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    Carlo Petrini "Il calciatore suicidato" Edizione Kaos
    Recensione di Gabriella Bona
     
      
    Il gioco deve andare avanti. Qualunque cosa succeda. E’ in base a questa logica che ci troviamo sommersi da misteri, da dubbi, da sospetti. E’ per questo che un mondo nato attorno ad un gioco, quello del calcio, è diventato uno dei più brutti, pericolosi e incivili. Troppi interessi sono in gioco, capitali investiti, società quotate in borsa, impegni da rispettare non sempre collegati con l’allegria che il pallone dovrebbe riuscire a darci. 
    “Nella storia recente del calcio italiano c’è un dramma che è rimasto senza verità. E’ la morte violenta di Donato Bergamini, centrocampista del Cosenza calcio (serie B), trovato cadavere davanti alle ruote di un camion la sera del 18 novembre 1989”. Bergamini aveva 27 anni, emiliano, giocava a Cosenza da cinque anni. La sua morte fu archiviata come suicidio dopo un’indagine più che superficiale, durante la quale il camion non fu posto sotto sequestro, non venne fatta l’autopsia al cadavere del calciatore, gli abiti che Bergamini indossava sparirono, le testimonianze ambigue o contraddittorie non vennero valutate. Tutto doveva essere dimenticato al più presto, le voci che parlavano di un giro di droga, di scommesse clandestine, di partite comprate e vendute, di criminalità organizzata, dovevano essere soffocate. Gli strani personaggi che, da anni, giravano attorno al Cosenza calcio dovevano rimanere nell’ombra, serviva a tutti, evidentemente, che non si scoprisse troppo su quello che stava accadendo. 
    Carlo Petrini, calciatore di serie A negli anni ’70, con il libro “Il calciatore suicidato”, pubblicato da Kaos Edizioni, ha “tentato di chiarire alcuni dei risvolti della morte di Bergamini”. 
    “Non ci sono riuscito – dichiara l’autore – ma almeno ci ho provato: mi sono studiato gli atti della magistratura, ho fatto ricerche, ho intervistato un po’ di persone”. E da queste ricerche, indagini e interviste emerge il ritratto di un ragazzo che ama il calcio, di un professionista serio e appassionato, anima della sua squadra, “troppo ingenuo e pulito perché qualcuno dei suoi compagni potesse pensare di coinvolgerlo” in un giro di partite truccate. E allora, visto che da una serie di fatti stranissimi risulta evidente che Bergamini non può essersi suicidato ma è stato, invece, ammazzato, chi e perché lo ha ucciso? 
    Le interviste al padre del calciatore, Domizio, al compagno di squadra Michele Padovano e al massaggiatore del Cosenza calcio Giuseppe Maltese, non riescono a far luce sui dubbi che tutta la vicenda fa sorgere. 
    “Io credo che fosse ricattato, e che sia stato ucciso per faccende di droga”, dichiara Maltese. “Negli ultimi tempi Denis (così veniva chiamato Donato Bergamini in famiglia e dagli amici, ndr) era diventato molto chiuso, non parlava con nessuno dei suoi problemi”: sono le parole di Padovano. E il padre è certo che “Denis era stato messo sulla Statale Jonica già cadavere” anche perché “i due funzionari della Questura [che] hanno fatto una specie di inchiesta segreta […] sono stati trasferiti, mandati via dalla Questura di Cosenza”. 
    Un mistero che, probabilmente, non verrà mai risolto e che si aggiunge a mille altri, frutto di un sistema perverso in cui “contano soltanto lo show e i miliardi” e che Petrini, con il suo libro, tenta almeno in parte di scardinare. 
      
    gabriella bona 
   
 
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