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PROGETTO "CROCI DIPINTE" La ricerca si è concretizzata nell'allestimento di una
mostra che si è tenuta presso Presentazione | Introduzione storico critica | Le "scuole" | Una Croce e una scheda
|
La mostra è stata ripetuta |
Il progetto «CROCI DIPINTE» è stato sviluppato a partire
dall’anno scolastico 1998/1999 dagli alunni delle allora classi, III A e
III B del Liceo Scientifico Niccolò Rodolico di Firenze, ed è stato
terminato durante l’anno scolastico 2000/2001 dalle attuali
classi V A e V B. I ragazzi, suddivisi in piccoli gruppi di lavoro, hanno
svolto un’operazione di raccolta del materiale, spesso difficilmente
reperibile per l’esiguità dei documenti, e per lo scarso interesse
dimostrato dalla critica nell’affrontare il tema. I risultati del lavoro sono confluiti in questo Cd rom e sono stati
presentati in una mostra tenuta presso la Villa del Poggio Imperiale (gc)
nei giorni 4 e 5 giugno 2001. Ha coordinato i gruppi di lavoro degli studenti il docente di storia dell’arte, professore Eduardo Bruno, coadiuvato dall’assistente, Patrizio Lotti. L’ipertesto è stato realizzato da Andreas Kroeber con una versione
“beta” del software “euGenio”, prodotto da G. D’Anna,
Casa editrice SpA – Firenze. L’introduzione è stata curata da Andrea Stiaccini e Lorenzo Bandinelli. L’individuazione delle scuole di appartenenza e il loro percorso
storico è stato curato da Giustino De Michele.
L’impaginazione dei testi è stata curata da Emanuele Leoncini. Andrea Ciani, Matteo Aramini, Cecilia Del Re e Lucia Fagnini hanno
realizzato la trasformazione dei testi della ricerca in didascalie per la
mostra. Niccolò Guasti ha realizzato i pannelli iconografici della mostra,
elaborato le immagini curandone l’impaginazione grafica. |
Croce
dipinta dal Maestro Guglielmo a Giotto Introduzione
storico-artistica Il fenomeno più rilevante della pittura italiana dell’inizio del
Duecento è la diffusione delle croci dipinte su legno o su fogli di
pergamena applicate su tavola che raffigurano il Cristo crocifisso e scene
della Passione. Queste croci venivano poste nell’arco trionfale o sopra
l’iconostasi all’interno delle Chiese. La più antica a noi pervenuta è la croce della cattedrale del Duomo di
Sarzana firmata dal Maestro Guglielmo e datata 1138; attorno ad essa si
raggruppano le croci di San Michele, dei Servi, di Santa Giulia a Lucca e
altre che formavano il primo nucleo della cosiddetta scuola Lucchese. Su
coordinate simili si collocano la nascita della scuola Pisana con la
monumentale croce del Museo di San Martino (Pisa) e, successivamente,
quella Umbra tra cui è da ricordare Alberto Sotio datata 1187. Il fenomeno pittorico delle croci dipinte si affermò in tutta Italia, ma
due possono essere considerate le scuole principali: La scuola Lucchese (quella più antica), che si distingue per la sagoma
del calice a cui allude la parte inferiore del tabellone; la forma si
carica, così, di una forte simbologia della Passione; La scuola Pisana, che manca della forma a calice, anche se non esclude il
ricorso alla simbologia della Passione e della Resurrezione. La sagoma
sembra essere dettata da ragioni “funzionali” alla liturgia. La cimasa
presenta il clipeo con l’effigie del Cristo Pantokratore (“onnipotente”,
composto da pan = “tutto”, “ogni cosa” e da kratos =
“forza”, “potere”). Queste iconografie focalizzano l’attenzione sulla figura dominante del
Redentore raffigurato in posa eretta e frontale, ma soprattutto ancora
vivo, alludendo in tal modo al simbolico trionfo sulla morte; tale schema
iconografico, di derivazione bizantina, viene chiamato Christus
Triumphans. Nel XIII secolo sarà sostituita dalla più drammatica
rappresentazione del Cristo morto sulla croce. La svolta decisiva avviene
nel 1230 con la croce dipinta n° 20, oggi al Museo di San Matteo, a Pisa,
che mostra il Cristo sofferente con gli occhi chiusi e il corpo reclinato
nel trapasso della morte (Christus Patiens). La novità
iconografica viene prontamente raccolta da Giunta Pisano e successivamente
nella scuola Toscana da Cimabue, il quale ispirandosi a Coppo, esaspera la
drammaticità del Cristo attraverso l’inarcarsi del corpo. In questi
nuovi modelli il riferimento alla narrazione evangelica della Passione si
riassume nei busti di Maria e Giovanni che vengono posizionati nelle
espansioni laterali; con l’eliminazione delle scene della Passione
descritte nel tabellone la figura del Cristo rimane così isolata nella
sua sofferenza. La fortuna duecentesca di questa visione umanizzata del Cristo si spiega
con l’appoggio degli Ordini Mendicanti, in particolare dei Francescani.
A partire dallo stesso fondatore dell’ordine, essi indicano con
particolare sensibilità affettiva la realtà terrena del Redentore,
ponendo in evidenza il dolore di Cristo in croce, contribuendo in maniera
decisiva alla radicale trasformazione dell’iconografia del Crocifisso.
Il Cristo trionfante, Signore della morte, si trasforma sulla croce
nell’uomo agonizzante straziato nello spasmo del dolore. Il percorso della croce dipinta, sia nel suo significato liturgico e sia
come evoluzione iconografica, si può considerare concluso con la
monumentale croce di Giotto in Santa Maria Novella (1296-1300). Qui è
abolito il cliché del corpo inarcato, i piedi sono accavallati e forati
da un solo chiodo, il corpo naturale, in prospettiva, è, in accordo con
le leggi dell’anatomia e della gravità. Giotto in perfetta sintonia con
il pensiero francescano, raffigura il Cristo nella sua palpitante umanità,
colto nel momento supremo del trapasso. La croce giottesca si trasforma, così, da oggetto liturgico a severa
meditazione sulla terrena e umana morte corporale.
Eduardo Bruno |
PRIMA SCUOLA LUCCHESE Croce di Sarzana, Maestro Guglielmo, 1138 L'iconografia è strettamente legata
al modello bizantino, e dunque la croce dipinta raffigura un Cristus
Triumphans, dunque un Cristo in vita, che vince la morte. La resa anatomica è piuttosto
approssimativa, con dettagli solo accennati, e la posa del Messia è
ieratica; da notare come i piedi siano inchiodati separatamente alla
croce. La tecnica pittorica ci rivela che
talvolta la figura del Redentore era sbalzata rispetto al disegno della
croce o alle scene della passione. Il tabellone presenta le figure
intere della Madonna e san Giovanni con le sottostanti quattro scene della
Passione, e termina con una singolare forma a calice; l'intento di questa
caratteristica era squisitamente simbolico: stava a significare che il
Cristo veniva offerto in sacrificio per la salvezza dei credenti,
nell'atto di trionfare sulla morte. La cimasa, raffigurante una Maestà,
e le espansioni laterali, con i simboli dei quattro evangelisti, sono
trilobate; questo è un altro richiamo alla simbologia, segnatamente alla
Trinità. SECONDA SCUOLA LUCCHESE (PRIMA SCUOLA UMBRA) Croce
dipinta di Berlinghiero Berlinghieri, 1210-1220 Anche questo momento dell'evoluzione
della scuola lucchese è caratterizzato da una salda componente
conservatrice che comporta uno stretto rapporto con i prototipi bizantini. Il Cristo, in posa statica ed
impassibile, è ancora il Cristus Triumphans dell'Alto Medioevo; gli occhi
sono aperti e non mostrano alcuna sofferenza. L'anatomia è stilizzata e i
particolari sono resi grazie a luminescenze ed ombreggiature , in modo
tutt'altro che naturalistico; i piedi sono ancora disgiunti. Si nota però una notevole
semplificazione della struttura della croce: lo scopo di questa novità è
di focalizzare l'attenzione sulla figura principale, quella del Cristo,
senza disperderla con un eccessivo zelo simbolico e narrativo. Infatti scompare la trilobazione
della cimasa e delle espansioni laterali, nonchè la sagoma a calice del
tabellone; anche la raffigurazione diventa più contenuta: a partire dalla
Madonna della cimasa, fiancheggiata da due soli Cherubini a mezzo busto,
per arrivare al tabellone, in cui scompaiono le scene della passione, per
dare spazio alle due figure intere di Maria e S. Giovanni; le espansioni
laterali mantengono i simboli dei quattro evangelisti. PRIMA SCUOLA PISANA Croce
120, Maestro Bizantino, 1230 L'autore di questa croce viene
generalmente detto Maestro Bizantino, anche se poco se ne conosce.
Probabilmente si tratta di un artista greco operante in Italia. Ciò starebbe a significare come
anche la scuola pisana fosse legata a modelli orientaleggianti. Tuttavia va segnalato come questa
croce rappresenti una svolta nella pittura italiana: per la prima volta,
infatti, ci troviamo di fronte alla raffigurazione non di un Cristo che
trionfa sulla morte, ma di un Cristus Patiens, che patisce e muore sulla
croce: la figura del Messia ha gli occhi chiusi, il capo reclinato sulla
spalla destra, il volto sofferente; l'idea della pietà viene suggerita
anche dal fiotto di sangue che sgorga dal costato. Per la prima volta assistiamo
inoltre all'avanzare di una gamba rispetto all'altra e allo scostamento
del perizoma, tratti più realistici nell'insieme anatomicamente ancora
stilizzato. Ricompaiono nel tabellone sei scene
della passione, mentre nel calvario troviamo un cherubino e nelle
espansioni laterale i quattro dolenti. L'attenzione viene dunque in parte
distolta dalla figura centrale ad opera di questi elementi, ma
soprattuttto a causa della incredibile enfasi della cimasa di questa
croce, che è la più estesa e particolare tra tutte quelle pervenuteci;
in questo caso, l'elaborazione tende quasi a sfociare nell'esaltazione. SECONDA
SCUOLA PISANA (SCUOLA UMBRA)
Croce
di Assisi, Giunta Pisano, 1236 In realtà la croce di Assisi di
Giunta Pisano non è a noi pervenuta, tuttavia possiamo parlare di essa
perché siamo a conoscenza delle sue caratteristiche grazie alle fonti, e
sappiamo che è stata presa come modello da molti artisti successivi,
soprattutto di area umbra, in particolare dal Maestro Umbro che ha dipinto
la croce perugina del 1272. Giunta riprende e sviluppa le
innovazioni suggeritegli dal Maestro Greco nel raffigurare un Cristus
Patiens, nel quale la sofferenza è più evidente che nei modelli
precedenti. Il corpo si incurva fortemente e la
testa si inclina da un lato; accentuato è lo spostamento del bacino e lo
scivolare del perizoma, nonchè l'arcuarsi degli arti inferiori. La resa anatomica non è ancora
molto naturalistica, tuttavia gli effetti della pietà sono notevolmente
accentuati rispetto al passato. Lo schema della croce risulta
notevolmente semplificato se si confronta con quello della croce 120: la
cimasa è piuttosto elaborata, ma assistiamo allo spostamento delle figure
di S. Giovanni e della Madonna alle espansioni laterali dal tabellone, che
rimane sgombro da immagini e viene campito con motivi geometrici, quasi
tessili. Dunque si tende sempre più a
centrare l'attenzione dell'osservatore sul soggetto principale. Nel calvario appariva il ritratto di
padre Elia, generale dell'ordine dei Francescani, accanto alle ferite dei
piedi del Cristo (nelle croci umbre appare invece il santo stesso);
infatti i Francescani favorirono notevolmente con le loro istanze
pietistiche e pauperistiche il rinnovamento figurativo, da Cristus
Triumphans a Patiens, affinchè la croce dipinta esprimesse il loro ideale
religioso teso all'umanizzazione del Messia. La scuola pisana continua, sempre
grazie a Giunta Pisano, il suo percorso di rinnovamento artistico. E' esempio di questo la croce
dipinta di San Domenico a Bologna, di Giunta Pisano appunto, del
1250-1254. La croce è molto simile alla prova
precedente, ma più accurata è la resa realistica della sofferenza di
Cristo: l'agonia è sottolineata dall'espressione e dalle pieghe del busto
che descrivono il passaggio dalla frontalità delle spalle al tre quarti
del bacino; i colori sono più dimessi che in precedenza e si nota un
chiaroscuro che ammorbidisce i grafismi accentuati che fino ad ora hanno
caratterizzato la resa dell'anatomia. Prosegue anche la semplificazione
della struttura compositiva, a vantaggio della focalizzazione
dell'attenzione sulla pietà: cimasa, calvario e suppedanio vengono
ridimansionati e spogliati da ogni figura, le espansioni laterali
contengono solamente i busti di Madonna e San Giovanni, la decorazione del
tabellone si limita a una scacchiera inserita in una cornice. Giunta Pisano non riesce ancora a
distaccarsi completamente dalla matrice bizantina: la sua è
un'innovazione, sia pure marcata, all'interno di una maniera, non una
rivoluzione; è però indiscutibile che egli abbia gettato le basi per il
cammino futuro del gotico italiano. FIRENZE Croce
dipinta di Santa Croce, 1280, Cimabue Se appare evidente che il primo
Cimabue si appropria pienamente del modello Giunta Pisano (basti
considerare la croce di San Domenico ad Arezzo, una sorta di commistione
di elementi presenti nelle due già citate croci giuntesche) già dieci
anni più tardi, nella sua prova di Santa Croce, dimostra di avere
superato il maestro. In quest'opera viene ancora una
volta proposto un Cristus Patiens, la cui sofferenza, l'inarcarsi
insistito delle membra, il volto emaciato vengono sempre più evidenziati; la resa anatomica è però ben più
moderna e realistica di quanto non si fosse mai visto da secoli a questa
parte: in Cimabue viene meno infatti il predominio del segno, dei duri
grafismi, in favore dell'affermarsi del chiaroscuro e delle ombreggiature;
questo è dovuto anche all'influenza sull'artista di Nicola Pisano. Anche la resa del panneggio è
innovativa: abbandonate le striature dorate, il perizoma si modella sulle
membra sottostanti, ricordando il panneggio bagnato fidiaco. Inoltre lo schema della croce, quasi
analogo a quello di Giunta del 1250,
se possibile tende ancor più a semplificarsi, sempre per
focalizzare l'attenzione sulle crocifissione. Croce
di Santa Maria Novella, 1296-1300, Giotto Giotto cerca di isolare e sviluppare
le componenti realistiche e classicheggianti dell'arte del maestro,
Cimabue, portandosi verso posizioni sempre più lontane dai modelli di
memoria bizantina e inaugurando una stagione di grande arte gotica
italiana. Grazie anche all'influsso di Nicola
Pisano, recupera la plasticità e la spazialità nella propria opera. Ad un confronto con le croci
precedenti, subito appare chiaro un elemento di discontinuità con il
passato che Giotto propone: il Cristo, sempre Patiens, non è più
inarcato, ma appeso alla croce: il capo pende verso il basso, si
percepisce il peso del corpo che si sostiene sulle braccia inchiodate alla
croce, tanto che il bacino rimane indietro, non si sporge lateralmente
come nel Cristo di Santa Croce; le ginocchia si piegano, ed i piedi sono
uniti, forati da un chiodo solo. La resa anatomica tende a diventare
sempre più realistica grazie al chiaroscuro. La croce è identica nello schema e
nei colori a quella di Santa Croce, se non per il suppedaneo. |