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Appunti dal meeting "L’alimentazione per la salute e la prevenzione di malattia" Pozzolatico –Firenze – 7 giugno 2001 Gli appunti sono stati presi manualmente quindi può darsi che vi siano leggere difformità da quanto esposto dai relatori. Gli approfondimenti sono stati fatti in internet tramite i principali motori di ricerca. Ove è stato possibile i documenti sono stati linkati direttamente, altrimenti sono state fatte citazioni riferendosi al sito di provenienza.
A. Casini (Unifi) - Introduzione G. F. Gensini (Fondaz. Don Gnocchi - Unifi)- Introduzione Calcolando una normale alimentazione consistente in 2 pasti al giorno, ognuno di noi in un anno ingerisce 1 tonnellata di cibo. Modulare questa quantità può essere molto significativo, modificare anche n modo lieve quello che si mangia è importante.
A. Conti (Unifi) - Nutrizione e prevenzione cardiovascolare
Nei pazienti trattati si è rilevata una protezione
significativa del 16% di riduzione del rischio. L’effetto del
trattamento (2 anni) va in direzione del beneficio. Il grado di protezione
appariva simile anche se più marcato per quelli ad alto rischio.
Riduzione piccola ma significativa con trend a salire. R. Abbate (Unifi) - Alimentazione e stile di vita L’omocisteina (vedi molecola in alto a sinistra) è un marcatore MCV, un fattore di rischio collegato alla nostra alimentazione, fig.1 e fig.2 (riprese dal sito www.americanheart.org) Uno studio effettuato in Albania (Lancet 1997) mostra un chiaro rapporto
tra zone geografiche ove si coltiva l’olivo (e si consuma l’olio di
oliva) e la minore presenza di MCV. Una dieta di tipo mediterraneo (dieta di Lione - Lyon Heart Study) fa abbassare il "tissue factor" proteina che fa coagulare il sangue e fa aumentare il TFPI o inibitore dei fenomeni trombotici, quindi si associa alla diminuzione del rischio CV. Prevenzione secondaria: viene studiata meglio. Si è partiti da soggetti ad alto rischio CV, con ex eventi CV. Un gruppo è stato invitato a seguire una dieta mediterranea, con aumento di cereali e ricco apporto di frutta e verdura, con il pesce a posto della carne. I risultati sono stati evidenti: si è avuto un abbassamento della mortalità CV dello 0,5%, una diminuzione degli infarti mortali e un abbassamento della mortalità globale. Un aumento della vitamina C nel plasma di pazienti sottoposti alla dieta (di Lione?) è stata correlata con una diminuzione della mortalità totale e del rischio CV. Il rischio CV relativo diminuisce con l’aumentare della concentrazione di acido ascorbico nel plasma (Lancet 2001). Per quanto riguarda gli effetti di una supplementazione di vitamina E sulla riduzione di rischio CV i risultati sono contraddittori, poichè alcuni studi sembrano negare questa correlazione. Gli studi presi in considerazione sono molto ampi e occorre porre attenzione sull’aspetto metodologico. Cosa sappiamo?
La molecola della vitamina E come agente terapeutico può essere diversa. Utilizzando alfa-tocoferolo si hanno con 50 mcg/die (50 IU) risultati negativi, mentre con 400-800 IU/die si hanno risultati positivi La vitamina E inoltre non viene assorbita a digiuno. Le vitamine B6, B12 e i folati sono inversamente correlati al rischio CV. L’omocisteina danneggia la parete interna delle arterie e facilita le trombosi a livello venoso. La concentrazione di omocisteina nel sangue dipende da un equilibrio molto complesso regolato dalle tre vitamine suddette, essa si forma dalla metionina. Quindi la concentrazione della omocisteina dipende da ciò che mangiamo. Studi prospettici associano gli alti livelli di hcy (omocisteina) al rischio CV. Nel diabete vi è un chiaro rapporto tra omocisteinemia e retinopatia. Aumentando i folati si riduce la concentrazione di hcy. Nei fumatori, dove il rischio CV è maggiore, si hanno basse concentrazioni ematiche di folati. L’iperomocisteinemia è il risultato dell’interazione gene-ambiente. Per una percentuale non bassa di soggetti una scarsa introduzione di folati dà maggiorre sensibilità all’aumento di hcy nel sangue. La termolabilità di un enzima viene corretta da una introduzione di folati. Negli USA i cereali sono addizionati di acido folico. Livelli protettivi di vitamine:
***** Homocysteine is an amino acid in the blood. Epidemiological studies have shown that too much homocysteine in the blood is related to a higher risk of coronary heart disease, stroke and peripheral vascular disease Other evidence suggests that homocysteine may have an effect on atherosclerosis by damaging the inner lining of arteries, and promoting blood clots. However, a direct causal link hasn't been established. Plasma homocysteine levels are
strongly influenced by diet, as well as genetic factors. The dietary components
with the greatest effects are folic acid and vitamins B6 and B12. Folic acid and
other B vitamins help break down homocysteine in the body. Several studies,
including the recent multi-center European trial, have found that higher blood
levels of B vitamins are related, at least in part, to lower concentrations of
homocysteine. Other recent evidence shows that low blood levels of folic acid
are linked with a higher risk of fatal coronary heart disease and Edward Dolnick, journalist américain, fut le premier à parler du French Paradox dans un article publié en 1990 par le magazine Health. Le docteur français Lacques Richard affirmait dans cet article qu'il fallait voir dans le vin l'origine de la resistence aux maladies cardiaques de ses compatriotes.tratto da: www.french-paradox.com Alcohol is believed to protect from CHD by preventing atherosclerosis through the action of high-density-lipoprotein cholesterol, but serum concentrations of this factor are no higher in France than in other countries. Re-examination of previous results suggests that, in the main, moderate alcohol intake does not prevent CHD through an effect on atherosclerosis, but rather through a haemostatic mechanismData from Caerphilly, Wales, show that platelet aggregation, which is related to CHD, is inhibited significantly by alcohol at levels of intake associated with reduced risk of CHD. Inhibition of platelet reactivity by wine (alcohol) may be one explanation for protection from CHD in France, since pilot studies have shown that platelet reactivity is lower in France than in Scotland. tratto da: "Wine, alcohol, platelets, and the French paradox for coronary heart disease"-Renaud S, de Lorgeril M-Lancet, 1992 Jun 20; 339(8808):1523-1526 M.L.E. Luisi (Fondaz. Don Gnocchi)- Modalità di intervista nutrizionale ai fini della prevenzione CV La globalizzazione rende più difficile lo studio dell’alimentazione. Occorre uno strumento ben preciso L’intervista alimentare serve a:
Deve essere una chiaccherata fra due persone
L’intervista deve avere:
L’apertura deve spiegare chiaramente gli scopi Le domande sono
Le domande da evitare sono:
Le repliche sono auspicabili
Queste interviste sono difficili per la prevenzione CV perchè oltre l’alimentazione influiscono altri fattori come la vita familiare e lavorativa. L. Raimondi (Unifi)- Ruolo degli acidi grassi omega-3 nella dieta Il rischio CV non dipende solo dai livelli di colesterolemia. Per l’integrità del bilayer lipidico è importante l’assunzione di omega-3 PUFA (presenti nei pesci dei mari freddi). Dall’acido alfa-linolenico si possono ottenere l’EPA e il DHA (grazie ad enzimi come l’elongasi e la desaturasi), assenti nei diabetici.
I risultati sui Finlandesi (che come gli
Esquimesi mangiano molto pesce) sono invece contraddittori e mostrano come
ad elevati livelli di EPA e DHA non corrisponde un altrettanta diminuzione
del rischio CV. Il motivo di questo va ricercato nell’inquinamento del
pesce da mercurio, che inficia gli effetti positivi degli omega-3. ***** Experiments suggest fatty acids in fish oils have a potent antiarrythmic effects. In the laboratory, these omega-3 fatty acids prevent myocardial cells from losing calcium, which is essential for normal contractility. There is suggestive evidence that omega 3 fatty acids may prevent sudden cardiac death in humans. The optimal diet would include fish meals three or more times a week or the diet should provide one gram of EPA and DHA per day. Alpha linolenic acid can be converted by the body to EPA and DHA, but it takes about ten grams of alpha linolenic acid to yield one gram of EPA and DHA. tratto da: www.webdietitian.com A. Casini (Unifi) - L’alimentazione come prevenzione e terapia delle malattie digestive I fattori nutrizionali influenzano:
Per quanto riguarda il fegato, si conosce, ormai da 20 anni, una steatopatia non alcolica che assomiglia a quella da alcol, associata ad obesità specie nel sesso femminile (3/4) e a NIDD (1/3). L’obesità è un fattore di rischio. Nel 90-100% dei casi si ha incidenza di steatosi. Cioè quasi tutti gli obesi soffrono di steatosi epatica ed essa è associata a fenomeni infiammatori. Altra patologia fattore di rischio è il diabete NID, le dislipidemie incidono in modo variabile (20-67%), in particolare le ipertrigliceridemie, le anomalie nutrizionali e episodi chirurgici come bypass intestinali e gastroplastica. Colpisce per il 75% il sesso femminile. La steatopatia è asintomatica, è presente eoatomegalia. Può evolvere in cirrosi. La diagnosi consiste in una valutazione dei fattori di rischio, nell’ecografia (bright liver) e nella RMN. Non esiste un test clinico specifico. C’è aumento delle gammmaGT e dei trigliceridi ematici. Il test più adatto è la biopsia epatica. In presenza di un fattore di rischio e con almeno una delle transaminasi aumentata si procede con la biopsia. La steatosi consiste in un accumulo di trigliceridi all’interno degli epatociti. L’evoluzione può andare verso l’infiammazioneà corpi di Mallory -> necrosi -> fibrosi = NON RITORNO. La cirrosi (che sopravviene nel 10% dei casi) ha una particolare patogenesi fig.4. Alcuni Autori imputano la flora intestinale nella genesi della steatosi n.a. I batteri intestinali producono alcol etilico (fermentazione etrolattica), la presenza dell’alcol deidrogenasi dimostra che comunque nel nostro sangue c’è un po’ di questa sostanza che deve essere smaltita. Se ne deduce che gli obesi avrebbero una quantità esagerata di questo tipo di flora intestinale fermentante. M. Rotella (Unifi) Comportamento alimentare ed attività fisica nell’obesità e nel diabete di tipo 2 L’obesità che genera le MCV è quella viscerale WHR
alto (Waist Hip Ratio). Gli adipociti viscerali secernono ormoni. Gli
adipociti bianchi liberano nel sangue: FFA (acidi grassi liberi), leptina,
TNFalfa, resistina (aumenta la resistenza alla insulina). Quindi il grasso
viscerale è il primo responsabile delle complicanze. Studio sugli indiani di America Pima Dopo che furono trasferiti nelle riserve e cambiarono stile di vita divennero per l’80% obesi e per il 60% diabetici.
This gene was helpful as long as there were periods of famine. But once these populations adopted the typical Western lifestyle, with less physical activity, a high fat diet, and access to a constant supply of calories, this gene began to work against them, continuing to store calories in preparation for famine. Scientists think that the thrifty gene that once protected people from starvation might also contribute to their retaining unhealthy amounts of fat. ............. The two groups in the pilot study were called Pima Action and Pima Pride. Volunteers in the Pima Action group were encouraged to eat a lower-fat, higher-fiber diet. The staff encouraged study participants to increase their consumption of foods such as beans, fruits and vegetables, and suggested recipes that can be prepared at home. The educational program included discussing healthy traditional behaviors that involved nutrition and exercise. While Pima Action focused on weight loss, Pima Pride was an educational program that encouraged study volunteers to discover how their ancestors' values and lifestyle are relevant to their lives. Participants in Pima Pride attended presentations by community members and others to learn more about their ancestors' healthy diets and lifestyles. tratto da: www.niddk.nih.gov/health/diabetes/pima
La genesi dell’obesità è dovuta allo squilibrio tra
introiti e consumi.
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