Karl Marx
(da Cioffi e altri, I libri di diàlogos , vol. E, cit, p.64 sgg.)

Il materialismo storico

La riflessione marxiana sulla storia

La storia balza in primo piano, nella riflessione di Marx, come chiave di lettura necessaria a indagare i fenomeni criticamente, ovvero senza presupporli in modo astratto, e per impostare in modo nuovo il rapporto fra teoria e prassi: l’esigenza di una filosofia che si "realizzi" nel mondo perde infatti il carattere volontaristico che aveva presso i giovani hegeliani, nel momento in cui viene inserita all’interno di una dinamica storica reale.
Il socialismo stesso potrà così venire pensato come risultato di un processo storico. Questo insieme di motivi e di esigenze trova espressione nella concezione materialistica della storia, comunemente indicata come materialismo storico. Tale dottrina si trova formulata nell’ideologia tedesca (redatta da Marx e da Engels a Bruxelles tra l’estate del 1845 e l’autunno del 1846, ma pubblicata solo nel 1932) e nel Manifesto del partito comunista del 1848. A queste due opere faremo ora riferimento.


L’ideologia tedesca: la critica a Feuerbach

All’ideologia tedesca Marx ed Engels assegnano lo scopo di "fare i conti conla nostra anteriore coscienza filosofica": l’opera è infatti un ampio e polemico giudizio critico sulla sinistra hegeliana, in particolare su Bauer, Stimer e, per la prima volta, anche su Feuerbach, nonché sul socialismo tedesco. Ma l’obiettivo finale della critica è rappresentato dall’idealismo hegeliano, affrontato ora sul terreno che gli è più peculiare, la concezione della storia. Ci riferiremo qui solo alla prima parte dell’opera, dedicata alla critica di Feuerbach, dove lo sforzo di autochiarificazione conduce Marx ed Engels a delineare i tratti della loro nuova concezione.
La critica a Feuerbach è di grande importanza per intendere il materialismo storico. Feuerbach è giustamente partito dall’uomo come "oggetto sensibile", ma non lo ha inteso come "attività sensibile", cioè come ente concreto che trasforma il mondo ed è esso stesso prodotto storico delle trasformazioni operate dalle precedenti generazioni. Ne segue, in Feuerbach, una concezione insieme statica e astratta, dove l’astrazione "uomo" non riesce a cogliere la realtà degli "uomini" concretamente operanti. In Feuerbach, insomma, "materialismo" e "storia" restano separati e nemmeno lui, pur essendo andato più in là di ogni altro giovane hegeliano, esce di fatto dal terreno filosofico imposto da Hegel.
Di contro, la concezione proposta qui da Marx ed Engels sostituisce alla categoria di "essenza" o "sostanza" dell’uomo (una categoria che, ricordiamolo, Marx faceva ampiamente operare nei Manoscritti) gli "uomini", che vengono intesi come "individui determinati" che operano in condizioni date, e i rapporti "empiricamente constatabili" con la natura e con gli altri uomini, che essi instaurano nella "produzione della vita materiale".


La coscienza come prodotto sociale

Il primo "presupposto reale" da cui partire è che gli uomini, per vivere, devono soddisfare i loro bisogni primari: dunque la produzione dei mezzi di sussistenza è l’attività fondamentale, la prima "azione storica" e specificamente umana. Questa attività di riproduzione fisica è già una forma di organizzazione del rapporto con la natura, un "modo di vita" determinato che definisce ciò che, entro quel modo di produzione, gli uomini sono. Sulla base di questo primo fondamentale aspetto delle "condizioni storiche originarie", Marx ed Engels ne individuano altri tre, e precisamente: la creazione e la soddisfazione di nuovi bisogni; la riproduzione, e quindi la famiglia, che "da principio è l’unico rapporto sociale"; infine la cooperazione fra più individui, giacché sia la produzione sia la riproduzione istituiscono un rapporto insieme naturale e sociale, cioè tale da implicare determinate forme di relazioni fra gli individui.
Solo a questo punto si può parlare della coscienza. La coscienza sorge dalla necessità del rapporto con altri uomini, è dunque un prodotto sociale che si sviluppa in relazione allo sviluppo dei mezzi di produzione, della popolazione, della produttività, della cooperazione, in una parola di quelle che Marx chiama forze produttive. La coscienza inizialmente si presenta come coscienza "dell’ambiente sensibile immediato"; la coscienza sociale, infatti, è limitata alla dimensione del gruppo, è"pura coscienza di gregge". La formazione di nuovi bisogni, il lavoro e la trasformazione della natura conducono poi al perfezionamento della coscienza naturale e sociale e alla divisione del lavoro. Solo con la divisione fra lavoro manuale e lavoro mentale la coscienza può "autonomizzarsi" dal mondo: essa allora dà luogo alle forme culturali - alla teologia, alla filosofia, alla morale - e può immaginarsi che tali forme siano indipendenti dalle condizioni materiali della vita, "può realmente figurarsi di essere qualcosa di diverso dalla coscienza della prassi esistente".
Delineando questa sorta di "storia originaria" della società e della coscienza, Marx ed Engels forniscono un modello per interpretare le relazioni esistenti, in ogni situazione storicamente determinata, tra le diverse sfere in cui si esplica l’attività umana. L’indicazione metodologica fondamentale è che la totalità dell’essere sociale va indagata a partire dalla sfera della vita produttiva, mostrando i nessi tra questa e i rapporti sociali, politici, giuridici e le produzioni culturali. L’affermazione: "Non è la coscienza che determina la vita, ma è la Vita che determina la Coscienza" è un principio metodologico direttamente contrapposto al modo idealistico di concepire la storia. La coscienza non è un presupposto, ma un’attività fondamentale dell’uomo, le cui diverse forme vengono guadagnate all’interno del processo storico e si manifestano entro condizioni storiche date: in questo senso si può dire che la morale, la metafisica. la religione ecc. "non conservano oltre la parvenza dell’autonomia". Il che non significa che non giochino un ruolo attivo e debbano essere concepite come meccanicamente determinate. Al contrario, Marx ed Engels affermano che proprio la metodologia da loro proposta consente "di rappresentare la cosa nella sua totalità (e quindi anche la reciproca influenza dei diversi lati uno sull’altro)".

 

Ideologia e rapporti di produzione

La separazione fra la coscienza e le condizioni materiali in cui essa si forma costituisce, per Marx ed Engels, la base dell’ideologia. Ideologia è ogni forma di rappresentazione teorica inconsapevole della propria condizionatezza storico-materiale; l’ideologo lavora separando le idee dalle loro radici storiche, autonomizzandole e, al contempo, universalizzando arbitrariamente valori, concezioni del mondo, teorie, che nascono invece dall’intreccio con una situazione storicamente determinata. Questo atteggiamento teorico assolve a funzioni ben precise: esso corrisponde all’esigenza della classe dominante di ogni epoca di presentarsi come classe universale, e dunque di presentare come universali i valori che le sono propri: "Le idee della classe dominante - scrivono Marx ed Engels - sono in ogni epoca le idee dominanti; la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante". In uno scritto assai più tardo, Per la critica dell’economia politica, del 1859, Marx userà il termine struttura per designare l’insieme dei rapporti di produzione esistenti nella società, e dirà che tale struttura costituisce la "base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale". Sul piano della struttura agisce la contraddizione fondamentale che produce il divenire storico, cioè il conflitto tra forze produttive e rapporti di produzione. Da un lato le forme artistiche, giuridiche, filosofiche, religiose, ossia le forme ideologiche sono condizionate dai rapporti di produzione e dal conflitto in essi esistente; dall’altro, sono queste stesse forme ideologiche "che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo". Il materialismo storico si presenta innanzitutto come una metodologia critica antideologica: il suo compito essenziale consiste in un’opera di smascheramento, di svelamento, che non accetta come un dato l’"immagine" e la "rappresentazione" che gli uomini si fanno del loro agire, ma ne mostra l’origine e le motivazioni reali.
Al tempo stesso, esso intende proporre una comprensione della realtà non ideologica, ovvero consapevole della propria condizionatezza storica e orientata non a eludere, ma a ricercare il proprio nesso con la prassi sociale. Il materialismo storico si propone come una comprensione della realtà che nasce nella stessa prassi; è una teoria rivoluzionaria perché comprende i fenomeni collocandosi al loro interno e ne promuove la trasformazione.



II Manifesto: la funzione storica della borghesia

A partire da questa acquisizione, il Manifesto sviluppa una visione dialettica della storia che ha al suo centro il concetto di lotta di classe ("La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi"): tale lotta, che in altre epoche storiche si distribuiva tra più soggetti sociali, nell’epoca presente si svolge tra due sole classi, la borghesia e il proletariato. Marx vede in questa polarizzazione del conflitto sociale il risultato dell’azione della borghesia, della quale non solo rifiuta ogni condanna moralistica, ma anzi riconosce l’insostituibile funzione storica. La borghesia "ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria": essa non solo ha enormemente sviluppato le forze produttive, creando "ben altre meraviglie che le piramidi d’Egitto, gli acquedotti romani e le cattedrali gotiche", ma ha inaugurato un’epoca in cui alla conservazione del modo di produzione si sostituisce il suo continuo rivoluzionamento: "La borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali". Anche il piano dei valori e dei costumi ne è risultato sconvolto, investito da un’opera di laicizzazione che ha finalmente costretto gli uomini "a considerare con occhi liberi da ogni illusione la loro posizione nella vita, i loro rapporti reciproci". Ma, soprattutto, la borghesia ha unificato il mercato mondiale, ha reso il concetto autarchico di nazione inservibile di fronte "all’universale dipendenza delle nazioni l’una dall’altra", ha concentrato i mezzi di produzione, la popolazione, la proprietà, e quindi anche il potere politico.


La contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione

La borghesia è cresciuta nel seno della società feudale sino a che lo sviluppo delle forze produttive non ha reso i rapporti di proprietà feudali vere e proprie "catene" da spezzare per via rivoluzionaria (pensiamo, per fare un esempio, ai vincoli di divisione e alienazione della proprietà terriera o a quelli imposti dal regime corporativo alla libera concorrenza). Un processo analogo sembra a Marx in atto nel presente: da un lato, le ricorrenti crisi economiche indicano che le forze produttive sviluppate dalla borghesia risultano "troppo potenti" per i rapporti di produzione esistenti: e gli stessi strumenti utilizzati per fronteggiare le crisi (distruzione di ricchezza, maggiore sfruttamento intensivo ed estensivo dei mercati) non possono che preparare "crisi più estese e più violente". Dall’altro, la borghesia stessa ha creato la sua classe antagonista, il soggetto di una nuova rivoluzione sociale: il proletariato. La dipendenza assoluta del proletariato dal capitale, lo sfruttamento, 1’ alienazione nel lavoro crescono con lo sviluppo stesso delle forze produttive borghesi? la crescita quantitativa del proletariato diventa crescita della contraddizione in cui esso è immerso e della coscienza ditale contraddizione; unificando i mercati e centralizzando il potere, la borghesia stessa provoca la formazione di una classe sempre più unificata e in grado di lottare per la conquista del potere su scala planetari a. Perciò Marx può dire che solo il proletariato "è una classe veramente rivoluzionaria" e che "i proletari possono impossessarsi delle forze produttive sociali soltanto abolendo il loro modo di appropriazione attuale e con esso l’intero attuale modo di appropri azione".
Il materialismo storico consente ora a Marx di riproporre con nuova fondatezza storica quell’intuizione circa il proletariato come classe gravata da "catene radicali" risalente al 1843; e lo stesso si può dire della sua visione del proletariato quale classe antagonistica creata dalla stessa borghesia e destinata a sopprimerla inevitabilmente.


II programma comunista

Partendo da tali basi teoriche il Manifesto delinea i compiti dei comunisti, che rappresentano non un partito distinto dagli altri, ma "la parte più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi", e il loro programma, centrato sull’abolizione della proprietà privata; abolizione non della proprietà in generale, ma della proprietà borghese, della proprietà connessa al capitale come "potenza sociale", cioè come forza capace di determinare l’intero modo di produzione e i rapporti sociali in esso esistenti: "Il comunismo non toglie a nessuno la facoltà di appropriarsi dei prodotti sociali: toglie soltanto la facoltà di valersi ditale appropriazione per asservire lavoro altrui". Il programma prevede la conquista del potere politico da parte del proletariato, seguita da una fase di accentramento del potere statale nelle mani della classe rivoluzionaria come "necessario punto di passaggio per giungere all’abolizione della distinzione in classi" (dittatura del proletariato). Poiché tuttavia il potere politico "è il potere organizzato di una classe per l’oppressione di un’altra", con la vittoria del proletariato e con il superamento della divisione in classi "il potere pubblico perderà il carattere politico". Così il Manifesto delinea il progetto di società che dovrà nascere dalla rivoluzione proletaria: "Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e con i suoi antagonismi di classe subentra un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti". Un progetto che ambisce a distinguersi nettamente dalle dottrine socialiste e comuniste elaborate sino a quel punto, in quanto si fonda non su ideali etici, ma su un’analisi oggettiva della dialettica storico-sociale e si configura come autoemancipazione di una classe determinata, il proletariato rivoluzionario.


I punti chiave

  • Quale critica Marx rivolge a Feuerbach e alla filosofia contemporanea tedesca in generale?
  • Che cos’è la concezione materialistica della storia? Quali sono i suoi presupposti teorici?
  • Che cosa intende Marx parlando di "ideologia"? Il materialismo storico, nella sua visione, è un’ideologia?
  • Quale concezione della storia emerge nel Manifesto? Qual è il rapporto fra borghesia e proletariato? Come delinea qui Marx l’avvento della società comunista?






  • Marx: Biografia
    Marx: Gli scritti giovanili
    Marx: L'analisi del capitalismo
    Marx: Genesi e destino del capitale
    Marx, Testo: "Lavoro e alienazione"
    Lessico marxiano
    Link del 1° Nucleo
    Link generali
    Link interdisciplinari
    INDICE GENERALE
    HOME