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Critica

Ad Anagni, la storica e bella città del frusinate, viveva Italo Turri, un "reietto della terra" e da decenni dipinge (su materiali residuali, spesso sottratti agli immondezzai) tanti e poi tanti quadri quante foglie spuntano a primavera sulle querce centenarie di quelle colline. Uno sconcertante e quotidiano gettito vomitivo di colori e forme che potrebbe aver requie solo con L'interruzione della vita...
Quei cartoni sono una strana orchestra che suona una musica sconosciuta a volte facendosi conato dimesso e infantile, a volte disponendosi nel golfo azzardato delle visioni liriche ... caro Italo Turri so che queste mie righe (peraltro superflue nel tuo extrasistolico universo) non le leggerai mai, tuttavia io sento il bisogno di dirti grazie di esistere, grazie della tua sfida!
grazie di aver dipinto tutta la tua umile via crucis!, grazie di aver inondato di smembranti percezioni i sotterranei e i cieli della tua città!,
Le strade vengono cancellate, le tracce no." (L. Ostuni)."

... vi si rifletta: perché un genio - afferma Marcel Proust - consiste ' nel potere riflettente' e non nella qualità intrinseca dello spettacolo riflesso... per un uomo la cui vita è come una "Monade' (Leibniz), l'intuire figurativo aliena ogni contenuto ed esterioretà, e solo il sentimento lo mantiene in unità soggettiva con l'Io interno.

....la sua morte, il 9 Aprile 1995, se ha chiuso il capitolo della sua travagliata esistenza, non ha esaurito per nostra fortuna, quello della sua pittura." (D.Di Sepio)

 

Anna Turri

Quando l'artista si richiama all'ambiente e a tutto ciò che lo circonda, ci offre in chiave di interpretazione attuale, la quotidianità e la figurazione della realtà che diventa appello alla difesa di ciò che siamo.

Nello stesso tempo c'è la parallela interpretazione della femminilità pura, "Mather di tutte le cose" che è messaggio di pace e rispetto reciproco, quasi una conquista sociale di carattere poetico - culturale.

Questo è quello che ha dipinto mio padre, gioia interiore di se stesso, gioia per gli occhi della gente e bellezza per le pareti di casa.

- ITALO TURRI -

"L'EMOZIONE TRASMESSA"

di

Rocco Zani

Febbraio 2000

I numerosi commenti critici elaborati sulla figura di Italo Turri tendono, fatalmente, a rimarcare - in maniera più o meno celata - una sorta di combattuto dualismo tra la privatezza della dimensione umana e la preponderanza della sua immagine artistica.

Che Italo Turri sia stato, nella sua tormentata esistenza, una personalità "anomala e contraddittoria", è fuor di dubbio. Soprattutto se intendiamo attribuire a tale avversione un giudizio confinato tra le cosiddette "valenze ordinarie". D’altra parte, quella forma di "egocentrismo onirico" che ne ha accompagnato – e segnato – la vita, sembra alimentare, ancora oggi, nell’ interlecutore abituale, un’attenzione colma di velate passioni. "L’anormalità" – intesa quale rappresentazione antitetica di modelli comportamentali regolamentati da un "sentire" comune appare pertanto, non già luogo dell’estraniamento, bensì forma – indiretta, ma accattivante – di partecipazione.

Ma la conoscenza di un artista – di Turri in particolare – pare inconciliabile con gli esili citazionismi tratti da letture déjà vu, ovvero, appare riduttivo e precario il tentativo di concentrare la ricerca su un piano di "urgenza folcloristica " anziché di analisi peculiare del fenomeno. Occorre pertanto stabilire un opportuno parametro valutativo affinché la "contaminazione" reciproca delle –quella umana e quella artistica – trovi un ruolo di innegabile ed equilibrata sommatoria che restituisca a noi uno scenario di rigorosa interpretazione .

Ecco allora che il prologo di questa sequenza conoscitiva deve necessariamente collocarsi in quella "capacità di emozioni che l’opera di un artista riesce a trasmettere nonostante tempi e generazioni nuove" (Giuseppe Selvaggi). Un elemento, "l’emozione trasmessa", che pare farsi sostanza ineludibile di un indagare più complesso e dilatato. Esso è epicentro di accensioni umorali e al contempo memoria intransigente. Una memoria millenaria o attuale che Turri traduce progressivamente in archetipi della ricordanza rifiutando – o ignorando forse – qualsiasi orpello esplicativo, come se la nudità dell’opera favorisse – invece – più intime e personali ouvertures. E’ la memoria del quotidiano, quella del degrado o delle prospettive incaute che tagliano il cielo in distorte finestre di luci e ombre. Quella dei volti ignoti che "mozzano" il sogno e rifondono l’uomo – l’artista – di brandelli di dialogo. Ovvero la memoria remota, colma di provocatorie tonalità, di non sapute dimenticanze, di raffiorati dubbi. E paure.

L’uso "libertario" – in secondo luogo – di materiali inediti, rafforza e sottolinea quel desiderio neutrale della narrazione, restituendo all’immagine dipinta – scavata, graffiata, scoperta – l’oggettività dell’incarnazione. La campitura – sia essa tela o cartone o pietra o legno – è una sorta di "dilatato sostegno dell’idea". O idea anch’essa.

Ecco perché Turri non è un "caso" di demopsicologia o di alienazione. E’ più semplicemente – e pertanto in maniera più complessa – un pittore:

Scrive Sabina Spada di Annette Messager : "l’utilizzo di diversi materiali, anche di scarto, provoca lo svuotamento del significato delle categorie di arte alta e arte bassa, portando aspetti della vita quotidiana all’interno della dimensione artistica".

"Il superbo dolce pittore Monzon"

di

Giuseppe Selvaggi

10 Settembre 2000

Sono cinque anni dalla morte, e come artista resurrezione, Italo Turri, il superbo e dolce pittore a firma Monzon. Anche chi non lo ha conosciuto di persona, nella sua vita di penitente dell’arte, dai suoi quadri ricostruisce una coscienza di purezza e di sacrificio nel progetto di fare arte. In questo, il pittore che poteva sembrare- vedendolo trovare nei rifiuti il materiale per la sua angelicata salita verso la poesia visiva- un emarginato, è stato uomo di sicura cultura per ciò che di nuovo imponeva la ricerca del Novecento. Il tremendo e meraviglioso fulmine di Gesù: Beati gli ultimi perché di questi sarà più sicura e rapida l’entrata nei cieli del futuro, per Italo Turri significa: Beati gli ultimi nel mondo dell’arte perchè saranno questi nella prima linea nel domani della poesia, Italo Turri ripensandolo, mostra dopo mostra, in questi cinque anni, riesce ad essere, non apparire, sul traguardo degli artisti che possono rimanere vivi dopo la morte. Mentre migliaia, anche di firma famosa cadono nella resistenza al tempo: che in arte e nella poesia non ammette vittorie sterili.

Questa mostra di omaggio, in un luogo sacrale per la religiosità della cultura, nella città di ferentino, segna un’altra tappa preziosa in avanti, nella conoscenza di questo artista, di improvviso nella prima linea. Ci vorrà ancora, un paziente lavoro di conoscenza sulle sue opere, nella sua autentica realtà, per stabilire le circostanze storiche e le ragioni accertabili, sempre attraverso la luminosa solitudine dei suoi quadri, per fare dell’ammirazione postuma, crescente, una affermazione critica. Per fare di Italo Turri un pittore di diritto presente nelle conclusioni inventive del nostro Novecento.

Il merito più consistente di Italo Turri è stato quello di avere fatto centro nella scoperta più audace del Novecento, riguardante il rapporto tra pittura e materia per la sua realizzazione, dopo l’avvento di nuove tecniche nelle arti visive. A cominciare dalla fotografia. Turri ha intuito, e messo in pratica la verità secondo cui tutte le strade conducono alla poesia, purchè se ne abbia consapevolezza e carisma concretizzante. Le sue scelte povere del cartone abbandonato, persino sporcato, e dell’utilizzazione anche dei colori di rifiuto assume capacità di simbolo ammonitore. Monzon, così, è tra gli artisti di una avanguardia interiore e fattiva, ch’è la ricerca. La sua leggendaria povertà, volontaria, si alza a valore di affermazione anche di principio. L’arte è dono di sapienza, insieme dono dello spirito procreante. La sapienza di Monzon è consistita nel credere alla possibilità di far poesia anche con il "niente" del giorno dopo giorno vissuto nella fede, e della quasi "elemosina" - per i cartoni e i colori - dei mezzi per fare arte. Da qui la sua francescanità del suo esistere. Monzon poverello dell’arte, per questo vincente. Certo le sue scelte sarebbero crollate dinanzi alla impotenza come poeta tramite le immagini. Ma egli aveva soffio della invenzione creativa.

Questa mostra è utile alla urgente decisione di immettere Monzon nei canali della critica storcizzante dell’arte contemporanea, valorizzando, o non nascondendo, gli aspetti della sua volontaria povertà. - Questa, nella mostra di Ferentino, brilla come ricchezza -.

 

 

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