Progetti e studi di architettura

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GRAND TOUR

 

Cosmopolitismo e internazionalizzazione del "Tour"

Nel corso di tutto il Seicento i viaggiatori inglesi sono mossi da motivazioni diverse da quelle dei francesi: per fare un esempio gli inglesi eleggono come capitale ideale Venezia, i francesi Roma. Con questo si vuole rendere noto che sono ancora presenti delle propensioni nelle quali i caratteri nazionali della cultura di provenienza sono ben marcati, soprattutto per quei viaggiatori provenienti da paesi dai profili nazionali già definiti. Intorno agli anni Quaranta del Settecento si assiste ad una internazionalizzazione del Tour; si viaggia incessantemente per i quattro capi del continente e la direzione consolidata é dal Nord al Sud. Una inversione di tendenza si avrà soltanto nel corso dell'Ottocento quando la cultura europea guarderà con occhi diversi la civiltà medioevale.

1. Il viaggio di Edward Gibbon e l'eclisse di Venezia
Edward Gibbon compie il suo viaggio nel 1764 seguendo un itinerario che durerà nove mesi. Egli è disinvolto, ha molte curiosità e il suo Journal è una serie di appunti ad uso personale non certo destinato, almeno nelle sue intenzioni, alla stampa. Nell'opera, accanto agli interessi storici, si trovano quelli artistici. Ma la novità rispetto ai precedenti viaggi è che Gibbon nutre interesse per gli altri centri urbani della Padania, non più Bologna ma Parma, Piacenza, Reggio e Modena. Secondo Gibbon l'Appennino Toscano è molto più ridente di quello Emiliano. A Firenze di fronte allo spettacolo della cupola del Brunelleschi conclude: " In una parola, è opera degna dell'antica repubblica fiorentina... la cupola ammirata da Michelangelo è il primo pezzo di grande architettura che si sia veduto fra i moderni, mi sembra degna di tutti gli elogi che ha ricevuti".
L'assenza di Venezia e di Napoli è d'altra parte controbilanciata da un interesse per molti tratti nuovo verso i centri urbani medi della Toscana e della Padania: si direbbe che la geografia dell'Italia nella seconda metà del secolo sia più articolata, meno fissa sui tradizionali poli.

2. L'asse Roma-Napoli al centro del Grand Tour: il viaggio musicale di Charles Burney
Charles Burney, musicologo e studioso, deve considerarsi uno degli autori più disponibili a cogliere gli aspetti e le immagini meno convenzionali dei paesi che attraversa. Scopo del viaggio è raccogliere materiali di prima mano per la General History of Music. Meta dell'itinerario è l'Italia che, nonostante le arti figurative stiano declinando, rimane il paese della musica. Burney adotta come guida il Voyage di Lalande da cui spesso si discosta con suoi giudizi ed impressioni. Egli compie l'ascissa del Moncenisio, si reca a Torino, quindi a Milano, Bergamo, Brescia, Verona e Vicenza. Rimane molto colpito dal paesaggio della Lombardia ma allo stesso tempo deluso dal Duomo di Milano dagli splendori bizantini di Venezia. Tappa privilegiata del suo viaggio musicale è invece Bologna nella quale Burney soggiorna per ben due settimane. In questa come nella seguente tappa di Firenze la sua attenzione è meticolosa per conservatori, teatri, musei, collezioni private e pubbliche. A questo punto il viaggio si sposta verso il meridione; egli dedica tre settimane a Roma e successivamente si dirige a Napoli. I miti dell'antichità gli conciliano il viaggio verso la Campania Felix; questa terra lo conquista per la sua non comune opulenza ed egli stesso definisce Napoli una città "straordinariamente popolata, con un movimento e un'attività superiori perfino a quelli di Londra e Parigi". I teatri, i conservatori, la grande tradizione musicale, le antichità di Pompei ed Ercolano, il museo di Portici sono le tappe di questo straordinario incontro con una delle mete privilegiate del suo viaggio.
Durante il tragitto di ritorno Burney visita Genova che, come Venezia, in parte lo delude.
La tendenza è stata ormai invertita. E' incredibile il numero di gentiluomini, diplomatici, artisti che si incontrano a Roma e a Napoli. La città campana, una volta ultima tappa, si è trasformata nel vertice di un nuovo viaggio che si prolungherà con tanti altri viaggiatori nell'Italia meridionale e nella decisiva scoperta della Sicilia. Con Burney il tradizionale percorso del Grand Tour ha invertito i suoi punti caldi: non più Venezia e Firenze, ma l'asse Roma-Napoli è l'itinerario privilegiato del viaggio in Italia nella seconda metà del Settecento.

3. Il Voyage d'Italie di Lalande: un best-seller.
L'astronomo Lalande parte per l'Italia nell'agosto del 1765 e ritorna in patria dopo un anno esatto. Nel 1769 é pronta la prima edizione del suo Voyage en Italie, "la descrizione più ampia, completa e sistematica dell'Italia mai apparsa" .
Nella Prefazione Lalande dettaglia l'itinerario: entra in Italia dalla Savoia e visita, in ordine, Torino, Milano, Roma e Napoli. Risale la penisola attraversando l'Umbria e seguendo il versante adriatico fino a Venezia. Passa poi in Lombardia, prosegue per Genova per arrivare a Nizza. Questo tragitto é stato meticolosamente studiato dal francese per evitare il freddo inverno del nord, la calura estiva del sud ed inoltre per osservare il Carnevale e la Settimana Santa a Roma. Sempre nella Prefazione Lalande indica gli strumenti necessari per affrontare questo viaggio come, ad esempio, una buona carta geografica.
L'autore si é documentato a lungo sull'Italia leggendo tutte le opere più importanti ma le ha trovate "approssimative ed incomplete". E' questa la ragione che lo ha indotto a scrivere di suo "uno straniero scrivendo dell'Italia, per prima cosa si deve giustificare di un'impresa che sembrerebbe temeraria...Ma la risposta è che, neppure in italiano esiste una descrizione moderna dell'Italia, che si possa tradurre ad uso degli stranieri". L'autore avverte che ha cercato di trattare ogni argomento dalla storia sociale e politica alle scienze naturali, all'arte, alle tradizioni popolari non addentrandosi in giudizi su pitture o sculture. Consiglia alcuni testi per lo studio delle opere d'arte antiche: Voyage en Italie di Cochin, Le Vite del Vasari, Storia dell'arte nell'antichità di Winckelmann e le opere di Mengs.
Conclude la prefazione citando le maggiori opere internazionali che riguardano questo viaggio. Seguono due capitoli monografici dedicati alla storia naturale e alla costituzione fisica dell'Italia, per inserire il suo viaggio in un sistema ben preciso.
Cesare De Seta continua a descrivere il lavoro di Lalande sottolineando più volte l'elemento caratterizzante dell'opera: la sistematicità. Prende come esempio i quaranta capitoli del primo dei sette tomi che costituiscono il suo "Voyage". Ve ne sono alcuni interamente dedicati alla Savoia, alle Alpi, agli insetti luminosi, alla storia e alla geografia del Piemonte, alla storia di Torino, ai problemi demografici e amministrativi, all'organizzazione sociale: una vera radiografia a più livelli dell'area piemontese.
Questo schema, che Lalande ripete per le altre zone importanti (il milanese, il Lazio, ecc.), viene arricchito con dati bibliografici per permettere al lettore di approfondire ulteriormente certi temi. De Seta termina di parlare dell'astronomo francese sottolineando lo spazio che questi dedica ad ogni singola città. Vengono proposte cinque classi. Questa suddivisione evidenzia l'articolarsi degli interessi che il nostro Paese riscuoteva presso un viaggiatore straniero. Si afferma una sensibilità cosmopolita che trova nella passione per l'antico il suo centro d'aggregazione.

4. La tradizione del kavalierstour e la scoperta del sud: le corrispondenze a Winckelmann del barone von Riedesel.
Il percorso tradizionale del Grand Tour tocca come punte meridionali, in verità piuttosto isolate, Roma e Napoli. Il Mezzogiorno d'Italia è, per motivi geografici ma soprattutto culturali, ponte tra due mondi: quello continentale civilizzato e quello non civilizzato del Sud italiano, risultato di molteplici influssi socio-culturali. Questa regione sarà d'interesse per i viaggiatori stranieri solo a partire dalla seconda metà del Settecento grazie soprattutto a Goethe, a Winckelmann e a Von Riedesel e a un rinnovato interesse per l'antichità classica. E' in questo periodo che si colloca l'epistolario di quest'ultimo, il barone Von Riedesel. Cesare De Seta parla di "religioso peregrinare alla ricerca delle radici dell'antico" tra Agrigento e Siracusa, Malta, Messina e la Calabria. Il tedesco si sofferma a descrivere soprattutto i reperti classici dato anche il destinatario delle sue missive, il Winckelmann. Da questa opera emerge però anche il volto di questa regione. Vengono descritti i costumi, i paesaggi, le campagne osservati attraverso gli occhi di una cultura classicistica. Il barone è pertanto deluso, ad esempio, da Taranto, città che conserva ben poche vestigia antiche.
Il difetto principale di quest'opera letteraria è la limitatezza d'orizzonte. L'autore, infatti, nega importanza a tutto ciò che non è classico, senza riuscire a carpirne il vero valore. Rimane comunque importante per aver aperto questa nuova strada ai viaggi d'istruzione, togliendo un aristocratico da queste regioni così a lungo evitate nel Grand Tour.

5. Il Voyage Pittoresque dell'abate Saint-Non.
Il segno che qualcosa s'era spezzato, o profondamente mutato, nella tradizione del Grand Tour, s'era avuto assai prima di Goethe. L'attenzione dei viaggi in Italia viene incentrata sul meridione e alcuni testi resoconti di viaggi testimoniano questa nuova tendenza. Ne sono un esempio Antichità Siciliane (1751), Trattato della Lucania (1755), Remarks on Several parts of Europe relating chiefly to their antiquities and history (1758). Ma la vera svolta che sancisce la centralità della Sicilia in questo genere di itinerari si ha intorno agli anni Settanta del secolo e nel 1781 uscirà il tomo del Voyage Pittoresque un'opera in cinque tomi che costituisce la più ampia e completa illustrazione del regno mai prima tentata, un'opera che relaziona un viaggio, indicato dall'Abate Saint-Non, di un'equipe di disegnatori per il regno delle Due Sicilie. Ma questa impresa di tanto respiro è il frutto anche delle esperienze dirette che il suo autore aveva condotto alcuni prima nell'Italia meridionale. Grazie all'aiuto di Natoine, direttore dell'Accademia di Francia, Saint-Non aveva potuto avere al suo fianco alcuni giovani, quali Hubert Robert prima e Jean Honorè Fragonart dopo, come stretti collaboratori per le sue ricerche. Frutto di questo viaggio è un grande numero di disegni che poi finiranno in parte nel Voyage Pittoresque ormai già stato abbozzato. Il viaggio di Saint-Non è il contributo indispensabile per la realizzazione del progetto e certo è che il Voyage Pittoresque costituisce il più felice momento di sintesi tra la tradizione del Grand Tour e quella delle spedizioni archeologiche. L'organizzazione stessa dell'opera che presenta diversi tipi di disegni e diversi soggetti quali paesaggi naturali ed urbani, monumenti antichi e moderni ne è testimonianza.
Grand Tours e viaggi archeologici trovano infatti molti punti d'attrazione comuni primo tra i quali la scoperta dei resti di Pompei, nuova meta interessante per i due tipi di viaggio. E' anche interessante per queste scoperte che l'attenzione si sposta, come accennavamo in precedenza, verso il meridione e il Mediterraneo in generale. L'interessamento al Sud è certamente anche una mossa editoriale che permette di spostare l'attenzione verso una zona poco conosciuta ancora da scoprire a differenza del centro-Nord che è oramai abbondantemente documentato. L'opera di Saint-Non si colloca proprio in questo contesto, in questo momento di cambiamento.
Ma perché il Voyage dell'abate è definito Pittoresque? Il concetto di pittoresco, in quegli anni, viene approfondito: è la percezione della natura ad essere elemento essenziale alla definizione estetica, non l'adesione ad astratti principi. Il viaggio si qualifica come pittoresco, assume così questa particolare connotazione in quei luoghi dove il paesaggio è ruvidamente irregolare e il gusto per le rovine (es. Pompei) rimane un piacere positivo. Nell'estetica del pittoresco, bisogna lasciarsi guidare dalla natura, non per ricalcarne le sembianze, ma per produrre bellezza il cui processo formativo sia assimilabile a quello che governa la natura. E' l'estetica della natura, così come essa si presenta a soppiantare i reiterati tentativi di definire il bello secondo criteri razionali; di questo spirito è pregna l'opera di Saint-Non e molte delle descrizioni sono parte di quel gusto di pittoresco.
Dopo la natura, altro termine entro cui si colloca il Voyage è costituito dall'antichità: secondo una tradizione che serpeggia nell'Europa dei lumi è la storia che consente di recuperare la natura attraverso l'antichità. Questa fonte non é ancora contaminata dalla civiltà, la storia al suo primo apparire non ha ancora spezzato il sodalizio con la natura. La perduta unità di natura e storia é quello che il Voyage Pittoresque insegue, senza averne forse chiari i termini teorici: ma il Sud rappresenta l'ultima spiaggia di questa condizione che l'imbarbarimento della civilisation fa apparire, in tutta la sua crudele evidenza, come utopia.

6. Goethe disegnatore e naturalista nell'Italienische Reise.
Il poeta tedesco afferma la sua diffidenza e avversione per le descrizioni di viaggio e manifesta invece la sua propensione per narrazioni individuali.
Goethe ha in animo, fin dalle prime lettere, di giungere ad un testo che sia un vero e proprio resoconto sistematico del viaggio. Ma sarebbe errato riferirsi solamente al prodotto letterario finito. L'autore si muove verso una condizione poetica di nuovo segno, verso un rinnovato equilibrio. Goethe si serve dell'opera di Volkmann e di fatto l'epistolario è costellato di rimandi. Quel che è evidente di primo acchito nella lettura dell'epistolario è lo straordinario interesse per la mineralogia, la geologia, la botanica cui si aggiungono considerazioni su fenomeni atmosferici e geografici, anche la gente che incontra è parte di questo paesaggio così minutamente descritto.
Nel mondo fisico si afferma la perenne creatività della natura come esperienza della concretezza e della verità terrestre e, secondo questi concetti, il viaggiare diventa occasione per catalogare piante e minerali, per studiarne la varietà.
Il secondo aspetto è quello più letterario: la centralità del classico e dell'antico. La sua natura ed il suo paesaggio sono sembianze filtrate dalla passione erudita, anche se, a differenza di tanti suoi predecessori di cultura classica, egli conserva lo straordinario vantaggio di una sensibilità naturalistica autentica e di una reale competenza che gli consentono di riconoscere le qualità mineralogiche di ciascuna pietra o marmo e di indicarne la composizione.
Bisogna notare che le osservazioni propriamente dedicate alle opere d'arte sono scarse anche se ciò non lo esime dall'esprimere valutazioni di carattere generale sullo stato presente dell'arte contemporanea. Durante il viaggio egli sviluppa un suo modo di considerare l'arte in rapporto alla propria natura e al proprio modo di considerare le scienze naturali. La sua attitudine alla classificazione scientifica gli sembra un esercizio, una pratica utilizzabile anche ai fini di costruire criteri di lettura dell'arte; egli è favorevole ai metodi delle scienze naturali che sono realmente la chiave attraverso cui aspira a leggere l'arte.
Durante il viaggio appena può schizza nel suo taccuino gli aspetti paesaggistici o i particolari (botanici, mineralogici, geologici) per fissarne le immagini a mo' di memoria. Per Goethe il disegno e la pittura furono strumento di conoscenza essenziale di cui incominciò a servirsi con sistematicità durante i due anni del soggiorno italiano; si tratta soltanto di appunti utili soprattutto a Goethe stesso. Alcuni di questi comunque vibrano di una loro vitalità ed occupano un posto di rilievo nel mondo della poetica del pittoresco che è la cifra dominante delle sue immagini più vive e sentite. La scoperta del paesaggio mediterraneo inaugura quella lunga riflessione sulla luce e sui colori che davvero può considerarsi uno dei contributi più profondi della sua pittura.
Su tutta l'opera l'Italia è ancora il paese dell'arte e dell'antico: ma il baricentro si è spostato al Sud verso quell'area mediterranea che era rimasta lungamente in ombra, relegata in una posizione marginale. Dopo Goethe c'è una vera e propria inversione, mutano gli equilibri, gli interessi inclinano verso il Sud e Il Viaggio sancisce in modo definitivo questa inversione.

7. Il controviaggio a piedi di Johann G. Seume.
Fino ad ora i viaggiatori di cui si è detto erano giunti in Italia con un numeroso seguito, il loro viaggio era solitamente compiuto in carrozza, calesse, per via mare o fluviale. Seume viaggia invece a piedi, è un eccentrico e vuole viaggiare "senza la prigione della carrozza". Proprio perché viaggia a piedi segue itinerari non convenzionali, sceglie strade che gli consentono di scoprire e prospettive del paese che sfuggono ai più tranquilli viaggiatori che percorrono in carrozza l'itinerario obbligato delle stazioni di posta. Ma il suo merito principale è che, a differenza di tanti suoi predecessori, che si muovono con un medesimo bagaglio ideale, egli non si esibisce.
La sua scrittura non cede a suggestioni pittoriche, né si lascia andare a languori romantici ed egli ha anzi la curiosità di scoprire gli aspetti meno arcadici e sentimentali. Il testo di Seume inoltre ci consente di attraversare campagne, piccoli centri agricoli fuori dalle vie maestre, di visitare cittadine di cui è difficile trovare traccia negli itinerari classici. Dal suo viaggio a piedi emerge l'Italia provinciale assai meglio di quella delle grandi città. L'autore fa ricorrenti note sul cattivo stato degli argini, sulle inondazioni, sulle precipitazioni atmosferica; ma in esse non vi è più memoria di pittoreschi entusiasmi, essi sono visti più concretamente come tragici eventi che producono devastazione, miseria e morte. Seume ha occhi per vedere e giudicare, pochi viaggiatori seppero vedere oltre lo spettacolo magniloquente delle reliquie dell'antico e dei santuari dell'arte. E' attento a vedere le nuove opere costruite dall'uomo a modifica e ad arricchimento del paesaggio naturale. Dinanzi a opere pubbliche come acquedotti, porti, strade che incontra nello Stato Pontificio il suo spirito anticlericale sembra quietarsi. Nel testo di Seume, come si è detto, non è certo l'arte al centro dell'interesse, né sono privilegiate le città; tema dominante è il territorio e non il paesaggio che rimanda inevitabilmente a quel gusto del pittoresco e a quella visione romantica che è estranea alla sua sensibilità. Egli governa la sua emozione e la sua penna con giudizio e si colloca così su un fronte diverso da quello tipico del milieu del Grand Tour. Per questo il suo è un controviaggio: lui è un viaggiatore che chiude definitivamente con la tradizione.

8. La fine del Grand Tour e l'avvento del turismo.
Il clima culturale che aveva pervaso il XVII e soprattutto il XVIII secolo, regalando agli artisti ed intellettuali europei del tempo l'esperienza indubbiamente educativa del viaggio in un paese ricco di memorie storiche fu interrotto dalla prima travolgente discesa in Italia del generale Bonaparte (1796). Con le sue armate e la forza delle impetuose idee rivoluzionarie, egli pose fine per sempre al fragile equilibrio fino ad allora conservato tra le tante dinastie regnanti nel Bel Paese. Non che, negli anni seguenti, non vi siano stati viaggiatori che ne abbiano seguono la traccia. Tutto l'Ottocento, infatti, è costellato da un interminabile rosario di viaggiatori che ne rivivono i fasti nelle forme più dimesse e private dei romantici itinerari, ma l'istituzione è ormai finita. Il conte Daroundel salpa da Dover con una corte al seguito; Montaigne valica il Moncenisio con famigliari e segretari, lo stesso si dica di Lord Burlington; Seume questo eccentrico spirito tardo illuminista, non ha carrozze né istruttori, né ingaggia pittori e musicisti per la via. Attraversa la penisola a piedi con un bastone tra le mani e con uno zaino di pelle di foca sulle spalle intasato di testi classici.
Questi scheletrici dati misurano la distanza che separa così diversi viaggiatori. Seume è già fuori l'istituzione aristocratica del Grand Tour. Anche lui ama l'Italia delle memorie antiche, ma sa vedere oltre di esse come pochi suoi predecessori e successori sulla rotta del Bel Paese. Lui è il vero scopritore del paese reale: la provincia, le campagne, le montagne, le valli, i fiumi ed i torrenti, manufatti dell'uomo che ne determinano l'uso e l'abuso. In sostanza quell'Italia che si può scorgere o ricercare lontano dalle città, dalle reti di traffico, e che mostra di saper difendere la sua identità. Un paese che il viaggiatore, abbagliato dalle città già allora, era indotto a trascurare o forse a rimuovere. Pure, bisogna aggiungere, la singolarità del viaggio è nel risolversi in una lunga passeggiata a piedi: senza carrozze, né calessi, né altri mezzi di trasporto. Seume certo non è il primo e non sarà l'ultimo: anzi bisogna dire che questo genere di viaggio, che oggi si direbbe ecologico, aveva incominciato a riscuotere tanti adepti che, puntualmente uscirono i primi manuali o guide specializzate. Il Pedestrian Tour ha i suoi fedeli e si afferma come una pratica relativamente diffusa nell'Europa rappacificata dalla Restaurazione, ma pur ormai solcata dalle strade ferrate, da una rete di alberghi e di strade nuove, come appunto esigeva la nascente età del turismo.
Il turismo, infatti, fenomeno tipico della contemporanea società di massa, ha origini ottocentesche ed esse si collocano in continuità con la tradizione del Tour. Anzi in alcuni momenti precisamente negli anni che immediatamente seguono le guerre napoleoniche, c'è una sorta di sovrapposizione, i fili si aggrovigliano ed, oggettivamente, non è facile capire quale bandolo essi rimandino: se alla tradizione del Grand Tour o a quella in via di formazione del turismo. Queste ambiguità si risolvono negli anni successivi al Congresso di Vienna, quando questa onda montante che si chiamerà turismo investirà l'Europa restaurata con correnti folte e numerose di viaggiatori come mai prima si era visto. Il vecchio continente è attraversato dalle prime ferrovie, alcuni valichi cadono in disuso perché le Alpi vengono traforate, esili ponti di ferro valicano i grandi fiumi, le antiche stazioni di posta vengono sostituite dai primi hotel. Girare l'Europa non è più un'avventura, ma una vacanza: l'iniziativa privata aristocratico borghese viene nettamente soppiantata dalla prima organizzazione turistica di viaggi che per lungo tempo ne ricalcherà gli itinerari, ne assimilerà le ambizioni e le motivazioni, anche se riducendoli e banalizzandoli secondo quanto esige la nuova clientela.
Dopo meticolosi viaggi per l'Europa, alla ricerca di ogni informazione che possa essere utile a questo nuovo genere di viaggiatore, certamente più pigro e meno colto di quanti l'hanno preceduto, nel 1836 viene pubblicato il Red Book di John Murray. Edito a Londra, si impone presto come il primo, moderno, vademecum del turista. I caratteri di questo turismo organizzato ed, in qualche misura, già massificato, determinano due differenze che provvisoriamente devono essere segnalate. Il Tour è un viaggio che nasce da una spinta, da motivazioni precise: l'arte, la cultura, l'archeologia, la musica, ecc. Il viaggio organizzato del turista ottocentesco, pur non avendo perso i contatti con questi interessi, si qualifica come viaggio d'evasione, di vacanza, al limite senza scopo. In secondo luogo i caratteri sociali del viaggiatore sono mutati: agli aristocratici, ai ricchi borghesi e agli intellettuali si affianca un ceto ben più numeroso di piccoli borghesi, tipica espressione di quella civiltà industriale che stava trasformando alla radice i sistemi di produzione, di vita e di consumo della società europea.
Il viaggio si avvia ad essere già nell'Ottocento un prodotto, una merce da vendere al maggior numero possibile di acquirenti: il turismo diviene esso stesso una prospera industria il cui sviluppo esige la standardizzazione, il montaggio, la produzione in serie. Non c'è luogo, interesse, tema che sfugga a questa organizzazione: esistono allo stesso tempo una continuità ed una cesura, tra la tradizione del Grand Tour e quella del turismo di massa. Il turismo come noi lo conosciamo non fa eccezione: ancora oggi trascina con se, sia pure come relitti di una civiltà trascorsa, le pulsioni e le speranze che furono proprie della cultura romantica, vale a dire di quella cultura che esaltò il Passato e l'Antico, che predilesse la Natura incontaminata redigendo in tal modo un repertorio di luoghi, una lista di monumenti, una serie di valori che dovevano costituire una sorta di Campi Elisi sottratti all'aggressiva presenza della macchina e alla stringente logica che i nuovi mezzi di produzione capitalistica imponevano.