Progetti e studi di architettura

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GRAND TOUR

 

L'Italia nello specchio del Grand Tour

Com'è possibile leggere l'immagine della cultura italiana, dalla letteratura alla filosofia, dalle scienze alle arti, attraverso gli occhi della cultura europea che ad essa si accosta con maggiore attenzione e capacità di penetrazione, così è forse possibile tracciare un primo, sommario e parziale schizzo del paese reale. Indagare gli itinerari attraverso cui lo scoprono e lo conoscono quei viaggiatori che maggiore attenzione dedicarono alla penisola come espressione geografica e topografica, come insieme di valli, di coste e di montagne, di grandi città e di minuscoli paesi, di monumenti e di opere d'arte. Questa Italia reale, fisicamente riconoscibile e identificabile, non è certo sempre uguale a se stessa: ma, almeno fino a tutto il Settecento, i sistemi naturali ed i quadri paesistici non subiscono radicali trasformazioni. Sono soprattutto le città che rinnovano i loro contesti ambientali con incessante continuità, che mutano la loro immagine sia in funzione topografica e sia in funzione di quella che oggi diciamo l'armatura urbana e il sistema degli insediamenti. Nuove strade, nuovi quartieri, nuovi impianti produttivi e infrastrutturali, sovente alterazioni paesistiche rilevanti modificano lentamente la forma delle città e del territorio: non tutto certo, né in modo omogeneo, ma soprattutto quelle aree investite da una crescente pressione demografica, da un insistente fenomeno di sostituzione edilizia, soggette ad una dinamica economica più o meno rilevante. Nel corso del Settecento si assiste all'erosione continua dell'immagine fissata in età moderna. Altre città restano per larghi tratti uguali a se stesse, o così appaiono ai viaggiatori che le attraversano. Ma sono soprattutto gli occhi di chi guarda questi contesti urbani e territoriali ad essere mutevoli; ogni viaggiatore ha le sue lenti (cultura), i propri condizionamenti (psico-antropologici), una personale attitudine ad osservare e ad interpretare l'Italia.
In Italia si viaggia da sempre, legioni di pellegrini attraversano la penisola in età medievale: le vie del pellegrino sono importanti per fissare l'immagine che essi ebbero dell'Italia e che trasmisero al loro tempo, importante è anche il percorso del viaggio e le sue stazioni. La meta predestinata è Roma: la città santa ed i suoi Mirabilia urbis. Ma questo genere di viandante ha rapporti con l'Italia assai diversi da quel viaggiatore che in età moderna la visita mosso non solo da ragioni religiose: ma sollecitato dall'ansia per la conoscenza, dal desiderio della scoperta, dall'amore per la storia e l'arte di questo paese.
C'è una ragione essenziale che distingue questo viaggiatore dai pellegrini medievali: questi, infatti, non sono interessati all'osservazione del reale: " o meglio, ciò che interessa loro è la realtà celata dietro l'apparenza è la realtà simbolica, soprannaturale ". Il paesaggio reale, la morfologia dei luoghi sono apparenze affannate di una meta precostituita nella loro coscienza di cristiani: la salvezza eterna. Il pellegrino non guarda alla natura e alla storia in senso moderno ma ai monumenti, alle basiliche, alle reliquie classiche cristiane. L'Italia stessa per costoro ha confini geografici assai particolari: essa si limita alle regioni centro settentrionali, ultima ed estrema tappa Roma.
È l'Italia delle città, a partire almeno dal XIII secolo ad assumere uno spessore particolare. Il vigore del sistema urbano, ed il numero delle città, soprattutto padane e toscane, sono l'emblema di questo paese che diviene in età moderna la meta privilegiata di tutta l'aristocrazia e la borghesia più facoltosa d'Europa. Certo c'è una continuità sottile tra il pellegrino medievale ed il viaggiatore del Cinquecento. Per quanto diverse sia lo spirito che anima questi viandanti essi compiono una scelta comune: quella di considerare l'Italia una tappa ineludibile della propria vita, un momento dell'esperienza mondana ed intellettuale da cui non si può prescindere. La crisi della cristianità, la caduta di Roma come Civitas dei in seguito alla Riforma, i conflitti che ne derivano sono fattori storici essenziali che modificano lo spirito che muove il viaggiatore, soprattutto quello proveniente dall'Europa protestante. Forse è proprio Martin Lutero nel suo viaggio a Roma alla fine del 1510 a segnare lo spartiacque tra la mentalità del pellegrino e quella del viaggiatore moderno.
Che nel primo decennio del XVI secolo si realizzi una svolta è confermato non solo dall'evidente eccezionalità del viaggio di Lutero: la letteratura inglese fornisce una testimonianza esemplare di questo cambiamento di mentalità. Le propensioni etico-religiose di Sir Richard Torchington sono ben evidenti nel viaggio che intraprende per recarsi in Terra Santa: nel 1517-18 attraversa l'Italia e ripercorre ancora gli itinerari del pellegrino medievale e soprattutto ne condivide le idealità. Vent'anni dopo il fisico Andrew Boarde, con altri intenti e con diverso spirito, intraprende un lungo viaggio nel continente: quello che poi diverrà il Grand Tour. "The first book of the introduction of knowledge" (1547) è forse il primo testo scritto con una sensibilità laica e con un'attenzione alle cose certamente estranea alla ricerca della spiritualità. Boarde parte agli inizi degli anni '30 e ritorna in patria nel '42. Un viaggio del tutto eccezionale per una durata che gli consentì di disporre di una messe dettagliata di informazioni. Una volta inaugurata questa via, si succedono con regolarità altre pubblicazioni: una vera e propria guida ai problemi pratici del viaggiare è The post of the world, di Richard Rowlands (1576) che oltre a minute informazioni tecniche sulle distanze percorribili in un giorno, sulle agenzie di cambio, sulle stazioni di posta, ecc. include una descrizione di alcune città d'obbligo (Roma, Venezia, Genova, Napoli) ma anche su città meno frequenti negli itinerari come Ferrara e Ancona. Prima, di una lunga serie di guide che verranno edite in tutte le maggiori lingue europee senza interruzioni. Ma se è profondamente mutato lo spirito con cui si intraprendono le rotte dell'Italia, molte delle motivazioni che inducono a questo viaggio permangono. Le guide per i pellegrini dirette nel centro della cristianità Mirabilia urbis Romae insistono sulle sette meraviglie della città, sui ponti e sugli acquedotti, sulle basiliche e sui monumenti romani e cristiani; ma a parte il caso di questa città che deve considerarsi del tutto eccezionale, va sottolineato il fatto che nella sensibilità estetica della cultura europea alle soglie dell'evo moderno assume un rilievo cospicuo l'intensificazione la ricorrente analogia del concetto di Bello con la magnificenza della città. E nessun altro paese è adorno di una corona di città come l'Italia: soprattutto nella Padania, nelle Venezie, in Toscana, in Campania e in Puglia. L'ammirazione per le cento città è grande: un misto di meraviglia e di stupore che si rinnova; questa passione ha vicende alterne, ma come ogni passione certo non scompare, né si attenua in età moderna. Il pellegrinaggio da mistico e religioso diviene già nel corso del XV secolo viaggio laico ed erudito alla ricerca delle fonti umanistiche: il ruolo di Roma certo permane, ma sono Milano, Venezia, Padova e Firenze ad assumere il ruolo di comprimari. Già questo solo dato altera il modello geografico che si evince dagli itineraria medievali. Tali città non sono che i nodi emergenti di una fitta trama urbana che per ragioni di volta in volta diverse sono al centro degli interessi della società europea.
C'è un'Italia infatti vista da dentro ed una vista da fuori: c'è un'Italia che scopre lentamente chi questo paese abita e c'è quella scoperta da chi conosce questo paese da viaggiatore straniero. Per quanto possa sembrare strano è questo secondo genere di viaggiatore che porta maggiore alla formazione complessiva dell'immagine del paese. Un veneziano del XVI secolo aveva idee assai sfocate della Sicilia interna, così come un catanese vaghissime idee ebbe dell'Appennino Tosco Emiliano: questo paese politicamente diviso in tanti stati e staterelli rinserrati nelle loro autonomie, geograficamente diversissimo, conosceva assai male le diverse realtà di cui era composto. La ragione storica di ciò è ben chiara: a differenza dei grandi stati nazionali europei (Francia, Spagna, Inghilterra) la penisola non costituiva un'unità politica; né i vincoli morali, religiosi, etnici erano tali da conferire omogeneità a quella che ancora al Congresso di Vienna veniva definita un'espressione geografica. Per uno straniero infatti l'Italia era soprattutto una metaforica, e pur operante, concettualizzazione ideale. Nella mentalità di un europeo, e pur con tutte le profonde differenze che si possono riscontrare nelle culture agenti nel vecchio continente, l'Italia dell'evo moderno appariva come unità spirituale a cui guardare, come traguardo da raggiungere e conoscere, come fonte a cui attingere. La forza della secolare tradizione religiosa e della rinnovata cultura umanistica, il fatto che tra XV e XVI secolo l'Italia, nei suoi centri maggiori, fu la grande officina di una rivoluzione artistica di assoluto rilievo internazionale, sono tutti elementi che contribuirono alla fortuna moderna del paese.
È a questo punto che l'Italia diviene campo privilegiato di quella vera e propria istituzione che è il Grand Tour. Il viaggio di formazione che giovani aristocratici e facoltosi gentiluomini intraprendono per conoscere Olanda, Francia, paesi di lingua tedesca, Svizzera e soprattutto, meta delle mete, l'Italia.
È nello specchio del Grand Tour che l'Italia assume coscienza di sé e alla formazione di tale coscienza il contributo maggiore è portato dai viaggiatori stranieri attraverso la loro diretta esperienza così come si evince dalle fonti letterarie, dai diari di viaggio, dalle guide pratiche, fino alle ponderose opere erudite sulla storia del paese. Parallelamente si afferma il genere del vedutismo d'interesse topografico: disegni, dipinti, incisioni, ecc. fissano le immagini stereotipe di ogni città, le loro reliquie e monumenti, gli ambienti paesistici di maggiore fortuna. Attraverso tali mezzi di diffusione e con i ritmi propri del tempo, si forma così un modo di guardare, di pensare al paese Italia. Fonti letterarie e documenti iconografici sono agenti essenziali della formazione di una mentalità collettiva. È come un puzzle che si viene montando nel corso di almeno tre secoli e alla cui fine sortirà il paese Italia nelle forme che noi oggi conosciamo. Tra il Seicento e l'Ottocento, questo quadro si va componendo con una consequenzialità che è sincronica alle vicende storiche non solo della penisola, ma che è funzione soprattutto delle motivazioni ideali che muovono i viaggiatori stranieri prima verso alcune regioni poi verso altre, che li inducono a privilegiare alcune città piuttosto che altre.
I termini sono disposti su di un fronte simmetrico: da un lato, i viaggiatori, dall'altro, il paese reale. Entrambe queste dimensioni sono un arcipelago frastagliato che si riflette nello specchio mutevole del tempo. L'immagine del paese reale si modifica con una dinamica assai più lenta di quanto non si evolva la mentalità con la quale il viaggiatore guarda ad esso.
Il viaggio in Italia ancora in età moderna non si configura come un'istituzione in senso proprio: è radicato costume che principia dall'alto medioevo e si protrae fino a tutto il Cinquecento. È nel XVII secolo che il viaggio in Italia diviene tappa privilegiata di quella vera e propria istituzione che è il Grand Tour : espressione usata per la prima volta per il viaggio in Francia intrapreso da Lord Grandborne nel 1636, quando l'organizzazione aveva raggiunto livelli professionali con guide che richiedevano, oltre il rimborso spese, un compenso addizionale per il loro lavoro.