità de parenti" sono "giornalmente" esposti alla sua "rota". [3] I maschi, se hanno età inferiore a tre anni, vengono affidati alle balie. Giunti ad "età conveniente", sono avviati ad "imparare qualche essercitio" per uno o due anni.

Per le "putte" si prevedono lunghe preghiere al mattino ed alla sera. Mai esse potranno recarsi "nella casa dell’hospitale". A dodici anni, possono venir mandate a servizio, ricevendo un salario "per poterle maritare", a meno che non decidano di farsi monache. Comunque, "per maritarsi, o monacarsi", ogni giovane riceverà una dote in soldi e cose utili per la famiglia, in quantità che può variare da caso a caso, su delibera (con i tre quarti dei voti) della Congregatione dell’Hospitale. Se poi, sposatasi, la giovane dovesse rimanere vedova ed in povertà, potrebbe essere accolta "in una delle case dell’Hospitale", dove dovrà osservare vita "casta, e onesta". [4] Rigidamente separati debbono vivere le balie e gli altri uomini "se non quelli officiali", cioè gli addetti ai vari servizi.

Nel 1674 l’Ospedale della Misericordia è eretto in corpo morale. Nel 1762 il vescovo di Rimini card. Ludovico Valenti dà per ospiti soltanto "Figliuole", ipotizzando una futura presenza di maschi "se riguardo a questi si ritornasse al sistema antico". [5]

I "Soprintendenti alla Dispensa, e governo delle Figliuole della Casa" (che nello stesso 1762 sono i nobili Gaudenzo Zanotti e Cesare Agolanti), debbono avere "occhio, che la Maestra ne tenga buona cura, e loro insegni gli esercizj femminili, punendo quelle, che non saranno ubbidienti, e perciò procurino d’andar spesso alla visita delle medesime, osservando ancora, che non facciano vanità di ricci, balzi, o altre cose simili, ma vadino modeste, e secondo il loro povero stato". [6]

Il clima culturale e pedagogico che le "Figliuole" respirano a Rimini nell’Ospedale della Misericordia, non sembra aver nulla in comune con quello che, nello stesso secolo, caratterizza a Venezia l’Ospedale della Pietà dove, ad esempio, le orfanelle e le figlie naturali vengono educate anche alla musica con maestri come Antonio Vivaldi. [7]

Nelle pieghe delle questioni politiche e militari della prima metà del secolo XIX, scivolano inosservati i problemi sociali dell’infanzia (e delle fasce più deboli della popolazione), mentre ferve il dibattito pedagogico che ai temi illuministici oppone talora una restaurazione anche in campo filosofico e religioso, e talaltra una posizione più moderata di ispirazione cattolico-liberale. [8]

Nel 1805 proprio a Rimini viene edito un trattato di Domenico Antonio Mandini, dedicato ai problemi medico-pedagogici della fanciullezza, nella cui introduzione si legge: "L’Infanzia esser dovrebbe uno de’ più interessanti oggetti di qualunque Governo: su d’essa stendere si dovrebbero le provvide viste degli attenti Magistrati: dal trattamento di essa dipende l’oggetto principalissimo della popolazione, la quale poi determina il più, o il meno dell’industria, del commercio, e della sicurezza dello stato". [9]

Nella Costituzione della mazziniana Repubblica Romana del 1849, tra gli otto "principî fondamentali" c’è il terzo che stabilisce, come scrive lo storico Candeloro, "un generico impegno programmatico di carattere sociale": "La Repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini". "Un altro principio da aggiungere a questo, socialmente più impegnativo: "La Repubblica deve, secondo i limiti dei suoi mezzi, assicurare la sussistenza dei cittadini necessitosi procurando il lavoro a quelli che non hanno altro modo di procacciarsene e fornendo sussidi a coloro che non ne possono avere della loro famiglia e che sono impotenti al lavoro"", era stato proposto da Quirico Filopanti, ma non venne posto neppure in discussione perché considerato "socialista". [10]

Due anni prima, nel 1847, Antonio Rosmini ha pubblicato il Saggio sul comunismo e sul socialismo, in cui sosteneva che le nuove forme borghesi della libertà economica e del diritto di proprietà dovevano essere permeate del sentimento cristiano di carità nei confronti dei ceti più disagiati. [11]

Ha osservato il prof. Giorgio Cosmacini [12] in una interessante storia della Medicina italiana: "Alla clericalizzazione e legalizzazione della società civile corrispondeva simmetrica, ancora a metà Ottocento, una medicalizzazione che era altrettanto organica a un sistema sociale a suo modo ordinato ed equilibrato, fondato sull’etica del consenso disciplinato nel quale l’esigenza di salute, al pari dell’indigenza che spesso stava alla sua radice, era vista più come il prodotto inevitabile di una fisiologica disparità, assegnante al malato il posto che gli competeva nella scala gerarchica dei bisogni e dei beni, che come la conseguenza evitabile di una patologica disuguaglianza, che faceva scontare in termini di malattia tutta una serie di insufficienze -igieniche, alimentari, abitative, lavorative- che erano prima di tutto carenze di ordine economico".

Nel 1891 l’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII reca al cap. 11: "Certo, se qualche famiglia si trovi per avventura in sì gravi distrette che da se stessa non le sia affatto possibile uscirne, è giusto in tali frangenti l’intervento dei pubblici poteri, giacché ciascuna famiglia è parte del corpo sociale". [13] Leone XIII, come scriverà papa Roncalli, "parlò in anni di radicali trasformazioni, di accesi contrasti e di acerbe ribellioni". [14]

Durante il governo della Sinistra (1876-87), dopo il varo della legge Coppino (1877) sulla obbligatorietà dell’istruzione elementare per un biennio, viene abolita (1880) la tassa sul macinato introdotta dalla Destra nel ’69, e si allarga il suffragio elettorale (1882) dal due al sette per cento della popolazione. È deliberata nel 1877 l’inchiesta agraria (condotta poi dal conte Stefano Jacini), la quale "non diede l’avvio a quelle riforme che la particolare situazione critica della campagne italiane richiedeva". [15]

Le informazioni raccolte nel Riminese per l’inchiesta Jacini sulle "condizioni dell’agricoltura e della classe agricola", recano tra l’altro: "Non si creda che il lavoro sopportato dalle donne e dai fanciulli sia tanto grave da poter nuocere alla loro salute. […] Le donne e i ragazzi provveggono l’erba per le bestie, e fanno altri lavori ad essi convenienti". È la risposta al punto del "programma questionario" dove si chiede "se il lavoro sopportato dalle donne e dai fanciulli sia tanto grave da poter nuocere alla salute loro", e in "che ragione sta il lavoro femminile e quello dei ragazzi con quello esercitato dai maschi adulti".

Un altro punto si sofferma sul baliatico e sulla mortalità infantile: "Il baliatico è in uso nelle città e nei paesi, ove si cercano per lo più donne di campagna per far allevare i bambini. Rarissime sono le contadine che diano a balia i propri figliuoli. La mortalità dei bambini è maggiore almeno di un terzo e forse anche di metà a quella degli adulti". [16]

La contro-indagine di Agostino Bertani, deputato della Sinistra e vicepresidente della Giunta incaricata dell’inchiesta, si sofferma con maggiore attenzione sul problema infantile. Purtroppo disponiamo soltanto delle risposte del Comune di Scorticata, dove leggiamo tra le altre cose che i lattanti sono costretti nelle fasce per circa otto mesi, che non si usa allattamento artificiale, che esiste il baliatico mercenario (senza "disordine sia rispetto alla moralità, sia rispetto all’allevamento dei propri figli, sia per le malattie contratte"), e che i bambini cominciano a prestare le loro opere nei campi all’età di sette anni, astenendosi soltanto dal vangare e dal guidare l’aratro, soprattutto "nel seno delle proprie famiglie", essendo pochi quelli che vanno "fuori di casa per salario". [17]

Nel 1887 sale al potere Francesco Crispi che, mirando al rafforzamento dello Stato, attua una serie di riforme tra cui quella del 1888 sulla sanità pubblica e quella del 1890 "sulle istituzioni pubbliche di beneficenza o, come ancora comunemente si diceva, sulle opere pie, che sostituì la precedente del 1862". La legge del ’90 istituisce in ogni Comune una Congregazione di Carità, trasformata poi nel 1937 in Ente Comunale di Assistenza. [18]

All’indomani della proclamazione del Regno d’Italia nel 1861, un’indagine statistica sulle Opere Pie aveva registrato per il Comune di Rimini dodici istituti, tra cui l’Ospizio degli esposti, l’Orfanotrofio Pio Felice (fondato nel 1819), le Sacre Stimmate (1826) per orfane miserabili e con scuola per figlie povere, le Orfane abbandonate (1827) per le "fanciulle esposte al pericolo della seduzione", e le Case di ricovero (1808) per fanciulle povere ed orfane. [19] Rimini nel 1861 ha in città 16.552 "anime".

Nel 1866 era stata tolta personalità giuridica ad ordini, corporazioni e congregazioni religiose, trasferendo allo Stato tutti i loro beni. Erano stati lasciati attivi soltanto gli istituti di educazione: a Rimini risultano esser quattro (le monache di San Vincenzo, quelle della Carità, il Seminario ed i Minori di San Francesco). Nel 1880 un’altra statistica aveva informato che a Rimini operavano tredici Opere Pie, delle quali tre sorte dopo il 1861, e riservate a poveri, infermi e zitelle. Nello stesso 1880, tra le spese sostenute dal Comune di Rimini, sono registrate quelle per i sussidi ad orfanotrofi ed asili infantili, e quelle per la "beneficenza" che comprendono i sussidi per baliatico, mentre nulla risulta alla voce "mantenimento esposti e fanciulli abbandonati fuori del brefotrofio". [20]

Sul finire del secolo XIX (il governo Crispi cade definitivamente nel ’96, dopo le parentesi con Di Rudinì e Giolitti tra ’91 e ’93), a Rimini le Opere Pie registrano un incremento del loro patrimonio: "la beneficenza ospedaliera ed elemosiniera e quella degli Orfanotrofi e dei Ricoveri" si è "andata sempre più accrescendo […] sia in estensione, sia in intensità". [21]

[1] Le notizie fin qui riportate e le citazioni testuali, sono tolte dalla Storia civile e sacra di Rimini in sei volumi (nove tomi), iniziata da Luigi Tonini nel 1848, e conclusa da suo figlio Carlo, con il completamento del quinto volume (1880) e la redazione del sesto (1888), ed. anast. Ghigi, Rimini 1971: cfr. il vol. III, p. 276, e pp. 339-341; il vol. IV, 1, p. 277, pp. 279-280, p. 454, p. 456, e p. 459; e il vol. V, 1, p. 96, pp. 301-309 e p. 321. (Cfr. pure V. Tamburini, Pietà e liberalità, La pubblica beneficenza a Rimini, Il Ponte, Rimini 1994, p. 14, e pp. 17-23.) La parte nosocomiale dell’Ospedale della Misericordia fu trasferita nell’ex Collegio dei Gesuiti nel settembre 1800, sotto la denominazione di Ospedale degli Infermi, per rimanervi sino al 1974, quando venne aperta la nuova sede alla Colonnella. Il Collegio dei Gesuiti, dopo la soppressione dell’Ordine (1773), venne concesso al Seminario, con la condizione che vi si dovessero tra l’altro esercitare le "opere pie"; poi fu venduto nel 1796 ai Padri di San Domenico, prima di diventare sede degli Infermi. (Cfr. Tonini, op. cit., V, 2, p. 486; VI, 1, p. 699; V. Tamburini, op. cit., p. 27, p. 37 e p. 86.) Sull’Ospedale della Misericordia del Borgo San Giuliano, cfr. il saggio omonimo di V. Cornacchia del 1957 [BGR, 13. MISC. CCLXXIX. 37]. Un ospedale "degli infermi" è attestato già nel 1215, mentre nel 1239, a proposito di quello di Santo Spirito, si parla di "pauperum infirmorum" (cfr. Tonini, op. cit., III, pp. 338-339). La chiesa detta Colonnellina (antico Monastero degli Angeli), si trovava all’incirca verso l’anfiteatro. Nel 1468 è ancora presente l’ospedale dei Crociferi alle Celle, documentato sin dal 1164 (Tonini, op. cit., II, 423-424).

[2] R. Adimari, Sito Riminese, Bozzòli, Brescia 1616, libro I, pp. 131-132, ed. anast. Forni, Bologna 1974. C. Clementini riprendeva l’argomento nel Trattato de’ Luoghi Pii e de’ Magistrati, Simbeni Rimini 1617, p. 14 [BGR, BQ 513]. Cfr. pure Tonini, op. cit., VI, 2, p. 562. All’inizio del 1600, esisteva in Rimini il "Podestà de i Pupilli", "salariato acciò non habbia pigliar sportole" [compensi]: cfr. R. Adimari, op. cit., II, p. 3.

[3] L’opuscolo fu edito da Giovanni Simbeni nello stesso 1584 [BGR, 7. B. V. 2]. Le citazioni sono tolte da p. 3 per l’introduzione, e dalle pp. 24-29 per la descrizione dell’assistenza ai fanciulli. (Cfr. V. Tamburini, op. cit., pp. 28-30.) Sulle Constitutioni osserva lo storico A. Turchini in Clero e fedeli a Rimini in età post-tridentina, Herder, Roma 1978, p. 148: "[…] si cercò di sottomettere completamente alla giurisdizione vescovile anche ciò che spettava all’amministrazione dei Comuni, suscitando una certa opposizione". All’Hospitale riminese venivano inviati anche i fanciulli esposti dai comuni vicini (ib., p. 150).

[4] Nel 1786 troviamo una Casa dello Spedale nella stessa parrocchia di S. Maria in Corte; e numerose "case di vedove" che ospitavano complessivamente 108 "anime". Cfr. la perizia di Giuseppe Valadier sul terremoto del 25 dicembre 1786 in ASR, AP 619, riportata in E. Guidoboni-G. Ferrari, Il terremoto di Rimini e della costa romagnola: 25 dicembre 1786, SGA, Bologna 1986, pp. 235-293. Sull’argomento per il XVI sec., cfr. Tonini, op. cit., VI, 2, p. 564.

[5] Cfr. Capitoli del venerabile spedale della Misericordia della città di Rimino, Albertini, 1762, p. 14 [BGR, 7. H. II. 73, op. 1]. Questo passo potrebbe spiegare una notizia di Tonini (op. cit., VI, 2, pp. 563), che parla dell’Ospedale delle Esposte che "fu nell’area Ducale di S. Maria in Corte dal 1577 al 1865", differenziandolo dal ricordato Ospedale degli Esposti. A proposito del titolo della Chiesa di Santa Maria ad Nives, Tonini (op. cit., IV, 1, p. 459), scrive che esso "pare esser stato proprio" di un Orfanotrofio S. Mariæ ad nives, citato dal bibliotecario Giuseppe Malatesta Garuffi nel 1708, "distintamente da quello S. Mariæ de Misericordia Hospitale Expositorum". In altra parte (op. cit., VI, 2, pp. 562-563), Tonini nomina Gli Orfanelli e L’Ospedale degli Esposti. Per gli Orfanelli rimanda al passo di Adimari, che abbiamo riportato ("la santa, e pia opera, di raccogliere li poveri Orfanelli, e Orfanelle" in abitazione concessa "dall’Hospitale della Misericordia"): quindi essi non sarebbero un’istituzione autonoma, ma rientrerebbero nella medesima struttura dell’Hospitale della Misericordia. Lo stesso può ritenersi per gli Esposti, in base a quanto si legge nelle parti sopra riprese dalle citt. Constitutioni del 1584.

[6] Cfr. p. 15 dei citt. Capitoli. I "balzi" sono guarnizioni dei vestiti.

[7] Antonio Vivaldi (1678-1741) nel 1703, anno in cui è ordinato sacerdote, inizia la sua attività di maestro di violino e compositore presso l’Ospedale della Pietà che lascerà definitivamente nel 1740 per recarsi a Vienna, dopo un’interruzione tra 1718 e 1720, quando fu a Mantova. A Venezia questa attività di educazione musicale verso le ragazze orfane o illegittime, caratterizza anche gli altri tre ospedali esistenti a quel tempo (l’Ospedaletto, gli Incurabili ed i Mendicanti). Tra le ragazze più dotate "venivano scelte le ‘figlie del choro’, che erano sottoposte a un’istruzione musicale intensa e severa, vocale e strumentale, e si esibivano poi in pubbliche esecuzioni nelle chiese annesse agli stessi Ospedali". Cfr. I maestri immortali della musica classica, Vivaldi e l’Ospedale della Pietà, De Agostini, Novara 1996, pp. 145-146.

[8] Cfr. E. Codignola, Il problema dell’educazione, III, La Nuova Italia, Firenze 1956, pp. 118-123; G. Candeloro, Dalla Restaurazione alla Rivoluzione nazionale, "Storia dell’Italia moderna", II, Feltrinelli, Milano 1958, pp. 135-144. Per le Opere Pie riminesi tra 1837 e 1859, cfr. V. Tamburini, op. cit., pp. 38-39.

[9] Cfr. D. A. Mandini, L’Infanzia, Marsoner, Rimino 1805, p. 3. Mandini è qualificato nel frontespizio come "pubblico professore, accademico dell’Instituto delle Scienze e medico dello Spedale Azzolini detto della Maddalena". La parte conclusiva del suo "trattato" (da p. 142), è dedicata alle "Riforme necessarie nel Governo Fisico e Morale dell’Infanzia", con ampi riferimenti di storia della pedagogia.

[10] Cfr. G. Candeloro, La Rivoluzione nazionale, "Storia dell’Italia moderna", III, Feltrinelli, Milano 1960, p. 457. Quirico Filopanti era lo pseudonimo dello scrittore bolognese Giuseppe Barilli (1812-1894).

[11] Antonio Rosmini (1797-1855) vide nel 1849 messe all’Indice due sue opere, La costituzione secondo la giustizia sociale e la più celebre Le cinque piaghe della Santa Chiesa. Nella Costituzione, Rosmini giustifica il principio secondo cui il diritto di voto spettava soltanto a coloro che avevano proprietà e pagavano imposte dirette allo Stato. Rosmini paragonava il suffragio universale al "pareggiamento di tutte le proprietà", cioè al comunismo. (Cfr. G. De Ruggiero-F. Canfora, Breve storia della filosofia, III, Laterza, Bari 1965, pp. 165-173.) D’altro canto, riconoscendo che tutte le persone sono portatrici di un valore etico-religioso, ogni uomo deve rispettare gli altri: in tale modo dal dovere deriva il diritto. (Cfr. G. Reale-D. Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, III, La Scuola, Brescia 1983, pp. 211-218.) Rosmini fondò una congregazione maschile (Istituto della Carità) ed una femminile (le Suore della Provvidenza, incaricate dell’educazione infantile in asili, scuole elementari, orfanotrofi).

[12] G. Cosmacini, Medici nella storia d’Italia, Laterza, Bari 1996, pp. 71-72.

[13] Cfr. Rerum Novarum, Sulla questione sociale, Lettera enciclica di S. S. Leone XIII, Ed. Paoline, Roma s. d., p. 8.

[14] Cfr. Mater et Magistra, Lettera enciclica di S. S. Giovanni XXIII sui recenti sviluppi della questione sociale, Ed. Paoline, Roma 1961, p. 4.

[15] Cfr. G. De Rosa, Storia e società, III, Minerva Italica, Bergamo 1985, p. 86.

[16] Cfr. in C. Catolfi, L’inchiesta Jacini in Romagna, I materiali inediti del Riminese, Maggioli, Rimini 1990, p. 208. È la relazione "Curio" del 26 dicembre 1879. ("Curio" è uno pseudonimo, forse di don Giovanni Trebbi, noto parroco di Spadarolo e "curione", cioè sacerdote della Curia di Rimini: cfr. ib., p. 23.) A proposito dell’Ospedale di Rimini, al questionario dell’inchiesta si risponde che esso "non esiste" (ib., p. 45, nota 86). Sul "programma questionario", cfr. ib., p. 274.

[17] Cfr. C. Catolfi, op. cit., p. 12 e p. 284. Bertani "l’uomo politico già intrinseco di Mazzini e Cattaneo, difensore della Repubblica romana, organizzatore della spedizione dei Mille e segretario del Dittatore a Napoli", come vicepresidente "della giunta incaricata dell’inchiesta agraria" si batté "per il risanamento igienico-sanitario delle plebi rurali" (cfr. G. Cosmacini, op. cit., p. 112).

[18] Cfr. G. Candeloro, Lo sviluppo del capitalismo e del movimento operaio, "Storia dell’Italia moderna", VI, Feltrinelli, Milano 1970, p. 351. Per la legge del 1862, cfr. Id., La costruzione dello Stato unitario, "Storia dell’Italia moderna", V, Feltrinelli, Milano 1968, p. 217. La prima Congregazione di Carità a Rimini risale al 19 novembre 1859 (cfr. Il calendario della pietà pel 1931, p. 4)

[19] Cfr. A. Tonelli, Assistenza e promozione sociale, in "Economia e società a Rimini tra ’800 e ’900", Cassa di Risparmio di Rimini, 1992, pp. 365-366. (Della stessa autrice, si può vedere anche il saggio Condizioni di vita, alimentazione e salute a Rimini dopo l’Unità, in "Storie e storia", a. IV, n. 7, aprile 1982, pp. 157-167). Cfr. pure V. Tamburini, op. cit., p. 39.

[20] Cfr. A. Tonelli, op. cit., p. 351, pp. 413-414, p. 367. (Sulle monache di San Vincenzo, quelle della Carità, il Seminario ed i Minori di San Francesco, cfr. pure ib., p. 351, ove si riferiscono le risposte ad un’inchiesta del 1895.)

[21] Cfr. A. Tonelli, op. cit., p. 352. Sono parole del presidente della Congregazione di Carità Luigi Bianchini, relative al quadriennio 1899-1902.

 

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