Dopo essere stato alla visita del militare e dopo che mi hanno detto che
ero rivedibile per problemi psicologici non potevo fare alto che consolarmi
comprandomi il mio regalino di natale… e che regalino!!!!
Mi ero immaginato che dopo il grandissimo mcd God box (che anticipava
proprio l'uscita di questo dico) i Breach si sarebbero evoluti ancor più ma
questo lavoro mi ha lasciato senza parole!!!
Il disco si apre con la strumentale "Big strong boss" ma non aspettatevi
un pezzo come "Valid" o "Kill the sun". Il brano nasce da una ritmica tribale
sulla quale si incastrano le tipiche chitarre alla Breach fino all'inserimento di batterie elettroniche, synth e una scansione ritmica della
batteria secca e precisa quasi fosse una drum machine...
Ma non crediate che i Breach si siano ammosciati perché la seguente "Old
ass player" è una mazzata incredibile tipica dei nostri svedesi; solo che qui
risulta ancora più... Breach!!! Piccolo intermezzo strumentale solo per
chitarra e voce (ma poi dove è la voce???) prima che "Alarma" ci distrugga
completamente nei suoi appena 3 minuti di monoliticità e pesantezza. Si
prosegue con "Lost crew" dove riaffiora una certa influenza rock
svedese. Posta precisamente a metà del disco c'è "Teeth out", interminabile
nenia strumentale che nasce, cresce, si stravolge e... rimane sempre
uguale!!!! Tutto parte da un minimalissimo riff di chitarra che rimane
inalterato per tutti i nove (!) minuti di durata, al quale vengono aggiunti
via via nuovi elementi (synth, rumori, batteria, chitarra) senza intaccare
minimamente la spettrale melodia di partenza, creando un effetto disarmante!
E quando siamo ormai completamente assorti nella sua allucinante atmosfera,
trasportati in un'altra dimensione, arriva all'improvviso la violentissima
"Breathing dust" che ha il compito di riportarci alla realtà. "Mr. Marshall"
invece è un pezzo veramente assurdo, intenso e pesante dove il testo viene
interpretato quasi fosse una storia raccontata (è un po' difficile spiegarlo a
parole... magari scaricatevelo). Per fortuna dopo tale follia arriva un attimo
di respiro con "Seven", pezzo strumentale che ci culla e fa sognare nella sua
atmosfera dolce e malinconica... ma il sogno si trasforma presto in incubo
perché "Murder kings and killer queens" (già il titolo dice tutto) è di nuovo
un attacco sonoro impressionante sempre nel tipico stile del gruppo. Non
poteva che chiudere il disco "Kollapse", nuovamente un lungo pezzo strumentale
che ci trasporta piano piano verso la fine di questo capolavoro. Se
conoscevate già i Breach e/o siete amanti di gruppi come Neurosis o Isis non
potete far altro che rompere il salvadanaio e fiondarvi all' acquisto... ne
vale veramente la pena.
30/12/01, Kabukiman
Tornano i Breach, vero e proprio orgoglio dell'Europa post-core, da almeno tre album impegnati nella costruzione di musica senza spazi e senza tempo, lontana anni luce dalla statica monotonia di altre derive HC.
E tornano con Kollapse, ennesimo cd per la Burning Heart, contenuto in un semplice digipack grigio/nero (dall'apocalittica grafica minimale, stranamente in tema con i recenti tragici fatti di cronaca) che quasi sicuramente rischierà di deludere - senza alcun dubbio, a torto - quanti si aspettano dai prodi svedesi solo violenti assalti sonori.
Già, perché i Breach cambiano un'altra volta, producendo un disco dove appena la metà dei brani presenta la loro caratteristica voce urlatissima, quasi black metal.
Se però ci si pensa, si tratta di un'evoluzione - azzeccata e formidabilmente sostenuta - più lineare di quanto si potrebbe immaginare: se, infatti, è vero che da certe sonorità del post-punk americano è poi nata quella musica (contraddittoriamente e non uniformemente definibile, come accade spesso con le etichette) che per comodità viene definita post-rock, non dovrebbe troppo stupire che un gruppo che in passato ha saputo arricchire il proprio granitico sound proprio grazie alla lezione di gruppi come Shellac, ora si intrattenga in lunghe composizioni prettamente strumentali.
In una parte dei brani sembra infatti di ascoltare qualcosa di non molto lontano da dei Neurosis impazziti che si mettano a coverizzare i Mogwai. Ma non si tratta semplicemente di un'estensione strumentale e progressiva delle "solite" sonorità del gruppo. A volte, infatti, si apprezzano sfumature addirittura melodiche del tutto inedite, come avviene in parte del primo pezzo, o, più ampiamente, in "Seven" (chitarre pulite tra loro intrecciate e accompagnate dal ritmo di uno djembe). Altre volte, invece, le composizioni sono caratterizzate dall'uso lieve di sintetizzatori e di strumenti altrimenti inusuali per un gruppo simile, come lo xilofono di "Teeth Out", che forse vorrebbe richiamare i Tortoise, ma che acquista, più che altro, un suono veramente inquietante. E alla fine ecco arrivare la lunga "Kollapse", quasi una summa di quanto si è potuto ascoltare nei precedenti strumentali.
L'altra parte del disco, ovvero quella violenta, qualitativamente però non è da meno e, a ben vedere, neppure da un punto di vista dell'innovazione. Presenta alcuni tra i migliori pezzi scritti dal quintetto svedese, dove a volte a cambiare rispetto al passato è la cosa che altrimenti si potrebbe considerare più statica, ovvero la voce: in alcuni passaggi eccola farsi stranamente lamentosa, in altri ancora è ineditamente non urlata, come nella fugaziana "Lost Crew".
Miscela imperdibile, qualità eccelsa: per quanto mi riguarda, insieme a A Sun that Severe Sets, subito seguito da Jane Doe, la migliore uscita del 2001 di hc e derivati.
10/01/02, Marco
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