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materiali didattici - religione 1 |
All’interno delle due grandi parti in cui la Bibbia è divisa (Antico e Nuovo Testamento) l’esperienza della malattia e della morte si interseca profondamente all’esperienza del rapporto con Dio.
Il
Cristianesimo, nel suo diffondersi fra le culture pagane, introdurrà alcuni
elementi assolutamente originali: il valore sacro di ogni vita umana creata ad
immagine di Dio, il dovere caritativo di provvedere ai malati e ai poveri, la
possibilità di riconoscere un senso anche alla malattia e alla sofferenza.
In
questa serie di articoli vorrei allora presentare, in maniera che non pretende
certo di essere esaustiva, alcuni spunti di riflessione, nel tentativo di
evidenziare all’interno della Bibbia un ideale percorso su una tematica di
fronte alla quale ogni uomo che cerchi un senso alla propria esistenza non può
alla fine non interrogarsi.
IO
SONO IL SIGNORE COLUI CHE TI GUARISCE |
PER
INVIDIA DEL DIAVOLO
| CERCATE
ME E VIVRETE
| IL
SALARIO DEL PECCATO
| E GESÚ, EMESSO UN ALTO GRIDO, SPIRÒ |
...IO
SONO IL SIGNORE COLUI CHE TI GUARISCE (ES 15,26)
Il tema della guarigione riveste indubbiamente nella
Bibbia un ruolo di primo piano.
Del resto, in ogni epoca e presso ogni società, la salute
è sempre stata uno degli interessi primari dell'uomo o per quanto riguarda il
voler sconfiggere la malattia o per quella ricerca di rispondere al fondamentale
bisogno di riconoscere un senso alla sofferenza, alla fragilità e vulnerabilità
umana.
All'interno di una raffigurazione magica del mondo,
dominato da potenze sovrumane e minacciose, la malattia è apparsa spesso come
un castigo della divinità .
E di questa mentalità antichissima, generatrice di
innumerevoli superstizioni, si ritrovano tracce anche nella Bibbia. Valga come
esempio la domanda che gli stessi discepoli fanno a Gesù incontrando un uomo
cieco dalla nascita:" Rabbì, chi ha
peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco ? "(Gv
9,2).
Certamente nell'Antico Testamento la causa di parecchie
malattie è attribuita al peccato e all'iniquità, ma si sottolinea anche con
forza che Dio "...perdona tutte le
tue colpe, guarisce tutte le tue malattie" (Sal 102,3) perché egli
"risana i cuori affranti e fascia le
loro ferite" (Sal 147).
Proprio nel tentativo di ricondurre tutto a Dio, di fronte
alla paura di forze e potenze che rendono gli uomini schiavi e soggiogati, si
afferma la sua signoria assoluta sulla vita e sulla morte perché "..vedete
che io, io lo sono e nessun altro è dio accanto a me. Sono io che do la morte e
faccio vivere; io percuoto e io guarisco e nessuno può liberare dalla mia mano.
" (Dt 32,39).
L'idea biblica di malattia dunque parte dal fatto che
anche la sfera della debolezza umana che segna il corpo nella sofferenza
appartiene misteriosamente a Dio e non ad una qualunque divinità capricciosa.
In questo senso si inserisce il dramma della sofferenza
innocente potentemente evocato dalla figura di Giobbe per il quale Dio: "
...fa la piaga e la fascia, ferisce e la sua mano risana. Da sei tribolazioni ti
libererà e alla settima non ti toccherà il male..." (Gb 5,18-19).
Sempre per escludere che la guarigione sia vista come una
sorta di pratica che si avvicina più alla magia, anche la figura del medico
è trattata con particolare attenzione, proprio per distinguerla da
"ciarlatani" e "guaritori", e sottolineare che egli guarisce
perché è strumento nelle mani di Dio.
Si legga ad esempio questo testo del Siracide, all'interno
di quella serie di libri dell'Antico
Testamento che vanno sotto il nome di letteratura
sapienziale: "Figlio, non avvilirti
nella malattia, ma prega il Signore ed egli ti guarirà. Puríficati, lavati le
mani; monda il cuore da ogni peccato. Offri incenso e un memoriale di fior di
farina e sacrifici pingui secondo le tue possibilità. Fa’ poi passare il
medico - il Signore ha creato anche lui - non stia lontano da te, poiché ne hai
bisogno. Ci sono casi in cui il successo è nelle loro mani. Anch'essi pregano
il Signore perché li guidi felicemente ad alleviare la malattia e a risanarla,
perché il malato ritorni alla vita. " (Sir 38,9-14).
C'è poi un
testo estremamente importante in Isaia dove la "salvezza" intesa come
"guarigione", ma non solo, dipende da una persona, il servo
che si è caricato delle sofferenze dell'uomo: " ..egli
si è caricato delle nostre
sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è
abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. " (Is
53,4-5).
Proprio questo testo sarà ripreso nel vangelo di Matteo e
attribuito alla figura di Gesù al termine della cosiddetta "giornata di
Cafarnao" (Mt 8,1-16) spesa per guarire un lebbroso, un servo di un
centurione, la suocera di Pietro, molti indemoniati e tutti i malati.
Nell'approfondire la figura di Gesù medico e a
proposito del suo nome (Yéshua= Dio salva), i Padri della Chiesa faranno notare
come "…Gesù secondo gli Ebrei significa salvatore , ma secondo la lingua
greca medico. È dunque chiamato Gesù molto a proposito: questo appellativo gli
appartiene perché salva mentre guarisce".
...PER
INVIDIA DEL DIAVOLO (Sap 2,24)
Guarigioni ed esorcismi caratterizzano centralmente
l’attività di Gesù e sicuramente appartengono al nucleo storico della
tradizione evangelica su di lui.
Prendiamo ad esempio questa affermazione di Pietro:" Gesù
di Nazareth che Dio consacrò in Spirito Santo e potenza..., passò beneficando
e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio
era con lui."(At 10,38)
In particolare le possessioni demoniache indicavano,
secondo quanto veniva interpretato nell’antichità, varie malattie.
Nella rilettura di fede che i vangeli operano, c’è però
un salto qualitativo nel senso che vedendo l’origine della malattia non tanto
in un morbo che può essere spiegato, quanto in una presenza ostile, personale,
com’è quella del demonio, si vuol sottolineare che la potenza del Cristo di
vincere il male fisico è la stessa capacità che gli fa vincere il male che è
nel cuore dell’uomo.
Compito principale della missione del Cristo oltre
l’annuncio del Vangelo, è la certezza che è arrivato il Regno di Dio in
mezzo agli uomini, e questo "regno" lo si dimostra verificabile
proprio nel fatto che il Figlio di Dio vince il male, quello fisico e quello che
è nel cuore dell’uomo, e dunque chi è alla radice dell’ostilità contro
Dio e contro l’uomo, il nemico di Dio e il nemico dell’uomo come ricorda il
testo di Sapienza 2,24: "La morte è
entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli
appartengono.".
Le persone vengono guarite per essere restituite ad una
vita di comunione, ad una vita sociale di rapporti.
Gesù risana perché è venuto a vincere lo spirito del
male che è all’opera nell’uomo.
La vittoria sul male è infatti anche vittoria di quel
male che colpisce l’uomo nella sua integrità e che gli impedisce di rendersi
conto di quello che è.
È nel riportare la persona alla sua verità che Gesù la
guarisce.
È significativo,ad esempio nel vangelo di Marco, che l'
annuncio del Regno, che da subito risuona per la Galilea, si realizzi
concretamente come primo miracolo di Gesù, nella liberazione di un indemoniato
(Mc 1,23-26).
" Sei venuto
per rovinarci "(Mc 1,24b): c’è dunque fin dall’inizio un
"combattimento" perché l’uomo sia libero dal potere di Satana.
In questa ottica si può tentare allora una comprensione
dei "miracoli", e in particolare gli esorcismi che Gesù compie come
manifestazione del nesso inscindibile tra la presenza del Regno di Dio e
l’azione di Gesù stesso come colui che guarisce e salva e dunque libera
dall’oppressione del maligno.
E questa salvezza non riguarda solo "l’anima"
dell’uomo ma anche il suo corpo e quindi tutta la creazione.
Da notare a questo proposito sempre nel vangelo di Marco
il racconto della tempesta sedata sul lago di Genezaret (Mc 4,35-41) che precede
la guarigione dell’indemoniato di Gerasa (Mc 5,1-20): in entrambi i casi una
descrizione efficace dello spodestamento del falso signore del mondo che
disturba e rende schiava la creazione con la sua potenza che ora si esprime
nella bufera ora nella distruzione fisica di un uomo.
In entrambi i casi questa trasformazione dell’uomo e del
cosmo è legata alla persona di Gesù. La salvezza escatologica annunciata e
predicata arriva davvero nella sua persona.
Davvero Satana è scacciato dal più forte, Gesù,
"in virtù dello Spirito di Dio"(Mt 12,28) e questo attesta
l’irrompere del Regno di Dio nella storia del mondo.
Ma condizione essenziale perché sia operata la guarigione
è la fede.
Non a caso è l’assenza di fede (apistia) che impedisce
i gesti di guarigione di Gesù a Nazareth, tanto che leggiamo:"...
non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e
li guarì. E si meravigliava della loro incredulità."(Mc 6,5-6).
...CERCATE
ME E VIVRETE (Amos 5,9)
Imparare a vivere e a morire avviene per l’uomo
dell’Antico Testamento attraverso un percorso lento e faticoso che non ha
certo conosciuto uno sviluppo lineare e armonico.
Nella concretezza del suo esistere l’uomo biblico si
rende conto che la morte fa parte del ritmo vitale dell’esistenza umana così
come di ogni altro essere vivente.
Non è una riflessione da poco se si pensa che egli vive
immerso in un mondo come quello cananaico, dove la morte è una divinità, il
dio Mot .
Morire non significa allora per l’uomo dell'Antico
Testamento cadere nella sfera d’influenza di una qualche divinità, ma è
segno della limitatezza e della caducità umana.
L’espressione "Dio
fa vivere e fa morire" (Dt 32,39; 1Sam 2,6 ecc.) non è dunque
l’affermare il terrore di una creatura che si vede in balia di una divinità
capricciosa ma porre la fiducia che nemmeno la morte sfugge al dominio sovrano
di Dio.
Tutto questo è da mettere in relazione ad un fatto molto
importante e per certi aspetti sconvolgente: il progressivo affermarsi di una
religione monoteistica in un contesto culturale circostante affollato dalle
divinità più disparate.
Ad una lettura superficiale sembra un dato scontato eppure
ha richiesto un grosso approfondimento teologico segnato anche da pesanti
arresti.
L'intera storia d'Israele è posta sotto il comandamento
fondamentale che leggiamo nel libro dell' Esodo: "Io
sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla
condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me.... Non ti
prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo
Dio, un Dio geloso..." (Es 20,2.5).
Se il grande peccato è andare dietro gli idoli e
disconoscere così la presenza del Signore in mezzo al suo popolo, si comprende
allora la particolare intransigenza proprio contro il culto dei morti e tutto ciò
che era in relazione con esso.
Nella radicale demitologizzazione e desacralizzazione
della morte rispetto alle culture limitrofe, se c’è da una parte l’onore
dato al defunto, dall’altra si combatte ogni possibilità di attribuire ai
morti poteri particolari, o un sapere superiore a cui attingere attraverso la
necromanzia che era severamente vietata (Lv 19,31).
Proprio per sottolineare allora quella volontà di
esclusività cultuale a Jahvè, si porrebbero pertanto tutte le espressioni
radicali che vedono i morti addirittura al di fuori dell’ambito della lode
dovuta a Dio (Sal 115,17-18), e come tutto ciò che era cadavere, cioè era
entrato nella morte, rappresentasse il grado estremo di impurità.
La rivelazione di un Dio che vuole stabilire un rapporto personale
con un popolo ben preciso segna profondamente la storia d’Israele.
E il rapporto che lega questo popolo al suo Dio sarà
soprattutto l’obbedienza; tutta la
storia che ne deriva non sarà altro che una vicenda giocata e misurata su di
essa.
L’uomo allora è veramente posto di fronte a due vie:
"obbedienza-benedizione-vita" sono una strada, " disobbedienza-
maledizione-morte" sono l’altra strada.
L’alternativa è chiarissima e il discernimento
richiesto da Dio non ammette ambiguità come possiamo leggere nel libro del
Deuteronomio:"..io ti ho posto
davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la
vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo
alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua
longevità.."(Dt 30,19-20).
...IL
SALARIO DEL PECCATO (Rom 6,23)
La crescita della conoscenza della morte è per l'uomo
dell'Antico Testamento parallela alla crescita della conoscenza del peccato ma
veramente c'è fra i due termini una relazione diretta di causa ed effetto,
tanto da poter affermare, in maniera assoluta che " la morte è il salario del peccato" (Rm 6,23) ?
Peccato e morte in effetti appaiono già collegati fin dai
primi capitoli della Genesi: siamo di fronte all'enigma sconcertante di un uomo
creato per la vita, messo subito alla prova nello spazio della libertà datagli
da Dio e caduto di fronte ad una potenza esterna, il Serpente, dietro al quale
sta l'Avversario del disegno di Dio, colui che vuole il ritorno della creazione
al caos, all'abisso tenebroso senza vita .
Leggendo però con attenzione proprio i cap 3-4 di Genesi
e strettamente uniti tra di loro, ci rendiamo conto di un fatto importantissimo
che Dio cioè, non punisce immediatamente con la morte coloro che trasgrediscono
i suoi comandi.
Del resto la riflessione teologica porterà a proclamare
che Dio "non gode della morte
dell'empio " (Ez 18,32; 33,11) ma che vuole la sua conversione.
E se la morte fosse realmente una punizione non si
capirebbe come mai colpisca indistintamente giusti ed empi, come dalle pagine
bibliche si comincia a riflettere in modo critico su quella "teoria della
retribuzione" per cui una sorte diversa è certamente destinata ai malvagi
rispetto a chi è fedele a Dio, affermata da tanti salmi ma che drammaticamente
il libro di Giobbe sembra mettere in discussione .
Di per sé la morte fisica è vista dall'uomo dell'Antico
Testamento come una necessità biologica a cui tutti gli esseri viventi vanno
incontro, non certo il castigo, la conseguenza del peccato di Adamo voluta da
Dio.
Del resto la prima morte nella quale ci imbattiamo aprendo
le pagine della Bibbia è opera dell'uomo, è un fratricidio (Gen 4) .
C'è in questa vicenda dei due fratelli figli di Adamo,
dell'uomo "tratto dalla terra", una riflessione teologica
importantissima: se la morte è stata creata da qualcuno, questo qualcuno è un
figlio di Adamo, questo qualcuno è l'uomo, non Dio .
Addirittura vediamo che di fronte a Caino ormai
minacciato, debole, divenuto lui, un potenziale Abele, Dio manifesta la sua
protezione, la sua misericordia; Dio solo è il Signore della vita, anche della
vita dell'omicida.
È usurpando la signoria sulla vita, che appartiene
soltanto a Dio, che l'uomo ha conosciuto il peccato sommo, e così facendo ha
inventato la morte, tanto che da allora peccato e morte vivono l'uno dell'altra.
Proprio in quella logica d'obbedienza come risposta
all'Alleanza, a quella comunione di vita che Dio offre al popolo che ha liberato
dalla schiavitù d'Egitto, che ha sostenuto nel deserto, che ha fatto entrare
nella terra promessa, chi vuole procurarsi la vita da solo senza Dio o contro
Dio non solo è peccatore, ma è portatore di morte per gli altri e per se
stesso.
Solo nella conversione a Dio, con il rifiuto di ogni
idolatria, si riceve la vita e si vive pienamente.
Così leggiamo nel profeta Osea:
"Venite,
ritorniamo al Signore... Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà
rialzare e noi vivremo alla sua presenza." (Os 6,1-2).
...E
GESU', EMESSO UN ALTO GRIDO, SPIRÒ (MT 27,50)
Gesù, nato all’interno del popolo ebraico, appartiene
all'esperienza dell'Antico Testamento, ma nella sua vita e soprattutto nella sua
morte si pone come “novità” e risposta definitiva a quel lento cammino di
comprensione che l'uomo biblico ha compiuto faticosamente nel corso di secoli e
che potremmo idealmente situare tra due espressioni che gli evangelisti
riportano proprio nel momento drammatico della sua crocifissione: l'urlo
disperato in Marco " Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato ? " (Mc 15,34b) e le parole piene di
speranza e di attesa in Luca " Padre,
nelle tue mani consegno (affido) il mio spirito " (Lc 23,46b).
In effetti queste due espressioni racchiudono tutta la
vicenda biblica della continua progressione nel tentare di capire il perché
della morte.
In questa storia sia della comprensione umana di quello
che è la morte e il morire, sia della Rivelazione che all'interno della Bibbia
emerge sull'idea della morte, secondo quella "pedagogia divina" (DV15)
che tiene conto delle realtà degli uomini e del loro evolversi, non possiamo
non riferirci alla morte “paradigmatica” per eccellenza, quella di Gesù.
Parlando però della morte di Gesù ci troviamo di fronte
ad una serie di "rischi" in cui è possibile cadere ad una prima
lettura di chi inizi a sfogliare le pagine del Nuovo Testamento e che vanno
tenuti presenti:
- non siamo di fronte ad un "super eroe" che va
incontro alla morte senza temerla.
- non si tratta di una pura conseguenza politica nei
confronti di un "rivoluzionario"
- non va dimenticata la sua funzione "redentiva"
.
E non si può comprendere la morte di Gesù se non si
cerca di capire qual è il valore che egli ha dato alla vita, soprattutto
all'interno di quel trittico " io
sono la via, la verità e la vita " (Gv 14,6) inscindibile nelle sue
parti , quasi una sorta di progetto che egli è venuto a realizzare e che gli
deriva dalla conoscenza particolare che ha di Dio.
Per questo Gesù non ha paura di cedere e non accetta
compromessi di fronte ad un legalismo rituale tale che, per seguire il culto,
dimenticava la misericordia e l'amore di Dio tante volte ricordati dai profeti
dell'Antico Testamento.
Gesù non è distaccato rispetto al dolore altrui;
solidarizza con le persone colpite da un lutto familiare; piange di fronte
all'amico Lazzaro morto (Gv 11,33.35.38)
Da notare che l'evangelista Giovanni non racconta l'agonia
come Marco, Matteo o Luca, ma proprio in questo forte turbamento c'è come un
segno anticipatore, quasi Gesù lucidamente vedesse la sua morte davanti alla
morte dell'amico, reso in così pochi versetti da un concentrato drammatico di
termini ( "...si
commosse profondamente, si turbò ... scoppiò in pianto.
....profondamente commosso..." ).
Il distacco della morte è sempre una lotta tra l'istinto
vitale che è in ognuno e quello che avverrà; questa lotta c'è in tutti e c'e
stata anche in Gesù.
Ecco allora che nell'orto del Getzemani anche Gesù
nell'ora imminente della propria morte
sperimenta il "conflitto" tra la propria volontà
e la volontà del Padre e suda sangue (Lc 22,44).
È l'angoscia del fallimento, di chi muore senza che il
suo annuncio sia stato compreso e senza che i discepoli possano sostenerlo.
Sono talmente scandalose queste pagine della passione che
non può certo reggere la tesi di chi ha sostenuto che si tratti di
un'invenzione della Chiesa nascente.
Eppure sono all'interno della Bibbia quasi a dar voce a
quell'umanità sofferente che da sempre cerca come può una risposta al perché
del male, del dolore, della morte, che non sia sola rassegnazione ad un destino
ineluttabile.
Di fronte a tutto questo il grido di Gesù dalla croce, il
suo capo reclinato, l'affermazione "Tutto
è compiuto" sono come in sintesi l'esperienza di un cammino che Gesù
stesso ha dovuto affrontare: dall'esperienza terribile dell'abbandono di Dio
alla totale obbedienza nell'abbandonarsi in Lui.
Nella riflessione di fede successiva all’evento della
Resurrezione, la Chiesa nascente riconoscerà proprio in quel momento, con
l'ultimo grido di fronte alla morte, che per Gesù e in lui, per tutti gli
uomini di ogni tempo e di ogni luogo, si sono allora realizzate le parole del
salmo: "... Il Signore è mia parte
di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita.... non abbandonerai
la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.
Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza
senza fine alla tua destra. " (Sal 16,5. 10-11).