05. Desires happyness

Le tapparelle erano chiuse anche se era ancora giorno, cosi’ alcuni raggi di luce penetravano nella mia stanza formando dei giochi di luce e ombra sul soffitto azzurro. Mi vergognavo cosi’ tanto per quello che avevo fatto... mentre tornavamo a casa Kaede mi aveva detto di non pensarci, che papa’ si meritava ben altro di quel semplice calcio nello stomaco, pero’... non avrei dovuto...

Scrollai la testa e mi girai dall’altra parte: aveva ragione Kacchan, non dovevo piu’ pensarci! Quell’uomo aveva avuto cio’ che si meritava, punto e basta.

Inserii un cd nello stereo e ascoltai le note che riempivano l’aria: quella che si propagava era una melodia antica e malinconica, che ricorda lo scrosciare delle onde... e poi il buio.

Non sapevo per quanto avevo dormito... qualche ora, probabilmente: fuori, infatti, era gia’ buio. Guardai la radiosveglia che si trovava sul comodino alla mia sinistra e i numeri rossi segnavano le 21.13...

Per l’ennesima volta ripensai a quello che era successo e le uniche parole che avevo in testa erano "Ho sbagliato: devo scusarmi con lui".

Gia’... ma scusarmi di cosa? Di essermi difesa? Di aver detto la verita’?

Non sapevo piu’ cosa fare, la testa mi scoppiava e le tempie pulsavano... stavo impazzendo. Per fortuna, presto arrivo’ il telefono a salvarmi.

Purtroppo, la gioia che mi aveva pervasa per qualche secondo, scompari’ immediatamente: infatti controllai sul display del cordless e vidi apparire il numero di Kaede... lo ammetto, ero tentata di non rispondere e di continuare a dormire, ma alla fine cedetti e ancora confusa alzai la cornetta: "Pronto?"

"Ciao Nacchan, tutto a posto?" sapevo che me l’avrebbe chiesto! Ma perche’ non capiva che non volevo piu’ sentirne parlare?

"Bene, grazie!" risposi acidamente.

"Pensavo che ci avresti ripensato tutta notte e che non saresti riuscita a dormire... in ogni caso hai fatto benissimo a tirare quel calcio a tuo padre!"

"Si’, davvero!" l’ironia e’ sempre stata una mia dote: peccato che Kaede fosse troppo stupido per capirla!

"Senti, mi chiedevo se domani ti andasse di vederci..."

"Mi dispiace, ma domani devo uscire con Akira... e’ dalla fine della scuola che non ci vediamo e mi manca!" non era vero, era una semplice bugia. Mi ero resa conto di non voler piu’ parlare di mio padre e di quello che era successo oggi ed ero sicura che se l’indomani fossi uscita con lui non mi avrebbe dato pace.

"Capisco... allora possiamo trovarci tra 10 minuti all’entrata del parco davanti a casa tua!" Ma come faceva ad essere cosi’ appiccicoso?

"Ho detto di no... ma lo vedi che c’era gia’ buio? Io a quest’ora non voglio uscire!"

"Ne sei sicura? Lo sai che se vuoi..."
"Santo Dio, si’ che sono sicura! Perche’ devi sempre rendere le cose cosi’ maledettamente difficili?" era una risposta secca e acida e pochi secondi dopo averla formulata ero gia’ pentita, ma il mio stupido orgoglio mi impediva di chiedere scusa.

"Mi dispiace se mi sto preoccupando per te, scusami tanto!"

"E non hai nient’altro di meglio da fare???"

"No, preoccuparmi per te e’ gia’ un lavoraccio!"
"Non mi pare di averti mai chiesto di starmi dietro come un cagnolino!"

"Ah, era cosi’ che sono diventato adesso? Un cagnolino? Non abbiamo piu’ niente da darci, Natsuko...!"

"Io..." la voce mi mori’ in gola e non riuscii a dire niente.

"Ciao!"

*bep* *bep* *bep*

"Scusami Kacchan, io... io..." ancora una volta iniziai a singhiozzare e mi accasciai sul pavimento, la testa poggiata contro l’anta dell’armadio. "Perche’ non sono capace di dimostrare alle persone il mio affetto? Perche’ devo sempre trattare male i miei amici? Perche’ va a finire sempre cosi’...?"

Erano passati due giorni dall’ultima volta che avevo visto Kaede, ma ancora non avevo trovato il coraggio di scusarmi con lui per come lo avevo trattato: nonostante il suo comportamento mi avesse irritata oltremodo, mi rendevo conto di aver esagerato, e ancora di piu’ mi rendevo conto che lui se l’era presa parecchio, molto piu’ di quanto non avrebbe fatto normalmente. Il senso di colpa mi attanagliava, ma... la consapevolezza di aver ferito qualcuno a cui volevo bene mi faceva ben piu’ male.

Ero seduta sulla comoda poltroncina da ufficio a cercare di fare una versione di latino, ma un leggero suono mi distolse dal mio lavoro: mi era arrivato un SMS. Mi alzai, mi diressi verso il letto, sul cui cuscino era adagiato il mio cellulare e mi misi a leggere.

Mittente: sconosciuto

Data: 21 luglio 2002

Ore: 03.12 pm

Testo: ...

"Non e’ possibile! Questo dev’essere uno scherzo!" mormorai, lasciando cadere il cellulare per terra.

Passo’ un altro giorno e quando guardai fuori dalla finestra, il sole caldo e splendente mi invito’ ad uscire per andare a prendere un gelato. Anzi, sarei andata a prenderne una vaschetta intera, mi sarei presentata da Kaede, gli avrei chiesto scusa per come l’avevo trattato e avremmo fatto pace mangiandoci mezzo chilo di gelato con la panna montata.

Ma presto mi sorse un dubbio: "E se incontrassi Mitsui?"

Per fortuna, subito dopo mi venne in mente che proprio quel giorno, i ragazzi del club di basket sarebbero partiti per una breve gita al mare: me l’aveva detto il nonno.

Indossai le mie scarpe da tennis: ormai erano lise, ma erano le mie preferite e mi piaceva averle sempre ai piedi, in qualsiasi momento. Quando uscii in cortile, percorrendo il sentiero di sassi circondato ai lati da alcuni bonsai dalle forme piu’ disparate, arrivai davanti al cancello e intravidi... "Kaede!" le mie labbra si mossero da sole. In un secondo cercai di spremermi le meningi, per trovare il modo per porgergli le mie scuse ma... non servi’ a nulla, perche’ lui era gia’ entrato in cortile, mi aveva stretto forte le spalle e mi aveva sbattuta contro al muro della casetta tradizionale.

Per la prima volta in cinque anni avevo avuto paura di lui: mi stava fissando con quei suoi occhi blu e un’espressione determinata… e improvvisamente un rumore di vetri infranti. Kaede avava tirato un pugno sul muro, ma non si era accorto che di fianco a me c’era una finestra e cosi’ l’aveva rotta. Dal suo pugno inizio’ a sgorgare del sangue, cosi’, molto timidamente, per evitare di farlo innervosire piu’ di quanto non lo fosse gia’, cercai di convincerlo a entrare in casa per farsi medicare, aggiungendo che non importava se aveva rotto la finestra e che avremmo potuto dire che era successo tutto per caso, mentre facevamo una partitella uno contro uno in cortile.

Ma lui non si mosse "Baka!"

Cosa? Mi stava dando della stupida?
"Ho tanto da dirti, e per una volta sarai costretta ad ascoltarmi. Poi ti lascero’ in pace e non ci vedremo mai piu’; cambiero’ club, scuola e citta’ se necessario, ma ora mi devi ascoltare!"

"Perche’ hai smesso di giocare a basket?"

"..."

"Come pensavo, per colpa di quell’imbecille di tuo padre!"

"Io... non e’ vero! Kaede lasciami andare!"

Lui mi prese i polsi con forza e li incrocio’ contro al muro, al di sopra della mia testa.

"Ho detto che adesso mi ascolti!" rispose lui "Riprendi a giocare a basket! Tu sei come me, tu ami il basket, perche’ dovresti farti influenzare da un essere spregevole come tuo padre? Pensaci bene, prima di commettere una sciocchezza! Ora sei ancora in tempo per rimediare, ma poi?"

"Per favore, lasciami andare!"

"E poi perche’ ti preoccupi cosi’ tanto di tuo padre? Lui ti odia, non gli importa nulla di te! E invece... invece ci sono altre persone, che tu non degni di uno sguardo, persone che si preoccupano per te, ma che tu respingi! Persone che TI AMANO!"

Detto questo, strinse la presa sui polsi e mi bacio’.

06

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