Carlo Lucarelli, L'estate torbida, Sellerio, 1996, 122 p. (La memoria ; 235)  

Il romanzo

La guerra è finita, De Luca è in fuga da Milano e cerca di raggiungere Roma. Nelle campagne di Bologna viene fermato per un controllo da un commissario di polizia di provenienza partigiana. Leonardi, il commissario, riconosce De Luca per averlo precedentemente incontrato durante un corso di scuola di polizia da lui tenuto a Genova. Il fatto che Leonardi gli trattenga i documenti e lo inviti a seguirlo in un casolare vicino ove era avvenuto il delitto di un'intera famiglia preoccupa notevolmente De Luca che non riesce a comprendere le reali intenzioni di Leonardi nei suoi confronti, se questi intenda trattenerlo in ostaggio per aiutarlo nelle indagini ed apprendere il mestiere, o se, invece, intenda consegnarlo alle autorità o, peggio ancora, ai partigiani locali guidati dal temibile gappista Carnera.

Le prime indagini relative all'omicidio fanno subito intuire a De Luca che il delitto è stato maturato e presumibilmente compiuto da partigiani e che Leonardi ne è stato indirettamente coinvolto con Carnera. Alla fine delle indagini, dopo una serie innumerevole di rapidi capovolgimenti di scena, De Luca troverà il colpevole, ma in luogo dei meritati riconoscimenti la sorte gli riserva una spiacevole sorpresa di cui, ovvimente, non voglio privare i possibili lettori. 


Le prime righe 

C'era una mina in mezzo al sentiero. Qualcuno aveva scavato di fianco, scoprendone il bordo ricurvo e lucido e ci aveva piantato vicino un'asta di legno, con uno straccio rosso legato in cima. Aveva scavato anche sotto, appena appena e proprio lì le formiche avevano aperto un buco dall'orlo rigonfio, perfettamente rotondo, coperto da quel tetto di metallo grigio. Seduto su un sasso, col soprabito piegato sulle ginocchia, De Luca, le guardava entrare e uscire dal formicaio, impazzite. Ce n'era una che cercava di salirgli su una scarpa e sembrava che anche lei lo guardasse, sporgendo indietro la testa sul collo inesistente e agitando frenetica le antenne.

"Sentono il temporale" disse una voce alle sue spalle e De Luca si alzò di scatto, con un sospiro spaventato. C'era un uomo, alto, giovane, dai capelli ricci, con un giubbotto di pelle, da aviatore. De Luca notò che era armato perché da sotto spuntava la tela gonfia di una vecchia fondina militare e subito abbassò lo sguardo. L'uomo, invece, lo fissava.

"Lei non è di queste parti, vero?" chiese e De Luca annuì, ansimando, con l'impermeabile stretto al petto. Dovette schiarirsi la voce per rispondere. Era così teso che deglutire gli fece male.

"Sono di passaggio, vengo da Bologna e vado a Roma per questioni di lavoro, ma prima passo da Ravenna dove ho dei parenti" disse in fretta, come se recitasse una poesia. L'uomo sorrise.

"E’ pericoloso passare di qua" disse, "è pieno di mine lasciate dai tedeschi... un bambino ha perso un braccio anche ieri. Posso vedere i suoi documenti?". De Luca mise una mano in tasca, così in fretta che l'uomo portò la mano alla fondina. Tese il braccio, rigido e gli porse la carta d’identità, un rettangolino di cartone nuovissimo, appena piegato da una parte, assieme ad un foglio piegato in quattro. L'uomo li prese e li tenne in mano, senza guardarli. Continuava a fissare De Luca. E sorrideva.

"Lei si chiama?". "Morandi" disse De Luca, pronto, " Morandi Giovanni, fu...".

"Va bene, va bene... Morandi Giovanni... va bene...". Gli porse i documenti ma quando De Luca fece per prenderli tirò indietro il braccio, lasciandolo con la mano a mezz'aria, imbarazzato e smarrito sotto quello sguardo fisso e quel sorriso strano, un po' obliquo, un po' più basso da una parte. De Luca deglutì ancora e si passò la lingua sulle labbra secche.

"E lei chi è?-" chiese di slancio, con la voce che gli vibrò rapida sulla prima e.

"Brigadiere Leonardi" disse l'uomo, "polizia partigiana. Dove l'ho già vista, signor Morandi? A Milano? E’ mai stato a Milano, lei? ".

"Vengo da Bologna " disse De Luca.

"A Milano, nel '43... mai stato a Milano, nel '43?".

"Vengo da Bologna".

"Devo averla vista proprio a Milano, io, nel '43...".

Basta, pensò De Luca, basta, per favore, lasciatemi in pace... invece ripete "Vengo da Bologna" e la voce gli uscì come un lamento.

Leonardi smise di fissarlo. Aprì una tasca del giubbotto e ci infilò i documenti.

"Bene" disse. "Andiamo". Si voltò e fece un passo, ma De Luca non si mosse.

"Andiamo?" chiese rauco.

"La porto in paese. Tra due ore farà buio e lei non può andarsene in giro così, di notte. Ci sono le mine e poi... " guardò De Luca dritto negli occhi, "qualcuno potrebbe prenderla per un fascista che scappa. Ogni tanto ne passano, di qua, cercano di andare a sud attraverso la campagna... ma non ci arrivano mai. Dia retta a me, signor Morandi, torniamo in paese. Per evitare equivoci". E sorrise ancora, obliquo.

Seguirono il sentiero fino alla strada, dove c'era una jeep con una stella americana sul fianco, raschiata per metà e coperta dalla scritta C.L.N., in rosso. Leonardi salì al posto di guida, agile e De Luca si sedette ,.canto a lui, stretto nell'impermeabile, con le spalle curve e il mento quasi appoggiato sul petto. Si sentiva stanco, così stanco che teneva gli occhi chiusi, serrati e si lasciava sballottare sul sedile scomodo dalle buche della strada, senza ascoltare Leonardi che parlava, parlava, guidando deciso, parlava sempre.

"Dirigo la stazione di Sant'Alberto" diceva, "da poco dopo la Liberazione. C'è molto da fare, sa, perché la zona è piuttosto vasta e in quasi sei mesi i carabinieri sono tornati solo íìno a San Bernardino. Certo, in teoria avrei due agenti sotto ma io preferisco fare da solo, anche se a volte, un po' più di esperienza..." lanciò un'occhiata rapida, di traverso, a De Luca, che non se ne accorse. "Perché, vede, questo è un lavoro che mi piace, davvero, mi piace proprio".

La jeep si fermò con uno strattone, all'improvviso e De Luca aprì gli occhi. Il cuore cominciò a battergli forte mentre la stanchezza di prima scompariva subito. Si erano fermati nel cortile di un casolare deserto, dalle finestre sbarrate.

"Perché ci siamo fermati qui?" chiese De Luca, drizzandosi sul sedile. "Questo non è il paese".

Leonardi saltò giù dalla jeep. "Devo fare una cosa" disse tranquillo. "Venga con me".

"Perché?".

"Non voglio lasciarla lì da solo, magari tra poco piove. Venga dentro con me". Si avvicinò e gli tese il braccio, con l'altra mano appoggiata sul fianco, vicino alla pistola. De Luca scese, evitando di toccarlo e lo seguì verso la casa, cercando sempre di restargli dietro, con la paura che lo irrigidiva, tanto che faceva fatica a camminare. Respirava forte, tra le labbra aperte e faceva rumore, ma Leonardi sembrava non accorgersene.


Il commento

Il romanzo prosegue il racconto delle vicende del commissario De Luca dopo che questi, nell'epilogo di Carta bianca, lasciava precipitosamente Milano per sfuggire alla rapida avanzata delle forze di liberazione alleate. La guerra è terminata, ma rimangono dolorosamente aperte le ferite lasciate aperte dal ventennio fascista e, soprattutto, dagli eventi seguiti alla firma dell'armistizio del settembre 1943, con la conseguente lacerante divisione degli italiani, parte con le forze alleate e parte con i nazi-fascisti.

De Luca cerca di fuggire a Roma per evitare di incorrere nell'epurazione e di essere perseguito per il suo passato fascista di comandante della polizia politica fascista.I suoi piani di fuga sono vanificati dall'incontro con un commissario di polizia di provenienza partigiana di un piccolo paese delle campagne di Bologna, che Lucarelli tratteggia in modo estremamente incisivo nei suoi caratteri quotidiani più sanguigni e contradditori.Su questo sfondo, l'autore costruisce una storia contrassegnata da un buon ritmo narrativo e da una crescente tensione che si scioglie solo al momento dell'inatteso epilogo.


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