Massimo Carlotto, Il corriere colombiano, Pag. 213, e/o (Dal mondo)  

Il romanzo

Il corriere colombiano è il quarto romanzo che vede come protagonista l'Alligatore, preceduto da La verità dell'Alligatore, Il mistero di Mangiabarche e da Nessuna cortesia all'uscita . Per il sottoscritto invece si tratta della prima opera dell'autore.

L'Alligatore, è un ex musicista che lavora, ai confini della legalità, per alcuni avvocati che hanno bisogno di togliere dai guai i propri clienti; l'aiutano nel compito Beniamino Rossini, malavitoso "vecchio stampo" e Max la Memoria, ex fiancheggiatore dei gruppi terroristici graziato dal presidente della repubblica.

L'innocente Nazzareno Corradi, implicato tuttavia in passato in un caso d'omicidio, viene arrestato con l'accusa di essere coinvolto in un grosso giro di droga, gestito dai colombiani. La vicenda, dai pericolosi risvolti internazionali, vede implicate anche le forze dell'ordine che utilizzano il Corradi per coprire un pentito in grado di disvelare gli alti livelli del traffico della droga in tutto il nord-est dell'Italia.

L'intera vicenda si svolge sullo sfondo della realtà sociale del nord-est italiano caratterizzato da un considerevole giro di denaro ed un vasto mercato della droga. Sino al termine del romanzo l'Alligatore ed i suoi collaboratori sono impgnati in una dura battaglia fuori dalla legalità contro Tia, ultima sopravvisuta del cartello di Medellín impegnata ferocemente a mantenere e rafforzare i propri affari in Italia, e contro omertà e giochi sporchi condotti dalle forze dell'ordine.



Le prime righe

Il corriere colombiano si senti fottuto quando incontrò lo sguardo del poliziotto. Conosceva il genere d'occhiata. L'aveva vista mille volte nelle strade di Bogotà. Era quella che gli sbirri riservavano a un sospetto prima di fermarlo. Si guardò attorno. Gli altri passeggeri del volo Air France Parigi-Venezia attendevano i bagagli chiacchierando, scherzando e ridendo. Come veri turisti. In mezzo a più di centocinquanta persone lo sbirro aveva deciso che lui era l'unico a non averne l'aria. Intuito da vero professionista. Il colombiano sbirciò con discrezione il poliziotto. Il tizio continuava a fissarlo. Il panico cominciò a invadergli lo stomaco pieno di ovuli di cocaina. Pura, colombiana, la migliore sul mercato.

L’uomo imprecò a bassa voce. Eppure gli avevano detto di andare tranquillo. Che entrare in Italia, sbarcando a Venezia, era una passeggiata. Arrivarci poi durante le vacanze di Natale era davvero una garanzia. L’aeroporto era sempre zeppo di turisti e i poliziotti avevano la pancia troppo piena di lasagne e panettone per mettersi a caccia di corrieri con la pancia piena di coca. Così gli avevano detto. E lui si era imbarcato il giorno di Natale a Bogotà. A Parigi aveva cambiato aereo e passaporto ed era arrivato a Venezia il giorno di Santo Stefano, quando i poliziotti di turno erano ancora in piena digestione.

Lo sbirro ammiccò verso il box di vetro e metallo della dogana e con un gesto del mento indicò il colombiano agli altri poliziotti. Lo aveva fatto apposta per annodargli le trippe dalla tensione. Tutti iniziarono fissarlo. E lui non riuscì a trattenere una smorfia di paura. Incominciò a sudare. Appena un velo sulla fronte e sul labbro superiore. Stava facendo tutto quello che si aspettavano gli sbirri.

Per un attimo credette di non riuscire a dominare la voglia di mettersi a correre ma poi si impose di stare calmo l'unica via di fuga erano le porte di sicurezza che davano sulle piste di atterraggio: non sarebbe riuscito a correre per più di cento metri prima di essere acciuffato. Un respiro profondo. Un altro. Non potevano sapere che lui era un trafficante, forse si trattava solo di un controllo del passaporto. E poi la droga era nascosta bene, ci aveva impiegato quasi un'ora a ingoiare gli ovuli; li aveva fatti belli robusti per evitare che la pressurizzazione dell'aereo li facesse scoppiare in volo, com’era successo a Cristobal, un tizio del barrio che era schiattato sopra l'oceano.

Arrivarono i bagagli e i passeggeri si misero diligentemente in fila.. Il cane lupo antidroga annusò distrattamente qualche valigia. Nessuno venne fermato. Gli sbirri aspettavano proprio lui.

"Passaporto, prego" chiese quello seduto nella guardiola.

Il corriere gli consegnò il documento, un tempo di proprietà di un ingenuo turista spagnolo che era stato accarezzato in un autobus dalle dita di velluto dei carteros colombiani. Il poliziotto esaminò il documento e lo passò a quello che lo aveva fissato fin dall'inizio. Quest'ultimo sorrise soddisfatto, la foto era stata chiaramente sostituita. Quel tipo dall'aria da sudamericano lo aveva subito insospettito. Puzzava di corriere lontano un miglio. In due anni di servizio alla Polaria del Marco Polo ne aveva già visti alcune decine. Per duemila dollari partivano carichi di coca, convinti di passare per turisti mettendosi l'unico vestito buono.

Lo sbirro fece segno al colombiano di seguirlo. Entrarono in una stanza piena di fumo e divise. Lo fecero sedere e lo circondarono.

"Questo passaporto è falso e tu sei un trafficante di droga" disse l'agente un po' in italiano e un po' in spagnolo. "Dove tieni la cocaina? Nel bagaglio o in panza?" domandò affondando l'indice con cattiveria appena sopra l'ombelico.

Il corriere guardò le facce dei poliziotti e capì che da quella situazione non c’era via d'uscita.

"Aquí" rispose indicando lo stomaco.

"Colombiano?".

"Sì".

"A chi dovevi consegnare la roba?".

Il colombiano si tolse una scarpa e strappò il nastro adesivo che fissava al tallone un foglietto piegato in quattro.

Lo sbirro lo aprì. "Pensione Zodiaco, via Bafile 117, Jesolo".

Le voci di tre poliziotti si accavallarono rabbiose nel chiedere nuovamente il nome del destinatario del carico. Era importante approfittare del momento. Il sudamericano alzò le spalle e spiegò che c'era una camera prenotata a suo nome. Doveva espellere gli ovuli e aspettare l'italiano che aveva conosciuto a Bogotà e che gli aveva proposto l'affare. Aveva detto di chiamarsi Antonio. Il cognome non glielo aveva mai detto. Era uno sui cinquanta, di media statura, un po' grosso e con chiari capelli castani.

Uno sbirro in borghese che era stato in disparte fino a quel momento schioccò le dita. "Panariello, chiama il capitano Annetta della finanza, digli che sto arrivando da lui e poi organizza una scorta per portare questo signore al commissariato di Jesolo. Lo voglio vicino al luogo dell'incontro". Si avvicinò al corriere. "Qual è il tuo vero nome?".

Guillermo Arias Cuevas" rispose pronto il corriere.

"Quanti anni hai?".

"Ventotto".

"Da dove vieni?".

"Bogotà".

L'uomo gli diede un buffetto sulla guancia. "Bravo. Non ci hai fatto perdere tempo. I giudici ne terranno conto".

Il colombiano lo fissò e scosse la testa. Quello sbirro di merda lo stava insultando. Non era stato certo per guadagnare la clemenza della corte che aveva deciso di collaborare. E non era certo la galera a fargli paura, ma quella lesbica della Tia che si sarebbe incazzata parecchio quando si fosse accorta che il nipotino le aveva fregato otto etti di coca.


Hanno scritto del romanzo.....

Caffè letterario

gialloWeb - Carlo Oliva


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