Carlo Lucarelli, Carta bianca, Sellerio, 1996, 315 p. (La memoria)  

Il romanzo

Carta Bianca è l'opera prima di Lucarelli. Unitamente a L'estate torbida e Via delle oche, fa parte di una trilogia in cui si narrano le vicende del commissario De Luca nel periodo compreso tra gli ultimi giorni della Repubblica di Salò e l'attentato di Togliatti.

In un clima in cui si respira tangibile l'imminente crollo del fascismo, il commissario De Luca, da poco trasferito alla questura dalla famigerata polizia politica fascista, si trova ad indagare sull'omicidio di un personaggio di primo piano del regime. L'inchiesta apre degli squarci sul mondo dei gerarchi, sui traffici finanziari e spionistici tra il regime e i nazisti, sulla corruzione di una classe dirigente dai giorni contati.

Il commissario De Luca scopre il colpevole, a conclusione di un tormentato percorso che sposta gradatamente il campo di indagine dal complotto politico al delitto passionale. Per far questo deve però resistere alle pressanti pressioni del potere, il Questore, che intende sfruttare l'omicidio per favorire la propia fazione a discapito dell'altra.

Il romanzo termina con la descrizione della convulsa fuga dei personaggi maggiormente coinvolti con il regime dall'ormai prossimo arrivo delle forze alleate.


Le prime righe

La bomba esplose all’improvviso, con un fragore pazzesco, proprio quando il corteo funebre attraversava la strada. De Luca si gettò a terra, istintivamente, coprendosi la testa con le mani, mentre un pezzo di muro crollava sul marciapiede, coprendolo di polvere. Cominciarono tutti ad urlare. Un Sergente della GNR stese il mitra sopra di lui e sparò una raffica infinita che lo assordò facendo piovere una cascata di coppi rotti sulla strada.

"Bastardi!" gridava il sergente, " figli di puttana! ".

"Bastardi!" gridavano tutti, e sparavano, Guardia Nazionale, Brigate Nere, Decima Mas e Polizia, tutti tranne De Luca, a terra con la faccia nella polvere e le mani aperte sulla testa con le dita infilate tra i capelli. Rimase così un'eternità e solo quando tutti ebbero smesso di sparare e si sentirono soltanto i gemiti dei feriti, allora si alzò sulle ginocchia, spazzolandosi I'impermeabile con le mani e si rimise in piedi.

"Ce la pagheranno!" gli urlò sulla faccia un graduato, afferrandolo per i risvolti del soprabito, "rappresaglia! carta bianca!".

"Carta bianca, sì" disse De Luca liberandosi della stretta isterica che lo stava spogliando, "certo, certo..." e si allontanò in fretta, senza voltarsi indietro, sospirando tra le labbra che sapevano di polvere. Gli faceva male un ginocchio. Pensò "lo sapevo che non dovevo fermarmi a guardare " e voltò l'angolo, mentre i primi camion facevano stridere i freni e i tedeschi saltavano giù a bloccare le strade.

Affondò le mani nelle tasche e si strinse addosso l'impermeabile, perché la primavera tardava a venire e faceva ancora freddo, voltò un altro angolo e contò le targhe sui muri dei palazzi, fino al numero 15. Salì uno dei gradini di ingresso, tornò indietro a guardare di nuovo numero, via Battisti 15, poi entrò deciso. Passò davanti ad un ascensore con la gabbia e il cancello imponente in ferro battuto, e si fermò davanti al lunotto della portineria, ma non c era nessuno. Iniziò a salire una rampa di scale, bianche e pulitissime, come di marmo, un palazzo da signori quello, e per contrasto, passandosi una mano sul mento ispido, gli venne da pensare che era proprio ora di farsi la barba. Al primo piano un uomo gli venne incontro, grosso, con un soprabito pesante e una faccia quadrata da Questura.

"Che è successo?" chiese ansioso, " questa botta là fuori...".

"Un attentato " disse De Luca. "Hanno tirato una bomba ai funerali di Tornago. Ma ora è tutto sotto controllo...".

"Ah be'..." l'uomo scosse la testa, come per dire qualcosa, ma poi fece un passo in avanti e piantò una mano sul petto di De Luca che stava avvicinandosi deciso ad una porta, fermandolo a metà di un passo, con una gamba avanti e un contraccolpo che gli fece male al collo.

"Eilà, bello! Dove credi di andare?".

De Luca chiuse gli occhi, stirando per un attimo le rughe dell'insonnia che gli attraversavano la faccia. Fece "un momento" con la mano destra e con la sinistra tirò fuori dalla tasca una tessera, che il gorilla riconobbe subito, prima ancora di leggere, e impallidì. Stese il braccio nel saluto, sbattendo i tacchi. "Scusate, comandante... se me lo dicevate subito...".

De Luca annuì, e mise via la tessera. "Fa niente" disse, "ma non mi chiamare comandante, non sono più nella Muti, sono commissario. Mi occupo di. questo caso. Chi c'è dentro?".

"Maresciallo Pugliese, della Mobile. E la squadra".

"Niente autorità, giornalisti, parenti...".

"Solo la Questura".

"Bene. Non fare entrare nessuno... tranne me, naturalmente. Fammi passare, per favore".

"Scusate. A disposizione, comandante!".

"Commissario, non comandante, commissario".

"Sì, scusate. A disposizione commissario!".

De Luca sospirò, mentre il gorilla faceva un passo dilato, aprendogli la porta. Entrò in un andito piuttosto piccolo e stretto, in contrasto con l'idea che si era fatto dell'appartamento. A un lato dell'ingresso c'era un tavolino, piccolo e dalle gambe arcuate, con un telefono bianco sopra, e all'altro lato un attaccapanni, stampe alle pareti e in fondo, in un pezzo di stanza incorniciato dal vano di una porta, come in un quadro, c'erano due uomini. Lo guardarono avvicinarsi, uno piccolo e col naso a becco, con un cappello nero, l'altro magro, giovane e con gli occhiali.

"Che è successo?" chiese quello piccolo, con un forte accento meridionale, "una bomba? ".

"Un attentato" ripeté De Luca, "granate al funerale di Tornago".

"Solo granate?" disse quello magro, "sembrava che il fronte si fosse spostato fin qui!".

"Hanno perso la testa e si sono messi a sparare tutti"

Quello magro si sfilò gli occhiali, scuotendo il capo. " Ci sarà scappato il morto, di sicuro. Sono ridotti così male che si ammazzano da soli... E diventato pericoloso anche il funerale di un gera...". Si bloccò, perché quello piccolo, che stava osservando De Luca con gli occhi socchiusi, mentre si avvicinava, gli aveva stretto un braccio, sopra il gomito.

"Io vi conosco a voi" disse, "siete uno della Politica. E un caso vostro, questo qui? Ve lo lasciamo volentieri... vieni, Albertini, ce ne andiamo...".

De Luca alzò un braccio, fermandoli sulla soglia, con un sospiro profondo che era quasi un gemito.

"Quante volte lo dovrò ripetere oggi?" disse, "non sono più nella Politica, sono il commissario De Luca, in forza alla Questura. Mi hanno trasferito ieri dalla Brigata Ettore Muti, sezione speciale di Polizia Politica e non ho ancora i documenti, ma lavoriamo assieme. Mi hanno dato il caso. A posto così?".

L'uomo dal naso a becco si tolse il cappello, chinando il capo. "A disposizione" disse. Albertini invece non disse più nulla.

De Luca entrò nella stanza. Proprio accanto a lui, alla sua destra, c'era un uomo, steso a terra a faccia in su, con un braccio piegato in alto, lungo il muro. Indossava una vestaglia azzurra, di seta, e aveva una ferita larga, scura e appiccicosa, sul petto, all'altezza del cuore. Un'altra, all'inguine, si intravedeva sotto il lembo della vestaglia, macchiata di sangue. De Luca lo guardò a lungo, poi si guardò attorno, le pareti coperte di libri, lo scrittoio col lume di vetro, le poltrone al centro della stanza, il tavolino basso, il lampadario, gli specchi, il tappeto, tutto perfettamente in ordine. Davvero un palazzo da ricchi, quello.

"Chi è?" chiese, tornando a guardare il morto. " Si chiamava Rehinard " disse quello piccolo, Albertini non parlava proprio più.

"E un tedesco?".

"Era un trentino. Cittadino italiano".

"Lo conoscete?".

"No, ho preso il suo portafoglio. Eccolo".


Il commento

Un romanzo dal ritmo rapido ed incalzante, caratterizzato da un frequente utilizzo dei dialoghi diretti. Lucarelli utilizza gli schemi tipici del romanzo giallo, ancorando le vicende narrate ad un contesto storico politico ben caratterizzato.

L'autore si cimenta in questo romanzo dopo avere conseguito la tesi di laurea sulla polizia politica nella Repubblica di Salò. I riferimenti storici si intrecciano continuamente con lo svolgersi della vicenda legata all'omicidio. Il romanzo si apre con la descrizione di un attentato, prosegue con una puntuale descrizione delle faide all'interno del regime tra opposte fazioni, descrive con efficacia lo stato di paura dei personaggi maggiormente coinvolti con il fascismo che vedono il proprio nome indicato su una lista dei partigiani, termina con la descrizione della fuga dei fascisti dall'imminente arrivo degli alleati.

Il risultato raggiunto mi sembra sicuramente degno di nota. La prosa scorrevole e il rapido susseguirsi di continui colpi di scena tengono sicuramente avvinto il lettore sino all'ultima riga.


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