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PROGETTO "CROCI DIPINTE"
LA CROCE DIPINTA DAL MAESTRO GUGLIELMO A GIOTTO

La ricerca si è concretizzata nell'allestimento di una mostra che si è tenuta presso
l'Educandato della SS. Annunziata il 4 e 5 giugno 2001 e nella realizzazione di un CD rom
che le scuole interessate possono richiedere al Liceo Rodolico, anche attraverso e-mail

Presentazione | Introduzione storico critica | Le "scuole" | Una Croce e una scheda

 

La mostra è stata ripetuta 
- in collaborazione con il locale Museo di Arte Sacra - 
a San Casciano Val di Pesa 
dal 12 al 20 Gennaio 2002

informazioni sulla mostra

 

Presentazione

Il progetto «CROCI DIPINTE» è stato sviluppato a partire dall’anno scolastico 1998/1999 dagli alunni delle allora classi, III A e III B del Liceo Scientifico Niccolò Rodolico di Firenze, ed è stato  terminato durante l’anno scolastico 2000/2001 dalle attuali classi V A e V B. I ragazzi, suddivisi in piccoli gruppi di lavoro, hanno svolto un’operazione di raccolta del materiale, spesso difficilmente reperibile per l’esiguità dei documenti, e per lo scarso interesse dimostrato dalla critica nell’affrontare il tema.

 I risultati del lavoro sono confluiti in questo Cd rom e sono stati presentati in una mostra tenuta presso la Villa del Poggio Imperiale (gc) nei giorni 4 e 5 giugno 2001.

Ha coordinato i gruppi di lavoro degli studenti il docente di storia dell’arte, professore Eduardo Bruno, coadiuvato dall’assistente, Patrizio Lotti.

L’ipertesto è stato realizzato da Andreas Kroeber con una versione “beta” del software “euGenio”, prodotto da G. D’Anna, Casa editrice SpA – Firenze.

L’introduzione è stata curata da Andrea Stiaccini e Lorenzo Bandinelli.

L’individuazione delle scuole di appartenenza e il loro percorso storico è stato curato da Giustino De Michele.  

L’impaginazione dei testi è stata curata da Emanuele Leoncini.

 Andrea Ciani, Matteo Aramini, Cecilia Del Re e Lucia Fagnini hanno realizzato la trasformazione dei testi della ricerca in didascalie per la mostra.

Niccolò Guasti ha realizzato i pannelli iconografici della mostra, elaborato le immagini curandone l’impaginazione grafica.

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Croce dipinta dal Maestro Guglielmo a Giotto

Introduzione storico-artistica

Il fenomeno più rilevante della pittura italiana dell’inizio del Duecento è la diffusione delle croci dipinte su legno o su fogli di pergamena applicate su tavola che raffigurano il Cristo crocifisso e scene della Passione. Queste croci venivano poste nell’arco trionfale o sopra l’iconostasi all’interno delle Chiese.

La più antica a noi pervenuta è la croce della cattedrale del Duomo di Sarzana firmata dal Maestro Guglielmo e datata 1138; attorno ad essa si raggruppano le croci di San Michele, dei Servi, di Santa Giulia a Lucca e altre che formavano il primo nucleo della cosiddetta scuola Lucchese. Su coordinate simili si collocano la nascita della scuola Pisana con la monumentale croce del Museo di San Martino (Pisa) e, successivamente, quella Umbra tra cui è da ricordare Alberto Sotio datata 1187.

Il fenomeno pittorico delle croci dipinte si affermò in tutta Italia, ma due possono essere considerate le scuole principali:

La scuola Lucchese (quella più antica), che si distingue per la sagoma del calice a cui allude la parte inferiore del tabellone; la forma si carica, così, di una forte simbologia della Passione;

La scuola Pisana, che manca della forma a calice, anche se non esclude il ricorso alla simbologia della Passione e della Resurrezione. La sagoma sembra essere dettata da ragioni “funzionali” alla liturgia. La cimasa presenta il clipeo con l’effigie del Cristo Pantokratore (“onnipotente”, composto da pan = “tutto”, “ogni cosa” e da kratos = “forza”, “potere”).

Queste iconografie focalizzano l’attenzione sulla figura dominante del Redentore raffigurato in posa eretta e frontale, ma soprattutto ancora vivo, alludendo in tal modo al simbolico trionfo sulla morte; tale schema iconografico, di derivazione bizantina, viene chiamato Christus Triumphans. Nel XIII secolo sarà sostituita dalla più drammatica rappresentazione del Cristo morto sulla croce. La svolta decisiva avviene nel 1230 con la croce dipinta n° 20, oggi al Museo di San Matteo, a Pisa, che mostra il Cristo sofferente con gli occhi chiusi e il corpo reclinato nel trapasso della morte (Christus Patiens). La novità iconografica viene prontamente raccolta da Giunta Pisano e successivamente nella scuola Toscana da Cimabue, il quale ispirandosi a Coppo, esaspera la drammaticità del Cristo attraverso l’inarcarsi del corpo. In questi nuovi modelli il riferimento alla narrazione evangelica della Passione si riassume nei busti di Maria e Giovanni che vengono posizionati nelle espansioni laterali; con l’eliminazione delle scene della Passione descritte nel tabellone la figura del Cristo rimane così isolata nella sua sofferenza.

La fortuna duecentesca di questa visione umanizzata del Cristo si spiega con l’appoggio degli Ordini Mendicanti, in particolare dei Francescani. A partire dallo stesso fondatore dell’ordine, essi indicano con particolare sensibilità affettiva la realtà terrena del Redentore, ponendo in evidenza il dolore di Cristo in croce, contribuendo in maniera decisiva alla radicale trasformazione dell’iconografia del Crocifisso. Il Cristo trionfante, Signore della morte, si trasforma sulla croce nell’uomo agonizzante straziato nello spasmo del dolore.

Il percorso della croce dipinta, sia nel suo significato liturgico e sia come evoluzione iconografica, si può considerare concluso con la monumentale croce di Giotto in Santa Maria Novella (1296-1300). Qui è abolito il cliché del corpo inarcato, i piedi sono accavallati e forati da un solo chiodo, il corpo naturale, in prospettiva, è, in accordo con le leggi dell’anatomia e della gravità. Giotto in perfetta sintonia con il pensiero francescano, raffigura il Cristo nella sua palpitante umanità, colto nel momento supremo del trapasso.

La croce giottesca si trasforma, così, da oggetto liturgico a severa meditazione sulla terrena e umana morte corporale.

                                                                                                                                      

                                                                                                                      Eduardo Bruno

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PRIMA SCUOLA LUCCHESE

 

Croce di Sarzana, Maestro Guglielmo, 1138

 

L'iconografia è strettamente legata al modello bizantino, e dunque la croce dipinta raffigura un Cristus Triumphans, dunque un Cristo in vita, che vince la morte.

La resa anatomica è piuttosto approssimativa, con dettagli solo accennati, e la posa del Messia è ieratica; da notare come i piedi siano inchiodati separatamente alla croce.

La tecnica pittorica ci rivela che talvolta la figura del Redentore era sbalzata rispetto al disegno della croce o alle scene della passione.

Il tabellone presenta le figure intere della Madonna e san Giovanni con le sottostanti quattro scene della Passione, e termina con una singolare forma a calice; l'intento di questa caratteristica era squisitamente simbolico: stava a significare che il Cristo veniva offerto in sacrificio per la salvezza dei credenti, nell'atto di trionfare sulla morte.

La cimasa, raffigurante una Maestà, e le espansioni laterali, con i simboli dei quattro evangelisti, sono trilobate; questo è un altro richiamo alla simbologia, segnatamente alla Trinità.

 

 

SECONDA SCUOLA LUCCHESE (PRIMA SCUOLA UMBRA)

 

Croce dipinta di Berlinghiero Berlinghieri, 1210-1220

 

Anche questo momento dell'evoluzione della scuola lucchese è caratterizzato da una salda componente conservatrice che comporta uno stretto rapporto con i prototipi bizantini.

Il Cristo, in posa statica ed impassibile, è ancora il Cristus Triumphans dell'Alto Medioevo; gli occhi sono aperti e non mostrano alcuna sofferenza.

L'anatomia è stilizzata e i particolari sono resi grazie a luminescenze ed ombreggiature , in modo tutt'altro che naturalistico; i piedi sono ancora disgiunti.

Si nota però una notevole semplificazione della struttura della croce: lo scopo di questa novità è di focalizzare l'attenzione sulla figura principale, quella del Cristo,  senza disperderla con un eccessivo zelo simbolico e narrativo.

Infatti scompare la trilobazione della cimasa e delle espansioni laterali, nonchè la sagoma a calice del tabellone; anche la raffigurazione diventa più contenuta: a partire dalla Madonna della cimasa, fiancheggiata da due soli Cherubini a mezzo busto, per arrivare al tabellone, in cui scompaiono le scene della passione, per dare spazio alle due figure intere di Maria e S. Giovanni; le espansioni laterali mantengono i simboli dei quattro evangelisti.

 

PRIMA SCUOLA PISANA

 

Croce 120, Maestro Bizantino, 1230

 

L'autore di questa croce viene generalmente detto Maestro Bizantino, anche se poco se ne conosce. Probabilmente si tratta di un artista greco operante in Italia.

Ciò starebbe a significare come anche la scuola pisana fosse legata a modelli orientaleggianti.

Tuttavia va segnalato come questa croce rappresenti una svolta nella pittura italiana: per la prima volta, infatti, ci troviamo di fronte alla raffigurazione non di un Cristo che trionfa sulla morte, ma di un Cristus Patiens, che patisce e muore sulla croce: la figura del Messia ha gli occhi chiusi, il capo reclinato sulla spalla destra, il volto sofferente; l'idea della pietà viene suggerita anche dal fiotto di sangue che sgorga dal costato.

Per la prima volta assistiamo inoltre all'avanzare di una gamba rispetto all'altra e allo scostamento del perizoma, tratti più realistici nell'insieme anatomicamente ancora stilizzato.

Ricompaiono nel tabellone sei scene della passione, mentre nel calvario troviamo un cherubino e nelle espansioni laterale i quattro dolenti.

L'attenzione viene dunque in parte distolta dalla figura centrale ad opera di questi elementi, ma soprattuttto a causa della incredibile enfasi della cimasa di questa croce, che è la più estesa e particolare tra tutte quelle pervenuteci; in questo caso, l'elaborazione tende quasi a sfociare nell'esaltazione.

 

 

SECONDA SCUOLA PISANA (SCUOLA UMBRA)

 

Croce di Assisi, Giunta Pisano, 1236

 

In realtà la croce di Assisi di Giunta Pisano non è a noi pervenuta, tuttavia possiamo parlare di essa perché siamo a conoscenza delle sue caratteristiche grazie alle fonti, e sappiamo che è stata presa come modello da molti artisti successivi, soprattutto di area umbra, in particolare dal Maestro Umbro che ha dipinto la croce perugina del 1272.

Giunta riprende e sviluppa le innovazioni suggeritegli dal Maestro Greco nel raffigurare un Cristus Patiens, nel quale la sofferenza è più evidente che nei modelli precedenti.

Il corpo si incurva fortemente e la testa si inclina da un lato; accentuato è lo spostamento del bacino e lo scivolare del perizoma, nonchè l'arcuarsi degli arti inferiori.

La resa anatomica non è ancora molto naturalistica, tuttavia gli effetti della pietà sono notevolmente accentuati rispetto al passato.

Lo schema della croce risulta notevolmente semplificato se si confronta con quello della croce 120: la cimasa è piuttosto elaborata, ma assistiamo allo spostamento delle figure di S. Giovanni e della Madonna alle espansioni laterali dal tabellone, che rimane sgombro da immagini e viene campito con motivi geometrici, quasi tessili.

Dunque si tende sempre più a centrare l'attenzione dell'osservatore sul soggetto principale.

Nel calvario appariva il ritratto di padre Elia, generale dell'ordine dei Francescani, accanto alle ferite dei piedi del Cristo (nelle croci umbre appare invece il santo stesso); infatti i Francescani favorirono notevolmente con le loro istanze pietistiche e pauperistiche il rinnovamento figurativo, da Cristus Triumphans a Patiens, affinchè la croce dipinta esprimesse il loro ideale religioso teso all'umanizzazione del Messia.

 

La scuola pisana continua, sempre grazie a Giunta Pisano, il suo percorso di rinnovamento artistico.

E' esempio di questo la croce dipinta di San Domenico a Bologna, di Giunta Pisano appunto, del 1250-1254.

La croce è molto simile alla prova precedente, ma più accurata è la resa realistica della sofferenza di Cristo: l'agonia è sottolineata dall'espressione e dalle pieghe del busto che descrivono il passaggio dalla frontalità delle spalle al tre quarti del bacino; i colori sono più dimessi che in precedenza e si nota un chiaroscuro che ammorbidisce i grafismi accentuati che fino ad ora hanno caratterizzato la resa dell'anatomia.

Prosegue anche la semplificazione della struttura compositiva, a vantaggio della focalizzazione dell'attenzione sulla pietà: cimasa, calvario e suppedanio vengono ridimansionati e spogliati da ogni figura, le espansioni laterali contengono solamente i busti di Madonna e San Giovanni, la decorazione del tabellone si limita a una scacchiera inserita in una cornice.

Giunta Pisano non riesce ancora a distaccarsi completamente dalla matrice bizantina: la sua è un'innovazione, sia pure marcata, all'interno di una maniera, non una rivoluzione; è però indiscutibile che egli abbia gettato le basi per il cammino futuro del gotico italiano.

 

FIRENZE

 

Croce dipinta di Santa Croce, 1280, Cimabue

 

Se appare evidente che il primo Cimabue si appropria pienamente del modello Giunta Pisano (basti considerare la croce di San Domenico ad Arezzo, una sorta di commistione di elementi presenti nelle due già citate croci giuntesche) già dieci anni più tardi, nella sua prova di Santa Croce, dimostra di avere superato il maestro.

In quest'opera viene ancora una volta proposto un Cristus Patiens, la cui sofferenza, l'inarcarsi insistito delle membra, il volto emaciato vengono sempre più evidenziati;

la resa anatomica è però ben più moderna e realistica di quanto non si fosse mai visto da secoli a questa parte: in Cimabue viene meno infatti il predominio del segno, dei duri grafismi, in favore dell'affermarsi del chiaroscuro e delle ombreggiature; questo è dovuto anche all'influenza sull'artista di Nicola Pisano.

Anche la resa del panneggio è innovativa: abbandonate le striature dorate, il perizoma si modella sulle membra sottostanti, ricordando il panneggio bagnato fidiaco.

Inoltre lo schema della croce, quasi analogo a quello di Giunta del 1250,  se possibile tende ancor più a semplificarsi, sempre per focalizzare l'attenzione sulle crocifissione.

 

Croce di Santa Maria Novella, 1296-1300, Giotto

 

Giotto cerca di isolare e sviluppare le componenti realistiche e classicheggianti dell'arte del maestro, Cimabue, portandosi verso posizioni sempre più lontane dai modelli di memoria bizantina e inaugurando una stagione di grande arte gotica italiana.

Grazie anche all'influsso di Nicola Pisano, recupera la plasticità e la spazialità nella propria opera.

Ad un confronto con le croci precedenti, subito appare chiaro un elemento di discontinuità con il passato che Giotto propone: il Cristo, sempre Patiens, non è più inarcato, ma appeso alla croce: il capo pende verso il basso, si percepisce il peso del corpo che si sostiene sulle braccia inchiodate alla croce, tanto che il bacino rimane indietro, non si sporge lateralmente come nel Cristo di Santa Croce; le ginocchia si piegano, ed i piedi sono uniti, forati da un chiodo solo.

La resa anatomica tende a diventare sempre più realistica grazie al chiaroscuro.

La croce è identica nello schema e nei colori a quella di Santa Croce, se non per il suppedaneo.

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La croce del

Maestro Guglielmo


Dati tecnici

 

Oggetto: Croce dipinta con espansioni laterali, suppedanio, tabellario a calice e cimasa.

Autore: Maestro Guglielmo.

Ambito culturale: Scuola Lucchese.

Epoca: 1138 (la più antica croce pervenuta).

Soggetto: Cristo Triumphans affiancato dalla Madonna e San Giovanni Evangelista, con scene della Passione.

Materiali: Tempera a uovo su legno di castagno.

Misure: 3 x 2,10 m.

Collocazione: Sarzana, Duomo.

Stato di conservazione: Buono.

Restauri: Dal 1995 è sotto restauro a Firenze.

Indicazioni specifiche: Il corpo del Cristo probabilmente appartiene ad un altro artista sconosciuto.

Descrizione

Il Cristo è rappresentato eretto, vivente sulla croce, vincitore della morte fisica, secondo uno schema bizantino passato in Occidente attraverso gli avori carolingi, detto Christus triumphans. L’origine culturale bizantina è visibile anche nella frontalità, ma il corpo è accennato nei suoi valori anatomici e la linea di contorno, scura e netta, lo fa staccare dal fondo. I grandi occhi sbarrati non sono privi di espressione, ma furono ritoccati, è probabile, quando, nel XIII sec., la testa e parte della figura vennero ridipinte, come hanno rivelato, nel 1942 e nel 1946, degli esami radiografici. Sotto la pittura è possibile intravedere quella originale di più vigorosa fattura che si accorda con le parti non manomesse del dipinto. Il crocifisso, invece che col colobium, come appare fino al IX sec., è nudo, con i soli fianchi rivestiti dal perizoma, come sarà sempre rappresentato. I piedi sono disgiunti e forati come le mani tramite chiodi.

A fiancheggiare il Cristo nel tabellone a calice sono raffigurati Maria e Giovanni, a figura intera, davanti alle pie donne, probabilmente facendo riferimento all’episodio narrato nel Vangelo dello stesso Giovanni: <Gesù, guardando la madre e accanto a lei il discepolo prediletto, si rivolse alla madre dicendo: “Donna ecco il tuo figlio!”; poi si rivolse al discepolo dicendo: “Ecco la madre tua”>.

Sotto i dolenti vi sono sei scene (le ultime due in basso però appaiono limitate dalla sagomatura del tabellone), in cui sono dipinti episodi della Passione nel modo che poi fu adottato a Lucca e a Pisa.

Nella tabella dell’albero e nel sovrastante tondo è raffigurata, secondo l’uso bizantino, l’Ascensione con la Madonna posta sotto il Redentore e isolata al centro della scena con le braccia aperte e non alzate al cielo come nelle composizioni successive.

Ai capicroce si trovano i simboli degli evangelisti e i profeti Geremia e Isaia.

 Sotto il “titolo” accoglie, con la firma e la data, il distico “ANNO MILLENIO CENTENO TER QUOQ’DENO OCTAVO PINX GUILUEM. ET H METRA FINX”.

Notize storico-critiche

La croce del Maestro Guglielmo, datata 1138, è la più antica a noi pervenuta e può considerarsi la croce romanica dislocata nel punto più settentrionale del versante tirrenico. La croce di notevoli dimensioni (m 3x2,10), situata nel Duomo di Sarzana, probabilmente proviene dall’antica Cattedrale di Luni (La Spezia). In un primo momento fu collocata nella pieve di S. Andrea e soltanto nel 1688 potrebbe essere stata trasferita, con l’ampolla del sangue di Gesù, nella Cappella Casoni della Cattedrale di S. Maria Assunta.

Restauro

La croce di Sarzana è una pittura a tempera di uovo su legno di castagno. Nel 1995 è iniziato il restauro presso i Laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure (OPD) di Firenze. Indagini spettroscopiche totalmente non distruttive mediante fibre ottiche e spettrometria di immagine vengono svolte dal Gruppo di Spettrometria Applicata dell’Istituto di Ricerca sulle Onde Elettromagnetiche “Nello Carrara” del CNR-Firenze.

Un primo restauro era stato però già effettuato nel XIII secolo.

BIBLIOGRAFIA

P.ADORNO, L’arte italiana (Volume primo, tomo secondo),  Casa Editrice D’Anna 1985.

G.MARCHINI, Sarzana, Guida Sagep.

D.CAMPINI, Giunta Pisano Capitiin e le croci dipinte romaniche, Editore Aldo Martello.

 

Cecilia Del Re e Margherita Porcelli

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