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materiali didattici - filosofia


RASSEGNA STAMPA


25 MAGGIO 2001

FRANCO VOLTAGGIO
Nel labirinto dell'attimo

 

La natura irreversibile del tempo e la necessità, per averne misura adeguata, di rapportarsi a fenomeni periodici, dunque reversibili. Le "Lezioni Italiane" di Edoardo Boncinelli su "Il tempo e il tempio". Dal tempo delle cose, oggetto primario della fisica, al tempo biologico della vita a quello "interiore", vissuto della coscienza umana

Nel Giardino dei sentieri che si biforcano, forse il più suggestivo dei racconti delle "Finzioni" di Borges, il concetto di tempo è reso con una metafora, quella di un giardino in cui ogni sentiero (evento) si dirama in un altro e questo in un altro ancora, senza che lo spettatore del primo evento riesca a trovarne lo sbocco definitivo e, soprattutto, a tornare indietro sino al momento in cui esso ebbe luogo. Dunque un labirinto senza via d'uscita. Ma l'immagine del tempo non è solo, come in questo caso, circolare. Una sua configurazione spaziale, quale quella della linea retta tracciata dalla traiettoria di un oggetto in moto, rinvia essa stessa al tempo. In un racconto della medesima raccolta, La morte e la bussola, Borges definisce il moto dell'oggetto come un "labirinto invisibile e incessante": la traiettoria rettilinea è fatta di intervalli illimitatamente divisibili, in ciascuno dei quali il mobile è in quiete. Il senso comune e, soprattutto la vista, ci dice che il mobile procede sino a che un ostacolo non interrompe la sua corsa. La ragione per secoli si è chiesta come un mobile potesse trovarsi in quiete in un intervallo - ma quale data la sua illimitata divisibilità? - e poi transitare in un altro. Trascorsa una discreta pattuglia di secoli, Galilei risolse il problema con l'argomento dell'accelerazione all'istante in cui a ogni infinitesimo di spazio corrisponde un infinitesimo di tempo, tale che il corpo si muove accelerando progressivamente la velocità di moto. Galilei "salvò" il fenomeno e con esso il senso comune che ci fa osservare il moto, ponendo tuttavia in evidenza come il vero nocciolo del problema non stesse nello spazio ma nella linearità irreversibile dell'evento di moto, cioè nel tempo. Questa linearità poteva essere calcolata e misurata con argomentazioni controintuitive - quale è il concetto di accelerazione all'istante - ma facendo nel contempo ricorso all'immaginazione che ci invita a fermare l'irreversibilità, ideando infinitesimi in ciascuno dei quali l'evento non procede in altro, in una parola fermando il tempo. In qualche modo Galilei dette voce alla segreta speranza dell'uomo, la speranza di riuscire ad arrestare la temporalità e così a far transitare la propria vita nell'eterno. Un terzo racconto delle "Finzioni", Il miracolo segreto, narra la singolare vicenda di uno scrittore ebreo, Jaromir Hladik che, arrestato dalla Gestapo a Praga nel 1939, viene condannato a morte mediante fucilazione. Hladik, in preda al terrore, passa una di decina di giorni in prigione in attesa di essere fucilato, ripercorrendo le vicende della propria vita e riandando con un'attenzione crescente alle pagine, lasciate nella sua abitazione, dell'incompiuta tragedia I nemici. Alla fine, la mattina dell'esecuzione, chiede a Dio di compiere un miracolo: la concessione di un anno di tempo per portare termine l'opera, sia pure soltanto nella propria mente. Viene condotto nel cortile della prigione, e fucilato. Tra il momento in cui viene messo al muro e la scarica della fucileria trascorre un minuto, che per lui assume però la compatta durata di un anno. Dio ha compiuto il miracolo, un prodigio che consente a Hladik di concludere finalmente I nemici. Perché Dio ha potuto compiere quel che Hladik gli ha chiesto? Perché, in realtà - è quanto sembra suggerirci Borges - un minuto o un anno sono, a fronte dell'irreversibilità del tempo, la stessa cosa.

Quella del tempo è una dimensione assoluta che continua a sfidare ogni calcolo, lasciando però intatte le due aspettazioni umane: quella di calcolarlo, come del resto concretamente e legittimamente si fa, e quella di fermarlo, rendendo reversibile quel che non è reversibile.

Queste riflessioni hanno occupato la nostra mente mentre seguivamo la prima delle "Lezioni italiane" (8-10 maggio) che Edoardo Boncinelli ha tenuto, per la Fondazione Sigma Tau, nell'università di Pavia, su "Il tempo e il tempio", tessendo una sorta di circolo virtuoso tra il tempo delle cose (oggetto primario della fisica), il tempo della vita (della biologia) e il "tempo interiore" (il tempo come vissuto proprio della coscienza umana, uno scenario che si configura come il tempio in cui la temporalità celebra i suoi riti).

Docente di biologia generale e genetica presso l'università "Vita-Salute" San Raffaele di Milano, e, dal prossimo settembre direttore della Sissa (Scuola internazionale di studi superiori avanzati) di Trieste, Boncinelli ha una formazione che risente di molteplici componenti culturali. E', in primo luogo, un fisico e del fisico conserva il rigore dell'attitudine all'osservazione sperimentale e soprattutto l'idea che ogni fenomeno, per intricato che sia, possa sempre risultare suscettibile di una validazione empirica falsificabile. E' questo rigore che lo ha condotto, sulla scorta di un primo tirocinio compiuto a Napoli nell'Istituto internazionale di genetica e biologia fondato da Adriano Buzzati-Traverso, ad alcune scoperte di capitale importanza: la scoperta dei geni hox (39, un'intera famiglia di geni) responsabili dell'architettura del corpo umano e, più di recente, nello studio del sistema nervoso centrale, l'individuazione di quattro geni cerebrali che controllano la suddivisione del cervello e le aree della corteccia cerebrale. Tra la sua formazione di fisico e la sua trentennale attività di ricercatore si inserisce quella di psicoanalista di formazione junghiana - compì il training didattico sotto la guida di Aldo Carotenuto.

Osservata sulla scorta della meccanica quantistica, la vita, un evento altamente improbabile occorso circa quattro miliardi di anni fa, marca con assoluta certezza l'irreversibilità del tempo. Studiare biologia, seguire i processi lineari che conducono dalla nascita alla morte, equivale, sotto questo aspetto, a studiare il tempo nella sua reale essenza, "salvando" nel contempo "i fenomeni", mantenendo cioè lo studio della biologia nell'ambito delle scienze esatte della natura, in una parola fissando un solido rapporto con la big science che tutte le riassume, la fisica. Con la fisica la biologia ha una relazione che corre ad almeno due livelli: al livello cosmologico, giacché la vita, stando a Boncinelli, "rappresenta un gigantesco esperimento di fisica: un esperimento spontaneo, isotermo, sufficientemente lento e che dura da quasi quattro miliardi di anni (...) un esperimento che non ci è costato niente e che si svolge in condizioni perfettamente isoterme e a una temperatura piuttosto bassa, con il vantaggio della relativa stabilità dei suoi oggetti, che possono quindi essere relativamente estesi, e perciò riconoscibili, se non in grado addirittura di riconoscere" (come nel caso delle forme di vita superiori e, in particolare, dell'uomo); al livello dei suoi singoli oggetti, vale a dire di tutti i viventi, che sono entità materiali costituite da altre entità materiali, "tutte obbedienti alle leggi universali della fisica (e della chimica) che si applicano alla materia inanimata".

A questa relativa stabilità si deve probabilmente la possibilità di operare una certa misurazione del tempo. Se, a seguito di un percorso evolutivo, non ci fosse stato l'uomo, dotato di una vita sufficientemente lunga per rammentare, in forza della complessità del suo sistema di relazione (il sistema nervoso centrale o cervello), almeno alcuno dei suoi momenti salienti, la nascita, la crescita, l'invecchiamento, non ci sarebbe stato nessuno a osare l'inosabile: misurare il tempo piegandone la linearità a fenomeni periodici, come l'alternarsi delle stagioni e, soprattutto, del giorno e della notte, scandendo il proprio ritmo biologico sull'incessante e reciproco subentrare della luce e del buio. Cavalcando questo paradosso, l'uomo pervenne, partendo dalla dimensione propria dell'irreversibilità, a trasformare la regolarità della vita in aspetti che dischiudevano la possibilità di eventi regolari e ripetibili, assimilabili a leggi. Fu così che l'uomo pervenne a inventare la fisica, il cui oggetto non sarebbe mai stato indagato se l'uomo non avesse preso le mosse dall'osservazione della materia vivente (come nello ileozoismo dei presocratici). Resta il fatto che la più importante scala temporale dei viventi, l'evoluzione, che procede per progressive "rotture di simmetria", ripropone costantemente, con l'altissima improbabilità dei suoi eventi cruciali, l'incontestabile realtà dell'irreversibilità del tempo che ha il suo evidenziamento più vistoso nelle autentiche novità con cui sovente il biologo, specie il ricercatore interessato ai fenomeni della differenziazione cellulare, si trova alle prese.

Il "teatro" - o "tempio" come ha preferito chiamarlo Boncinelli - in cui si svolge il dramma, antico e sempre nuovo, della misurazione del tempo, è, nell'uomo, la coscienza, la cui natura, in una tradizione millenaria che va da Agostino a Bergson, è identificata con la durata, vale a dire con la percezione del presente. E ancora una volta qui viene in soccorso la fisica che effettivamente consente una misurazione di questo evento in una quantità minima, ma reale, che va dai 25 ai 35 millisecondi. In qualche modo paradossale sembra che, almeno in questo caso, "il tempo si sia fermato" come nel Miracolo segreto di Borges. A "fermarlo", almeno a nostro parere, intervengono tuttavia altri aspetti che invocherebbero un approccio di tipo fenomenologico.

La lezione reale che abbiamo appreso dalle "Lezioni Italiane" di Boncinelli è soprattutto questa: la biologia e la fisica sono strettamente connesse, ma non già nel senso che sia possibile spiegare con un principio unico (un algoritmo universale) il biologico e il fisico. Nel senso piuttosto che tra l'una e l'altra c'è un rapporto di filiazione che scaturisce dalle aspettative e dall'angoscia, squisitamente umana, di fermare, costruendo la fisica, quel che, per definizione, non può esser fermato.