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    Gian Antonio Stella "L'orda" Edizione Rizzoli
    Recensione di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
      
      
    Circa sessanta milioni di italiani e di discendenti di italiani vivono sparsi nel mondo, in ogni continente. Siamo uno dei paesi con più emigranti, eppure l’arrivo di immigrati da paesi poveri dell’Est europeo e dall’Africa settentrionale ha provocato reazioni anche gravi di rifiuto, di razzismo, di intolleranza. 
    Gian Antonio Stella ha studiato attentamente il fenomeno dell’emigrazione italiana, dall’accoglienza che gli italiani incontravano nei paesi stranieri negli anni in cui - come recita il sottotitolo del saggio “L’orda”, edito da Rizzoli – “gli albanesi eravamo noi”. 
    “Oggi ricordiamo a noi stessi, con patriottica ipocrisia, che eravamo ‘poveri ma belli’, che i nostri nonni erano diversi dai curdi e dai cingalesi che sbarcano sulle nostre coste”: in realtà, attraverso testimonianze, letture di libri, giornali e documenti di associazioni razziste dell’epoca, emerge una fortissima ostilità verso gli immigrati italiani. 
    Clandestini, criminali, analfabeti, dediti all’alcool e alle risse, disposti a vendere i propri figli per pochi soldi, dovremmo “ricordare sempre come l’arrivo dei nostri emigranti coi loro fagotti e le donne e i bambini venisse accolto dai razzisti locali: con lo stesso urlo che oggi campeggia sui nostri muri. Lo stesso urlo, la stessa parola […]: l’orda”. 
    Se molte delle cose che sono state dette e scritte, che sono rimaste negli stereotipi anche dopo molti anni dalla grande emigrazione, sono invenzioni o esagerazioni, qualche cosa di vero c’è: è innegabile che la mafia sia stata esportata dagli italiani e che nelle mani di italiani ci fossero molte imprese criminali. Ma è anche vero che eravamo una delle popolazioni con il più alto tasso di analfabetismo, difficoltà di inserimento e di apprendimento della lingua locale, disposti a far lavorare i figli ancora bambini in attività pericolose per la salute e per la vita come le miniere e le vetrerie, affetti da una religiosità che cadeva molto spesso nella superstizione e in rumorosi e alcolici festeggiamenti. 
    Gli italiani erano un popolo povero, spesso con nulla da perdere e che in maggioranza era composto da persone oneste, coraggiose, disposte ad affrontare viaggi lunghi e rischiosi per cercare un benessere e un futuro che in patria erano impensabili ma che trovarono ostilità, chiusura, insulti e spesso anche brutalità fisiche fino alla morte. 
    Oggi di tutto questo non si vuole parlare, si tenta di dimenticare un passato di difficoltà ma, dimenticandolo, si producono verso gli immigrati gli stessi atteggiamenti razzisti e spesso ingiusti di cui siamo stati vittime. Infatti, “se andiamo a ricostruire l’altra metà della nostra storia, si vedrà che l’unica e sostanziale differenza tra ‘noi’ allora e gli immigrati in Italia oggi è quasi sempre lo stacco temporale. Noi abbiamo vissuto l’esperienza prima, loro dopo. Punto.” 
    Il saggio di Stella offre una panoramica vasta su temi oggi di grande attualità e su atteggiamenti che stanno creando nuove ingiustizie, “alla larga dal buonismo […] ma alla larga anche da razzismo […] che monta, monta, monta in una società che ha rimosso una parte del suo passato”. 
    Il libro si conclude con una raccolta di punti di vista tratti da libri e giornali pubblicati, in quegli anni, nei paesi di emigrazione e con un’interessante elenco di nomignoli con i quali gli italiani erano definiti, le varie versioni dell’attuale “vu cumpra”. Non lo possiamo dimenticare: lo siamo stati anche noi, prima di loro, dei “vu cumpra”. 
      
    gabriella bona 
   
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